Di Albino Campa (del 04/04/2007 @ 23:22:37, in NohaBlog, linkato 3555 volte)

"Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo nuovo contributo del nostro amico Marcello D'Acquarica sulla figura di Gino Tarantino, compianto artista figlio di Noha".

Rammarico e  tristezza, questo resta per aver perso un amicizia  insolita, disinteressata, di semplice confronto e dialogo.
Si dice: prima o poi i nodi vengono al pettine; ed anche: le cose assumono naturalmente la giusta collocazione. Cosi è.
Bisogna riconoscere che  non basta nascere nello stesso posto e crescere insieme per essere dei veri amici, certo è una componente di grande valenza, ma non sufficiente.  I ricordi delle prime esperienze, il tempo trascorso insieme, il dialetto, le tradizioni consumate, sono tutti collanti irripetibili. Ma se a causa delle vicissitudini della vita il distacco non scatena nessuna azione di ricerca, di riavvicinamento, vuol dire che il passato ha coronato il suo compito, e tutto può essere considerato finito. Per sempre.
Non così per noi, che abbiamo saputo dare il giusto valore al nostro passato. Che lo abbiamo adoperato come meritava: collante per il presente ed il futuro.  Cosa potrei volere di più? Ti sono grato  per avermi dato l'occasione di aprire gli occhi e discernere nella opacità del quotidiano, un grande valore: l'amicizia. Quando un rapporto fra due persone non è disturbato da estranei, quando è libero e distaccato dalle miserie che invadono i nostri pensieri, quando persiste nonostante le differenti scelte di vita, è il momento per capire che questa è cosa rara, che merita tutta la nostra attenzione. Altrettanta attenzione merita la riflessione sul percorso già di per se drammatico (e quindi sufficientemente ripagato con il dolore) che ha costretto i tuoi ultimi istanti di vita. Certo non ci si deve commiserare del proprio stato di peccatore crogiolandosi nell'essere uomini che camminano sulla terra e quindi “costretti” a sporcarsi  i piedi di fango, ma, tanto meno, dobbiamo sentirci chiamati a  giudicare l'operato del nostro prossimo. Pensiamo all'insegnamento di Gesù quando dice ai Giudei che si accingono a lapidare una donna colpevole di adulterio: “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”. E chi ha orecchie per intendere intenda...
La cosa che purtroppo ha sorpreso tutti è stato “l'evento” inatteso e prematuro.
Ma chi mai poteva immaginare l'inimmaginabile... questi sono i nostri limiti!
Adesso che il “Mistero” più grande della vita ti ha già coinvolto e nessuna delle nostre strade è più  percorribile non mi resta che sperare e pregare che, insieme a tutti i nostri cari, possa godere la pace con la “P” maiuscola.

Marcello D’Acquarica

 
Di Albino Campa (del 21/04/2007 @ 11:26:08, in NohaBlog, linkato 4122 volte)

"Eccovi di seguito un brano di Antonio Mellone tratto da "il Galatino" n. 6, anno XL, del 30 marzo 2007, nel quale l'autore ricorda con un salto indietro nel tempo la figura del compianto don Gerardo Rizzo, sacerdote di Noha".

Don Gerardo Rizzo

Il 13 febbraio scorso si è spento serenamente don Gerardo Rizzo, sacerdote di Noha. Se n’è andato nel silenzio della notte, nella sua casa ubicata nella storica Piazzetta Trisciolo, quella stessa casa che fu di suo zio, il Monsignor Paolo Tundo, indimenticato arciprete di Noha.
Aveva ottantatre primavere, don Gerardo; e si può dire che abbia trascorso buona parte della sua vita nella sofferenza e negli acciacchi derivanti da un brutto incidente automobilistico accaduto nella seconda metà degli anni ’60; disgrazia che gli procurò una frattura multipla ad un femore. I postumi di quell’infortunio furono visibili, dolorosi, e permanenti; ma quanto più tormentosi, tanto più sopportati con pazienza e santa rassegnazione.
Io lo conoscevo praticamente da sempre, non solo perché egli era un mio “familiare”, (essendo cugino di mio padre), ma soprattutto perché da piccolo imberbe chierichetto, come tanti altri, “gli servivo la messa”: e questo decine, se non centinaia di volte.
Una volta mi capitò anche di servire una sua messa al cimitero di Noha. Era appena spuntata l’aurora… Ma dico subito che fu un’esperienza che non ripetei, in quanto l’atmosfera, la desolazione del cimitero, ed il suono a morto della campana della chiesa (che era un po’ distante dalla cappella nella quale si celebrava) - campana che io stesso, in solitudine in quella sagrestia, avevo azionato tirandone la fune - in quella mattina di nebbia, mi atterrirono così tanto che da allora rinunciai a ritornare in quel santo luogo in quegli orari nei quali quasi nessuno lo frequenta. Una volta in macchina sulla strada per il ritorno dissi subito a don Gerardo che al cimitero non ci avrei più messo piede proprio per quei motivi: mi rispose con una rassicurante risata…
Era così don Gerardo, di poche parole. E sovente taciturno, come assorto in preghiera.
Preparato, diligente, puntualissimo, mai prolisso era molto amato da grandi e piccoli, e molto gettonato soprattutto nelle confessioni sia per la sua notoria indulgenza e sia perché capiva subito chi aveva di fronte, onde la clemenza e l’assoluzione arrivavano nel breve volgere di qualche minuto (se non proprio nell’intorno di una manciata di secondi).
Ha celebrato per decenni la “terza messa” domenicale, quella delle undici “in punto”, messa cantata con tanto di coro ed organo, una messa seguitissima anche perché grazie alla sinteticità di don Gerardo, alle dodici meno venti preciso tutti i cittadini di Noha erano già da un pezzo fuori dalla chiesa, diretti alla volta delle loro case, là dove, da lì ad un quarto d’ora, sarebbero stati pronti ad assidersi per il desinare (a Noha si mangiava alle dodici in punto, anche la domenica: molti hanno mantenuto codesta “regola”).
Non amava, in effetti, le prediche interminabili o prolisse (come invece sovente accade), ma, direi, quelle concettose ma nello stesso tempo stringate ed essenziali. Diceva tutto quello che s’aveva da dire e lo faceva con proprietà di linguaggio e con citazioni dotte (molte proferite in latino perfetto), che denotavano lungo commercio con le lettere e con i libri, sui quali s’era pure consumato la vista. In effetti studiava sempre ed aveva una memoria straordinaria. Alla bisogna, ti spiegava tutto per filo e per segno: e non soltanto i testi dei Padri della Chiesa, ma anche quelli della letteratura italiana di ogni tempo.
Si dilettava anche a suonare l’organo a canne della Chiesa Madre di Noha nel corso della messa serotina e cantava anche con la sua voce cristallina ed intonatissima. Ricordo che una volta un “predicatore quaresimalista” introdusse la sua omelia proferendo queste parole: “Sarò breve…”. Non l’avesse mai fatto. Prontamente dalla postazione dell’organo (che nella chiesa di Noha si trova proprio di fronte all’ambone) don Gerardo gli fece quasi eco, rispondendo ad alta voce, quasi come si risponde ad un salmo responsoriale: “Speriamo!!!”.
Il predicatore dovette rispettare il suo intendimento, così esplicitamente proferito, ed approvato.
Avevo imparato a conoscere don Gerardo così bene (così come, da ragazzo, mi capitava di fare per molti personaggi di Noha - ma anche forestieri - studiandone movimenti, intonazione della voce e gesti) che la sua imitazione mi riusciva meglio di tutte le altre…

*

Alla fine del mese di maggio era tradizione che iniziasse a Noha nella cappella di S. Antonio di Padova la cerimonia della “tredicina” in onore del Santo. Gli incaricati per la celebrazione delle funzioni e della messa, da parte della signora Tetta, organizzatrice e sagrestana di quel grazioso tempietto, (un tempo in piena campagna, ora, ormai circondato da una meno romantica “villettopoli”) erano proprio don Gerardo Rizzo, mentre i chierichetti deputati al servizio sacro erano il mio amico e compagno di classe, Adriano, ed il sottoscritto. Siamo sul finire degli anni settanta e verso i primi degli anni ottanta.
Per don Gerardo potevamo servire la messa senza la tonaca rossa e la cotta: un’eccezione, uno strappo alla regola molto gradito da noi altri, anche perché nei pomeriggi di giugno la temperatura pur non essendo ancora torrida da noi è comunque calda.
Ci divertivamo un mondo e con don Gerardo si scherzava e si rideva sovente, prima o dopo la messa. Una volta però accadde “nel durante”.
Si era nel bel mezzo della celebrazione. Ad uno dei due ragazzi capitò uno svarione (che di fatto era un’inezia, che nemmeno ricordo). Ai due chierichetti, che si guardarono un attimo negli occhi, venne immediatamente un attacco di risate, che, sulle prime, si tentò di bloccare, soffocare, reprimere, o almeno frenare; poi fu trattenuto a stenti, e poi ancora sempre meno…
Insomma - e per farla breve - con il nostro continuo drammatico crescendo d’ilarità non dominata, ben presto contagiammo lo stesso don Gerardo il quale, per qualche interminabile decina di secondi dovette a sua volta interrompersi. Questo fece sì che i fedeli raccolti in preghiera in quella piccola chiesa s’accorgessero di tutto quanto avveniva sull’altare a pochissima distanza dai loro occhi ed orecchi, e, a loro volta, come accade per queste cose, pur non sapendo il motivo di tanto ridere, scoppiarono anch’essi in una fragorosa generale risata. Alla fine della messa, in macchina, diretti alla volta di piazza San Michele il centro di Noha, non fummo redarguiti, come pensavamo o temevamo: anzi continuammo ancora a ridere, e pare che, con questo, don Gerardo volesse dirci che la fede è gioia, letizia e che “[…] il diavolo non è il principe della materia, il diavolo è l’arroganza dello spirito, la fede senza sorriso …” [cfr. pag. 451, U. Eco, Il nome della rosa, La Biblioteca di Repubblica, Barcellona, 2002].
Le tredici splendide giornate di primavera inoltrata si concludevano, dunque, il tredici giugno con la festa del Santo Taumaturgo di Padova, con la benedizione e la distribuzione a tutti del pane benedetto…
Alla fine della tredicina, don Gerardo per ringraziarci della nostra assistenza ci portava a Galatina per offrirci un gelato (un tempo i gelati erano un lusso che si gustavano solo nelle domeniche pomeriggio d’estate, ed a volte nemmeno in quelle). Il bar di Galatina – bellissimo - era quello di Rafelino, ubicato in via Gallipoli, quello che produceva i gelati più buoni del Salento e quello (almeno così ci sembrava) che aveva inventato la panna montata, una delizia celestiale, una squisitezza morbida e vellutata che in quel gruppo di anni di oltre un quarto di secolo fa non tutti conoscevano. Prendevamo un cono a testa con tre gusti e con sopra tanta panna montata ed in macchina sorbivamo con lentezza quella leccornia sublime…
Ecco: a me piace ricordare proprio così il caro don Gerardo, mentre con la sua Fiat Cinquecento ci portava da Noha a Galatina per offrirci il gelato di Rafelino, sormontato da soffice candida panna montata.

ANTONIO MELLONE

 
Di Albino Campa (del 21/05/2007 @ 22:53:46, in NohaBlog, linkato 3921 volte)
"Antonio Mellone su -il Galatino- n. 9, anno XL dell'11 maggio scorso, ha pubblicato l'articolo che vi proponiamo di seguito, dedicato a Don Emanuele Vincenti. A Don Emanuele porgiamo anche noi del sito www.noha.it il nostro fervido voto augurale".
 
Nella serata di giovedi 12 aprile 2007 la nuova Chiesa della Madonna delle Grazie di Noha non poteva contenere i fedeli della comunità (ma anche molti ospiti fuori-porta) chiamati a raccolta per partecipare all’ordinazione diaconale di Emanuele Vincenti, nohano, mediante l’imposizione delle mani da parte dell’arcivescovo di Otranto mons. Donato Negro. Il diaconato (dal greco: diàkonos, “servo”) è uno dei tre ordini sacri (gli altri due sono il presbiterato o sacerdozio, e l’episcopato) conferito ad una persona di sesso maschile, o in maniera “permanente” per servizio diretto della comunità cristiana, ovvero, come nel caso di Emanuele, in maniera “transitoria” in vista dell’ordinazione sacerdotale. Codesto “ordine minore” attribuisce al diacono la competenza ad amministrare il Battesimo, distribuire l’Eucaristia, benedire il Matrimonio, leggere le Sacre Scritture, presiedere a vari culti e riti.    
La comunità di Noha è da sempre generosa nei confronti della Chiesa Cattolica quanto a vocazioni maschili e femminili: più di un giovane ha risposto nel corso degli ultimi decenni (ma anche prima) alla chiamata del suo Signore, il quale chiama dove, come e quando vuole. Segno che il “terreno” nohano, oltre ad essere dissodato, irrorato e concimato da buoni vignaioli, è comunque di buona qualità, e, con più facilità rispetto ad altri, permette ai virgulti della Grazia non solo di germogliare, ma, a seconda delle annate, anche di crescere, di irrobustirsi e portare frutto. 
La vocazione di Emanuele (ormai don Emanuele) è iniziata nel corso degli anni novanta. Una vocazione è per definizione un mistero: la si può descrivere, ma mai definire appieno. Noi allora ci limitiamo a dire soltanto che Emanuele ha compiuto il suo curriculum di studi prima nel seminario minore di Otranto (istituzione gloriosa, rinomata, dal Settecento in poi, per la floridezza degli studi e la bontà della formazione dei giovani avviati al sacerdozio: quel pio collegio ha “prodotto” pastori di gran prestigio, sacerdoti e vescovi, ma anche professionisti e uomini di importante levatura sociale) e successivamente, per gli approfondimenti filosofici e teologici, presso il seminario maggiore “Pio XI” di Molfetta.
Dopo il “baccalaureato” è seguita una pausa di riflessione. Una pausa, crediamo, importante nel discernimento della strada migliore da percorrere per la propria realizzazione…
E d’altra parte noi crediamo (sperando di non proferir eresia) che un monaco o un prete (votato al celibato) in un periodo della propria vita - come è stato per Emanuele - o almeno una volta nella vita, se non proprio “debba”, almeno “possa” aver avuto commercio e convegno di amorosi terreni sensi. Questo con più facilità gli permetterebbe di essere un giorno indulgente e comprensivo con i peccatori a cui darà consiglio e conforto.
Noi auguriamo ad Emanuele di aver trovato in libertà la sua strada. Gli auguriamo di realizzare tutti i suoi desideri: tra i quali, pare ormai chiaro, quello di superare l’ultimo gradino della scala d’impegno che lo porterà a diventare sacerdote per sempre.
 
Antonio Mellone
 
Di Albino Campa (del 04/06/2007 @ 09:15:53, in NohaBlog, linkato 2897 volte)
Scarica la copertina
Scritti in Onore di Antonio Antonaci” è il recente libro di Antonio Mellone (Infolito Group Editore, Milano, 2007, 85 pp.) impresso in digitale presso Infoprinting di Galatina. Tutti gli interessati possono richiederne copia ed informazioni al nostro indirizzo info@noha.it. A breve su questi schermi alcuni stralci del suddetto saggio.
 
Di Albino Campa (del 08/07/2007 @ 00:12:54, in NohaBlog, linkato 3800 volte)

Eccovi di seguito l'articolo di Antonio Mellone apparso su -il Titano- di quest'anno (supplemento de 'il Galatino' n.12 del 27 giugno 2007) dal titolo: "Giuseppe Paglialunga di Noha, Pippi Caddhripulinu, Capilega". Si tratta di un saggio breve su un personaggio di Noha, Pippi Caddhripulinu, appunto, il quale, sebbene inquadrato in un ambiente delimitato con confini provinciali, ha comunque contribuito alla costruzione della micro-storia o storia locale. Che non è da considerarsi storia di serie B o di seconda classe, ma storia tout court

GIUSEPPE PAGLIALUNGA DI NOHA: PIPPI CADDHRIPULINU, CAPILEGA.

Queste brevi note vogliono essere l’omaggio alla memoria di una personaggio di Noha, Giuseppe Paglialunga, da tutti meglio conosciuto con il nome di Pippi Capilega o Caddhripulinu, una persona che, insieme a molte altre coraggiose coscienze, ha dimostrato che anche nell’Italia del Sud (ed addirittura a Noha!) fu alta la voce dell’antifascismo, causa efficiente della repubblica democratica del dopoguerra.
Pippi, che nasce a Noha il 5 giugno 1923 da una modesta famiglia di braccianti agricoli (i nonni erano oriundi di Gallipoli, da qui il soprannome), insieme ad altri eroi contribuisce con il suo pensiero e la sua lotta a rompere un sistema crudele e disumano: quello che schiacciava la dignità del povero servo della zolla, costretto alla produzione del “plusvalore” che l’opulento agrario di turno rapinava con zelo da sempre, protetto da leggi ingiuste, e da una concezione del pensiero basata sull’ignoranza e la rassegnazione.
E’ stato con persone ardimentose come Pippi che finalmente si giunge anche nel Mezzogiorno ad un punto di rottura, alla resa dei conti tra il feudalesimo e la modernità, e alla nascita di una nuova idea di società.
Contadino di semplici origini, come i genitori ed i fratelli, Pippi, “primula rossa” nohana, comunista convinto fino alla fine, viene nominato responsabile della “Camera del Lavoro” di Noha, ubicata in umili locali nella splendida piazzetta Trisciolo, un tempo lastricata con conci di pietra viva proveniente dalle cave di Soleto, all’ombra del signorile palazzo dell’arciprete Don Paolo Tundo, Monsignore, già podestà di Noha, imbevuto di idee fasciste (come molti; anche a fascismo crollato!), e con il quale, proprio a causa della divergenza di vedute, Pippi ha un rapporto dialettico vivace e a volte polemico.   
Una camera del lavoro sempre stracolma di gente, era quella di Noha, come un tempo erano anche le altre piazze della cittadina, brulicanti di persone in cerca della giornata lavorativa.
E piazzetta Trisciolo è il luogo tradizionale dei raduni popolari - dopo la caduta del fascismo s’intende – raduni che hanno come uditorio la plebe, ceto povero di mezzi, ma anche di istruzione ed educazione. In dialetto si parla anche in pubblico; si argomenta in maniera chiara e senza atteggiamenti demagogici, o menzogne ed ipocrisie; l’intransigenza diventa, prima che un dovere morale, una necessità di vita.
Pippi è capolega dei contadini, compagno di lotta e quasi coevo (solo tre anni di differenza d’età) di Isa Palumbo, la Isa, sindacalista e difensora delle tabacchine, ideologa - potremmo dire - del comunismo di Noha, inteso come voglia di riscatto del Salento e di tutto il Meridione [cfr. il nostro: Isa Palumbo. La pasionaria di Noha, in Il Titano, suppl. de il Galatino,  n. 12, 27 giugno 2005]
 
I contadini frequentavano la piazza di buon mattino, nell’attesa che il caporale (o il fattore) ingaggiasse la manodopera per il campo; uomini esposti come cavalli, scelti dal palafreniere di turno; come schiavi con la schiena curva dall’alba al tramonto.  Se eri più debole non lavoravi. Di diritti neanche a parlarne.
Solo i comunisti cercavano di far comprendere che la lotta (che si manifestava con l’arma pacifica dello sciopero) era l’unico strumento di liberazione, che non serviva solo ad un bracciante o ad un contadino ma avrebbe portato benessere a tutta la collettività. Eppure il comunista era quello “che mangiava i bambini”, schedato come “vagabondo abituale”, colui che “riceveva gli ordini direttamente da Mosca”, un “uomo senza Dio”… 
Ma il compagno Pippi un Dio ce l’aveva, e lo pregava anche. Ed era il Dio cristiano di giustizia, di amore, e di pace e libertà; il Dio degli ultimi, dei poveri, dei bisognosi, degli indifesi; il suo Signore era quello della chiesa delle origini: quella nella quale i fedeli vivevano la vera Comunione, allorché “mettevano in comune i loro beni e non v’era tra loro distinzione”. Non era un fariseo, ma, oseremmo dire, un teologo della liberazione. Non frequentava il tempio, ma voleva che moglie e figli fossero puntuali alle sacre funzioni. Addirittura ricordava loro i doveri religiosi e li richiamava anche, nel caso in cui fossero in ritardo.

*  * *

Pippi era l’esponente di una generazione che ha lottato ed ha pagato in prima persona il costo delle conquiste che ormai sono patrimonio acquisito (e a volte dato per scontato se non proprio dimenticato) da noi contemporanei. Un sognatore, potremmo dire: ma un sognatore con i piedi per terra: una persona che sognava un mondo migliore, un mondo da realizzare “su questa terra” nei limiti di ciò che era possibile.
Pippi era una persona pratica; non pensava ai grandi sistemi, ma all’urgente necessità del pane e dei diritti per tutti, per i quali era disposto anche a perdere la giornata lavorativa (e ne perse più d’una).
Così Pippi scrive lettere all’onorevole Pajetta e all’onorevole Galasso per far ottenere una pensione di sussistenza a chi la meritava ma non aveva santi in Paradiso.
Zi’ Monacu di Noha (un tempo ci si conosceva con uno sciame di soprannomi) per esempio fu uno di questi. Zi’ Monacu, anziano, invalido di guerra, senza parenti che gli potessero dare una mano, ottiene quanto sperato, e vuole anche “disobbligarsi” con Pippi. Che rifiuta il regalo e invita il poveretto a spendere per se stesso le ventimila lire che voleva donargli. 
Poi ancora lo vediamo impegnato contro gli agrari opulenti ed a favore alle donne, che di fatto erano più contadine dei contadini, nel riconoscimento del loro status di lavoratrici e non di casalinghe (come invece conveniva al padronato) senza diritti né contributi.
Ed infine lo si vede in prima fila nell’organizzazione degli scioperi.
Una di queste contestazioni, siamo nel 1947, si svolse con grande partecipazione di popolo. Di mira era stato preso l’aristocratico don Gino Vallone, e la sua casa gentilizia nel centro di Galatina.
L’urlio crescente, rimbalzava e rimbombava come un tuono; ogni buco del palazzotto ne rintronava: e di mezzo al vasto e confuso strepito, si sentivano forti e fitti colpi di pietre ed altri arnesi alla scala d’accesso dell’abitazione. La quale cede dopo non molto, sotto i colpi inferti dai furibondi in rivolta.
Il popolo esasperato (ma anche caricato dal tumulto), infine, si avventa quasi sull’intimidito don Gino, finalmente uscito allo scoperto, bianco come un panno lavato…
Per fortuna il capilega Pippi non era di quelli che per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per gusto del soqquadro, fanno di tutto per spingere le cose al peggio. Pippi era invece uno che cercava di ragionare, un po’ anche per un certo pio e spontaneo orrore del sangue e dei fatti atroci, tanto che lo stesso don Gino, per protezione viene abbracciato dallo stesso Pippi, e in fondo, anche grazie a questo gesto, protetto, salvato da ben più nefaste o addirittura ancor più rovinose e magari fatali conseguenze.
Ma Pippi, anche in seguito a questi eventi, è ormai segnalato, guardato a vista dalla polizia di Scelba, considerato come “socialmente pericoloso”, “turbolento”, “sobillatore”, “occupante di terre”. La sua modesta casetta (in affitto) viene perquisita di giorno e di notte. E finisce anche in arresto.   
Un punto fermo del suo pensiero, però va detto, rimane il rifiuto della violenza nelle lotte di massa e nell’azione del movimento sindacale, convinto come era che nel nuovo regime democratico ai lavoratori erano dati gli strumenti pacifici, come lo sciopero, per sviluppare le loro rivendicazioni e per allargare la loro influenza sugli altri ceti della popolazione italiana.

*  *  *

La vita di Pippi, che contava appena 58 primavere, fu stroncata da un’emorragia cerebrale il 23 febbraio 1981. Il malore lo colse nella sua piccola ma frequentata bottega di generi alimentari ubicata sempre a Noha nella storica via Trisciolo.
Un fascio di rose rosse fu composto dai suoi compagni di partito, che lo accompagnarono, insieme ad altra moltitudine al cimitero: quel luogo che per definizione è la più alta ed inesorabile forma di comunismo, per volenti o nolenti, ricchi e poveri.
Ecco: in queste righe abbiamo voluto ricordare la voce di un protagonista delle battaglie per l’emancipazione e l’affrancazione dall’oppressione. Ma questi appunti sono anche la dimostrazione di come quella voce possa essere soffocata dall’assenza di memoria se non si concorresse - come abbiamo cercato di fare, ci auguriamo alla men peggio – a dare un volto alla storia.
A noi piace ricordare Pippi, allorchè, in piazza San Michele, sull’uscio della sezione del Partito, conversava con i suoi amici nella sua solita postura, seduto a cavalcioni su di una sedia, con entrambi i gomiti appoggiati alla spalliera. In quella sezione gloriosa, dedicata al nome del grande Giuseppe Di Vittorio (Cerignola, 13 agosto 1892 – Lecco, 3 novembre 1957), che a tutti gli effetti era - oltre che omonimo - sindacalista e capilega come lui, il Nostro trascorreva il tempo libero.
Da quel luogo strategico, cuore di Noha, quando ti scorgeva da lontano, Pippi, ti salutava cordialmente con una mano, mentre sul suo volto si disegnava un timido sorriso…

Antonio Mellone

 
Di Albino Campa (del 21/07/2007 @ 08:50:10, in NohaBlog, linkato 2439 volte)
"Anche Noha.it partecipa al V-DAY."
 
 L'8 settembre sarà il giorno del Vaffanculo day, o V-Day. Una via di mezzo tra il D-Day dello sbarco in Normandia e V come Vendetta. Si terrà sabato otto settembre nelle piazze d’Italia, per ricordare che dal 1943 non è cambiato niente. Ieri il re in fuga e la Nazione allo sbando, oggi politici blindati nei palazzi immersi in problemi “culturali”. Il V-Day sarà un giorno di informazione e di partecipazione popolare.
 
Beppe Grillo
 
 
Di Albino Campa (del 24/07/2007 @ 14:05:11, in NohaBlog, linkato 2677 volte)

Il nostro amico Angelo, sposo novello, ci fa pervenire dalle Canarie (Spagna) e precisamente da Lanzarote Island (dove ha trascorso la sua luna di miele)la foto di questo bellissimo locale esotico. Bellissimo, in quanto il nome, guarda caso, è proprio NOHA, come si vede nell'immagine.

Il nome di NOHA, campeggia luminoso a caratteri cubitali dunque non solo nel Salento ma anche in altre parti del mondo. A proposito, cari amici, se nei vostri viaggi intorno al globo terrestre (ma anche se doveste andare, da astronauti, nello spazio) vi doveste incontrare ancora con il dolce nome del nostro stupendo paese segnalatecelo: sia esso il nome di un locale, una spiaggia, un personaggio, un'associazione, un'opera d'arte, una storia, una bella ragazza...

 
Di Albino Campa (del 28/07/2007 @ 08:53:36, in NohaBlog, linkato 3203 volte)

Su “quiSalento”, anno VII, n. 7, 1/18 luglio 2007, troviamo nella rubrica “da leggere” la recensione al recente libro di Antonio Mellone dal titolo “Scritti in Onore di Antonio Antonaci”. L’articolo che vi proponiamo di seguito è a firma di Eleonora Carriero.Il libro del nostro Antonio Mellone verrà presentato nel prossimo mese di settembre. V’informeremo più dettagliatamente sull’appuntamento ovviamente da non perdere: per ora sappiamo (e ve lo diciamo) che avverrà a Galatina nella splendida cornice del Palazzo della Cultura.


LA PASSIONE DEL DISCEPOLO

 

La passione dello studio e lo studio della passione. La passione dello studio è quella di monsignor Antonio Antonaci di Galatina (classe 1920), riversatasi nella filosofia del cinquecento, nella biografia, nella storia e nell’arte locale, nel giornalismo, solo per citare i più importanti ma non unici filoni dei suoi interessi eruditi.

Lo studio della passione è questa raccolta di scritti realizzata da Antonio Mellone in onore del professore monsignore e che mette bene in evidenza la enciclopedica curiosità dello studioso, la capacità speculativa del filosofo, l’amore dell’uomo legato alla sua terra.

Anche questo libro, dunque, è fatto con passione: la passione dell’allievo per il maestro, riconoscente per il benefico contagio dell’amore per i libri, per la conoscenza, per il dialogo. Ha ragione dunque l’editore Michele Tarantino nella sua nota, quando definisce questo libro un saggio “appassionato”.

Una sintetica eppur completa conoscenza di Antonio Antonaci è già possibile soffermandosi sulla sua fotografia in copertina: seduto alla scrivania, in giacca da camera, lo sguardo attento su un grande volume, le mani pronte a voltare pagina e a seguire il pensiero, alle spalle gli scaffali di una libreria antica ma resa viva dall’uso.

Quelle dello studioso sono “opere di ampio respiro culturale costruite in base a pazienti e minuziose ricerche su codici antichi, documenti coevi e pubblicazioni varie, opere accessibili alla lettura di quanti, non facendo parte degli ‘addetti ai lavori’, sono spinti dal desiderio di conoscere vicende e uomini della propria terra”, opere di “grande impegno culturale e civico”, in cui la precisione delle citazioni si accompagna all’”arte del bello scrivere”. L’effetto è quello di una lettura “scorrevolissima e vorace”, con il “connesso rammarico di finire troppo presto”.

I saggi (in cui Mellone sembra aver interiorizzato stile e modi del maestro, con analoghi effetti sul lettore) si propongono nella forma di recensioni (edite ed inedite) alle opere, in cui si inseriscono piccoli racconti, stralci di conversazioni private, aforismi antonaciani in dialetto, ricordi di vita quotidiana.

Anche il lettore si appassionerà.

                                                                              Eleonora Carriero

Antonio Mellone, Scritti in onore di Antonio Antonaci, con un saggio introduttivo di Zeffirino Rizzelli, pp.83, Infolito Group Editore, Milano, 2007

 

 

 

 

 

Riceviamo e pubblichiamo con molto piacere l'interrogazione che ha presentato il Consigliere Comunale Antonio Pepe al Sindaco di Galatina nel corso del Consiglio Comunale del 30 luglio u.s. per porre, all'attenzione dell'Amministrazione Comunale, la preoccupante situazione delle "Casiceddhre"

Interrogazione urgente a risposta orale. Interventi di ristrutturazione e recupero c.d. “Casiceddhre o Casette dei nani” site in via Castello, Noha.

http://www.noha.it/photogallery/view.asp?dir=casiceddhre_di_novella

Il sottoscritto Antonio Pepe, Consigliere Comunale dell’UDC,

premesso che

  1. - nella frazione di Noha (via Castello), insistono sul terrazzo del palazzo baronale delle costruzioni in miniatura in pietra leccese policroma, dai più denominate e conosciute con il termine di “Casiceddhre o Casette dei nani”, di notevole importanza storica, artistica e culturale;
  2. -  tali costruzioni costituiscono la fedele riproduzione in miniatura di palazzi seicenteschi, ricche di dettagli e particolari architettonici (capitelli, volte a stella, volte a croce, etc.), definiti da studiosi e tecnici che hanno avuto la possibilità di visionarle interessanti e sorprendentemente uniche e rare;
  3. - a causa di alcune crepe presenti sul lastricato del terrazzo, che interessano anche il muro dell’edificio sottostante, e della vicinanza di alcuni alberi di pino, che con i rami stanno letteralmente e costantemente “schiaffeggiando” tali “opere d’arte”, e con le radici, probabilmente, provocando le lesioni precedentemente descritte, le condizioni di tali costruzioni stanno visibilmente ed irrimediabilmente peggiorando;
  4. - il testo consultato per la ricostruzione storica narra che “tra le notizie, non documentate, abbiamo quella secondo la quale le “casiceddhre” sono opera di un giovane morto nella guerra del 1915 – 1918. Un’altra vox populi afferma che un pastorello per diletto le abbia costruite in epoca ignota. Un’altra ancora addirittura indica in un mastro fabbricatore, tale Cosimo Mariano di Noha, l’artefice di quel gioiello d’arte. In questo settore in cui non possiamo esprimere che dubbi, incertezze, ipotesi, una facile congettura è quella secondo cui la contemplazione di dette casette contribuiva sia ad alleviare le fatiche e gli impegni profusi nell’amministrazione del feudo, sia a ritrovare tra amici e parenti il gusto dell’esercizio dell’otium letterario e non, ingannando il tempo passato nel paesello in attesa di raggiungere Lecce o Napoli, onde godere e respirare a pieni polmoni l’aria della nobiltà e dell’aristocrazia” (Noha – Storia, Arte, Leggenda di Francesco D’Acquarica e Antonio Mellone - Aprile 2006, Istituto Grafica Silvio Basile S.p.a.);
  5. - sono state numerose le recensioni fatte da esperti d’arte e giornalisti, a testimonianza della curiosità e dell’importanza che rivestono;
  6. - negli scorsi anni sono stati saltuariamente effettuati degli interventi di potatura degli alberi, per prevenire ulteriori deterioramenti;

considerato che

  1. - tali costruzioni rappresentano un patrimonio storico, culturale e artistico per la comunità di Noha e potrebbero sicuramente costituire motivo di attrazione per numerosi visitatori, se adeguatamente restaurate;
  2. - per la ristrutturazione alcuni tecnici sarebbero disponibili a prestare la loro opera gratuitamente, elaborando idoneo progetto;
  3. - insistendo su un edificio di proprietà privata, sarebbe auspicabile contattare i proprietari e prevedere di stipulare, ove possibile, forme convenzionali che prevedano il totale recupero e la ristrutturazione di tali “casette” interamente a spese del Comune, prevedendo anche l’illuminazione con idonei corpi illuminanti e, se necessario, l’abbattimento degli alberi, per salvaguardarle e renderle maggiormente visibili;
  4. - trattandosi di interventi di poche migliaia di euro, si potrebbe dare una risposta immediata alla risoluzione di tale problema;

con la presente,

chiede

alla S. V. se ritiene opportuno intervenire immediatamente per porre rimedio a tale situazione, se ritiene possibile contattare nel breve periodo la proprietà al fine di verificare la realizzabilità di quanto prima esposto e se ritiene utile reperire le somme necessarie, ricorrendo anche a finanziamenti extra-comunali, consapevole che ciò costituisce un’importante occasione per l’ulteriore crescita non solo culturale della frazione di Noha, ed in attesa di altri interventi tesi a recuperare l’importante patrimonio presente sul territorio della frazione.

 

Nella sua risposta  Sandra Antonica ha assicurato l'impegno dell'amministrazione comunale.

Antonio Pepe

 

Canto notturno di un pastore ...

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