Di Albino Campa (del 08/11/2006 @ 12:36:40, in Racconti, linkato 2928 volte)
Nel proporvi questo "Racconto pre-natalizio" di Marcello D'Acquarica e l'immagine dell'interno di una casa della Noha del tempo che fu (dello stesso autore), invitiamo tutti gli artisti: scrittori (o scriventi), poeti, pittori... a farci pervenire le loro opere (sempre via Internet s'intende). Il comitato di redazione del nostro sito non mancherà di pubblicarle per la gioia dei nostri visitatori.


"Cuntu picciccu"

Qualche anno fa, quando la sera faceva buio presto e spesso la corrente
elettrica  saltava e non era colpa della Germania (avevamo i fusibili fatti
in casa: si attorcigliava un pezzo di filo di rame alla "tabacchera"),
prima di andare a dormire, la zia ci drogava con un pò di "cunti".

Si diceva, tra le altre cose,  che alla masseria Colabaldi c'èra
un'"acchiatura" e che se uno la voleva trovare doveva sacrificare  un neonato
buttandolo giù dalla "lammia".
 
Pare che uno degli ultimi abitanti della
masseria abbia tentato di farlo con un raggiro, e cioè buttando giù un
fantoccio di pezza...
A questo punto, raccontava zia, una voce esordì: "e mo' scindi ca ti la pijj".
Cose d'altri tempi.



MARCELLO D'ACQUARICA
 
Di Albino Campa (del 22/11/2006 @ 20:51:19, in Racconti, linkato 3059 volte)

" Cari amici il nostro sito va arricchendosi giorno dopo giorno di articoli, racconti, 'cunti', opere d'arte... Come queste di Marcello D'Acquarica, un nostro amico nohano, cittadino del sole, ma dimorante nell'Italia del Nord, al quale inviamo ringraziamenti e tanti complimenti per i suoi geniali contributi. Che sono sempre benvenuti ".

Anime

 Si raccontava, fra l’altro, che una sera lo zio Teodoro, dopo aver trascorso la serata in paese con gli amici, alla “putea” , tornava  a casa in campagna.

Ad un certo punto  cominciò a sentire un lieve battere sulla spalla.

Preso dallo spavento, non ebbe il coraggio di voltarsi e  prese  a pedalare con più grinta.  Il battito però non diminuiva, anzi  aumentava con la stessa velocità della bici.

Giunto finalmente davanti a casa, spalancò la porticina e dopo essere entrato in casa sprangò l’ingresso dall’interno.

Qualcuno sostiene che lo zio  al mattino seguente trovò dietro la porta le orme di chi lo aveva inseguito fino all’uscio. Qualcun altro racconta che era stata la cravatta a battergli sulla spalla. Qualcun altro ancora afferma che quel battito fosse uno degli effetti della serata trascorsa alla “putea” in compagnia degli amici e di un buon bicchiere di negramaro.

Povero zio Teodoro.

 

 

 
Di Albino Campa (del 07/12/2006 @ 16:18:52, in Racconti, linkato 2245 volte)
"Continuano a pervenirci i contributi del nostro amico Marcello D'Acquarica che con grande piacere proponiamo ai nostri visitatori. Ora è la volta di un componimento breve di estrazione popolare, una filastrocca da leggere con ritmo rapido e cadenzato, e un quadro che riproduce il cassetto dei ricordi. Restiamo in attesa di altri interventi e collaborazioni: tessere che ci permettano di ricostruire il mosaico delle nostre radici".
 
 

Ricordo di una filastrocca 

 

Alla una se dissciata u caddrhu (quiddrhu ca mi prepari pe Natale).

Alle doi lu cavaddhru.

Alle tre lu cavaliere.

Alle quattrhu lu furnaru (ca ave fare lu pane pe tuttu lu paese)

Alle cinque lu studente (ca ave studiare… se vole).

Alle sei tutta la gente.

Alle sette lu fallitu (quiddrhu ca nu tene nienti).

Alle ottu propriu, se azza… lu bon curnutu!

 

 

 

 

 
Di Albino Campa (del 10/12/2006 @ 20:17:23, in Racconti, linkato 4024 volte)

Da 'il Galatino', anno XXXIX, n. 21, dell'8 dicembre 2006, per la solita penna di Antonio Mellone, leggiamo la storia del tabacchino di Noha. Ve la proponiamo in tre parti, o, se preferite, in tre puntate settimanali. Anche questo è un contributo per la conoscenza della nostra bella cittadina e della sua storia economica.

IL TABACCHINO DI NOHA
(prima parte)

Abbiamo già detto, e qui lo ribadiamo ancora una volta, che nel nostro recente libro “Noha. Storia, arte, leggenda” (Infolito Group, Milano, 2006; scritto a quattro mani con il P. Francesco D’Acquarica), benché voluminoso, per ovvie considerazioni non abbiamo potuto esporre e citare, rispetto a quanto già fatto, numerose altre storie, esaminare mille altre aziende, parlare di tutti i personaggi di Noha (posto che sia possibile conoscere tutti i personaggi di un luogo, per quanto piccolo questo possa essere)…
Qualcuno ancora oggi ci ferma per strada e ci ricorda le nostre “omissioni”.
Ma eravamo ben consapevoli di questo sin dal principio del lavoro (ed in alcuni brani del testo lo abbiamo anche ripetuto): chissà quante altre cose o accadimenti o soggetti o artisti sono rimasti nelle nostre penne (o nei tasti dei nostri computer). E chissà quanto ancora ci sarà da scoprire, studiare, riscrivere, ripensare, confutare (anche!), gli argomenti o i temi che nel suddetto libro s’è trattato soltanto superficialmente o non s’è trattato affatto. 
In questo intervento tratteremo, dunque, di uno di codesti “omissis”, che, volendo, potrà essere conservato come foglio volante, da inserire tra le pagine del summenzionato tomo: stiamo parlando del “tabacchino di Noha”.
Il tabacchino era ed è forse il negozio più diffuso in Italia. Già sin dagli inizi del secolo scorso, anche a Noha, proprio in piazza San Michele ce n’era uno condotto da tale Ciccio Liguori, ma molti non lo ricordano quasi più… 
L’altro invece che affiora nella memoria di più di un giovanotto dalla manifesta canizie era il tabacchino ubicato all’angolo tra la piazza San Michele e la via Castello, là dove oggi è situata la sede dei Democratici di Sinistra (già sezione del Partito Comunista Italiano).
In quell’angolo c’era un negozietto: il tabacchino di don Lisandro (Alessandro) e di donna Elvira. Don Lisandro e consorte, che abitavano in una stanza al piano superiore della loro bottega, vendevano i prodotti dei Monopoli di Stato come sale da cucina, e tabacco: tabacco da pizzico (da fiuto), sicàri (sigari), tabacco trinciato per la pipa e finanche tabacco da masticazione e le prime sigarette confezionate, che però rappresentavano solo l’eccezione: la maggior parte dei tabagisti, infatti, fumava sigarette autoprodotte artigianalmente, attraverso l’uso delle cartine contenenti tabacco sfuso, tagliuzzato e non lavorato.
In quel tabacchino trovavi anche capisciòle, bottoni e bucàte, bavette per i piccinni, spolette di cotone bianco o colorato. In un lato del negozietto, don Lisandro, per arrotondare, esponeva per la vendita anche coppole, cappelli, berretti e copricapo di ogni taglia (ma senza troppa scelta di forme o colori: non c’erano ancora le sfilate di moda e le griffes dei giorni nostri).
Poi (gli anni pesano a tutti) don Lisandro lasciò; sua figlia Edda “sposò a Gallipoli”, andò a vivere nell’amena città ionica ed il negozio fu chiuso.
Fu riaperto subito dopo, sempre nel cuore di Noha, da Luigi Mazzotta (Cici), originario di Galatina e da sua moglie Antonietta (Tetta): e fu così inizio di tre generazioni di tabaccai, come diremo.

ANTONIO MELLONE

 
Di Albino Campa (del 11/12/2006 @ 21:55:45, in Racconti, linkato 4671 volte)

Il nostro amico Marcello D'Acquarica che si trova a vivere nel grande freddo del Nord - stamane alle 8.00 a Torino, la sua città d'adozione, la temperatura era di 2 gradi sotto lo zero - ci ha inviato la bella leggenda che proponiamo ai nostri affezionati ospiti. Le leggende, si sa, sono parte essenziale della storia e dell'arte di una comunità. E Noha non è da meno! -Gigetto e Tonio-, i fratellini della novella che ha per titolo "Tra sogno e realtà", come capirete, sono i -Romolo e Remo- di Noha. D'altronde ognun sa che tutte le strade portano a Noha!

TRA SOGNO E REALTA’

(come e prima di Roma)

di
MARCELLO D’ACQUARICA

Sembrava uno dei soliti temporali di mezza estate. Quelli che all’improvviso inondano le vie scoscese di  NOHA (le scise) e, come torrenti in piena, apportano un “mare” d’acqua a valle, trasformando, a volte, la campagna in un grande lago.
Come ogni pomeriggio, dopo l’ora del pranzo (allu schiaccu), ai bambini, veniva “comandato” di mettersi a dormire (“cu dafriscanu nu pocu”).
 
D’estate, l’ora della “canicola” era ed è consigliabile trascorrerla riposando al fresco delle case.
Così, essendo tempo rubato al gioco, i due fratellini, Gigetto e Tonio sgattaiolavano in strada a divertirsi.
Il  temporale era finito ma l’acqua scorreva ancora veloce lungo gli angoli dei marciapiedi: agli occhi dei bambini,  sembravano i flutti di un mare in tempesta.

Costruirono delle barche di carta e delle zattere con  dei  pezzi di corteccia di pino.  Con queste simularono battaglie navali e gare di velieri.  Giocarono per molte ore rincorrendo i loro giochi  nell’acqua a  piedi nudi fino alla periferia del paese.
Così  stanchi e sazi di gioia sedettero a ridosso  dell’uscio  di una casa a riposare e ad  osservare  le loro barche che filavano lontano trascinate dalla corrente. Sempre più lontano…

Quando finalmente si svegliarono si accorsero di essere naufragati su di una spiaggia deserta e costellata  da dune verdi e rigogliose, profumate dall’incenso dei  cespugli di pini marittimi.
Alle loro  spalle, della piccola flotta, vi era l’unica barca rimasta integra, incagliata sul fondale sabbioso e trasparente come lo smeraldo.

Le dune risalivano dolcemente dalla  spiaggia  verso l’interno e sullo sfondo scuro si parava una grande foresta di  antiche querce.
Lo sciabordio del mare e lo stridio incessante dei gabbiani, creavano tutto intorno un’atmosfera quasi surreale, magica. Perfino il vento della tempesta si era ammutolito ed aveva trasformato l’aria tutto intorno in una soave e materna carezza.

Ripresisi dal torpore causato dal lungo sonno e dal naufragio, decisero di inoltrarsi verso l’interno di quell’incantevole angolo per scoprirne ogni possibile nuova meraviglia.
Attraversarono campi infiniti e dolci e basse colline, e quando il sole fu finalmente alto, giunsero in prossimità di un altura. Da qui, voltandosi indietro,  poterono scorgere le cime montuose di una terra lontana, e tutto intorno con lo sguardo, poterono spaziare verso l’infinito.
Desiderosi di vivere in quel posto scelto loro dal Destino, vi costruirono le case e, sul punto più alto delle mura eressero il loro vessillo: uno scudo con  tre torri.
Quando il loro tempo giunse al tramonto, vennero sepolti all’interno delle mura del villaggio che da allora si chiamò Noha (cioè semplicità e gioia).
Ed i Nohani delle nuove generazioni per millenni vissero il sogno dei loro antenati.

 

 
Di Albino Campa (del 16/12/2006 @ 21:56:32, in Racconti, linkato 4147 volte)

"Eccovi di seguito la seconda parte della storia del Tabacchino di Noha, tratta dal -il Galatino-, anno XXXIX, n. 21, dell'8 dicembre 2006. La terza ed ultima puntata di questa mini-serie verrà trasmessa su questi stessi schermi la prossima settimana"

IL TABACCHINO DI NOHA

(seconda parte)

di

Antonio Mellone

Il tabacchino di Cici si trovava proprio di fronte alla Chiesa Piccinna, la Congrega della Madonna delle Grazie, il Pantheon della Nohe de’ Greci, abbattuto nel corso degli anni ’60 (Cici e consorte ospiteranno poi nella propria casa la statua della Madonna delle Grazie per molti anni – nel 2001 la statua ritornerà nella nuova grande Chiesa a Lei dedicata – riservando alla loro illustre “Ospite” il posto d’onore, la cura e l’attenzione che meritava).

*   *   *

Accanto ai beni di Monopolio (sale, tabacchi, fiammiferi, accendini e valori bollati) nel tabacchino di Noha s’iniziano a vendere altri prodotti come i fogli di protocollo (che da ragazzi acquistavamo, a righe o a quadretti, in occasione del compito in classe, sul quale rimanevano impressi i nostri elaborati nelle più disparate discipline scolastiche), le buste per le lettere, la carta copiativa o carta-carbone (scomparsa dalla circolazione) e altri articoli di cartoleria, e poi ancora lamette per i rasoi (un tempo non c’era ancora “il radi e getta”, ma lamette, da riutilizzare più volte nei rasoi eterni), l’ottima crema dopobarba Proraso, introvabile altrove, e poi ancora man mano che il tempo passava, caramelle alla menta o alla liquirizia (le Golìa), gomme da masticare, altri prodotti per l’igiene personale.
Da Cici c’erano anche le cartoline, oggi introvabili, che ritraevano in bianco e nero scorci della Noha del tempo che fu (una loro riedizione o la stampa di nuove cartoline della nostra cittadina oggi non sarebbero poi così fuor di luogo).
Nel tabacchino di Noha si distribuivano anche gratuitamente i libri di testo della scuola dell’obbligo, sussidiari freschi di stampa, abbecedari intonsi, testi bellissimi che hanno introdotto intere generazioni ai piaceri della lettura.
Cici si occupava anche della prevendita dei biglietti per il cinema di Noha, il “Cinema dei Fiori” (chiuso nella seconda metà degli anni ’70), i cui film western, mitologici, fantascientifici, comici, venivano pubblicizzati proprio all’ingresso del tabacchino, con dei cartelloni o manifesti enormi esposti in una bacheca in legno protetta da una rete metallica molto simile a quella della gabbie per le galline.

*   *   *


Da adolescenti ci capitava spesso di frequentare il tabacchino di Cici almeno un paio di volte al dì. Questo non perché necessitavamo delle lamette per la barba (non eravamo che ragazzini imberbi), o perché, bambini viziati, acquistavamo le figurine Panini dei calciatori (erano lussi che solo in pochi potevano permettersi, e noi non eravamo tra questi), e nemmeno perché eravamo fumatori precoci (non lo siamo tuttora). Ma perché non passava giorno senza che almeno un paio di persone adulte ci chiamassero per strada (era sufficiente essere di passaggio), in piazza, o soprattutto al Circolo Cittadino, per incaricarci di acquistare uno o più pacchetti di sigarette e fiammiferi. Si passava dalle Nazionali, alle Esportazioni senza filtro e alle MS, dalle Diana, alle Marlboro, dalle Rotmans, alle Dunhill, o ad altre marche straniere light o strong che non sapevamo nemmeno pronunciare correttamente. I fiammiferi più richiesti erano per lo più i Minerva e soprattutto i cerini (oggi rarissimi).
Cici (invalido di guerra) un signore distinto, elegante, sempre con la cravatta, anche durante la calda stagione, sapeva che sigarette e fiammiferi non erano per noi. E ci serviva tranquillo.
Gli adulti un tempo “te cumandavanu a bacchetta!”. Ci chiamavano: “Vane e ccattami nu pacchettu de Milde Sorte dure e nu pacchettu de pospari…”. E noi di corsa ad eseguire “l’ordine” ed a riportare tutto all’ordinante: sigarette e, soprattutto, il resto: la mancia non rientrava punto nell’ordine delle idee. Si aveva soggezione, quasi timore reverenziale nei confronti dei grandi, quello che oggi (grandi noi; ahinoi!) non ci sembra nutra la novella progenie nei confronti della generazione che la precede.

 
Di Albino Campa (del 19/12/2006 @ 15:59:23, in Racconti, linkato 3947 volte)
"I racconti servono. A tutti. Grandi e piccoli. Eccovi di seguito il racconto - La strega Ciribanda e la storia delle tre torri de Nove - di Marcello D'Acquarica, che da Torino invia saluti ed auguri di Buon Natale a tutti noi, ed, in particolare, a tutti i bambini delle scuole di Noha". 


La Strega “CIRIBANDA”
E la storia delle tre torri de Nove.

 

A Noha vive  una bambina di nome Chiara.  Abita felicemente in una casa al centro del paese con la sua mamma ed il suo papà. Ha una cameretta con tanti giochi e bambole con cui  le piace molto divertirsi dopo aver finito tutti i compiti di scuola.
Più di ogni altra cosa però, le piace trascorrere il suo tempo libero sulla terrazza.
E’ una delle più elevate del paese, sembra un po’ la TORRE di un castello. Dalla sommità si spazia con lo sguardo molto in lontananza. Chiara va a  scrutare il cielo azzurro, il volo delle rondini, ed a farsi baciare dal sole e, a volte, anche dalle stelle. Immagina di vedere cime di alti monti confusi fra le nubi ed il mare  marcato da un dolce fremito di un profilo di luce  all’orizzonte. Con la sua fantasia di bambina costruisce un mondo di sogni che allietano il suo innocente e semplice pensiero…
Un giorno un uccellino, dall’aria stanca e affannata, le si avvicinò e, con voce lieve e tremula,  le raccontò una storia:
Buon giorno piccola mi chiamo Luigi, per gli amici “Cici”. 
Sai Chiara, io tanto tempo fa, abitavo qui vicino, in quella casa scura e dall’aspetto trasandato a forma di  TORRE. La mia mamma trascorreva il suo tempo serena e dedita alla cura dei suoi Nove piccoli. Ogni tanto, sulla  via davanti l’uscio di casa, passava una vecchia strega: la Ciribanda. Veniva da un paese vicino, vestiva con grandi e folti veli colorati  legati in vita con una grossa corda nera. Indossava collane e bracciali di catenelle. Ai piedi calzava delle strane  scarpe rosse come il colore dello smalto delle sue unghie e delle sue sottili labbra.  In testa, sotto una folta criniera di riccioli rossi come il rame,  reggeva una “menza” piena d’acqua che riempiva dalle fontane  per dissetarsi all’occorrenza.  Portava con se un enorme  cesto di vimini appeso al braccio. Lo teneva ben chiuso. La gente pensava che dentro nascondesse i bimbi monelli che riusciva ad acchiappare per strada. Noi, alla sua vista, terrorizzati,  correvamo a nasconderci in casa. La mamma, quando eravamo disubbidienti ci sgridava dicendoci: “se non obbedite chiamo la  Ciribanda”!
Un giorno, la strega, invidiosa della felicità che regnava nella nostra casa, si fermò davanti alla porta e, brandendo la sua bacchetta magica che nascondeva sotto i veli,  lanciò un  incantesimo: Promise alla mia mamma che presto nessuno dei suoi bimbi sarebbe rimasto con lei e che  si sarebbero trasformati in uccelli ed avrebbero preso il volo per  andare lontano lasciandola sola! A meno  che, la mamma, non fosse riuscita a far costruire un’altra torre vicino alla nostra in modo da far  godere anche la strega,  della gioiosa compagnia dei suoi Nove bimbi.
La mamma corse disperata da papà ed insieme andarono  in giro per il paese da amici e parenti a chiedere dei soldi per soddisfare il desiderio della strega e rompere l’incantesimo. Ma, nonostante l’impegno di tutte le persone, non riuscirono nell’intento e, come la strega aveva promesso, man mano che crescevano ,i Nove fratellini si trasformarono in uccelli e volarono via,  lontano…
E adesso eccomi qua. Sono  ritornato.  Ho con me  un po’ di risparmi e voglio costruire la TORRE qui affinché l’incantesimo di Ciribanda si interrompa ed io, insieme ai miei fratelli,  possa ritornare a  scorazzare nei campi ed in riva al mare. Sono tornato per rivivere  ancora  il Natale come ai vecchi tempi.  Per ascoltare  il suono  della banda quando passa per le  strade. Per vedere la “focara” ardere nella piazza come si faceva allora e per pregare con te e con tutti i bimbi di Noha affinché le streghe non tornino più a turbare i nostri sogni.
A questo punto, forse a causa della forte emozione, una lacrima sbucò dagli occhi di Cici e, scivolando sulle fragili piume,  ne ravvivò lo splendore dei colori  coperto dallo smog e dalla polvere dei suoi lunghi viaggi.
Chiara, meravigliata per quella lacrima, prontamente gli chiese il motivo di quel pianto e Cici  rispose:
“Mia piccola, credo di non avere abbastanza denaro per soddisfare il mio desiderio e per questo resterò prigioniero dell’incantesimo di Ciribanda e non potrò mai più vivere la mia vita da bambino”.
La bimba era confusa, smarrita, la storia di Cici l’aveva rattristata molto, non sapeva più cosa fare.  Per un attimo chiuse e riaprì  gli occhi come se volesse svegliarsi da un brutto sogno. Ma poi, all’improvviso, le  balenò un idea fantastica e, con la sua soave vocina,  rispose così al triste uccellino:
Non preoccuparti Cici,  nel mio “cifuddrhi” ho messo da parte alcuni risparmi con cui volevo farmi  comprare un gioco nuovo per questo Natale ed è con immensa gioia che  sono lieta di donarteli”.
La spontaneità del generoso gesto di Chiara provocò una esplosione di luce tutto intorno e,  magicamente, l’incantesimo finì.  Cici ritornò ad essere il bambino della sua infanzia ed insieme a Chiara costruirono la terza  TORRE di Noha  in cui  vissero felici per sempre.
Da allora la gente  diede un altro nome a Noha: NOVE. Posero il simbolo delle TRE TORRI davanti alle loro case  e  nelle notti luminose nel cielo di Noha  i bimbi dall’animo generoso  possono osservare Nove stelline che fanno il girotondo intorno alla luna.

 

 
Di Albino Campa (del 26/12/2006 @ 21:48:51, in Racconti, linkato 3714 volte)

"Eccovi la terza ed ultima parte della saga del tabacchino di Noha. Con questo pezzo chiudiamo l'anno 2006, che ha visto il nostro sito arricchirsi giorno dopo giorno di storie, racconti, favole, immagini, ed, in parallelo, anche di visite di amici internauti. Vorremmo dire a tutti che siamo appena all'inizio. Il 2007 si aprirà con novità straordinarie. Cliccare per credere! Auguri ai Nohani vicini e lontani, ed a tutti quelli che, in un modo o nell'altro, sono legati a Noha da un sentimento o da un ricordo"

IL TABACCHINO DI NOHA

(terza ed ultima parte)

di

Antonio Mellone

Scorrono i decenni ed il tabacchino di Noha passerà in eredità a Corrado, figlio di Cici che nel frattempo (la moglie Tetta lo seguirà dopo qualche anno) passa a miglior vita.
Bisogna sapere che Corrado era un qualificato tecnico di un’importante multinazionale attiva nel settore della tecnologia per l’energia.
Poliglotta, Corrado era richiestissimo in tutto il mondo per le sue competenze e la sua disponibilità. 
In uno dei suoi giri di lavoro intorno al mondo incontra la donna della sua vita: si innamora e sposa la gentile signora Cristina, oriunda di San Paolo del Brasile. Cristina, per amore, lascia la sua terra e si trasferisce a Noha, dove condurrà con successo il tabacchino che era appartenuto per oltre trenta anni ai suoceri.
Con la gestione della signora Cristina il tabacchino di Noha cresce ancora e prospera: da semplice azienda di commercio al dettaglio, il tabacchino di Noha diviene una vera e propria moderna impresa di servizi: il tabacchino diventa ben presto l’attività commerciale di Noha con più clienti in assoluto, con un target di clientela variegato che va dal bambino che vuole la chewing-gum alla casalinga che necessita del sale da cucina, dal sofisticato giocatore del lotto (o Superenalotto o Gratta e Vinci, e via di seguito) all’incallito fumatore, dal lettore di quotidiani al cultore di riviste e periodici specialistici, da chi  vuole pagare il bollo dell’auto a chi vuole ricaricare la scheda telefonica.
Anche chi vuole acquistare prodotti oltre l’orario di chiusura può farlo tramite il comodo e funzionale distributore automatico self-service.
 
Poi, il caro Corrado, dopo lunga malattia, nel pomeriggio di una fredda giornata del febbraio 2005, partì per il suo ultimo viaggio. E la responsabilità dell’azienda passerà a Giuliana, che già da tempo coadiuvava i genitori nell’impresa di famiglia… 
Oggi il tabacchino di Noha è gestito da Giuliana e dal suo ragazzo, anzi suo marito dallo scorso mese di luglio, Arndt Paschke, di origini tedesche, come si può intuire dal nome, conosciuto nell’Europa del Nord nel corso di studi universitari.
Anche Arndt, per amore (e quando si fanno le cose per amore non si sbaglia mai!), come un tempo fece Cristina, si trasferisce a Noha, non disdegnando neppure il clima, la cucina, il mare e la magica atmosfera del nostro Salento.  
I due ragazzi degnamente, con molta dedizione, conducono la complessa impresa del tabacchino odierno, e sembra proprio che ci sappiano fare con i conti ma soprattutto con le persone, che è la cosa più importante per il successo di qualunque intrapresa. Corrado, che li veglia dal cielo, sarà certamente orgoglioso dei suoi ragazzi.

Il tabacchino si è da poco trasferito all’ombra dell’ottocentesca torre dell’orologio di Noha, nei locali che ospitarono per molti anni il bar di Ninetto, buonanima, locali oggi completamente ristrutturati con gusto ed eleganza. Su una parete ci sembra di aver scorto addirittura il cartello imposto “vietato fumare”: la legge a volte non disdegna gli ossimori…
Ecco: in queste righe abbiamo cercato di ricostruire, crediamo alla men peggio, la storia del tabacchino di Noha, ma soprattutto abbiamo visto come questo esercizio sia sempre stato punto di incontro e di scambio di culture del mondo, un meltin-pot di popoli e lingue che arricchisce, un luogo dove da tempo si parla il brasiliano, il tedesco, l’italiano, e chissà ancora quante altre lingue. Ma soprattutto, the last but not least (è proprio il caso di dirlo!) “lu dialettu de Nove”, il cui lessico prevale ancora su tutti gli altri lemmi e sintassi.

 
Di Albino Campa (del 02/03/2007 @ 12:16:29, in Racconti, linkato 3939 volte)
"Ecco il racconto della Genesi di Noha, che secondo la "Cosmogonia" di Marcello D'Acquarica sarebbe nata dalle 'gocce di sudore di Dio', 'gocce di vita', allorchè, crea, proprio nel cuore del Salento, un giardino rigoglioso, degno dell'Eden: Noha, il paese bello anche quando fa brutto tempo."

Genesi
Dal primo racconto della Creazione.

In principio Dio creò il cielo e la terra
Così ha inizio il primo racconto della creazione del mondo riportato in “Genesi”, il primo dei cinque libri del “Pentateuco” dell’Antico Testamento.
Dopo racconta come Dio fece ogni cosa e come portò a termine la Creazione: “Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Allora Dio, nel settimo giorno…”.
Continua dicendo che nel settimo giorno Dio si riposò, ma non venne riportato che per piantare il giardino in Eden, a Oriente, si accomodò, volgendo necessariamente le spalle al barbarico nord, in quel area che oggi si identifica nel nostro mar jonio, e più esattamente, in quello che sarebbe stato successivamente il Golfo di Taranto. Cosicché alla sua destra (essendo il Signore destro così come noi umani, fatti a Sua immagine),
dove vi è ora la Calabria, durante la Creazione della Sua opera, lasciò cadere la maggior parte del Materiale che risultava in esubero. Alla Sua sinistra lasciò cadere un po’ di Materiale che riteneva potesse recuperare per eventuali lavori di aggiustamento. Così, magicamente, nacque il Salento.
Sul racconto Biblico non è stato riportato neanche quanto di seguito Vi racconterò ma che può ritenersi altrettanto attendibile (si fa per dire):
-durante la piantagione dell’Eden, forse mentre con la mano sinistra si toglieva il sudore dalla fronte, lasciò cadere sulla zona centrale di quello che sarebbe diventato il Salento, delle piccole “gocce di Vita”… sono queste le fondamenta di Noha.
Infine, casualmente, vi volse anche lo sguardo e, con Sua stessa Immensa sorpresa, si accorse di aver Creato un altrettanto eccellente e meraviglioso Paradiso Terrestre. Ed esordì così:
“ Ma cuarda bidi c’è ngraziatu! Quasi quasi mi lu tegnu de riserva”. E così fu! Lo tenne di riserva.
Noi tutti sappiamo come prosegue il racconto Biblico… Adamo ed Eva disobbedirono alla Legge e per questo vennero cacciati dall’Eden, che, rimasto incustodito, finì per diventare quello che oggi è la terra d’Oriente martoriata da tanta discordia.
Intanto nel Salento, e più esattamente in quel area che oggi possiamo identificare in Noha e dintorni, quelle piccole gocce di vita, proliferarono e si riprodussero aiutati dal Signore che, a Loro stessa protezione, concesse il Suo Arcangelo migliore: San Michele.
Per tutti i secoli a seguire, gli uomini, le donne ed i bimbi di questo posto benedetto, sottomessi e devoti al loro Santo Protettore, vissero in pace ed armonia, coltivando la terra, costruendovi case e Masserie, due Chiese ed un Castello con tre torri, e nutrendosi di quello che la generosità della natura stessa offriva.
Nel frattempo in Cielo era successo un gran “casino”: alcuni Angeli, servitori di Dio, si erano ribellati al Signore e Questi, per punizione li scacciò per sempre dal Cielo. Poveri Diavoli! Dove potevano andare? Alcuni di loro, si sa, trovarono rifugio sulla terra.
Ovviamente questi Angeli disubbidienti, per non farsi riconoscere dalla gente comune, si trasformarono in altre forme viventi del Creato: alcuni in persone cattive, altri in animali delle più variate specie.
E, come si suole dire: “quando il diavolo ci mette la coda”, uno di loro andò a finire proprio in un posto nei pressi di Noha, esattamente a due chilometri più a nord, dove praticamente, sorgerà la Galatina attuale.
Quel angelo che purtroppo ci riguarda, si camuffò in civetta, all’apparenza un rispettabilissimo uccello notturno ma di fatto, per la sua vorace ingordigia, il peggiore di quei disperati cacciati dal Cielo.
Le persone dei paesi intorno non si accorsero della sua presenza fino a quando, un bruttissimo giorno dell’anno 1811 (vd. La storia di Noha a pag.293), l’angelo disubbidiente travestito da civetta, cosi come fa il camaleonte per catturare le sue prede, si trasformò fulmineamente in Gazza Ladra (la Ciola), e come si addice all’istinto di tale uccello, fu attratta morbosamente dai gioielli dei Nohani ignari, che si ritrovarono ben presto poveri in canna e senza più né case né terre. Da allora e per sempre la rapace Civetta abusò di ogni Loro bene per il proprio insaziabile egoismo. Ai suoi seguaci, a causa della loro ingordigia, crebbero le "garze larghe"sotto cui nascondono i beni sottratti con l’inganno ai Nohani. Quello che la Civetta indiavolata non seppe mai sopprimere fu però la dignità di popolo indipendente che arde ancora forte nei cuori di tanti Nohani.

Dedica:
Affinché nella gente di Noha si risvegli l’orgoglio di “popolo” capace di gestire il proprio benessere. Così ha inizio il primo racconto della creazione del mondo riportato in “Genesi”, il primo dei cinque libri del “Pentateuco” dell’Antico Testamento.Dopo racconta come Dio fece ogni cosa e come portò a termine la Creazione: Continua dicendo che nel settimo giorno Dio si riposò, ma non venne riportato che per piantare il giardino in Eden, a Oriente, si accomodò, volgendo necessariamente le spalle al barbarico nord, in quel area che oggi si identifica nel nostro mar jonio, e più esattamente, in quello che sarebbe stato successivamente il Golfo di Taranto. Cosicché alla sua destra (essendo il Signore destro così come noi umani, fatti a Sua immagine), dove vi è ora la Calabria, durante la Creazione della Sua opera, lasciò cadere la maggior parte del Materiale che risultava in esubero. Alla Sua sinistra lasciò cadere un po’ di Materiale che riteneva potesse recuperare per eventuali lavori di aggiustamento. Così, magicamente, nacque il Salento.Sul racconto Biblico non è stato riportato neanche quanto di seguito Vi racconterò ma che può ritenersi altrettanto attendibile (si fa per dire):-durante la piantagione dell’Eden, forse mentre con la mano sinistra si toglieva il sudore dalla fronte, lasciò cadere sulla zona centrale di quello che sarebbe diventato il Salento, delle piccole “”… sono queste le fondamenta di Noha.Infine, casualmente, vi volse anche lo sguardo e, con Sua stessa Immensa sorpresa, si accorse di aver Creato un altrettanto eccellente e meraviglioso Paradiso Terrestre. Ed esordì così: E così fu! Lo tenne di riserva.Noi tutti sappiamo come prosegue il racconto Biblico… Adamo ed Eva disobbedirono alla Legge e per questo vennero cacciati dall’Eden, che, rimasto incustodito, finì per diventare quello che oggi è la terra d’Oriente martoriata da tanta discordia.Intanto nel Salento, e più esattamente in quel area che oggi possiamo identificare in Noha e dintorni, quelle piccole, proliferarono e si riprodussero aiutati dal Signore che, a Loro stessa protezione, concesse il Suo Arcangelo migliore: . Per tutti i secoli a seguire, gli uomini, le donne ed i bimbi di questo posto benedetto, sottomessi e devoti al loro Santo Protettore, vissero in pace ed armonia, coltivando la terra, costruendovi case e Masserie, due Chiese ed un Castello con tre torri, e nutrendosi di quello che la generosità della natura stessa offriva.Nel frattempo in Cielo era successo un gran “”: alcuni Angeli, servitori di Dio, si erano ribellati al Signore e Questi, per punizione li scacciò per sempre dal Cielo. Poveri Diavoli! Dove potevano andare? Alcuni di loro, si sa, trovarono rifugio sulla terra.Ovviamente questi Angeli disubbidienti, per non farsi riconoscere dalla gente comune, si trasformarono in altre forme viventi del Creato: alcuni in persone cattive, altri in animali delle più variate specie.E, come si suole dire: “”, uno di loro andò a finire proprio in un posto nei pressi di Noha, esattamente a due chilometri più a nord, dove praticamente, sorgerà la Galatina attuale.Quel angelo che purtroppo ci riguarda, si camuffò in civetta, all’apparenza un rispettabilissimo uccello notturno ma di fatto, per la sua vorace ingordigia, il peggiore di quei disperati cacciati dal Cielo.Le persone dei paesi intorno non si accorsero della sua presenza fino a quando, un bruttissimo giorno dell’anno 1811 (vd. La storia di Noha a pag.293), l’angelo disubbidiente travestito da civetta, cosi come fa il camaleonte per catturare le sue prede, si trasformò fulmineamente in Gazza Ladra (la Ciola), e come si addice all’istinto di tale uccello, fu attratta morbosamente dai gioielli dei Nohani ignari, che si ritrovarono ben presto poveri in canna e senza più né case né terre. Da allora e per sempre la rapace Civetta abusò di ogni Loro bene per il proprio insaziabile egoismo. Ai suoi seguaci, a causa della loro ingordigia, crebbero le "garze larghe"sotto cui nascondono i beni sottratti con l’inganno ai Nohani. Quello che la Civetta indiavolata non seppe mai sopprimere fu però la dignità di popolo indipendente che arde ancora forte nei cuori di tanti Nohani.Dedica:Affinché nella gente di Noha si risvegli l’orgoglio di “” capace di gestire il proprio benessere.

Marcello D’Acquarica
 

Canto notturno di un pastore ...

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