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Di Antonio Mellone (del 11/10/2013 @ 23:59:14, in NohaBlog, linkato 2584 volte)

Capito cosa i gatti di palazzo Orsini in combutta con le volpi di palazzo Carafa ti vanno ad escogitare? Il Mega-porco in contrada Cascioni, un affarone niente male.

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Già me li figuro tutti in giacca e cravatta per darsi un tono da magnager, pronti a raccontare ai numerosi Pinocchi esistenti sulla piazza la fola delle “ricadute occupazionali” e del “volano per lo sviluppo”, nonostante i rari grilli parlanti cerchino in tutti i modi di metter in guardia sui pericoli dei bidoni dietro l’angolo.

Il gatto e la volpe, che cambiano il pelo ma non il vizio, usano le solite formule, l’identico format sperimentato negli ultimi decenni: tanto gli allocchi ed i creduloni si trovano sempre e ovunque a bizzeffe, senza il bisogno di usare il cercapersone della Beghelli.

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Eccovi un esempio delle loro locuzioni idiomatiche che la moltitudine dei cori belanti si beve come fosse oro colato: “Quanta fretta ma dove corri, dove vai (a Collemeto). Se ci ascolti per un momento capirai (ma non più di tanto), lui è il gatto ed io la volpe, stiamo in società (una srl, per la precisione), di noi ti puoi fidar (altrimenti non saremmo finiti addirittura nel consiglio comunale di Galatina, nonostante, sino a prova contraria, la nostra srl valga quasi zero dal punto di vista economico, patrimoniale, finanziario e commerciale, come si evince dai bilanci depositati in Camera di Commercio almeno fino al 2011, mentre i dati del 2012, che attendiamo con trepidazione, sembrano essersi volatilizzati).

Puoi parlarci dei tuoi problemi, e dei tuoi guai (come la disoccupazione o la crisi dell’agricoltura). I migliori in questo campo (Cascioni) siamo noi. E’ una ditta specializzata (in aree commerciali, ma soprattutto in aree fritte), fai un contratto e vedrai che non ti pentirai (anzi non te ne renderai nemmeno conto).

Noi scopriamo il talento (oppure copriamo il Salento con il cemento, che fa anche rima) e non sbagliamo mai (mira), noi sapremo sfruttare le tue qualità (come dabbenaggine, ottusità, disperazione).

Dacci solo quattro monete (o 26 ettari di terreni agricoli, è uguale), e ti scriviamo al concorso per la celebrità (o la fessagginità).

Non vedi che è un vero affare (per noi), non perdere l’occasione se no poi te ne pentirai (e non potrai promettere i posti di lavoro ai tuoi elettori creduloni). Non capita tutti i giorni di avere due consulenti (e meno male), due impresari (o prenditori) che si fanno in quattro per te (poveretti, come s’offrono).

Avanti non perder tempo (con la Via, Valutazione d’Impatto Ambientale), firma qua (senza “rifiatare”). E’ un normale contratto, una formalità (cioè una cir-Convenzione d’incapace): tu ci cedi tutti i diritti (senza doveri, che restano a te) e noi faremo di te un divo da hit-parade (sì, un fenomeno: da baraccone).

Che fortuna hai avuto ad incontrare noi (davvero un culo pazzesco!)”.

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Sappiamo tutti, o quasi, come va a finire quella storia. Lì Pinocchio kafkianamente, anzi collodianamente, si trasforma in un somaro. Qui galatinesemente.

Antonio Mellone

 
Di Albino Campa (del 22/12/2010 @ 23:59:11, in Fotovoltaico, linkato 12393 volte)

Il Tar annulla le autorizzazioni del Comune per l’interramento dei cavi e blocca i lavori di un impianto fotovoltaico in contrada «Robertini Piccola» nella periferia di Galatina.
Il provvedimento del Tribunale amministrativo di Lecce è giunto nei giorni scorsi in accoglimento di una apposita istanza proposta da alcuni cittadini proprietari di terreni nell’area individuata per il progetto.
Motivo del contendere un nulla osta rilasciato dal Comune di Galatina ad Italgest Photovoltaic per l’interramento di alcuni cavi elettrici per l’impianto fotovoltaico su una strada denominata “Robertini piccola” di proprietà privata dei cittadini frontisti.
I lavori di scavo erano necessari per consentire il passaggio di un cavidotto dell’impianto fotovoltaico da 6,5 megawatt autorizzato con determinazione del dirigente del servizio energia della Regione Puglia, previa autorizzazione del Comune.

Decisamente contrari a tali lavori i cittadini che, per bloccare la realizzazione dell’impianto, avevano deciso di presentare ricorso al Tar.
Il giudice amministrativo ha ritenuto legittima la richiesta di annullamento reputando incontestabile il fatto che la strada vicinale individuata per i lavori di scavo “sia sostanzialmente utilizzata solo dai proprietari dei fondi frontisti e non assolva quindi alle esigenze più generali relativi alla circolazione stradale; esigenze che potrebbero portare a concludere per la sussistenza di un qualche diritto di uso pubblico sull’area di proprietà privata”. Per il Comune di Galatina il diritto di uso pubblico doveva essere desunto dalla richiesta di alcuni proprietari di asfaltare il tratto stradale.
Valutate le ragioni addotte dai cittadini rappresentati dall’avvocato Fabio Lazari, il presidente della prima sezione del Tribunale amministrativo, Antonio Cavallari, ha accolto il ricorso disponendo per l’annullamento del nullaosta rilasciato dal Comune e le relative autorizzazioni all’interramento dei cavi elettrici.

fonte: lagazzettadelmezzogiorno.it

 
Di Redazione (del 07/07/2019 @ 23:58:07, in Necrologi, linkato 2509 volte)

Ci sono persone che non ti par vero che non ci siano più. Una di queste è Mimino nostro, stroncato questa mattina da un malore mentre, come al solito, si recava in chiesa per la messa domenicale mattutina. 

Aveva 79 anni, una vita da operaio, calzolaio il suo mestiere prima dell’“impiego in Fiat”.

Gioviale, simpatico, battuta pronta, occhi e bocca sempre atteggiati al sorriso (non c’è niente da fare: il volto è lo specchio di quel che effettivamente uno è o ha dentro).
Gli piaceva l’agorà, la piazza degli amici, la partecipazione ai comitati delle feste, il presepe vivente di Noha nel quale ricopriva il ruolo del ciabattino, pronto con i suoi attrezzi a insegnare ai pastorelli il mestiere saggio e sobrio di risuolare, e più volte, le scarpe.

Le sere d’estate noi continueremo a vederlo sull’uscio di casa con la sua Ada a raccontarsi le cose.

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Forza Lory, tuo papà Mimino non può essere andato così lontano da lasciarti sola.
Condoglianze alla famiglia Calò, al genero e a tutti gli amici, e sono tanti, di piazza San Michele.

La redazione di Noha.it
 

 
Di Albino Campa (del 15/12/2009 @ 23:57:42, in NohaBlog, linkato 19937 volte)

Qualche giorno fa, per caso, ho scoperto un tesoro. Uno di quei link postati su Facebook da qualche amico, un click a mia volta e si è aperto un mondo: Luigi Paoli in arte Gigetto da Noha. Si tratta di un cantautore di musica popolare salentina, oggi settantaquattrenne, originario di Noha ma stabilitosi a Spongano.
La sua figura mi ha colpito particolarmente. E' un artista ibrido che unisce in sè due filoni della musica popolare salentina: il folk cittadino e il canto contadino.
Fisarmonicista, interprete di brani della tradizione, autore di nuovi testi e nuove musiche. Popolare anche fuori dal Salento, in altre regioni ma soprattutto fra gli emigrati, anche all'estero. La sua produzione ha avuto la tipica distribuzione tramite bancarella, destinata a un pubblico indistinto, non specificamente colto e questo lo sentiamo molto negli arrangiamenti folkeggianti. Ma c'è qualcosa di profondo in quest'artista che è legato a quantu vissuto in prima persona senza quel filtro "intellettuale" che oggi ci contraddistingue. Nasce contadino. Vive la campagna e l'emigrazione da contadino con la famiglia. Impara a cantare il repertorio e lo stile della campagna. Nel tempo libero impara la fisarmonica, un mondo diverso che lo avvicina al filone folk. Emigra anche all'estero, poi rientra. Lavora come cantautore in contatto con dei discografici calabresi (e si sente da alcuni dei suoi testi a da alcuni aspetti stilistici delle sue tarantelle).
Insomma vive tante esperienze diverse che formano e influenzano il suo modo di suonare e cantare per cui la sua produzione è abbastanza varia e variegata. Può piacere tutta o in parte, o può non piacere per nulla..ma merita qualche attenzione.
Personalmente mi entusiasma il suo modo di cantare "contadino", la disinvoltura, oggi rarissima, con cui ricorre al quardo grado aumentato del modo lidio, la sapienza tecnica e il modo di dosare gli abbellimenti come i glissando, i melismi, le esclamazioni, le urla, la sua capacità (un tempo diffusissima e ancora una volta oggi rarissima) di ricorrere agli slittamenti ritmici nel cantare la pizzica (off beat), il timbro vocale assolutamente contadino e il ricorso talvolta a note non temperate.
Insomma, per queste doti, Luigi Paoli entra a pieno titolo fra gli alberi del canto salentini, al pari di tanti cantori che non hanno fatto la "carriera" di cantautori ma con i quali condivide la freschezza del suo stile di canto.

C'è anche un'altro aspetto che ai miei occhi lo rende speciale. Diversamente da quello che la maggiorparte della riproposta contemporanea ha fatto e continua a fare, Luigi Paoli ha fanno innovazione nel patrimonio popolare inventando testi nuovi su arie popolari esistenti..cosa che sembra fosse un tempo il modo naturale di far evolvere la musica tradizionale. Oggi si tende invece a cristallizzare dei testi, cantarli sempre nello stesso modo o reinventare la musica, anche allontanandosi dai moduli della tradizione. Anche per questo Gigetto merita di essere ascoltato, in quanto rappresenta una interessante strada alternativa.

Di tutte le informazioni che in pochi giorni sono riuscito a raccogliere su Luigi Paoli, e degli ascolti che ho potuto fare sulla fantastica piattaforma che è Youtube, devo assolutamente ringraziare Alfredo Romano, salentino che vive nel Lazio e che ha pubblicato vari libri legati alle tradizioni del Salento. Grazie al suo canale su YouTube  è possibile ascoltare quasi tutta la vasta produzione discografica di Gigetto da Noha (e se si ha la curiosità di esplorare, si possono ascoltare interessanti registrazioni sul campo dell'area di Collemeto da cui Alfredo Romano proviene). Da questa vasta produzione, vorrei estrarre solo pochi esempi che testimoniano la bravura di Luigi Paoli (sulla base degli elementi che ho elencato sopra). C'è da ascoltare per ore se se ne ha voglia!

Tarantella dellu nsartu (bellissima e da questa si possono ascoltare tante altre pizziche)
http://www.youtube.com/watch?v=p0VBWrj0NWA

Lu pipirussu maru
http://www.youtube.com/watch?v=Ph4x7IaKZvU

Lu trainieri (canto di trainiere)
http://www.youtube.com/watch?v=Sm64_fWrrng

Stornelli
http://www.youtube.com/watch?v=CZwjTP67eZc

Sempre grazie alla gentilezza di Alfredo Romano, è stato possibile reperire e ripubblicare quest'articolo, pubblicato originariamente su "Il Corriere Nuovo di Galatina" nel 1983, in cui lo stesso Alfredo parla del suo incontro/intervista a Luigi Paoli avvenuto in quel periodo. Buona lettura.

march

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Civita Castellana, 17-8-1983

Caro Carlo[1],
ti spedisco un lavoro su Luigi Paoli, un cantastorie, nativo di Noha, che ascoltavo da tempo e che quest'estate ho avuto la fortuna di conoscere personalmente mentr'era attento a vendere musicassette dietro una bancarella al mercato di Galatina. Poi ho voluto conoscerlo meglio, sono stato a casa sua e non potevo aspettarmi altro che quel personaggio che traspare dalle sue canzoni, e cioè un contadino che ha saputo tirar fuori tanta arte dalla sua faticosa esperienza di vita.
E' una voce popolare autentica che non ha niente a che fare con altre voci del Salento che pur hanno un giro commerciale.
Il titolo del lavoro è tratto da una sua canzone «Lu furese ‘nnamuratu», un omaggio a questo menestrello che ha trascorso la vita cantando l'amore.
Mi preme soprattutto porre Luigi Paoli all'attenzione di un certo tipo di intellettuali, di borghesi, di giovani anche, in ogni caso gente estranea al mondo contadino, che snobbano un certo tipo di canzone popolare, considerandola minore se non addirittura volgare. Io so che la gente va ancora matta per certi ritmi o testi che, pur nella loro semplicità, si fanno interpreti di un gusto, un mondo che va scomparendo.
A mio giudizio c'è dell'arte in Paoli se l'arte, oltre ad essere prima di tutto un fatto estetico è però anche rappresentativo. Mi pregio di aver scoperto Paoli o meglio Gigetto, come si fa chiamare. Ne ho approfittato, tra l'altro, per dire la mia su alcuni aspetti poco noti ma interessanti della canzone popolare salentina.
Alfredo Romano

[1] Carlo Caggia, direttore del Corriere Nuovo di Galatina.

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GIGETTO DI NOHA OVVERO LUIGI PAOLI
L’ULTIMO “FURESE ‘NNAMURATU” DEL SALENTO

"Durante la guerra mio padre suonava il flauto per gli Americani a Brindisi, ed io l'accompagnavo con la mia bianca voce di bambino, per campare. Tempi tristi!".
Comincia così il racconto di Luigi Paoli, un cantastorie, un menestrello, un musicista popolare nato a Noha 48 anni fa e residente a Spongano in una bianca e comoda casa di periferia, con immancabile terrazza e orto giardino, e la cantina, dove le botti suonano di pieno e versano a me, fortunato visitatore, un negramaro robusto, profumato.
Non è facile orientarsi nel mercato minore della canzonetta popolare ora che molti improvvisatori sprovveduti si sono lanciati in questo folk alla moda che non ha niente di peculiare e scimmiotta anzi un certo liscio romagnolo omogeneizzato che imperversa nelle sale e sulle piazze di tutt'Italia.
Basta un po' di gusto però per capire che Luigi Paoli, da trent'anni, nel solco di una tradizione propriamente salentina, elabora testi po¬polari, li arrangia, ne inventa di nuovi per un pubblico non solo salentino, meridionale in genere, emigranti soprattutto (in Australia perfino, in Canada) che curano l'amara nostalgia al ritmo di suoni e canti che ricreano l'atmosfera della terra natia. II suo racconto si dipana lentamente in un gesticolare ampio. La voce, il corpo, assumono una dimensione teatrale, un viso pienotto, da scatinatore, occhi neri e luminosi, a sottolineare un sorriso perenne, contagioso.
Il più piccolo di cinque fratelli maschi, orfano di madre a quattro anni, a otto guardava le capre presso un guardiano di Noha. Un giorno, per via che, assetato, aveva impunemente bevuto in un secchio d'acqua tirata dal pozzo destinata alle capre (pare che le capre si rifiutino di bere dove ha già bevuto un altro, n.d.r.), venne appeso al ramo d'un albero a testa in giù, e, come una bestia, bastonato di santa ragione. Quest'episodio acuirà la sua sensibilità di fanciullo, rivelatore di una futura carica umana che Paoli, da grande, saprà trasfondere nella sua musica.
Di quei tempi funzionava a Noha una, chiamiamola così, palestra di vino e canti che era la puteca te lu nunnu Totu te lu Vergari che Gigetto frequentava in compagnia del padre. Qui rallegravano le serate certo Girbertu e certo Marinu Ricchitisu di Aradeo con quel popolarissimo strumento che è la fisarmonica. È qui che Gigetto affina la voce e il suo orecchio musicale; ma la fisarmonica è ancora un mito per lui e ci vorranno degli anni per farsi regalare solo una “Scandalli 24 bassi”.
Arriva poi la prima grande migrazione di salentini, dopo la guerra, nelle campagne di Bernalda, Pisticci, Scansano Ionico, Ginosa Marina, ecc., per dare inizio a estese coltivazioni di tabacco. Questo tabacco, per necessità o malasorte, i salentini ce l'hanno nel sangue e, più della vendemmia o della raccolta delle ulive, rappresenta una forma di maledizione divina che ti perseguita fin da ragazzo. Nasce così, da questa fatica centenaria, tutta una cultura del tabacco fatta di canti, stornelli, motti, proverbi che in molti casi rispecchiano le amare condizioni di vita esistenti allora nelle campagne. In quei grandi capannoni, soffocati dall'afa estiva, mentre s'infilzava tabacco: "Gigettu, 'ttacca, ca nui ne menamu te contracantu", continua Paoli nel suo narrare.
Amore miu sta sona matutinu
àzzate beddha àzzate beddha
ca lu tabaccu imu scire cujimu
cinquanta are te tabaccu tenimu chiantatu
se bruscia tuttu e lu perdimu.
Ulìa cu te ncarizzu beddha mia
e nu te pozzu mancu tuccare
chine te crassu tegnu le ma ne.

Non c'erano donne in casa e Gigetto s'adattava a lavare, cucinare, fare il pane, la pasta per il padre e i fratelli più grandi. A sera poi, finito il lavoro, inforcava una bicicletta senza freni e senza luce fino a Bernalda, 9 Km., a lezione di musica dal maestro Troiani. Cento lire gli costava, quanto un giorno di lavoro.
I progressi di Gigetto convincono i due fratelli maggiori, emigrati in Inghilterra nel frattempo, a spedirgli il denaro per l'acquisto di una fisarmonica vera, una Paolo Soprani 120 bassi. "E cci me parava, caru miu, cu ‘nna 120 bassi… te nanzi 'Ile signurine, quandu trasìa intra le case: ssèttate ssèttate, li primi valzer, la raspa, un po’ a orecchio, un po' a musi ca...". Nasce anche la prima composizione, naturalmente per la sua Noha, sulla misteriosa Villa Carlucci che, da bambini, si raccontava essere il regno del diavolo, di strani folletti.
Un giorno, sedicenne ormai, mentre era attento in uno stretto sgabuzzino a provare un esercizio sulla fisarmonica, ecco dalla sponda di un'Apetta, scendere Cecilia con madre e sorelle venute anche loro a far tabacco dalla lontana Spongano. "In quelle masserie sperdute dove non appariva donna viva, malati di solitudine, dove contavi le ore del sole nel suo levarsi e sparire, Cecilia, col suo bel visino e il petto già pronunciato, fu un colpo di fulmine".
L'inverno, poi, Cecilia ritornava a Spongano e Gigetto, con la solita bicicletta, percorreva 180 Km, allora di strada bianca, per stare qualche ora con la sua bella. Questa bella sarà l'ispiratrice di tante sue canzoni, questa bella, di cui oggi è ancora perdutamente inna¬morato, che gli ha dato sei figli, che lo segue per i mercati del Salento e che sa dividere con lui l'arte d'arrangiarsi dietro una bancarella.
Poi la fuga, allora d'uso, per sposare Cecilia e, qualche mese dopo, in Costarica a piantare banane e canna da zucchero. Paoli ha steso un velo qui nel suo racconto, dice che sarebbe troppo lungo. A me, che vorrei saperne di più, piace l'idea di vedervi celato un qualche mistero.
Si ritorna in Italia, ma non si campa e, questa volta da solo, con la usuale valigia di cartone, in Germania a fare il manovale chimico. "Non stavo male in fabbrica, ma ogni sera era un tormento e le foto di Cecilia e dei miei bambini in capo al letto mi ammalavano di nostalgia. Così non potei resistere a lungo".
Definitivamente a casa, ma con qualche idea. In fondo ha una bella voce e suona bene la fisarmonica. Si presenta per un provino a Locri in Calabria. È il 1962, Paoli incide i primi dischi: Tuppi tuppi la porticella, La tarantola salata e numerosi balli strumentali che lui sa arrangiare con un'arte che gli deriva, più che dallo studio, da una cultura musicale essenzialmente popolare. Andatevi ad ascoltare queste prime incisioni: hanno un fascino di registrazione sul campo, c'è addirittura un saltarello con ciaramella, uno strumento montanaro col quale Paoli aveva familiarizzato nel soggiorno in Lucania.
In quegli anni poi andavano in voga storie popolari strappalacrime, tratte da tragedie vere o presunte e significative sono nella sua produzione due storie, l'una, II cieco del Belgio, narra di un emigrante che perde la vista nel crollo di una miniera e al suo ritorno a casa, la moglie, interessata solo alla sua pensione, non gli risparmia le corna; la seconda, s’intitola La matrigna cattiva, in quattro parti, dove si narra dì una bambina orfana buttata in pasto a una matrigna che tenta di avvelenarla e sarà punita per questo con cinque anni di carcere. Ambedue le storie Paoli le fa cantare all'allora piccola primogenita Cerimanna. Sono storie che oggi fanno un po' ridere, ma guardatele con gli occhi del tempo e non meravigliatevi se le mamme di mezza Italia hanno pianto ad ascoltare quelle storie. Fu tale il successo, che i falsari di Napoli lanciarono sul mercato migliaia di copie e per Paoli andarono in fumo alcune speranze di guadagno.
Sessantotto, rivoluzione nei valori, nei costumi, si scopre il popolare, si scoprono la lingua, gli usi, i costumi di una civiltà contadina che sta scomparendo. Le case discografiche si danno da fare a scovare questi anonimi canzonettisti popolari degni di un pubblico più vasto. A Paoli s'interessa la Fonola di Milano. Inizia così una vasta produzione musicale che ancora oggi continua. Dodici musicassette in attivo, qualche altra in cantiere, che hanno sorvolato gli oceani, è il caso di dirlo, senza quella pubblicità di cui si servono "i grandi", ma in virtù della parola che si trasmette, un tam-tam, quasi una tradizione orale che ancora resiste.
Diamo uno sguardo a questa produzione. Innanzitutto canzoni e balli strumentali attinti alla tradizione che Paoli arrangia in modo originale con delle varianti sia nel testo che nella musica degne di essere popolarmente connotate. Cosa significhi "popolare" nella canzone è presto detto. Semplicemente Paoli dice: "E’ quandu ‘na canzone la ponnu cantare cinquanta cristiani tutti assieme, trenta femmame ca sta tàjanu l'ua: una cu ttacca e ll'addhe cu tràsanu a cuncertu".
Abbiamo così la pizzica in più versioni col predominante ritmo del tamburello, e Santu Lazzaru, questo canto cristiano che i Grecanici ci portavano 'rretu le porte te casa nel cuore della notte durante la Settimana Santa.
Canzoni d'amore tante, un amore represso che acquista nel canto un moto liberatorio. Lu furese 'nnamuratu, forse la canzone più bella, dove accanto a una visione del lavoro come dura fatica, Paoli prorompe in:
Comu l’àggiu stringere e baciare
Te lu musicchiu sou sangu ha bessire.
(Come la devo stringere e baciare / dal suo muso sangue deve uscire).

La Carmina, dove il bi sogno d'amare è accorato, disperato quasi:
Mamma iu moru
e la Carmina nu’ lla provu
Beddha mia fatte sciardinu
fatte menta e petrusinu...

(Mamma io muoio / e Carmina non l’assaggio / Bella mia fatti giardino / fatti menta e prezzemolo).
E canti e strofe carnascialesche, condite di allusioni piccanti, volgari quasi, ma di una volgarità allegra, simpatica:
Nc'è lu zitu cu la zita
allu pizzu ti la banca
la manu camina te sotta
lu canale dell'acquedotta.

(C’è il fidanzato con la fidanzata / allo spigolo del tavolo / la mano scivola sotto / il tubo dell’acquedotto).

Allusioni che non risparmiano un certo tipo di prete alla Papa Cajazzu al quale non piace chiaramente confessare le vecchiette, bensì le zitelle. In verità molte canzoni, come proverbi e culacchi, rivelano un certo anticlericalismo, anche se molo bonario, diffuso nella nostra gente. E poi canti e stornelli che hanno il ritmo di un lavoro e ti pare di vendemmiare o d’infilzare tabacco in qualche capannone. Non mancano le canzoni tristi per gli emigranti, per quelli che stanno a soldato, per il carcerato che fatalmente al ritmo di una tarantella grida:
Menatine ‘sti corpi chianu chianu
ca suntu testinati pe' mmurire…

(Buttate i nostri corpi piano piano / ché sono destinati a morire).

Naturalmente non tutto è eccelso. Accanto a testi di un certo valore artistico, si alternano altri in cui Paoli piega a seduzioni commerciali. E' laddove, per conquistarsi evidentemente un pubblico più largo, tenta delle melodie in un italiano a lui non confacente. Diciamo subito che a Paoli è più congeniale il testo salentino dove è capace di sfumature e modulazioni possibili solo a una voce popolare tradizio¬nalmente educata come la sua. Ascoltatelo nella canzone Lu trainieri, per es., dove la voce, bellissima, affronta tra l'altro toni decisamente alti. Il tono alto è in verità una caratteristica del canto salentino, cosi come il controcanto, che Paoli sfrutta in tutte le sue canzoni ponendolo una terza sopra, mai sotto la melodia stabilita. Come nella tradizione. L'effetto è tale che è come ascoltare l'eco di una persona che canta a distanza portandosi ad arco la mano sulla bocca. Alle origini di questa forma c'è, evidentemente, la necessità del "lavorar cantando" tra contadini distanti fra loro.
Un discorso a parte merita la fisarmonica, la protagonista di tutti gli arrangiamenti di Paoli. Nelle sue mani diventa magica e ci sono tanti e tali di quegli abbellimenti, non trascrivibili in partitura, che userei chiamarla barocca, in sintonia con una Terra che barocca lo è perfino in cucina e non solo nell’architettura delle chiese e delle case.
C'è una cosa che colpisce nella musica di Paoli, ed è un certo influsso orientale avvertibile in canzoni come la sopracitata Lu trainieri e La vecchiaia è 'na carogna. Qui sia la voce che la fisarmonica assumono un andamento cromatico, orientaleggiante appunto, e la melodia, di particolare bellezza, scivola sul filo dei sogni arcani, un lamento, un pianto quasi dal profondo d'inesplorati abissi.
Ma ciò che più fa scattare l'interesse per le musiche di Paoli è qualcosa di più misterioso che non saprei definire. Propriamente ci si sente scazzicati, come morsi da una tarantola, e vien voglia di abbandonarsi a una danza frenetica, liberatoria.
Quale ragno nascosto nei meandri di grigie pietre assolate, Paoli ci attende al varco esercitando su di noi una qualche magia. Non sarà vero, rna ci piace pensarlo.

Alfredo Romano

Da Il Corriere Nuovo di Galatina, n. 7 del 30 settembre 1983

fonte www.pizzicata.it

 
Di Albino Campa (del 13/01/2012 @ 23:52:47, in NohaBlog, linkato 2601 volte)

Durante il viaggio di ritorno a Torino, nel tratto della costa brindisina, abbiamo assistito a dei fenomeni naturali che ci hanno praticamente onorati del loro spettacolo togliendoci così ogni dubbio, se mai ne avessimo avuti, della meraviglia che è il nostro Salento.

Sullo sfondo della centrale di Cerano, come a indicarne la criminosa presenza, sovrastava un enorme e straordinario arcobaleno. Mai visto uno così grande. A base larga, come la lama di un gladio romano, fendeva il cielo stracolmo di cirri e di inquieti cumuli multicolore.

Alla nostra sinistra, a ovest, la luce del tramonto ormai prossimo ma ancora luminoso, contrastava con lo spettacolo pirotecnico che nel mentre ci sbalordiva a est. Lo scenario impetuoso era animato ulteriormente da vere e proprie sfilate di  decine e decine di stormi neri, migliaia di uccelli, credo fossero tordi. Tutti insieme come se fossero impegnati in un saggio di danza,  volteggiando leggeri fra le nuvole disegnavano eliche e strascichi di veli fluttuanti al vento.

Sullo sfondo davanti a noi, in direzione di marcia, e cioè verso nord, sembrava attenderci, come a volerci diffidare dalla nostra “fuga”, la bocca nera della geenna.

Esordì Chiara: "…mamma mia! Ma dove stiamo andando?  ...All'inferno?".
Guardavamo sbigottiti quel cielo lugubre e compatto, senza alcun spiraglio di luce. Non lasciava dubbi: stavamo lasciando il paradiso.

La pioggia tempestosa cancellò definitivamente ogni traccia dello scenario bagnando tutto, compresi i nostri cuori.

Angela, Chiara e Marcello D’Acquarica
Domenica, 8 Gennaio, ore 16,00
 
Di Redazione (del 05/05/2015 @ 23:49:58, in Comunicato Stampa, linkato 2269 volte)

La Libreria Fiordilibro promuove ed organizza con il patrocinio del Comune di Galatina e della Comunità Francescana giovedì 7 maggio alle ore 19,30 presso la Sala Francescana di Cultura adiacente alla Basilica di S. Caterina , l’incontro con Rossella Barletta e la sua ultima pubblicazione “Maria d’Enghien, Donna del Medioevo” Grifo Editore .

“Maria d’Enghien, Donna del Medioevo si configura come un saggio/racconto e ci permette di conoscere un po’ più da vicino laContessa, Principessa,  Guerriera , Regina,  Mecenate,  Amministratrice nonché sposa e madre Maria D’Enghien, committente insieme al marito Raimondello Del Balzo Orsini, della Basilica di Santa Caterina d’Alessandria ed in particolare degli affreschi nel cui  ciclo mariologico  è possibile riconoscere un suo ritratto.

Scrive l’autrice “mi sono avvalsa di piccole curiosità, leggende e aneddoti ….. senza tralasciare la rievocazione doverosa della storia, delle guerre, dei matrimoni combinati, delle alleanze, delle faide interne, dei rapporti con la Chiesa e così via, che costituiscono lo sfondo su cui agì la contessa. Né ho avuto timore, pur essendomi documentata su un numero considerevole di libri, di far ricorso alla fantasia, per completare il panorama. In questo modo mi piace pensare che riesca a toccare l’immaginazione e l’intelligenza del lettore, il quale sarà indotto a considerare il feudo amministrato dalla d’ Enghien per nulla periferico o di minore importanza nello sconfinato regno di Napoli, ma vivace e dinamico dal punto di vista politico, sociale e culturale.”

All’incontro interverranno Fra’ Rocco Cagnazzo Parroco della Basilica di S. Caterina d’Alessandria, Daniela Vantaggiato Ass. re alla Cultura, dialogherà con l’autrice Vincenza Fortuzzi Docente e Storica, modererà  Antonio Liguori della Gazzetta del Mezzogiorno. Nel corso della serata i Laus Nova : Francesco Napolitano liuto e voce Roberto Belcuore percussioni, ci farà rivivere l’atmosfera delle corti medievali.

 
Note

Rossella Barletta ricerca e studia da più di quarant’anni, il patrimonio storico, folklorico, antropologico, artigianale, gastronomico del Salento. Ha all’attivo numerosissime pubblicazioni, negli ultimi anni la sua attenzione si è rivolta al recupero del lessico dialettale e gergale.

Vincenza Fortuzzi docente ,da sempre impegnata nella valorizzazione del patrimonio e della storia locale.

I Laus Nova nascono nel 2012 da un idea di Francesco Napolitano ( voce e liuto) .Il progetto propone le sonorità della musica medievale del XIII con particolare attenzione al repertorio francescano delle laudi. Pur riproposti con strumenti moderni i brani sono eseguiti nel rispetto dell’accordatura e dell’intonazione dell’epoca così come desumibile da ricerche dell’ambito della musicologia e della liuteria.

 
Stabilito che si è deliberato un PEC di dubbio valore oggettivo, vista l’alta percentuale di territorio (la maggior parte del famigerato 4,7%) da destinarsi ad impianti per l’energia pulita concentrata a ridosso dell’abitato di Noha (Delibera C.C.n.92 del 13.11.2007); noi del Comitato “I Dialoghi di Noha”, supportati da oltre 350 cittadini che hanno sottoscritto le nostre motivazioni in soli due momenti di incontri collettivi,  continuiamo a credere che lo scempio previsto ed in parte già generato, non favorisca l'agricoltura, tantomeno quella biologica dei prodotti tradizionali, ma assesta il definitivo colpo di grazia al territorio con la promozione di mega impianti di fotovoltaico su enormi aree agricole, che nulla hanno a che vedere con il concetto stesso di agricoltura e di energia pulita. Obiettivo, quello dell’energia pulita, che riteniamo invece auspicabile è quello dei piccoli impianti domestici di pannelli fotovoltaici ubicati sui tetti degli edifici, sui parcheggi e su tutte le aree già compromesse dall’opera dell’uomo. Sarebbero impianti dal bassissimo impatto, utili alla salvaguardia  della terra e non alla sua distruzione come invece sta avvenendo nella campagna di Noha ed ovunque nel nostro Salento.
Noi del Comitato “I Dialoghi di Noha”  non ci rassegniamo a perdere in maniera  irreversibile il valore di un territorio che per millenni ha dato vita, benessere e felicità a tutti, attraverso l’agricoltura, l’allevamento e la raccolta dei prodotti selvatici. Non ci rassegniamo alla distruzione del paesaggio quale libro aperto della nostra memoria. Dopo che intere generazioni hanno sofferto l’emigrazione in cerca di lavoro, proprio quando il nostro Salento sembra finalmente in grado di conquistarsi un posto nella graduatoria del “bel paese” e vivere di una ricchezza unica al mondo quale quella del suo territorio, la mala gestione della contorta burocrazia amministrativa porta al fallimento totale l’insperato sogno. Il sogno di un territorio indenne da qualsiasi tipo di inquinamento e latore di benessere economico per noi e per le future generazioni.
Ci appelliamo alle Autorità competenti affinché rivedano al meglio piani e relativi controlli dei progetti in oggetto.
Insomma noi, cittadini di Noha, che non abbiamo mai scelto di essere accerchiati dai quasi 150 ettari di pannelli di silicio che si stanno impiantando a pochi passi dall’abitato, non vorremmo ritrovarci con il subire oltre al danno anche la beffa e cioè quella di scoprire a cose fatte, che non sia stato effettuato il controllo del rispetto delle  norme di sicurezza prescritte nelle Autorizzazioni Uniche pubblicate sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia: n. 90 del 20-05-2010 di SunRay S.r.l. e n. 23-09-2010 diFotowatio S.r.l..
Fra le condizioni poste sui Bollettini indicati, è spesso presente il diniego dell’uso del cemento (vedi per es. al punto 15 di pag. 14665 del B. U. n. 90), cosa che contrasta fortemente con la probabile costruzione di una mega centrale elettrica su piattaforma in cemento armato volturata dalle due società suddette con determina n. 81 del 29-04 2010 di FW e n. 148 del 23-09-2010 di SR in favore di TERNA-Rete Elettrica Nazionale S.p.A.
Sono tante le potenziali incongruenze da verificarsi in corso d’opera, come per esempio: i possibili ritrovamenti archeologici; la corrispondenza ai dettami che riguardano il divieto dell’uso di prodotti chimici; l’autorizzazione allo scavo di pozzi per l’utilizzazione delle acque sotterranee; il controllo delle piantumazioni perimetrali; le distanze dal ciglio strada e dalle abitazioni; la recinzione, che deve essere realizzata lasciando ogni 10 metri varchi delle dimensioni di 40X40 cm, o in alternativa la rete deve essere posta ad un’altezza di 30 cm dal suolo, al fine di consentire il passaggio di animali selvatici; la costruzione delle piste all’interno dell’area, che invece sembrano essere state fatte in modo definitivo;  i termini di inizio, completamento e collaudi; le eventuali depressioni morfologiche soggette a fenomeni alluvionali; gli scavi dei cavidotti di attraversamento delle S.P. 41 e 47; l’autorizzazione per gli eventuali tagli di piante di origine naturale e non, e la salvaguardia dei muretti a secco presenti sul confine delle aree delle società interessate.
In riferimento all’articolo 9 del Bollettino n. 90,  che dice:
il controllo e le verifiche sono demandate al Comune, la Regione Puglia Servizio Energia, Reti e Infrastrutture materiali per lo sviluppo si riserva ogni successivo ulteriore accertamento…, chiediamo che siano monitorate, mediante l’Ufficio Tecnico e la vigilanza edilizia, le attività degli impianti relativi alle Autorizzazioni Uniche rilasciate alle Società SunRay Italy S.r.l. ed alla Società Fotowatio Italia Galatina S.r.l.. 

Marcello D’Acquarica

 
Di Albino Campa (del 14/09/2007 @ 23:47:09, in NohaBlog, linkato 4985 volte)
"Questo - Scritto in memoria di Zeffirino Rizzelli - di Antonio Mellone è il testo integrale dell'articolo del quale su "il Galatino" del 14 settembre 2007 è apparso un ampio stralcio. Rendiamo omaggio anche noi del sito www.noha.it alla memoria del prof. Rizzelli che tanto amò anche Noha e la sua Storia".

Scritto in memoria di Zeffirino Rizzelli

Zeffirino RizzelliHo incontrato il prof. Zeffirino Rizzelli per l’ultima volta il 14 luglio scorso. Conobbi di persona il professore nel corso dei primi anni ’90 del novecento (di fama però lo conoscevo da sempre). E negli ultimi, diciamo, quindici anni, mi incontravo volentieri con lui e con una certa continuità. Soprattutto per consegnargli brevi manu (prima dell’avvento nella mia vita della posta elettronica) i miei articoli che (tranne uno, come dirò) il direttore pubblicava sempre integralmente sul suo il Galatino. Ci incontravamo di sabato al Convitto Colonna presso il distretto scolastico, prima che questa istituzione chiudesse definitivamente i battenti; qualche volta nella sede del giornale in largo Bianchini; negli ultimissimi anni invece più frequentemente a casa sua, in un salottino, quando non nella sua bella biblioteca, in un altro lato dell’abitazione. Era sempre gentile con me il professore, come credo lo fosse con tutti quelli con i quali aveva commercio di pensieri e parole.
Parlavamo di tutto. Ma non era uno scambio alla pari; la partita doppia non poteva essere applicata a quegli incontri: tra i due chi si arricchiva era il sottoscritto. Ero al cospetto di un gigante della scrittura (e non solo della scrittura), eppure quel titano ti metteva a tuo agio non facendoti sentire un pigmeo.
L’ultima volta, dunque, nel luglio di quest’anno andai pimpante per consegnargli, fresco di stampa e di tornio, il mio libello di “Scritti in Onore di Antonio Antonaci” per il quale il professore aveva steso un bel saggio introduttivo (saggio che mi aveva consegnato verso la fine del mese di febbraio di quest’anno 2007, allorché mi invitò anche a tenere – come tenni - una lezione sulla Storia di Noha all’Università Popolare “A. Vallone” di Galatina presso il Palazzo della Cultura: il che per me era, ancora una volta, un inaspettato onore).
Ebbene, Zeffirino Rizzelli mi ha onorato molte volte: con il pubblicarmi sul suo giornale, con lo scrivere saggi introduttivi ai miei scritti, con l’invitarmi a tenere una lezione all’Università Popolare, con il recensire sul suo giornale qualche mio libercolo. Un paio di volte mi onorò ancora invitandomi anche a “scendere in politica”; ma declinai questo invito preferendo essere a tutt’altre faccende affaccendato. Mi onorò della sua presenza allorché lo invitai presso il circolo culturale “Tre Torri” di Noha, dove tenne una magistrale lezione sulla antica e nobile famiglia “De Noha”, e quando venne a casa mia nel maggio del 2006 allorché in forma privata ed in maniera molto semplice si festeggiò, insieme ad altri, la nuova edizione del mio libro “Noha, storia arte e leggenda”, scritto a quattro mani con il p. Francesco D’Acquarica (libro del quale il professore aveva pure stilato una generosa presentazione). Insomma: il prof. Rizzelli mi onorava della sua amicizia.

*

Una volta, era il 1996, il professore si rifiutò di pubblicare un mio articolo, l’unico che venne, diciamo, “censurato” dal direttore: era un articolo che decantava le opere del Rizzelli, sindaco di Galatina. Così mi scrisse in una sua garbata lettera di spiegazioni: “… Non posso pubblicare sul mio giornale il tuo articolo. Questo non perché falsa modestia mi induce a rigorose valutazioni, ma perché siamo in campagna elettorale, tempo in cui si arriva a strumentalizzare anche ciò che strumentalizzabile non è. […]  Chi lo ha scritto è, certamente, lontano le mille miglia da sentimenti di riverenza o peggio ancora di servilismo…”.
C’era in quelle parole anche e soprattutto ritrosia ed umiltà. Chiunque altro, trovandosi nella sua stessa posizione, e non solo per mania di protagonismo, avrebbe pubblicato in grassetto o a caratteri cubitali quelle considerazioni!
Scritto in onore: quell’articolo era redatto ad  honorem.
Ho, in effetti, il pallino degli scritti in onore, che mi sembra abbiano un valore incommensurabilmente più grande degli scritti in memoria. Non è questione di consecutio temporum: è che tra una strada facile ed una difficile mi hanno insegnato a percorrere quella più difficile ed impervia (non fosse altro che per allenamento). Lo scritto in memoria è di gran lunga il più facile da redigere, ma quello che forse ha minor valore.
Si scrivano allora dieci, cento, mille “Scritti in Onore” (in onore di chi è ancora fra noi e lo meriti, s’intende), si riempiano le biblioteche e le librerie, ma non siano scritti di circostanza, o peggio ancora di celebrazioni servili.
E’ molto più difficile scrivere in onore, cercando di essere comunque liberi da “servo encomio” come pure servi “di codardo oltraggio”, che scritti in memoria.
Gli scritti in memoria li sanno fare più o meno tutti. Dopo, però.
Sicché dedicai al professore un articolo intitolato appunto: “Scritto in Onore di Zeffirino Rizzelli”. L’articolo con qualche piccola variante era proprio quello nato dieci anni prima, e rimasto per volontà del direttore pro-tempore nel cassetto. Quell’articolo attese così 10 anni al buio, ma vide finalmente la luce sul numero de il Galatino del 15 settembre 2006, il primissimo a direzione piena di Rossano Marra che stavolta non indugiò nemmeno un attimo a pubblicarlo. Quell’articolo certamente è nulla in confronto all’onore che Rizzelli mi aveva riservato in più occasioni. Era ed è quel brano - ed in fondo anche il presente, steso questa volta purtroppo in memoria - solo un tassello che dimostrasse (se mai ce ne fosse stato il bisogno) la grandezza dell’Uomo ed il lustro dato dalla persona e dall’opera di Zeffirino Rizzelli alla città di Galatina e a tutto il Salento.

*

Come dicevo, ho incontrato il prof. Zeffirino Rizzelli per l’ultima volta la mattina di sabato del 14 luglio scorso. Era a casa sua, seduto sulla sua poltrona; in ordine, sul tavolino del soggiorno, i suoi giornali, freschi di stampa, pronti per esser letti per filo e per segno.
Era consapevole della sua malattia e dell’ora alla quale andava incontro.
Io cercai di dirgli: “Ma professore, non dica così: noi tutti abbiamo ancora e sempre bisogno di Lei”. Mi rispose con uno sguardo sereno che non dimenticherò mai più. Fu un’altra lezione di dignità.
Ci salutammo, dopo un po’. Ma non mi accompagnò all’uscita come aveva sempre fatto. I dolori glielo impedivano. Mi strinse ancora una volta con vigore la mano. La sua mano; quella mano di scrittore! Sembrava mi dicesse in quel saluto: “tutto è compiuto”.
Mi voltai per vederlo un’altra volta ancora, e poi me ne andai. Il mio spirito era greve…
La notizia della sua morte, giuntami a Putignano, dove lavoro, per il tramite di un amico, la mattina del 29 agosto scorso, non mi colse di sorpresa. In un certo qual modo ero preparato. E sereno. Di quella serenità d’animo che solo il professore sapeva trasmetterti.

Antonio Mellone

 
Di Russo Piero Luigi (del 26/07/2021 @ 23:46:25, in Comunicato Stampa, linkato 991 volte)

Avevamo bisogno di un messaggio semplice, diretto e che arrivasse dritto al cuore dei Bambini. Abbiamo pensato subito a loro, ai Supereroi… e l’accostamento che ne è scaturito è stato quanto più di spontaneo e naturale si possa immaginare…

I bambini, anche da piccoli, sono in grado di distinguere il bene dal male; possiedono un innato senso di giustizia, ed è per questo che sono naturalmente attratti dai Supereroi preferendo infatti una figura che aiuta il prossimo in difficoltà, rispetto a quella che ostacola o   danneggia.   Solo   le   esperienze   e i   modelli   educativi   possono influenzare   lo sviluppo successivo del comportamento positivo o negativo verso il prossimo.

Accostando pertanto ad ogni supereroe una Donna o un Uomo che ha sacrificato la propria vita per combattere la mafia e per difendere le nostre istituzioni democratiche potrebbe far capire ai bambini che si può essere un “Supereroe” anche senza mascherina e senza mantello e soprattutto senza avere poteri particolari, ma “semplicemente” adottando comportamenti ispirati a principi di giustizia, di lealtà e di coraggio, comportamenti positivi rivolti non solo a singole persone ma anche all’intera umanità, proteggendo i più deboli e punendo i prepotenti.

I “Supereroi” sono anche e soprattutto quelle persone che ogni giorno perseguono con determinazione i loro obiettivi, che aspirano a un mondo migliore e lavorano duramente per tramutare i loro sogni in realtà.

Ognuno di noi ha, dentro di sé, un “Supereroe” capace di fare grandi cose che aspetta solo di essere messo a disposizione del mondo.

Inserirsi nel mondo del bambino, parlare il suo linguaggio e assecondare questo loro amore per i Supereroi, ma in generale la fantasia, la creatività e spensieratezza, è utile per trasmettere regole, valori, principi e stili di comportamento positivi, corretti e necessari per la vita futura. Naturalmente nessuno meglio di Paolo Borsellino, Renata Fonte, Lea Garofalo,  Antonio  Montinaro,  Carlo  Alberto  dalla  Chiesa,  Peppino  Impastato  e

 

Giovanni Falcone, raffigurati sul murale in rappresentanza di tante Donne e tanti Uomini che hanno sacrificato la vita per noi, sono depositari di detti valori.

I piccoli “Supereroi” di oggi potranno essere grandi eroi quotidiani nel futuro, facendo del bene a sé stessi e agli altri con tenacia e con il coraggio di affrontare e di superare le difficoltà; da qui “Il muro del Coraggio”, il titolo del murale a cui gli artisti Romaldo Antonaci e Carla Casolari hanno dato corpo con maestria e passione, pennellata dopo pennellata, lungo viale Ofanto a Galatina.

Il progetto è stato fortemente voluto e ideato da “Legambiente Galatina” e “TappiAmo Galatina – Virtus Basket Galatina” in collaborazione con “Centro Colore” e “Ecom servizi ambientali”.

Domenica 01 agosto p.v., alle ore 19.00, presso il murale di viale Ofanto e nel pieno rispetto della normativa anti-covid, si svolgerà una piccola cerimonia di inaugurazione.

Tutta la Cittadinanza è invitata a partecipare.

 

Legambiente Galatina - “La  Poiana”

TappiAmo Galatina - Virtus Basket Galatina

 
Di Redazione (del 29/07/2021 @ 23:44:20, in NoiAmbiente, linkato 1171 volte)

Da un paio di anni circa, sulle mura esterne dell’ex-stabilimento del Brandy Galluccio, l’antica Distilleria di Noha appartenente ancora agli eredi della famiglia che dopo alterne vicissitudini aveva acquistato il feudo dai baroni De Noha, sono stati affissi dei cartelli indicanti la proprietà privata.

Suona alquanto strano questo messaggio in cui il diritto di proprietà ha superato millenni di storia di soprusi e angherie. Un’inutile frase che manca di tatto nei confronti della dignità e dell’onestà dei cittadini che rispettano la legge. Ci è sembrato invece che voglia ricordare ai passanti l'inviolabilità di quelle mura. Abbiamo avuto la sensazione dell'ennesima sferzata al rispetto del Bene Comune, della barriera che non deve essere manco avvicinata.

Che bisogno c'era di ricordare ai cittadini di Noha e dintorni che quelle mura sono proprietà privata?

Noi crediamo che a qualcuno, forse, è venuto in mente di rimarcarne il concetto per prepararci all'ennesima prevaricazione nei confronti della nostra storia locale, in particolar modo delle tombe messapiche, e non ultimo della distilleria (esempio tipico di archeologia industriale). Ne abbiamo parlato e scritto qui e altrove, i ritrovamenti sono stati perfino immortalati in libri e gli oggetti ritrovati archiviati al Museo di Galatina.

Non è la prima volta che siti archeologici vengano presi di mira dalla speculazione edilizia, che cerca di trasformare in superflui appartamenti o in zone artigianali o in centri commerciali tutto quel che le capiti a tiro, a condizione che abbia un certo rilievo storico, sociale o paesaggistico.   

Non abbiamo pretese di alcun tipo su quelle mura, ma ci aspettiamo che la proprietà o chi ne gestisce lo stato di degrado - perché questo è - rispetti, se non il buon senso, almeno le leggi che impongono la salvaguardia delle tombe messapiche presenti al disotto di quelle mura, con i vincoli attribuiti dalla Soprintendenza e consegnati all’Amministrazione Comunale di Galatina quale garante dei Beni Archeologici. E se ne avanza pure l’anima di quell’antica fabbrica di brandy.

In questi giorni, gli addetti ai lavori incaricati alla pulizia delle strade, hanno tagliato l'erba. Purtroppo ora si vede meglio l'unica cosa che invece era più urgente rimuovere: la spazzatura di questo secol superbo e sciocco.

Il Direttivo di NoiAmbiente e Beni Culturali Odv

 
Di Michele Stursi (del 29/07/2012 @ 23:42:01, in Letture estive, linkato 3342 volte)

Oggi posso affermare che è quasi matematico: tra le pagine di un premio Nobel c’è sempre il rischio di perdere o di trovare qualcosa, di essere inseguiti oppure di inseguire, di illudersi e alla fine realizzare. Qualcosa insomma deve pur accadere, deve mettersi in moto un ingranaggio dentro o fuori di noi per poter affermare che ciò che stiamo leggendo è opera di un Nobel per la letteratura. Prima o poi nella vita arriva per tutti, lo si voglia o meno, il momento in cui si sfila dalla pila dei libri da leggere, il più delle volte da quella delle letture casuali, il romanzo, il saggio o la raccolta di poesie del nostro Nobel. Ed ecco che finalmente anche noi siamo in grado di rispondere senza riflettere più di tanto alla fantomatica e bastarda domanda “qual è il tuo libro preferito?”. “La zia Julia e lo scribacchino”, risponderò allora io immediatamente, senza dar l’impressione di non leggere un libro da decenni. E continuerò così sino a quando non mi capiterà tra le mani un altro Nobel o mancato-Nobel e allora sarò costretto a mettere Llosa nel cassetto degli autori preferiti e ad ostentare in processione lo stendardo dell’ultimo arrivato.

Per ora posso godere, ancora per un po’, dello strano retrogusto che solo una scrittura fuori dagli standard e da ogni usuale schema letterario è in grado di regalarti. “La zia Julia e lo scribacchino” non è da classifica dei “libri più venduti”, né un romanzo da leggere per passare qualche ora in compagnia: non è niente che non abbia a che fare con il semplice piacere della lettura, denudata per carità da accessori e addobbi che il marketing partorisce per far cassa. Qui il vil denaro va messo da parte, dimenticato se possibile: è questo il caso in cui si dovrebbe leggere per vivere.

Il libro non si presta quindi ad essere recensito dal sottoscritto, in quanto la mia sbilenca penna non ha la forza e tanto più la capacità di comunicare la straordinaria unicità di quest’opera. Vi basti sapere a riguardo, al di là del calibro della scrittura (da Nobel, appunto), che tra le pagine di questo libro Llosa intreccia con la maestria di un burattinaio due vite: quella di Mario e quella di Pedro Camacho.

Il primo, Mario, è un aspirante scrittore che tra una lezione e l’altra all’università si guadagna da vivere scrivendo bollettini per il servizio d’informazione di Radio Panamericana, disperatamente innamorato della zia Julia, sorella trentaduenne della zia dello stesso Mario, in cerca di marito dopo il fallimento del primo matrimonio; il secondo, Pedro Camacho, detto il Balzac creolo, lavora nella stessa radio di Mario ed è invece un popolare autore di romanzi radiofonici, un personaggio che cerca di soffocare nella sua sfrenata fantasia e nella popolarità di cui gode una vita fatta di stenti. Le due storie vengono raccontate in contemporanea, capitolo pari dopo capitolo pari: si intrecciano e si fondono in alcuni punti, si allontanano apparentemente nei capitoli dispari in cui vengono riportati gli incipit dei romanzi di Camacho (e qui il rimando è immediato a Se una notte di inverno un viaggiatore di Italo Calvino).

Potrei stare qui a parlarvi, pagine su pagine, delle mie impressioni su questo romanzo, oppure potrei commentare alcuni passi memorabili, o ancora riflettere insieme a voi sulla pazzia di Camacho o sull’influenza che l’età può avere sull’amore. Ma non farò niente di tutto ciò, mi limiterò giusto ad augurarvi un’altrettanto memorabile esperienza di lettura!

Michele Stursi
 
Di Albino Campa (del 05/09/2011 @ 23:37:19, in NohaBlog, linkato 2916 volte)

Si chiama «Salentini in libreria» la nuova rubrica a cura del direttore di Salentoinlinea.it Giuseppe Pascali, che dal prossimo 7 settembre e per ogni mercoledì proporrà una recensione dei più interessanti libri di autori locali. Romanzi, saggi, racconti e altri scritti saranno così proposti ai lettori appassionati di libri, per suggerire un sana lettura e far conoscere nuovi scrittori locali.

 La rubrica sarà inaugurata con la recensione del libro "Il Mangialibri" di Michele Stursi.

 
Di Albino Campa (del 12/03/2008 @ 23:36:13, in Eventi, linkato 4061 volte)

Dall’alto di un traìno
un giorno nella città dei cavalli

di Valeria Nicoletti

Non parte chi parte. Parte chi resta. Sembra recare con sé questo sussurro la tramontana che accarezza le case infarinate di Noha e solletica i pini e gli aranci. In realtà, è un nohano, puro fino al midollo, a ribadire questo singolare assioma. Antonio Mellone, che tornando in terra natia solo il sabato e la domenica, si riscopre sempre più legato alle strade ariose e alle piazzette assolate della sua Noha. E, per un giorno, con l’entusiasmo di chi è partito lasciando un pezzo di cuore nel suo paese, diventa guida insostituibile per le vie nohane.
Nessun treno arriva a Noha. Tappa obbligatoria è la vicina Galatina, la città “che ci ha inglobati e, soprattutto, dalla quale ci siamo fatti inglobare”, dice Antonio con tono amaro. Bastano poche centinaia di metri, infatti, e ci si lascia alle spalle la città per giungere nella piazza di Noha, frazione dal 1811. Piazza San Michele, cuore pulsante del paese, con il bar Settebello, la chiesa, la Torre dell’Orologio che, forse per un inconsapevole rispetto ai ritmi lenti di Noha, non sfoglia le ore ma si limita a dominare la piazzetta, e poi le voci, le notizie, i cappelli abbassati su volti rugosi immobili sotto il sole, e, proprio dietro l’angolo, lo studio d’arte di Paola Rizzo, pittrice e insegnante. Qui il profumo dei pasticciotti caldi, l’aroma del caffè, la sigla de “L’osservatore nohano”, gazzettino della frazione, ma soprattutto il sapore della genuinità e la sete di cose vere, sono solo l’inizio di una mattinata tutta nohana, all’insegna del suo spirito autentico, in questa che ormai, nonostante il disinteresse dell’amministrazione locale, inizia ad essere conosciuta come la “Città dei Cavalli”.
Proprio dalla bottega d’arte di Paola, infatti, redazione e fucina di idee, nacque l’idea di aggiungere sul cartello alla scritta Noha il degno sottotitolo di Città dei Cavalli, trovata che, nonostante il pieno consenso dei nohani, è andata ad ingrossare la pila di scartoffie impolverate su chissà quale scrivania.
Ma a dispetto della burocrazia la definizione ha iniziato a circolare, di voce in voce, di articolo in articolo, varcando i confini angusti della provincia. Così Noha per due volte all’anno si trasforma nell’ombelico del mondo per chi ama i cavalli. A settembre, durante i festeggiamenti della Madonna delle Grazie, e il giorno del Lunedì dell’Angelo, i prati fioriti che incorniciano il piccolo centro diventano il campo, di gioco e di battaglia, per decine e decine di eleganti destrieri, robusti cavalli da tiro e tenerissimi pony. Tutte le cavalcature dei dintorni si danno appuntamento nella frazione per celebrare una ricorrenza che, se non ancora nella storia, è entrata ormai di diritto nella tradizione pugliese. Sotto gli occhi incuriositi dei viandanti e degli stessi abitanti di Noha, cavalli di ogni razza e colore, addobbati con bardature preziose e ridondanti al limite del barocco, trottano e si sfidano nelle prove di forza, in una manifestazione dagli echi spagnoli ma dall’anima tutta salentina, dove lo spirito di competizione non riesce mai a vincere sulla voglia di stare insieme e passare una pasquetta lontana dai nevrotici imbottigliamenti e diversa dalle solite gite fuori porta.
Ma non è solo in virtù delle due tradizionali fiere che Noha merita l’epiteto di patria del cavallo. Di fronte al bar Settebello, ogni domenica, i tanti “cavallari” di Noha si danno appuntamento per un caffè e una passeggiata per le vie e i prati nohani, e, se una domenica di fronte al bar centrale, ci capita uno straniero, ti spiegano che i cavalli loro ce l’hanno nel sangue e non esitano a trascinarti sul calesse e a mostrarti una Noha che, dall’alto di un traino, appare diversa anche a chi da qui non è mai partito.
È così che, aggrappati a una mano forte e sicura e finalmente saliti sul traìno, si parte per un singolare giro, lungo le strade larghe, dove si respira un silenzio interrotto solo dagli zoccoli dei cavalli e da un continuo salutarsi, costume usuale in un paesino di circa 3.800 anime dove tutti si conoscono. Fischi e risate cadono dai balconi dove la gente è affacciata per godere del primo sole invernale e timidi cenni fanno la loro comparsa dietro le persiane. Pochi pedoni, rare biciclette, troppe macchine per un paesino dove a piedi si raggiunge il capo opposto, ma i nohani sembrano essere pigri. Pigri sì, ma, in compenso, di un’allegria contagiosissima mentre da ogni macchina si sbracciano per salutare e c’è anche chi tira il freno in mezzo alla carreggiata per scambiare quattro chiacchiere.
Fermi, all’incrocio principale, sul calesse dondolante, guardando verso la strada che porta verso Galatina, si vede già, a pochi chilometri di distanza, il profilo dell’imponente e scomoda vicina, la dirimpettaia la cui presenza ingombrante si avverte quotidianamente, a partire dalla mancanza di un comune, di un’amministrazione tutta nohana, disposti ad ascoltare più che a finanziare. Tra il comune madre e la frazione, forse per una natura conflittuale congenita ai rapporti gerarchici, infatti, non corre buon sangue.
Con Aradeo, invece, l’altra vicina, i rapporti sembrano diversi, migliori, forse perché la placidità degli aradeini, che scorrazzano in sella alle biciclette, rispecchia la mentalità nohana, una mentalità essenzialmente rurale, che ripone nella frugalità e nella semplicità il segreto di una vita serena che basta a se stessa. “Noi il turismo non lo vogliamo”, spiega Antonio, “ci piace trovare parcheggio quando torniamo a casa, ci piace la calma, l’aria pulita, le quattro chiacchiere tra di noi”. Ma questo voler preservare un clima terso e mite, pur segnato dalle piccole baruffe di paesino, non si traduce in una chiusura rigida e totale verso l’esterno ma, anzi, in una larghezza di orizzonti talmente rara da non essere sempre compresa.
Sì, perché i nohani non fanno dei loro piccoli tesori uno specchietto per allodole, esche per turisti assetati di folclore e, dalle pagine dell’Osservatore, i solerti redattori non mancano di tuonare contro chi arriva a Noha con la pretesa di trovare una cittadina turistica. Riuniti ogni sabato pomeriggio nello studio di Paola, all’ombra degli ulivi nodosi che ammiccano dai suoi quadri, Marco, Antonella e gli altri, capitanati dal direttor Mellone, seduti sui divanetti del laboratorio danno forma a sogni di pennelli e idee di carta, alla ricerca di quella Noha ancora da esplorare, e da far riscoprire, soprattutto agli stessi nohani.
Arrivati al crocevia principale, i cavalli non sono ancora stanchi, i campanelli ritornano a tintinnare e il giro continua per la strada adiacente alla piazza dove, solo in compagnia di un nohano che ti invita ad alzare lo sguardo, si scorgono tre casette misteriose appollaiate sull’alto bordo del muro del vecchio palazzo baronale. Sull’origine delle tre lillipuziane costruzioni, ricche di particolari dettagliatissimi ma che non riproducono nulla di questo paese, ancora si discute. Come su ogni creatura dell’ignoto, anche sulle tre casette di Noha circolano favole e leggende. Come quella di “Sciacuddhri”, l’anima bella di un bambino che si dice le abbia abitate. Non è una leggenda, invece, l’indifferenza che le ha colpite, scardinando il campanile di una delle tre, che giace riverso nella parte interna della piccola costruzione. Un danno invisibile agli occhi dei più, ma evidentissimo per chi, proprio per non coprire quel campanile, ha meticolosamente potato le cime dei pini che ne impedivano la vista. Ma insieme ai rami dei pini, cresce anche l’abitudine a non alzare più lo sguardo, a non guardare più in là del proprio naso, e questo solo perché tanto “a Noha stamu”, frase tanto ordinaria quanto odiata da chi, proprio della piccola straordinarietà di Noha, vuole fare tesoro e sottrarla al menefreghismo, anche di chi, in virtù di una dissennata discendenza, si ritrova in possesso di gioielli che sempre più raramente possono brillare per tutti.
È il caso dell’altrettanto misteriosa Casa Rossa, una costruzione a ridosso della strada che porta a Galatina, alle spalle del vecchio (e dismesso) stabilimento del celebre brandy Galluccio. La strana casupola è circondata da un meraviglioso giardino selvatico, dove svettano le zagare, i boccioli di rosa insieme ai più comuni “zangoni” e, tra i cespugli di bacche e gli alberi di arance, strisciano lucertole curiose. All’interno, le pareti ondulate, quasi spugnose, di pietra rossastra, le volte concave, morbide, costellate di dune e rientranze, danno alla casa un senso di effimero e di fresco, le porte a scomparsa, i vetri colorati - o quello che ne resta - le finestre a oblò, i caminetti dai contorni imprecisi alimentano questo gioco di vuoti e pieni ma anche le voci e le leggende che vogliono questa casa infestata dalle streghe o, maliziosamente, vecchia casa di tolleranza. La Casa Rossa è proprietà privata, ma, nei giorni propizi, il suo cancello si schiude. Ciò non accade invece con la recinzione in muratura che vieta a chiunque l’ingresso nel profumato aranceto che avvolge l’antica torre medioevale. Infatti, a guardia della bellissima torre, con il ponte levatoio dove prima si facevano transitare i cavalli, con l’arco a sesto acuto e gli aranci tondi e pieni che ti strizzano l’occhio dal muro di cinta, brillano minacciosi e appuntiti i cocci di bottiglia da un lato, mentre dall’altro il filo spinato incupisce lo sguardo e il paesaggio, sgraziato avvertimento a chiunque non si accontenti di ammirare solo attraverso un provvidenziale foro nel muro di cinta, questo tesoro costantemente sotto chiave.
Vetri taglienti e filo spinato, però, non fanno parte della natura allegra e accogliente dei nohani, ben contenti di mostrare quello che pochi conoscono del loro paese e soprattutto di rivelare il proprio atavico amore verso i cavalli, dando vita ad una piccola Città dei Cavalli anzitempo. La piazza, solo per gli occhi di pochi forestieri, s’improvvisa teatro di una festa di cavalli bardati e calessi dipinti a mano, un brulicare di speroni, voci, nitriti, code intrecciate che si agitano e crini solleticati dal vento, con il beneplacito di San Michele, patrono di Noha, che dall’alto del cielo, dalle due statue conservate nella chiesa e dalle edicole affrescate ai crocicchi delle vie, sorride e si compiace della natura dei suoi protetti, così inclini alla convivialità e sempre pronti a fare festa. A spasso sul traino, con Totò, Peppino, Emanuele, Igor, Rubino, lo splendido Kibli e gli altri cavalli, tutti disciplinati che si lasciano tentare dai grandi spazi, solo arrivati presso gli sterminati prati in fiore, si schiude piano un mondo sparito, che sonnecchia sotto il sole caldo sui tetti bianchi delle case mentre dalle finestre appena socchiuse si diffonde il profumo di cose buone. È quasi mezzogiorno, infatti, l’ora di pranzo qui. I carretti, però, trottano ancora, lungo la piccola Noha sempre diversa e che, dall’alto di un calesse, sembra davvero infinita.

(fonte http://www.quisalento.it/pagine/luoghi68.html)

(clicca qui per vedere la PhotoGallery)

 
Di Albino Campa (del 22/05/2010 @ 23:36:04, in NohaBlog, linkato 2960 volte)

Figli vandali? Riparano i genitori
Lo scorso ottobre un raid teppistico distrusse le panchine di piazza XI Settembre Mille euro, raccolti in poche settimane, hanno contribuito ai lavori di sistem a z i o n e

• NOHA. I figli distruggono ed i genitori intervengono per riparare i danni. E’ quanto accaduto nei giorni scorsi nella frazione di Noha. Protagonista dell’iniziativa, un gruppo di residenti del centro abitato.
Tutto ha inizio nell’ottobre dello scorso anno, quando alcune panchine di piazza XI settembre, uno dei pochi spazi a verde attrezzati della fra   zione, sono finite nel mirino di alcun vandali. Lo spettacolo che si è presentato sotto gli occhi dei cittadini dopo il «raid» era desolante e terribilmente triste. Quelle panchine del resto erano particolarmente gradite a tutti.
Quel segnale di ordinaria inciviltà non ha lasciato indifferenti alcuni di loro; la consapevolezza che a compiere quell’atto potesse essere uno dei tanti ragazzi che risiedono nel centro abitato, forse anche uno   dei loro figli, li ha convinti a mettere la mano nel portafogli per accollarsi una parte delle spese che l’amministrazione comunale ha dovuto effettuare per riparare i danni.
E’ nato così un comitato spon   taneo di genitori che è intervenuto soprattutto per dare un segnale ben preciso di senso civico ed appartenenza ad una comunità. Una piccola e difficile raccolta di fondi che è riuscita a racimolare circa mille euro, poi   destinati alla partecipazione delle spese di risistemazione delle strutture.
Dopo pochi mesi le panchine sono state riparate e restituite agli abitanti della frazione. E la soddisfazione per quel risultato   raggiunto ha in parte oscurato l’amarezza per quell’atto vandalico che non è passato inosservato.
«Abbiamo voluto lanciare un messaggio per invitare al rispetto delle buone regole di vita a   coloro che non hanno ancora compreso la gravità di quei gesti – dicono alcuni di loro – avere cura e rispetto delle strutture pubbliche deve essere un obbligo serio e costante di tutti i cittadini».

fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno

 
Di Albino Campa (del 11/08/2010 @ 23:31:07, in Grafite è Musica, linkato 3546 volte)

Il 13 Agosto durante la rassegna "Neviano d'estate" l'artista Paola Rizzo si esibirà in una performance che la sta portando in giro fra i locali e gli eventi della Provincia di Lecce e non solo, dal titolo "Grafite è Musica" nella quale realizzerà "live" sul palco il ritratto a Gaetano Carrozzo che contemporaneamente si esibirà con il gruppo della Bandadriatica, capeggiato dall'organetto di Claudio Prima.

PAOLA RIZZO è pittrice laureata nel 1997 all’Accademia delle belle Arti di Lecce con una tesi in anatomia artistica dal titolo “Fisicità e psichicità di un linguaggio universale: il volto”. Bravissima con la matita, nei chiaroscuri, il suo talento sembra esprimersi al meglio nella tecnica della pittura ad olio. Nature morte, vedute marine, paesaggi bucolici, panorami, soggetti religiosi, scene di vita quotidiana, ritratti di volti umani o fantastici, sono stati i soggetti della sua prima produzione artistica. Poi improvvisamente incontra un soggetto che è diventato quasi la costante della sua opera: l’ulivo, la pianta che per eccellenza rappresenta l’ambiente, la natura della terra salentina, cui si aggiunge nel corso degli ultimi anni l’amore per la fotografia e per la musica. Musica e pittura, in connubio tra loro, divengono per lei inscindibili. Nascono così i suoi famosi ritratti a matita di alcuni musicisti di fama nazionale ed internazionale protagonisti della conosciutissima mostra itinerante “Grafite è musica”. Attualmente è impegnata in una personale di pittura al “Dona Flor”, lo storico american bar del Teatro Petruzzelli. Paola Rizzo dipinge e disegna con la musica. Non come colonna sonora, che pure non manca mai nel suo studio d'arte, ma come moto dell'anima-artista. Le sue tele e i suoi ritratti sono spartiti musicali su cui si adagiano note in bianco e nero e note di colore, spalmate con pennelli o incise nel tratto al cui ritmo risuona l'armonia del creato. Nei suoi dipinti, i colori a volte stridono e lottano in contrasto come rulli di tamburi e tamburieddhri, a volte sfumano malinconici sul diesis o sul bemolle di un ottone a fiato o di un'armonica a bocca, a volte esplodono nella maestà degli ulivi che si ergono nella gloria dei cieli come trombe o antiche canne di un organo solenne.I volti di Paola Rizzo e le loro espressioni li trovi ovunque nei suoi quadri. La natura delle sue tele non è mai morta, ma viva, pulsante, danzante, cantante. Il pennello o la matita di Paola finiscono per essere nelle sue mani come la bacchetta di un direttore d'orchestra, e i suoi volti e le sue immagini la composizione e l'esecuzione più bella della sua pittura lirica. Questi volti stanno cantando e suonando: tendete l'orecchio, liberatevi dal tappo che ostruisce ed ottura, e li sentirete anche voi.

 

Secondo appuntamento per la primavera "Bicivetta"!
Domenica 29 Maggio, i velocipedi ci porteranno alla scoperta del Canale Asso e delle campagne tra Galatina, Aradeo e Seclì. Si parlerà di geologia e del rapporto tra uomo e paesaggio, ma anche di paesaggio "calpestato" e poi restituito alla legalità.
Appuntamento alle ore 9.00, presso largo Chittano (anche noto come "piazzetta rossa" - zona 167 di Galatina). Percorrendo circa 8 km, si raggiungerà il Laboratorio Rurale Luna (Seclì) per il "Golconda Art Festival", manifestazione dedicata all'arte, alla creatività e alla convivialità, destinata a grandi e piccini.
Il rientro a Galatina è previsto per le ore 16.00.

Chi vorrà potrà vivere l'intera giornata del festival, prenotare il proprio posto pic nic e assaporare leccornie e bontà del cestino preparato per l'occasione dai ragazzi del Circolo Arci "Eutopia" di Galatina.
La prenotazione alla sola pedalata o all'intera giornata è obbligatoria e potrà essere effettuata entro le ore 20 di sabato 28 Maggio.

Per info, costi e prenotazioni: spaziobicivetta@gmail.com; Tel. 3299837662 (Francesca)
Fb: Spazio Bicivetta - Ciclofficina sociale; Golconda Art Festival

 
Di Redazione (del 05/06/2013 @ 23:25:33, in NohaBlog, linkato 2740 volte)

Lunedì 3 giugno, i ragazzi della 2A, della Scuola secondaria di primo grado di Noha sono stati premiati con una targa di merito assegnata dall’ Ordine degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Lecce nell’ Hotel Tiziano per il giornalino di classe “The Voice” Nell’ambito del concorso bandito dalla Gazzetta del Mezzogiorno “Lo scrivo io”.

Lo abbiamo ideato, strutturato, scritto e stampato noi con i nostri stessi computer portati da casa e per farlo ci siamo dovuti mettere al lavoro con impegno e fatica ma alla fine il risultato si è visto! Abbiamo contribuito tutti e, mentre alcuni cercavano notizie e scrivevano articoli, altri già pianificavano il menabò del giornale come: Tarantino Giulia, Chiriatti Nello, Bianco Simone, De Castro Marika, Martiriggiano Lucia. Due nostre compagne di classe, Mariachiara Pignatelli e Maria Luce Serra, con i loro articoli, sono state anche premiate fra moltissimi partecipanti.

La nostra prof Rita Maria Colazzo è stata sempre paziente, con una frusta in mano  ci spronava nel nostro lavoro e alla fine i risultati si sono visti.

Abbiamo vinto e ne siamo orgogliosi!

Per la 2A Elisa Lagna

Questa è la classe vincitrice

 
Di Albino Campa (del 13/05/2012 @ 23:25:20, in Cultura, linkato 3773 volte)

Eccovi di seguito il primo dei tre contributi alla Storia di Noha scaturiti dalle ricerche continue del nostro P. Francesco D'Acquarica

Leggendo gli antichi registri dell’archivio parrocchiale di Nona, la prima cosa curiosa che appare evidente che nel 1600-1700 gli abitanti si sono mescolati con molta gente proveniente da altri paesi. Quasi sempre tutta gente del Salento, ma a volte anche da paesi più lontani,  si è inserita nella comunità di Noha o per motivi di matrimonio, ma anche per motivi di lavoro, a volte semplicemente sono di passaggio perché invitati a essere padrini di battesimo o testimoni di uno sposalizio.
Così ho scoperto che anche i miei avi sono di origine della “Terra di Galatone”, perché il 28 gennaio del 1770 un “Angelo della Terra di Galatone”, come recita il seguente documento in latino ecclesiastico in hac mea ecclesia Angelum D'Acquarica Terre Galato­ne et Teresiam Paglialonga de Nohe ambos sponsos novellos et eorum mutuo consensu habito per verba de presenti in matrimonio coniunxi, che tradotto vuol dire: “in questa mia chiesa Angelo D’Acquarica della Terra di Galatone e Teresa Paglialonga di Noha, tutti e due sposi novelli, avuto il loro mutuo consenso, ho unito in matrimonio”.
Nei registri in questione di una persona si può trovare l’annotazione per esempio “del casal di Nohe” oppure “di Nohe” se uno abitava nell’abitato“, oppure “commorante in Nohe” se uno abitava nell’abitato di Noha ma proveniva da altri paesi, oppure “della Terra di Noha”  quando uno era residente nel territorio di Noha. Perciò “della Terra di Galatone” significa che era del territorio di Galatone,  e quindi confinante con le campagne di Noha: basti pensare alla masseria Roncella con la sua campagna molto vicina a Galatone.

Riporto qui alla rinfusa i nomi dei paesi dai quali proviene gente che si è stabilita a Noha in quegli anni.
Troviamo dunque persone di Zollino, di Corigliano, di Melpignano, di Aradeo, di Galatina, di Galatone, di Sogliano, della Città di Lecce, di Cutrofiano, di Gallipoli, di Seclì,  di Soleto, di Otranto.
Ci sono anche cittadini di Andrano, Arnesano, Botrugno, Calimera, Casarano, Castrignano dei Greci, Cavallino,  Collemeto, Copertino, Cursi, Lequile, Maglie, Muro, Matino, Martignano, Minervino, Monteroni, Montesardo, Nardò, Neviano, Parabita, S. Donato di Lecce, Putignano,  S.Pietro in Lama, Salve, S. Cesario, Specchia, Spongano, Sternatia, Supersano, Torre Paduli, Ruggiano, Traviano, Tuglie, Tricase, Uggiano, Ugento, Veglie, Vitigliano.
Chiaramente i più provengono da Galatina, Aradeo, Cutrofiano, Galatone, Soleto e Sogliano.
Ma c’è anche chi viene da Altamura, da Erchie, da Molfetta, da Bisceglie, da Putignano, Saragnano di Salerno e perfino da Ferrara, da Napoli,  e anche da paesi scomparsi. Nel 1704 è annotato un certo “Mastro Muzio de Laurenzo di Dipignano Provincia della Calabria citra”.

Come mai questo afflusso a Noha di tanta gente da “fuori” ?
Dopo l’invasione dei Turchi del 1480 e la strage di Otranto, anche Noha era stata toccata da questo flagello e la gente non sentendosi al sicuro aveva abbandonato l’abitato. Nel 1700 perciò troviamo persone (quasi sempre di Corigliano ) dette affittatori o affittatrici, che si danno da fare per ricostruire le case diroccate e facilitare l’inserimento nella Baronia di Noha di nuove popolazioni.
Una importante declaratio conservata nell’Archivio di Stato di Lecce ci attesta che nel 1700 l'affitatore di Noha, un certo Evaristo Peschiulli di Corigliano ma residente a Noha, riuscì a richiamare nell'abitato oltre 50 cittadini che prima erano dispersi nella campagna, permettendo loro di fabbricare case, sicchè nel detto casale si vedono moltissime case noviter rifatte e molte risarcite, dove prima altro non si vedeva che case sgarrate et inhabitatae.

Il modo di contare le ore

Faccio notare anche il modo di indicare sia l'età e sia l'ora. Quasi sempre si dice "circa". E' chiaro che non c'era l'anagrafe e neanche gli orologi a portata di tutti. Di una persona si poteva dire che aveva "circa" 32 anni perchè non aveva il certificato di nascita. E se erano le ore 18, si diceva "circa", perchè era sufficiente guardare il sole e non l'orologio, dando così l'ora approssimativa.
Potrebbe accadere di rimanere perplessi nel leggere le indicazioni di orari che troviamo riportati nei documenti dell’antico archivio parrocchiale di Noha.
Citiamo l’episodio più significativo come esempio. Si tratta di quello che accadde  il  20 Marzo del 1740 e che il Vice parroco di turno don Felice De Magistris ci ha tramandato raccontandolo come fosse un miracolo, come fosse stata una grazia attribuita all’intercessione di S. Michele.  La descrizione del fatto  comincia così:
Ad hore mezza della notte giorno di Domenica nella Congregazione di S.Maria delle Grazie haveva io colli fratelli incominciato l'esercizio della Congregazione…
E poi conclude: e licenziai il popolo verso le quattro hore della notte non volendo in nissuna maniera uscirne il popolo lacrimante.
Non può essere che la riunione di catechesi ai confratelli della Confraternita della Madonna delle Grazie si tenesse a mezzanotte e che poi, dopo l’evento strepitoso, abbia licenziato tutti verso le 4 della notte.
Leggiamo il racconto completo che oggi con il nostro razionalismo esagerato, andremmo più cauti nel dire che quanto ora riporto sia un vero miracolo.

Nohe li 20 Marzo del 1740 - Ad hore mezza della notte giorno di Domenica nella Congregazione di S. Maria delle Grazie haveva io colli fratelli incominciato l'esercizio della Congregazione: voltatosi un temporale tempestoso che non mai sene haveva così veduto, e tanto impetuoso e spaventevole che ne menava li tecoli per l'aria,  S.Michele havendosi da se stesso tirato il velo che lo copriva havendolono visto coll'occhi molte donne che dentro la Chiesa si ritrovavano facendo orazione e di subbito diedero notizia a me sottoscritto che mi ritrovava dentro la detta Congregazione, ed io andato con tutto il popolo cantai le Litanie Maggiori havendo primieramente esposto sopra l'Altare del Glorioso S. Michele le reliquie di questa parrocchiale, e fu tanto lo terrore e lo spavento del miracolo perchè vedeva ogn'uno la faccia del Santo tutta smunta di colore ed imbianchita come la stessa lastra che tenivo ed havendosi da me fatto un sermone al popolo finì la funzione con una disciplina pubblica, e licenziai il popolo verso le quattro hore della notte non volendo in nissuna maniera uscirne il popolo lacrimante ed incenerito per lo spettacolo e spavento del tempo che fuori cessò per l'intercessione del Protettore. Ita est Don Felice de Magistris, sustituto.

A parte il racconto che dà l'impressione di gente terrorizzata sia per il temporale e sia per il prodigio, siamo informati dell'orario della catechesi ai confratelli della Congregazione (ad hore mezza della notte giorno di Domenica), anche le donne sono in chiesa per pregare a quell'ora (molte donne che dentro la Chiesa si ritrovavano  facendo oratione), ci viene anche fatto capire che la chiesa aveva il tetto coperto di tegole (tanto impetuoso e spaventevole che ne menava li tecoli dei tetti per l'aria).
Per orizzontarsi e comprendere il senso, è bene tener presente che i fusi orari non c’entrano nulla e che in tutto il Medioevo fino a metà del 1800 c’era un modo diverso di contare le ore.
Punto di riferimento era la luce del sole.
Nel passato si misuravano le ore mediante le ombre proiettate dal sole nel suo moto apparente (meridiane) o tramite il lento scorrimento dell’acqua o della sabbia in appositi recipienti (clessidre) o anche dal tempo necessario per bruciare un pezzo di corda, per consumare una candela o l’olio di una lucerna. 
I Romani adottarono la stessa divisione del giorno e della notte usata dai Greci: mane l’inizio del giorno, meridies il mezzogiorno, solis occasu il tramonto e media nox la mezzanotte.
Naturalmente al calar del sole si attennero in seguito anche gli Italiani e questa divisione tra giorno e notte fu osservata lungamente nei monasteri e nell’ambito della Chiesa cattolica e per tutto il Medioevo. Tanto che ancora oggi il sabato sera si celebra la così detta “prefestiva” , perché il sabato sera è già l’inizio del nuovo giorno che è la domenica.
Quest’ uso fu l’unico in vigore in Italia dal Medioevo al Settecento, e scomparve definitivamente solo nella prima metà dell’Ottocento. Ad esso dunque si riferiscono le indicazioni che si leggono nei testi italiani di questi secoli e anche le annotazioni dei nostri registri parrocchiali.
E siccome d’estate il giorno con la luce solare è più lungo di quello invernale bisogna tener conto del periodo aprile-settembre che è circa di un’ora di luce in più dal  periodo ottobre-marzo. Diremo allora aprile-settembre ora estiva e ottobre-marzo ora invernale.
In conclusione si può dire che le nostre ore 12 (o mezzogiorno) corrispondevano alle ore 18 del Medioevo nel periodo invernale e per il periodo estivo anticipando di un’ora circa, e le nostre ore 18 diventavano mezzanotte per il Medioevo.
Perciò per capire il significato degli orari scritti nei nostri registri parrocchiali si potrebbe tenere presente questo schema:

Orario attuale che corrisponde all’ Orario medioevale
Ore  24 della notte                        =         alle ore          6 del Mattino
            1                                              =                                 7
            2                                             =                                 8
            3                                             =                                 9
            4                                             =                                 10
            5                                             =                                 11
            6 del mattino                     =                                 12
            7                                             =                                 13
            8                                             =                                 14
            9                                             =                                 15
            10                                           =                                 16
            11                                            =                                 17
            12 mezzogiorno     =                                             18
            13                                            =                                 19
            14                                           =                                 20
            15                                            =                                 21
            16                                           =                                 22
            17                                            =                                 23
            18                                           =                                 24
            19                                           =                                 1
            20                                           =                                 2
            21                                            =                                 3         
            22                                           =                                 4
            23                                           =                                 5
            24                                          =                                 6

Quindi l’hora mezza della notte del documento in questione, tenuto conto che nel mese di marzo siamo ancora nel periodo invernale, erano circa le nostre ore 18 e la gente fu licenziata verso le quattro hore della notte e cioè verso le nostre ore 22.

Verso il terzo decennio del 1800 nei nostri registri cominciamo a trovare anche la dicitura “le ore d’Italia” per dire la stessa cosa che abbiamo appena spiegato.

Qualche conferma dagli stessi documenti:
* Le 23 Aprile del 1776 - Ursola Carletta vedova d'anni 80 circa, passò da questa a meglio vita ad ore 24 del giorno, al tramontare del sole.
Qui è detto chiaramente che le ore 24 corrispondono al tramontare del sole.

* Le 13 Febraro dell'anno 1781 - Giovanna Donno vedova del quondam Giacinto Lazoi coniugi un tempo di questa Terra di Nohe, in età di anni 50 circa fece passaggio da questa a meglior vita à dì sudetto;, alle ore 23 circa del giorno al decader del sole, diede la sua anima al suo Creatore.
Anche qui è chiaro che le ore 23 circa è verso il tramontare del sole.

La mammana

Se poi si trattava di un bambino nato in pericolo di morte, bisognava preoccuparsi di dargli subito il battesimo. In questo caso di solito era la mammana o ostetrica, pratica nel suo ministero,  che dava il sacramento. Il parroco poi in chiesa, se il bambino non moriva subito, faceva gli altri riti e preghiere come dal Rituale. E molto spesso capita che il parroco annota che la mammana aveva dato l'aqua in casa per il pericolo imminente che vi era quando naque.
Quella che il popolo chiamava  mammana, è indicata con il termine dotto di  ostatrice  (da ob - stare per la funzione e la posizione che assumeva rispetto alla partoriente) e poi di levatrice. I nomi di queste persone compaiono spesso anche come testimoni del battesimo al neonato.

Qualche esempio.
* 25 Aprile 1810 - Pietro Paschale Aloisio …  nella mia Parrochiale Chiesa battezato … li Patrini nel sacro fonte furono il Parroco assi­stente e l'ostatrice che lo portava al Battesimo.
* 3 Gennaro 1811 - Salvadore Silvestro Leonardo … li Patrini nel sacro fonte furono Vito Pirro di Cotrofiano qui degente e l'ostatrice seu Mammana.
* 6 Febraro 1820 - Leonarda Maria … uscì in luce alle ore dodici del giorno e perchè era in pericolo, dalla ostatrice fu battezata dandoli la forma dell'acque, dopo due ore se ne morì.
* 16 Aprile 1820 - Piero Paulo … li Padrini nel sagro fonte furono Vita Orlando ostatrice ed il Parroco assistente. 
* 4 Ottobre 1820 - Angelo Leonardo …  li Padrini nel sagro fonte furono il parroco assistente e Felice Vittoria ostatrice di S. Pietro Galatina.
* 11 Settembre 1821 - Mi è stato portato in Chiesa un esposito ritrovato nel suburbio di Nohe da Padri incerti procreato per nome Liberato ed è stato da me sottoscritto Arciprete nella mia Parrochiale Chiesa batte­zato, li padrini nel sagro fonte furono Domenico Paglialonga di Nohe e l'ostatrice Maria Aloisi.
* Adì 4 Maggio 1693 - Domenico Antonio figlio di Donato Scrimieri e di Antonia Gioyusa coniugi di questo casale di Nohe, naquè ad hore 15 in circa, il quale per l'imminente pericolo di morte fu battezzato in casa da Giovanna Vonghia Mammana e poi à dì 7 detto il sudetto infante che fu battezzato in casa, si portò in chiesa … ecc. ecc.

Ma chi erano queste levatrici ?
I registri molto spesso dicono che al momento del battesimo c’è anche l’ostetrica senza specificarne il nome;  ma alcune volte è annotato. Così sappiamo che:
Nel 1693 la mammana di Noha era Giovanna Vonghia.
Nel 1701 l’ostetrica si chiamava Marca Grassa.
Nel 1736 l’ostetrica era Maddalena Birtolo.
Nel 1774 Rosa Palombo detta ammammana.
Nel 1777 troviamo registrata Antonia Boccassi.
Nel 1790  era Antonia Napoletano.
Nel 1820 era Vita Orlando
Nel 1821 la mammana era Maria Aloisi.
Ma troviamo anche:
Francesca Quaglia ostetrice della Terra di Seclì,
Felice Vittoria ostatrice di Sanpietroingalatina,
Francesc'Ant.a Coluccia di Aradeo pubblica ostetrice,
Lucia Mosco ostetrice della Terra di S.P. in Galatina per il suo officio chiamata...
Oggi questa situazione di emergenza non accade più perchè i bambini nascono in ospedale.
E' da notare che quasi sempre i padrini di battesimo sono un uomo e una donna qualunque, i più disponibili per essere presenti al momento del sacramento. Nei matrimoni invece i testimoni sono sempre due uomini. Ovviamente non c'erano le grandi feste di oggi, nè grandi regali, fotografi o rinfreschi e pranzi al ristorante.

 
Di Marcello D'Acquarica (del 17/09/2014 @ 23:21:24, in I Beni Culturali, linkato 3220 volte)

Il confronto o paragone è il metodo più diffuso per valutare un bene o un valore. Non è raro sentir dire, anche da assessori o personaggi di spicco nostrani, che Noha è parte integrante di Galatina.

Sostenere che Noha è di fatto parte sostanziale di Galatina ci fa piacere e ci porta immediatamente a farne un confronto positivo, dato anche il fatto che Galatina è ormai nota come ai più (forse meno ai galatinesi) come città d’arte. Peccato però che lo si dica soltanto quando non se ne può fare a meno (e soprattutto senza pensarlo).

Io sono il primo a dire che ci sono problemi ben più gravi che vanno affrontati con urgenza, come quello dell’inquinamento della terra e dell’aria e di conseguenza dei cibi che mangiamo, quello del consumo del territorio, della disoccupazione, delle piste ciclabili senza biciclette, delle scuole (incluse quelle senza cabina elettrica), eccetera, eccetera. Ma è ovvio che tutto nasce dalla nostra capacità di fare proprio il pensiero dell’aver cura del territorio in cui viviamo. Se capiamo l’importanza di questo il resto viene da sé.

Adesso passiamo alla sostanza, e cioè alle cosiddette "casiceddhre" di Cosimo Mariano, mastro costruttore di Noha, (Nato a Noha nel 1882 e morto a Galatina nel 1924 - cfr. anche L'Osservatore Nohano, n. 6, anno II, 9 Settembre 2008).

Da quel che si vocifera in giro, pare che lo stabile "case di Corte" su cui sono state costruite le nostre casette, sia passato ad altra proprietà, diversa dalla società immobiliare della famiglia Galluccio, ultima erede di una nobiltà deposta dall'abolizione della feudalità effettuata dai napoleonidi nel 1806. Oggi non ci è dato di conoscere il destino delle casette, ma è evidente che presto l'intero fabbricato diventerà un mucchio di macerie. Basta osservare le crepe delle mura laterali prospicienti la strada (vedi foto e confronta).

Inoltre non ci vuole molto a capire che in soli sei anni (2008 - 2014) il degrado è cresciuto e molti pezzi dell’artistico manufatto sono letteralmente scomparsi.

Vi ricordo che è ancora aperta la raccolta delle firme on-line per l'intervento FAI (Fondo Ambiente Italiano). La raccolta delle firme si può anche effettuare presso alcune attività commerciali di Noha. 

Ora vorremmo chiedere alla “nuova” proprietà cosa avrebbe intenzione di fare, e soprattutto se ha a cuore un pezzo dell’identità, della storia e della cultura nohana, ovvero se le casiceddhre con il passaggio di proprietà sono semplicemente transitate dalla padella alla brace

Marcello D’Acquarica
 
Di Redazione (del 11/04/2017 @ 23:21:10, in Comunicato Stampa, linkato 1156 volte)

Grande prova di forza dei ragazzi di mister Stomeo che centrano un importantissimo risultato a discapito di una diretta concorrente vincendo 3 a 2 in Calabria contro il Lamezia Raffaele. Gli Olimpionici, senza girarci troppo intorno, sono lanciatissimi verso la salvezza infatti tra il Galatina ed un altro probabilissimo campionato di serie B ci sono ancora 2 match che avremo il vantaggio di giocare in casa e dove incontreremo in sequenza Andria e Locorotondo! Si tratta di un doppio calcio di rigore che Stomeo preparerà ancora una volta sapientemente, toccando le corde giuste di questi ragazzi che forse un po’ in ritardo hanno ritrovato la convinzione nei propri mezzi.

Le scelte fatte dal mister per affrontare questo finale di campionato sono state quelle giuste anche quando le cose non andavano bene ed era solo al comando, convinto della sua visione di questo fantastico sport non ha mai ceduto riuscendo a trasformare errori e sconfitte nel punto di partenza dei suoi programmi di allenamento. Questa si chiama esperienza. Ma lo stesso Stomeo metterà in guardia i suoi ragazzi dal cullarsi nel pensare che sia finita, perché c’è ancora da sudare, c’è da mettere a terra quel pallone, c’è da rendere lo spettacolo al nostro pubblico che tante volte è mancato. Dunque subito dopo la pausa pasquale avremo questo doppio passaggio in casa, il 23/4 arriverà l’Andria che con i suoi 31 punti all’attivo giocherà senza troppe pressioni e forse anche senza troppe pretese, quindi partita da prendere con le molle, poi il 29/4 arriva ultima partita ufficiale della stagione per l’Olimpia, verranno a trovarci le giovani promesse del Locorotondo, un conto in sospeso per gli olimpionici, c’è da riscattare quella bruciante sconfitta dell’andata che proprio non è andata giù a nessuno…

Adesso godiamoci questo momento e dalla settimana prossima resettiamo le vittorie dell’ultimo periodo e rimettiamoci a lavorare pallone su pallone fino alla fine concentratissimi..!

ufficio stampa

Olimpia Galatina

 
Di Albino Campa (del 20/07/2011 @ 23:20:07, in Letture estive, linkato 3011 volte)
La straordinaria sorpresa di questo breve romanzo di Conrad è l’universalità del linguaggio. L’autore racconta una vicenda prettamente autobiografica, ma è inevitabile poi per il lettore portarsi con la mente al momento in cui anche lui, come il giovane protagonista della storia, guardando indietro nella vita si è reso conto di aver oltrepassato non senza difficoltà “la linea d’ombra”, lasciandosi per sempre alle spalle la “spensierata e fervente giovinezza”. La continua ricerca introspettiva dell’autore mette a nudo pensieri e passioni che accompagnano il passaggio attraverso un “giardino incantato” in cui tutto ha un suo fascino, tutto è ancora da scoprire, inventare, creare, nonostante la consapevolezza di un passaggio obbligatorio per tutta l’umanità. Dirà Conrad nel suo romanzo: “è la seduzione dell’esperienza universale, da cui ci si attende una sensazione singolare e personale: un po’ di se stessi”. Ed ecco quindi che, ormai adulto, Conrad tenta di ridestare i ricordi e consegnare in questo modo uno scritto che possa servire da monito alle future generazioni. “L’effetto che ha la prospettiva sulla memoria è di ingigantire le cose, perché ciò che è essenziale emerge isolato da una congerie di insignificanti fatti quotidiani di contorno, che naturalmente sono svaniti dalla mente”, scriverà infatti lo stesso autore nella prefazione all’opera. A questo punto viene da chiedersi: qual è l’”essenziale” che emerge dalla lettura di queste memorie? La risposta è tra le righe. Immaginate di essere un giovane marinaio, insoddisfatto e deluso dalla vita, e di decidere un bel giorno di abbandonare la nave sulla quale prestate servizio ormai da qualche anno per ritornarvene a testa bassa a casa; poi una volta a terra vi ritrovate per caso ad accettare il comando di una piccola nave, che a voi giustamente sembra un destriero, e una volta a bordo dovete scontravi con un primo ufficiale che non vi reputa all’altezza dell’incarico, perché troppo giovane e senza esperienza. Non finisce qui: finalmente siete in mare aperto, su una nave tutta vostra e alla guida di un grappolo di uomini, ma qualcosa non va per il verso giusto, e vi ritrovate con la maggior parte dei marinari febbricitanti, e quindi privi di forze, e la nave intrappolata nella bonaccia non si smuove di un metro. Non dimenticate che questo è il vostro primo incarico! Qual è quindi il messaggio che Conrad vuole trasmetterci rivivendo e facendoci vivere la sua personale esperienza? I messaggi sono tanti, alcuni dei quali: non mollare la presa sulla vita; inseguire o farsi inseguire dai propri sogni, magari credendoci un po’ di più; non disperare mai e non buttarsi mai giù, ma rimboccarsi le maniche e insieme ai “piccoli uomini febbricitanti e risoluti” che sembrano condire la nostra gioventù portarsi oltre quell’inevitabile linea d’ombra, nel “periodo più consapevole e mordace della maturità”.
Michele Stursi

La linea d’ombra, Joseph Conrad, Garzanti Libri, pp. 126, € 7,50

Tempo di lettura: 2-3 giorni

 
Di Albino Campa (del 21/05/2009 @ 23:19:52, in S.Maria della Porta, linkato 4077 volte)

pisanello-2.jpg S. Maria della porta nell’antico casale scomparso di Pisanello ed i suoi segreti. Pisanello fu un casale bizantino come si evince da un documento risalente al 1427 ed era ubicato tra Noha, Sogliano, Galatina, in una favorevole posizione viaria. La sua fondazione corrisponde alla tipologia insediativa “basiliana” che presuppone un ruolo di polo attrattivo svolto da un luogo di culto come appunto quello di S. Maria della Porta, di altre cappelle come S. Anna, presso il casale vicino di Pisano, S. Antonio, S. Maria di Cantalupo, S. Nicola, S. Eulalia, S. Maria della Candelora e di altre chiese rurali ormai scomparse che crearono nella zona una vasta trama di sedi di culto.
Una stele con una iscrizione messapica del IV secolo a.C., trovata nel 1882 ed attualmente visibile al museo civico Cavoti di Galatina, i resti di vasi in terracotta rinvenuti nella zona e la presenza di frammenti di ceramica risalenti allo stesso periodo ritrovati in un campo posto ai confini di ponente della contrada di proprietà della famiglia Giannini, ci possono far pensare ad un insediamento messapico nella zona. Infatti l’enorme quantità di frammenti, la varietà delle fatture dei vasi, la loro concentrazione fanno presumere che in questa zona poteva esistere una fornace con centro di vendita oppure un grosso centro commerciale distrutto per cause ignote . pisanello-1.jpg
Una leggenda vuole il passaggio di S. Pietro in questa contrada. L’apostolo, provenendo da Otranto, avrebbe sostato e riposato su di masso esistente nella zona. Anche le leggende, però, vanno alimentate, così il celebre vescovo di Otranto, ma dimorante a Galatina, Gabriele Adarso De Santader nel 1670 trasferì questa pietra dalla contrada dove si trovava alla chiesa matrice dove attualmente è conservata, lasciando sul posto una colonna con l’iscrizione memoriale ” hic S. Petri defessi levamen ” qui riposò le stanche membra l’apostolo Pietro.
Il De Giorgi inoltre attribuisce la distruzione del casale ai soliti saraceni; interessante a questo proposito una graziosa filastrocca raccolta dal Casotti nel libro “Opuscoli rari” edito a Firenze nel 1874, ed alludente alle “acchiature “ cioè i tesori nascosti del territorio: ” Pisano e Pisanello distrutti fur dai mori sotto l’altar maggiore si trovano i tesori “. Questo episodio può essere avvenuto nel V secolo con le guerre gotiche oppure nel 944 per opera di pirati algerini, oppure di mori che altro non sono che i turchi i quali, conquistato Otranto nell’ agosto del 1480, rivolsero le attenzioni con brevi scorrerie all’interno del territorio salentino. In una di queste incursioni, in cui perse la vita il conte Giulio Antonio Acquaviva di Conversano il 7 Febbraio del 1481 , vennero messi a fuoco non solo Soleto e Galatina, ma anche tutti quei piccoli casali senza mura che, da quel momento in poi, rimangono disabitati. Non a caso dalle visite pastorali e dai sinodi otrantini che vanno dall’inizio del XV secolo fino alla fine del XVII il casale Pisanello è riportato come loco inabitato.
Dai registri angioini il casale risulta infeudato fin dal tempo di Carlo I d’Angiò che lo aveva concesso a Boemondo Pisanello e che alla sua morte era passato al figlio Guglielmo il 13 Settembre 1275. Succeduta al padre Guglielmo, Caterina Pisanello nel 1329 porta in dote al marito una vasta baronia che oltre a Pisanello comprendeva Alliste, Felline e quote di Carpignano, Tutino, Puzzomanno, Pisignano ecc.. Durante il XIV secolo Pisanello era incluso nei territori di Gualtiero VI di Brienne conte di Lecce, nel 1353 fu infeudato a Filippo di Altomonte, successivamente nel XV secolo agli Alami. Nello stesso secolo passò a Luigi Dell’Acaia poi a Vincenzo e Antonio De Noha, anche se nel 1489 Antonello De Noha, indebitato per oltre 104 ducati verso i fratelli Zaccaria di Venezia, subisce il pignoramento di Pisanello e Noha . La famiglia d’Acaya lo possiede fino al 1525.
Le nozze tra Adriana De Noha e Girolamo Montenegro mutarono l’intestazione feudale a nome dei Montenegro. Dopo un breve possesso di Orazio Guarini, che aveva acquistato Pisanello nel 1606, il territorio entrò a far parte della vastissima baronia degli Spinola con Galatina , Soleto, Noha, ecc. Da un documento presente nell’archivio di stato del notaio Emilio Arlotta del 22 Luglio 1906, registrato al n° 93 del repertorio generale ed al n°610 dello speciale, relativo alla domanda di separazione di Noha dal comune di Galatina, risulta che Noha ebbe autonomia comunale fino al 1811, quando venne fagocitata dalla potente Galatina. Dal documento si evince anche che Pisanello, suffeudo di Noha sin dal 1200 fino all’epoca catastale, ha gli stessi diritti del feudo di Noha a cui era legato. Infatti molti documenti del casale di Pisanello sono legati alle vicende del feudo di Noha, come risulta da un documento di un contratto del 1439 con il quale Boezio De Noha compra dal principe Giovanni Antonio Orsini Del Balzo i possedimenti di Sava e Giurdignano avendo già Pisanello, Villanova, Alliste, Felline ecc. e in questa direzione vanno fatte le prossime ricerche. Passando ora alla descrizione della cripta di S. Maria della Porta faremo alcune congiunture che sono ancora da verificare. La cripta situata lungo una strada campestre a pochi centinaia di metri dalla strada statale 476 è di proprietà delle sorelle Gaballo, ha l’invaso originale non più visibile. Questo invaso si potrebbe trovare sotto od attorno all’attuale complesso architettonico, costituito da un chiostro scavato e da una chiesa in muratura, datata 1889, con copertura a cupola di forma circolare. Sicuramente il chiostro di quello che doveva essere un cenobio basiliano scavato nel tenero tufo sul finire del XIX, secolo come abbiamo visto dall’iscrizione presente sul mosaico della chiesa circolare, diviene un cosiddetto giardino di delizia, prova ne sia appunto il mosaico che ricopre non solo la chiesa ma anche il chiostro con la presenza di gradino sedile, fontane e ninfei fatti con le conchiglie. Il cenobio basiliano era nell’attuale zona della chiesa che stranamente ha una forma circolare che ben si adatta alla zona dell’ingresso dell’antico monastero. Attualmente rimangono a testimoniarlo tutt’intorno alla chiesa un’intercapedine che, dietro all’altare, sembra portare ad un corridoio o “dromos” ed alle cellette dei monaci. L’antica cripta doveva avere tre navate divise in nove campate da quattro pilastri come nella cripta di S.Salvatore a Giurdignano. Inoltre la cripta, come altre chiese di rito greco, doveva essere triabsidata e con un’esposizione est-ovest.
Non ci sono tracce di arredi litoidi, iconostasi od altro tra “bema” e “naos”. Il chiostro con la chiesa si trova cinque metri sotto il piano della campagna e con l’edificazione del complesso edilizio di cui abbiamo riferito ha subito notevoli trasformazioni e, purtroppo, danni da parte di vandali o tombaroli poco attenti verso questo bene storico.

autore: Raimondo Rodia
Fonte: http://galatina.blogolandia.it

 
Di Antonio Mellone (del 26/06/2020 @ 23:18:21, in Necrologi, linkato 2120 volte)

“Ciao, Antonio. Da poco la mamma riposa in pace!”. Penso di essere stato uno dei primi oggi pomeriggio a ricevere il messaggio di Angelo Nocco, mio amico d’infanzia, che mi comunicava che la Vita sua, cioè Vituccia, si era liberata dal peso del corpo. Ho dovuto attendere un po’ prima di chiamarlo, il tempo che il mio amico non mi sentisse piangere al telefono nel ricordo di una donna e di una madre nel cui nome era tracciato da sempre il suo essere.

Eravamo un nugolo di mocciosi a frequentare con zelo casa sua, anche perché forse l’unica - fra le nostre invece in stile come dire tendenzialmente più attico - così ben fornita di giocattoli messi generosamente a nostra disposizione. Ma non era solo questo: Vituccia non ci faceva mai mancare la merenda pomeridiana, vale a dire pasticciotti e crostate, tutto rigorosamente fatto da lei.

Le case dei tuoi amici diventano anche un po’ tue, così come il resto delle loro cose, e dunque pure i fratelli e le madri e i padri. E così fu anche per Vituccia (Vita Tundo, moglie della buonanima di Pantaleo, cioè Uccio Nocco), che ci ha accompagnato in tutti questi anni con la sua forza, e con la gioia della lotta (grazie al suo insegnamento capimmo che non si tratta di un ossimoro).

Sì, perché a un certo punto la vista di Vituccia iniziò progressivamente ad affievolirsi, fino a scomparire del tutto: “Sai che cosa mi dispiace? – mi diceva – che so che non potrò più vedere i miei figli, e anche le miei nipoti”. Ma non si autocommiserava mai, ed aggiungeva subito dopo con la sua fede incrollabile: “Mah, poi cu fazza Diu: è lui che vede e provvede”.

E così è arrivata a ottantasei anni. Stanca ma vitale. Curva, ma pronta ad accudire i suoi figli, e i figli dei suoi figli.

Fino all’ultimo ha allargato le sue piccole ali preganti per proteggere anche a distanza la sua famiglia, e tutti noi altri con lei.

Trasfusione perenne di Vita.       

*

Approfitto del blog Noha.it per abbracciare affettuosamente Angelo e Pierluigi, le loro rispettive consorti Margherita e Lucia, gli angioletti di nonna, cioè Chiara, Anna, Eleonora e Matilde, e tutti gli altri famigliari e amici.

Antonio Mellone

 
Di Marcello D'Acquarica (del 25/07/2017 @ 23:13:09, in I Beni Culturali, linkato 2813 volte)

Nella sua “DESCRIZIONE di Tutta l’ITALIA”, Fra Leandri Alberto ci delizia con delle stupende note narranti il paesaggio e i costumi delle popolazione che incontra e di cui si fa una sua opinione. Diciamo “sua” perché è evidente che non può essere influenzata dalla storia che noi conosciamo avendone studiato il dettaglio a posteriori. Per esempio quando parla di S. Pietro in Galatina, esprime un giudizio favorevole verso il Duca Ferrante Castriota. Così dice Fra Leandri: “Egli è questo signore molto umano, e generoso”. (Dopo i De Balzo, Giovanni e suo figlio Ferrante furono il primo e secondo duca di Galatina nel periodo che va intorno al 1485).

Invece noi sappiamo benissimo che i cittadini di Galatina, opposero una grave controversia verso il  Duca Castriota, per le sue angherie soprattutto di tipo fiscale  (“Ebbe contrasti durissimi con la città e la sua Università (autorità municipale), abituate ad una convivenza diversa con i precedenti sovrani --Raimondello e Giovanni Antonio Orsini del Balzo- da "Galatinesi Illustri" a cura di M.F. Natolo, A. Romano, M.R. Stomeo).

Avvicinandosi nel nostro territorio, Fra Leandro Alberti, lo trova pieno di castelli e uliveti, e gli appare alla vista “il fortissimo castello di Noia posto in forte luogo”.

Fortissimo e forte luogo” sono termini che non troviamo sovente e così accentuati nelle sue narrazioni d’Italia, questo vuol dire che il nostro mastio posto sulla serra che sovrasta la valle dell’Asso, lo colpisce non poco, fino a fargli dire parole tanto importanti.

Marcello D’Acquarica

 
Di Redazione (del 25/08/2021 @ 23:12:30, in Comunicato Stampa, linkato 633 volte)

A Galatina (LE) l’impianto del colosso Colacem produce dagli anni Cinquanta diverse tipologie di cemento. Gli impatti sul territorio sono rilevanti. Cinque organizzazioni, e diversi Comuni, hanno ricorso al Tar regionale per chiedere l’annullamento del rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata dalla Provincia. La sentenza, decisiva, è prevista per ottobre

Il cementificio Colacem di Galatina © Atlante dei conflitti ambientali

In Salento non si ferma la battaglia delle associazioni ambientaliste contro il cementificio di Galatina del colosso Colacem Spa, che in Puglia produce diverse tipologie di cemento dagli anni Cinquanta. Ad agosto cinque organizzazioni -CittadinanzAttiva Puglia, Coordinamento Civico Ambiente e Salute, Italia Nostra, Forum Amici del Territorio Ets, Noi Ambiente e Beni Culturali- hanno deciso di costituirsi nel procedimento pendente presso il Tar di Lecce, ad adiuvandum al Comune di Soleto (LE), relativo alla richiesta di annullare la determinazione provinciale per il rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), rilasciata al cementificio nel 2018 con scadenza nel 2030.

Si tratta dell’ultimo passaggio di una mobilitazione che dal 2017 vede gruppi di cittadini e organizzazioni territoriali denunciare le conseguenze causate dall’impianto sulla salute e sull’ambiente, documentate da ricerche e studi scientifici nazionali ed europei. Nel 2012 l’Agenzia europea dell’ambiente inseriva Colacem Galatina tra le industrie a maggiore impatto ambientale e sanitario, a causa delle sue emissioni, posizionandola al 586esimo posto su scala europea. Secondo l’istituto, erano emesse 584mila tonnellate di ossido di carbonio annue e 2.420 tonnellate di ossidi di azoto con un costo dei danni ambientali e sanitari calcolato tra 37 e 67 milioni di euro. Nel 2019 “Protos”, uno studio coordinato dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa e condotto dalla Asl di Lecce per indagare sui fattori di rischio per tumore polmonare in Salento, ha confermato l’esistenza di un cluster tra i 16 Comuni dell’area intorno al sito Colacem: qui, come era già stato indicato in una ricerca pubblicata nel 2014 dall’Istituto superiore di sanità, è stato registrato un sensibile eccesso di incidenza per tumori polmonari rispetto ai casi attesi.

I prossimi mesi saranno cruciali. “La sentenza del Tar di Lecce, prevista per ottobre, è attesa da tre anni. Il percorso è iniziato nel 2018 quando i Comuni di Galatina e Soleto (in adiuvandum a Corigliano d’Otranto, Aradeo, Martano, Cutrofiano e Sogliano Cavour) hanno fatto ricorso al tribunale per chiedere l’annullamento dell’Aia, considerata insufficiente per tutelare i cittadini”, spiega ad Altreconomia una portavoce del Coordinamento Civico Ambiente e Salute a nome delle realtà coinvolte. Il tribunale deciderà se rinnovare o meno l’autorizzazione.

A pesare sulla decisione del Tar saranno i risultati contenuti nelle oltre cento pagine di una consulenza tecnica, richiesta nel 2018 proprio dal tribunale al fine di verificare se le disposizioni della Provincia fossero state idonee a tutelare l’ambiente e la salute e se fossero state rispettate da Colacem. Realizzata durante più di un anno di ricerca dai periti Mauro Sanna, Nazzareno Santilli e Lucia Bisceglia e consegnata lo scorso maggio, “ha evidenziato profonde carenze strutturali e una situazione preoccupante”, prosegue la portavoce. In particolare, si legge nel documento, l’autorizzazione rilasciata dalla Provincia non avrebbe previsto alcuna limitazione né alcun particolare vincolo per l’impiego di petcoke (un residuo solido prodotto dalla raffinazione del petrolio, ndr) in alternativa al carbon fossile. Sono anzi considerati equivalenti.

Inoltre la perizia sottolinea i limiti sulle emissioni e sul loro monitoraggio, considerato discontinuo. Secondo i tecnici, la Provincia non avrebbe considerato che nel forno dell’impianto di Galatina non finisce solo il carbone ma che “è effettuato un recupero di materia di rifiuti per mezzo del loro trattamento termico”. Ma questo dovrebbe cambiare la normativa di riferimento: se fosse applicata correttamente, i limiti alle emissioni di ossidi di zolfo dovrebbero essere pari a 50 mentre quelli previsti nell’autorizzazioni sono il quadruplo; quelli di carbonio organico totale dovrebbero essere pari a 10 ma il limite è di 80.

Intanto nel marzo 2021 Colacem ha proposto una istanza di riesame per rivedere l’autorizzazione già rilasciata dalla Provincia. Si tratta, secondo le associazioni, di un tentativo di arrivare a un accordo che faccia cessare la materia del contendere superando, con un nuovo provvedimento Aia, l’eventuale giudizio negativo del tribunale che metterebbe a rischio il futuro dello stabilimento. Al riguardo si esprimerà la Conferenza di servizi il prossimo settembre. “La sentenza del Tar avrà una rilevanza nazionale”, prosegue la portavoce del Coordinamento Civico Ambiente e Salute. “La nostra organizzazione si è occupata anche degli impatti che Colacem produce sugli altri territori dove è attiva a Gubbio (Perugia) e a Sesto Campano (Isernia). Secondo il ‘Rapporto sostenibilità 2019’ dell’azienda, si prevede di bruciare CSS (combustibile solido secondario) nel forno di Galatina. Un aspetto che ci preoccupa ulteriormente”, conclude.

Ma gli impatti di Colacem non sarebbero riconducibili solo al contestato mancato controllo sulle emissioni. “La produzione di cemento penalizza le attività agricole e altera il paesaggio. Bisogna ricordare che è legata alle cave da cui è estratta la materia prima. Si aggiunge che i mezzi pesanti trasportano il cemento fino ai porti di Otranto e Gallipoli perché il prodotto è destinato principalmente all’esportazione”, spiega Marcello Sicli di Italia Nostra Salento. “Il Salento è già colpito da un ingente numero di cave dismesse e Colacem concorre in modo rilevante al consumo di suolo. Per intervenire con efficacia bisogna considerare il ciclo di produzione nella sua interezza”.

 Marta Facchini

 
Di Antonio Mellone (del 27/05/2013 @ 23:10:45, in NohaBlog, linkato 5269 volte)

Due seminaristi di Noha al servizio di papa Francesco Due seminaristi di Noha al servizio di papa Francesco

Il mio pallino è da sempre quello di rintracciare personaggi, accadimenti ed altre cose belle di Noha cercando di sfregarle sulla carta perché rimangano fisse, scripta manent, e non se ne volino, verba volant, al primo alito di vento, o al primo cinguettio o tweet (come con inflazionato inglesismo s’usa dire di una frase di massimo 140 caratteri lanciata nell’arcinoto social-network).  

Stavolta ho il piacere di parlare di un evento storico molto importante per la chiesa del Salento (e del mondo intero) come quello del 12 maggio scorso, allorché papa Francesco, in una piazza San Pietro gremita fino all’inverosimile (c’erano più fedeli che sanpietrini) proclamava santi i nostri Antonio Primaldo e Compagni, che tutti ormai venerano comunemente come i Santi Martiri di Otranto.

Due seminaristi di Noha al servizio di papa FrancescoMa il fatto straordinario di cui vorrei parlare non è tanto (o solo) la canonizzazione di personaggi storici della nostra terra, quanto il fatto che a servire la messa solenne del papa v’erano, tra gli altri, anche due bravissimi ragazzi di Noha, due seminaristi, Luigi D’Amato e Giuseppe Paglialonga, attualmente studenti (e sappiamo pure con profitto) di Teologia e Filosofia presso il pontificio seminario regionale “Pio XI” di Molfetta (pio collegio che ha “prodotto” pastori di gran prestigio, sacerdoti e vescovi, ma anche professionisti e uomini di importante levatura sociale), dopo aver frequentato, sempre insieme - e con soddisfazione da parte tutti, primo fra tutti l’ordinario diocesano - il seminario arcivescovile di Otranto (istituto ecclesiastico rinomato dal Settecento in poi per la floridezza degli studi e la bontà dei giovani avviati al sacerdozio).

Luigi e Giuseppe sono, dunque, due tra le perle più preziose di quello scrigno di tesori che è la gioventù nohana. Affatto diversi nella loro figura fisica, nel taglio della loro personalità, ma probabilmente non in quello delle loro aspirazioni, sempre pronti a salutarti cordialmente e con un sorriso, Luigi e Giuseppe hanno scritto e siamo certi continueranno a scrivere pagine importanti della Storia di Noha.

Ci sarà certamente il tempo (ora è fin troppo presto data la loro giovane età) per profondersi in biografie, stilare articoli sul loro curriculum vitae, vergare “scritti in onore” di questi due personaggi local con vocazione global (anzi universal, o, meglio, celestial), dandone i giusti colpi di scalpello nell’abbozzo di un loro profilo.

Qui però mi sia consentito di ricordare brevemente un paio di episodi che rispettivamente li riguardano.

Il primo è questo.

Due seminaristi di Noha al servizio di papa FrancescoTempo fa accompagnai Luigi D’Amato a Galatina nella casa di un mio amico, il compianto Prof. Mons. Antonio Antonaci, per far conoscere l’uno all’altro: ci tenevo (evidentemente per la stima che nutro nei confronti di entrambi). In quell’occasione il professore non parlò molto, affetto com’era da un principio di depressione senile cronica (che lo accompagnò fino al giorno del suo congedo da questa vita che ebbe termine il 26 settembre del 2011); tuttavia alla fine di quell’incontro il professore ebbe modo di donare a Luigi uno dei suoi numerosi capolavori: lo stupendo volume dal titolo “Fra’ Cornelio Sebastiano Cuccarollo – cappuccino - arcivescovo di Otranto (1930 - 1952)”, un libro di oltre 400 pagine sulla vita straordinaria di un vescovo santo che ha operato nella nostra terra durante “gli anni ruggenti” che vanno dal periodo fascista alla ricostruzione post-bellica. Orbene, in una delle prime pagine di questo tomo - il cui testo si legge scorrevolmente come un racconto senza tuttavia divenire un romanzo - Mons. Antonaci, prima dell’autografo, vergava di proprio pugno una dedica al nostro seminarista appellandolo (con molte probabilità profeticamente) don Luigi. In quell’occasione mi parve di cogliere in Luigi, anzi in don Luigi (e credo di non essermi sbagliato), un certo compiacimento, se non proprio un cenno di approvazione.

Il secondo fatto che vorrei menzionare riguarda invece Giuseppe.

Due seminaristi di Noha al servizio di papa FrancescoRicordo molto bene questo poco più che imberbe ragazzino beneducato e molto attento, oltre che sempre presente nelle prove o nel corso delle liturgie in cui mi capitava di suonare (con o senza il coro) l’organo a canne di Noha. Orbene, Giuseppe osservava in silenzio e sembrava assorbire come una spugna le tecniche ed i segreti di quella vera e propria orchestra che è l’organo elettromeccanico nohano, le combinazioni dei suoni, dei suoi timbri e registri, l’uso dell’“acceleratore” del “crescendo”, i pulsanti ai pedali, e via di seguito.

So che certe cose si aggrappano all’infanzia come ami nella carne per non staccarsene più; non saprei dire, però, con certezza se io sia stato protagonista in positivo (nel senso che Giuseppe, da buon osservatore nohano, abbia “scoperto” e quindi iniziato ad amare la musica, e soprattutto quella celestiale e sublime, commovente e magnifica di un organo a canne anche grazie a me), oppure in negativo (nel senso che osservando e soprattutto udendo il sottoscritto suonare l’organo con i piedi – ma nel senso metaforico del termine, in quanto un organo si suona pure con i piedi – dunque nel peggiore dei modi, abbia reagito alla violenza provocata ai suoi timpani, oltre che al decoro che si deve all’arte ed al senso estetico, studiando invece seriamente la musica organistica, e giacché c’era anche il canto, onde evitare il ripetersi nel mondo di certe performance melloniane). Sta di fatto che oggi, nell’un caso o nell’altro, Giuseppe Paglialonga è un bravo ed apprezzato organista, oltre che un cantante dalle indiscusse doti canore.

Due seminaristi di Noha al servizio di papa FrancescoMa ritorniamo in piazza San Pietro (ché le divagazioni potrebbero portarci fuori dal seminato - o dal seminario) ed a quelle immagini in mondovisione che hanno proiettato davvero su tutto l’orbe terraqueo, oltre a tutto il resto, anche i nostri due conterranei intenti l’uno, Luigi, a reggere il pastorale del papa (che per essere precisi si chiama “ferula”) e l’altro, Giuseppe – se riesco a veder bene nella foto - catino, brocca e forse anche manutergio per l’abluzione rituale (cioè la lavanda delle mani che avviene nel corso della messa durante l’offertorio e dopo la comunione).

Assisi proprio a pochi metri dalla sedia del papa, i nostri due impettiti seminaristi sono stati impeccabili. Il maestro delle cerimonie pontificie, il rigoroso e apparentemente imperturbabile Mons. Guido Marini (genovese, da non confondere con il prefetto suo predecessore fino al 2007, Mons. Piero Marini, pavese) non avrà faticato molto, né sprecato molto fiato nelle istruzioni da dare ai nostri ragazzi: Luigi e Giuseppe saranno apparsi agli occhi del cerimoniere pontificio come i più navigati liturgisti vaticani, grandi esperti di sacra liturgia, delle sue leggi e regole (e soprattutto delle tre P richieste a tutti i chierici, e cioè la pietà, la pazienza e la precisione) apprese certamente in seminario, ma anche e soprattutto in quella vera e propria scuola-guida che è la parrocchia di Noha.

Due seminaristi di Noha al servizio di papa FrancescoIn conclusione o ad integrazione di queste note, a me (ma sono certo anche ai miei venticinque lettori) piacerebbe conoscere i sentimenti, l’emozione e l’impressione provati dai nostri due baldi giovani a proposito di questo avvenimento che rimarrà indelebilmente scolpito nel loro animo per tutta la vita. Mi piacerebbe leggere (magari su questo stesso sito) i loro pensieri in merito, i risvolti e la cronaca particolare della cerimonia, il contatto con papa Francesco, i dettagli dell’evento e anche il “dietro le quinte” di questa occasione storica e straordinaria.

Nell’attesa di tutto questo, auguro a Luigi ed a Giuseppe, sicuro d’interpretare anche il pensiero di molti, tutto il bene di questo mondo, qualunque sarà la loro scelta.

Auguro loro di ascoltare e di mettere in pratica i messaggi forti di questo papa evangelico, dunque “rivoluzionario”, che dice papale papale (appunto!) che la chiesa di Cristo non ha titoli da concedere né onori da distribuire ai vanitosi del mondo, ma solo servizi da chiedere agli umili della terra, riaffermando con determinazione le parole di Luca (17,10): “Quando avrete fatto tutto il vostro dovere dite: siamo servi inutili”.

Due seminaristi di Noha al servizio di papa FrancescoAuguro loro di abiurare il dio del perbenismo di facciata, il dio del potere corrente e mafioso, il dio delle convenienze, delle compiacenze e dei privilegi, il dio di comodo ed il dio denaro. Auguro loro, invece, di credere, accogliere, predicare e donare agli altri il Dio nudo, forestiero, crocifisso, emarginato, diverso, precario e disoccupato, il Dio che inorridisce davanti ad ogni schifezza compiuta specialmente dentro le mura del tempio, il Dio che dà senza aspettarsi nulla in cambio, il Dio delle gerarchie, quelle vere che non hanno bisogno di gradi, il Dio che ha fame e sete di giustizia, il Dio della strada stretta, tortuosa, in salita, difficile, accidentata, il Dio dei poveri cristi, il Dio di una chiesa dell’intra omnes e non quello dell’extra omnes.

*  

Alla fine di questo percorso auguro loro - se sarà questa la loro Vocazione - di caricarsi anche del fardello del pastorale (se non proprio quello di una ferula papale: mai porre limiti alla divina Provvidenza), impugnandolo tuttavia non in qualità di caudatari, ma, possibilmente, in qualità di titolari.

Sempre, però, sulle orme di Francesco.

Antonio Mellone
 
Di Redazione (del 28/11/2014 @ 23:10:22, in Comunicato Stampa, linkato 3008 volte)

L’Amministrazione di Cutrofiano si appresta a concludere un vergognoso accordo con la Colacem, in danno del territorio, dell’ambiente e di tutta la comunità locale.

Per un obolo di 50.000 euro l’anno – il classico piatto di lenticchie – l’Amministrazione Comunale intende sottoscrivere con la Colacem s.p.a. una nuova convenzione quinquennale, che prevede un ampliamento di circa 5 ettari della cava “Don Paolo”; un’estensione che si somma ai 22 ettari (con profondità di 30 metri) esistenti, sacrificando i beni comuni alle ragioni del profitto e alimentando un’attività insalubre, anche se a norma di legge, che contribuisce al già grave inquinamento nel nostro comprensorio.

Questa svendita di territorio non servirà a ridurre le tasse per i cittadini, ma per rimediare ad errori amministrativi, espropri mal eseguiti e spese scriteriate di precedenti governi cittadini, che gravano sui nostri bilanci per quasi un milione di euro.

Occorre bloccare un patto scellerato, reso possibile dalle connivenze della politica locale, che ha trasformato questo nostro paese, dalle spiccate vocazioni agricole, turistiche e artigianali, in una colonia mineraria, il cui materiale di scavo viene esportato in tutto il mondo senza regole e senza limiti, per dare profitto ad una singola azienda privata.

Un patto così solido che consente ai rappresentanti della Colacem di affermare che fino a quando ci sarà argilla a Cutrofiano, Colacem scaverà per produrre il suo cemento; un’agghiacciante dichiarazione che fa comprendere quale sia il rispetto del territorio da parte dell’Azienda.

Un patto così vincolante che l’Amministrazione Rolli non ha scrupoli, per la sua attuazione, a tradire i propri impegni elettorali di realizzare “una politica di controllo, di contenimento e, se necessario, di contrasto nei confronti delle attività estrattive”.

Tutto ciò mentre il Registro Tumori segnala nel nostro Comune e nel comprensorio una mortalità per tumori polmonari nettamente superiore alle medie regionali e nazionali, e mentre autorevoli scienziati e operatori sanitari, non escludono la relazione tra le malattie registrate e le emissioni industriali e la qualità dell’aria nel territorio.

Ogni volta che decidiamo di distruggere, vendere o consumare il nostro territorio in modo irreversibile, rubiamo il futuro ai nostri figli!

Il progetto di ampliamento interessa un’area, a ridosso del Parco dei Paduli e nella fascia di rispetto del Canale Colaturo (classificato tra le acque pubbliche), di elevato valore paesaggistico, ed è stato già bocciato nel 2011 nell’ambito della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale.

Per questi motivi chiediamo all'Amministrazione comunale di Cutrofiano di:

A) Non approvare alcuna Convenzione con la Colacem che preveda l'ampliamento delle cave in cambio di un misero rimborso economico;

B)  Aprire un ampio confronto con i cittadini e con i Comuni vicini per valutare l'intera situazione ambientale ed economica connessa alle attività estrattive e quella del cemento;

C)  Dotarsi di una serie di Piani e Regolamenti finalizzati a tutelare il territorio, riqualificare le criticità esistenti e a individuare nuove prospettive economiche  ed occupazionali ambientalmente sostenibili.

Signor Sindaco e Signori Consiglieri, non svendete il nostro territorio e con esso il futuro di Cutrofiano!

Forum Amici del Territorio,
Italia Nostra sez. Sud Salento,
Consulta Ambiente C.S.V. Salento,

Forum Ambiente e Salute.

 
Di Redazione (del 24/06/2021 @ 23:07:55, in Necrologi, linkato 2676 volte)

Oggi, quando l’ambulanza ha sostato alquanto sotto la torre dell’orologio di Noha, il pensiero di quasi tutti gli astanti, chissà perché, è corso immediatamente a Gilberto, che, al di là del peso dell’età (aveva novant’anni), stava benone.

E così il campanone della chiesa madre ha dato conferma del trapasso di un uomo mite, di poche, pochissime parole, ma che ha di fatto ha rivoluzionato la storia del nostro paese. Lo sanno tutti che in via Trisciolo Gilberto (con l’inseparabile sua Pierina) gestiva un negozio di elettrodomestici, bombole del gas, cancelleria, idee regalo, giocattoli (la Befana di quei tempi faceva sempre un salto preventivo dal Gilberto), accessori per il mare, insomma decine, migliaia di articoli.

Ma Gilberto era molto di più che il negoziante di un bazar: era il confessore laico di molti, il confidente di tutti, discreto per indole e formazione, signore d’altri tempi, sempre elegante nella sua giacca e cravatta, dispensava consigli saggi, ed era pronto anche a redarguire nella pubblica piazza delinquentelli e facinorosi, di cui Noha non ha mai sentito la mancanza, mentre quasi tutti gli altri si giravano dall’altra parte, facendosi, come si dice, gli affari propri. Insomma ci teneva al decoro del suo Paese, e ci metteva la faccia. Altri tempi, altre persone, altro coraggio.

E oggi tutta Noha non può non essere grata a questo suo figlio per la storia che le ha regalato, ed è per questo che in un certo qual modo è in lutto comunitario, nonostante un virus in questo momento imponga una ritualità pressoché privata, intima, provando ad allentare quei legami che invece imperterriti continuano a tenere assieme una popolazione.   

Noha.it si stringe affettuosamente intorno a Pierina, a Claudio, Nunzia e Giannetta, ai rispettivi consorti e agli amati nipoti e a tutti gli altri parenti e amici.

Noha.it

 
Di Albino Campa (del 15/05/2012 @ 23:06:28, in Cultura, linkato 3424 volte)

Eccovi di seguito il secondo dei tre contributi alla Storia di Noha scaturiti dalle ricerche continue del nostro P. Francesco D'Acquarica

I nomi preferiti dalla gente

La popolazione si affidava quasi sempre alla tradizione che voleva venisse ripetuto il nome degli avi e dei congiunti più prossimi. Il nome assegnato ad un figlio, in caso di morte, veniva ridato al figlio successivo, a dimostrazione di quanto fosse importante il vincolo parentale.
A parte qualche antico nome di origine e di devozione della liturgia greca come per esempio Staurofila (amante della croce) per le donne o Basilio, Cipriano, Teodoro (Totaru), Gregorio… i nomi più diffusi erano:
Anzitutto Maria, il nome dolcissimo della Madonna, che  supera tutti con 382 volte. Poi viene quello del protettore del Paese e cioè S.Michele nelle diverse forme di Michele, Angelo, Arcangelo: 200 volte al maschile ma 77 volte al femminile come Angela o Michela.
Poi Anna con più di 100 volte, Giuseppe con 115 volte al maschile e 92 volte al femminile, Vito con 113 volte al maschile e 68 al femminile. Viene poi Antonio 184 volte al maschile e 92 al femminile. Ma anche Francesco con 90 volte al maschile e 45 al femminile, Donato con 97 volte al maschile e 68 al femminile, Carmine con 45 volte al maschile e 46 al femminile. Ma troviamo anche Lucia con 92 volte, Salvatore con 46 volte al maschile e 2 al femminile.

I figli di nessuno o proietti

Anche a Noha si era organizzati per accogliere, battezzare, curare o seppellire i figli di nessuno.
I nati abbandonati venivano posti in una sorta di cassetta rotante, detta ruota dei proietti, destinata ad accogliere coloro che con un'espressione più cruda e realistica venivano buttati via (dal latino  proicere  formato da pro e jacere,  gettare avanti a sè). Il termine projetto fu usato anche per indicare, unito al nome proprio, l'identità anagrafica dell'infante abbandonato che assumeva così quel cognome.
A Noha abbiamo delle annotazioni nei registri del 1800.

Ecco qualche esempio interessante.
* 10 Novembre 1810 - Liberato Leonardo nato da genitori incerti e da magnitivi del Governo esibitomi a battezarlo nella mia chiesa parrochiale portato dalla donna che introduce la ruota fissa nella casa destinata a Maria Caldarone, segni del proietto bambino coll'oruce­bicolo in volto in una fascia lacera con una pezza di lana nera e consegnato alla Nudrice Rosa Casaluci di Nohe.
Ma il nostro piccolo Liberato Leonardo non ce la farà. Pochi mesi dopo lo stesso parroco ci parla della sepoltura nella sua chiesa parrocchiale, informandoci anche del nome del Sindaco di Noha in quell’epoca.
Infatti leggiamo:
* Le 4 Febraro 1811 - A dì sudetto alle ore venti del giorno è morto un proietto espo­sto alla ruota  procreato da genitori incerti alle diece del mese di novembre  da me battezzato ed imposto il nome Liberato Leonardo e con ordinativo del Sindaco D. Fortunato Tondi l’ò data nella mia parrochiale chiesa la sepoltura.

Altri casi.
* 28 Ottobre 1817 - Dalla donna che abita nella casa delli esposti mi è stato portato un proietto quale ò battezato e li ò imposto il nome Giovanne, procreato da Padri incerti.
* Le 29 8bre del 1817 - E' morto un figliolo proietto di giorni due per nome Fortunato Simone ed il suo corpo è sepelito nella chiesa parrochiale.
* Adì  19 Marzo 1709 - Io D.Nicol'Antonio Soli Arciprete della Chiesa Parrocchiale di Nohe ho battezzato un'infante ritrovato esposto à  dì  18 detto 1709 ad hore  due di notte avanti alla casa di Sabbatino Benedetto, nato da un giorno in circa, e portava il biglietto che havesse havuto la forma et impostoli il nome Giuseppe, et io pred.to Arciprete per star più sicuro del sacramento l'ho fatto portare in chiesa e l'ho battezzato sub condizione con il medesimo nome di Giuseppe, il padrino fu Orazio Donno chierico selvaggio di Nohe.
* Adì 15 Marzo 1719 - Io sotto scritto Arcipr. della Parrocchial Chiesa di Noe ho battezzato una infante ritrovata esposta à dì 14 detto ad hore due avanti giorno nella porta piccola della nostra madrice chiesa sopra la Carnara ritrovata da Domenico Marrazzo, Sindico hodierno e da Angel'Ant.o Fonzeca primo auditore di questa Città di Nohe, nata da giorni venti in circa, li fu posto il nome di Fortunata, questa portava una cartella sopra di essa, e diceva così: Batteggiata  Antonia Fortunata. Et io per stare più sicuro della validità del sacramento l'ho fatto portare in chiesa e l'ho battezzata secondo il Rito della S.R.Chiesa; però sub condizione, si non es baptizata ego te baptizo; la commare fu Marina Prudenzano di questo casale di Nohe.
* 28 Ottobre 1817 - Dalla donna che abita nella casa delli esposti mi è stato portato un proietto quale ò battezato e li ò imposto il nome Giovanne, procreato da Padri incerti. D. Oronzio Arc. Stifani.
* 11 Settembre 1821 - Mi è stato portato in Chiesa un esposito ritrovato nel suburbio di Nohe da Padri incerti procreato per nome Liberato …
* Noha li 27 Novembre 1832 - Gaetana de Lelli, figlia di padre e madre ignoti  fu battezzata da me sottoscritto che mi fu lasciata all’uscio della mia porta ad ore sei.

Casi di povertà

Molte volte il Parroco sottolinea la situazione di povertà con l’espressione “fu sepelita dentro questa mia parrocchial chiesa per carità siando povera”, che semplicementevuol dire che il funerale fu  fatto gratuitamente, perché persona povera.

* Nel 1810 di una certa Giovanna Ramundo consorte di Paschale Cascione coniugi un tempo di Nohe degenti in feudo, in età di anni 40 fece passaggio da questa a meglior vita, lasciò due filli non possedeva casa di abbitazione ne poteri di sorte alcuna, ma povera in Christo ed alle ore  ventidue  del giorno si fecero l'esequie.

* Bella anche questa testimonianza del 1811 dove leggiamo che la
Vedova Angela Sesini della Terra di Martano povera in Christo in età di anni 60 fece passaggio da questa a meglior vita mentre dimorava nel casino di campagna del Rev. Arciprete di Galatina. E’ da apprezzare la generosità dell’arciprete di Galatina che aveva messo il suo casino di campagna a disposizione di questa poveretta.

* E fa tenerezza questa informazione del 1816 dove con pudore il parroco accenna alla quindicenne Vita Barazzo della terra di Aradeo povera figlia che andava elemosinando in età di anni quindeci ricevuti anticipatamente li santi  sagramenti … ecc. ecc.

Oppure il caso di una vedova che:
* 1811 - non possedeva casa di abbitazione ma abbitava in casa locanda, non possedeva sorte di poteri nessuna, ma poverissimo in Gesu Christo, ed alle ore ventiuna del giorno si fecero l'esequie nella mia parrochiale dove il suo corpo sepolto giace nella mia chiesa parrochiale.

Sono tutti casi di povere donne che vivono di stenti. Una volta ho trovato la descrizione al maschile e si tratta di un anziano di 65 anni che fu sepelito per carità siando povero.

 
Di Redazione (del 19/02/2013 @ 23:06:05, in Un'altra chiesa, linkato 3359 volte)
Premessa. Molti amici e molte amiche mi hanno subissato di e-mail e di messaggi per chiedermi che cosa penso delle dimissioni del papa. Poiché sto preparando un libro per l’editore «Il saggiatore» in cui chiedevo le dimissioni di questo papa per manifesto fallimento, ho dovuto ripensare come fare e cosa fare del lavoro svolto. Ho pensato di aggiungere un capitolo e di metterlo come cappello all’intero libro. Alla notizia dell’Ansa, la mia prima emotiva reazione è stata: sono stato superato a sinistra da un papa. E’ la fine! Non pubblico più il libro. Poi, a una più puntuale e attenta riflessione, ho capito che quelle dimissioni rendevano il libro ancora più necessario, anzi gli davano fondamento e argomento. Senza di esse, il libro poteva apparire come lo sfogo di un prete «arrabbiato» (anche se non lo era), ora con le dimissioni, i fatti e le ragioni ch espongo hanno il crisma della prova che anche il papa «non ne può più» e pone fine alle ,lotte intestine, ai tradimenti, ai giochi di potere, rompendo il giocattolo nella mani sacrileghe dei cardinali e dei curiali, corrotti e senza Dio. Pertanto per venire incontro a tutti, pubblico questo nuovo capitolo, appena finito, invitandovi, per il resto, ad aspettare l’uscita del libro per i primi di maggio. Alla luce dei fatti, anche il mio precedente romanzo «Habemus papam» acquista una dirompenza profetica inusitata perché il tempo di Francesco I si avvicina sempre più perché è ineluttabile. Ora torno alla revisione del libro, non risponderò ad alcuno perché dovrò consegnarlo entro il 20 di febbraio. Di quello che pubblico, potete fare l’uso che volete. Il papa si dimette. Finalmente un’ottima notizia Iniziai questo libro il giorno lunedì 13 agosto 2012, alle ore 16,57. In esso per almeno due volte chiedo le dimissioni di papa Benedetto XVI per fallimento palese come uomo, perché ha dimostrato di non essere in grado di gestire la curia romana col suo vortice d’intrighi, corruzione, scandali e immoralità. Finita la stesura, mi accingevo a rivedere il testo per limare e aggiustare; giunto a pagina 77, lunedì 11 febbraio 2013, esattamente sei mesi dopo, poco prima di mezzogiorno, lessi sul web il lancio dell’Ansa con la notizia dirompente, quasi in diretta, che Benedetto XVI, nel concistoro in corso, comunicava ai cardinali le sue dimissioni da papa. Il card. Angelo Sodano, presente, prendendo la parola subito dopo il papa, parlò di «un fulmine a ciel sereno». Il papa aveva riunito il concistoro pubblico dei cardinali per concludere tre canonizzazioni, tra cui quella degli «Ottocento Martiri di Otranto», uccisi il 14 agosto 1480 dai Turchi perché non vollero abiurare dalla loro fede e convertirsi forzatamente all’Islam. Finito il concistoro pubblico, il papa proseguì con un concistoro segreto, riservato ai soli cardinali presenti, circa una cinquantina, ai quali, in latino, comunicò la sua ferma e libera decisione di dimettersi da papa perché, - disse - «sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata (ingravescente aetate), non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero pietrino», stabilendo la data d’inizio della «sede vacante» alle ore 20,00 del giorno 28 febbraio 2013. La motivazione che il papa stesso offrì al mondo fu drammatica e lucidamente consapevole: Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato (L’Osservatore Romano CLIII n. 35 [2013] del 11/12-02, p. 1). Quando questo libro sarà uscito (fine aprile 2013), la Chiesa cattolica avrà un nuovo papa e anche un papa emerito, in una situazione speciale, ma non unica nella bimillenaria storia ecclesiale perché altri papi e antipapi hanno convissuto in epoche lontane. Basti ricordare papa Ponziano che, il 28 settembre del 235, rinunciò alla carica perché mandato ai lavori forzati in Sardegna, e papa Antero che gli succedette il 21 novembre dello stesso anno; oppure il mondano Benedetto IX che tra il 1032 e il 1044, espulso e tornato in carica a più riprese, convisse con Silvestro III, Gregorio VI e Clemente II. Volendo si può anche andare all’inizio del sec. XV, al tempo dei papi Gregorio XII e Benedetto XIII, dimessi dal concilio di Pisa nel 1409 perché scismatici. Oppure è sufficiente ricordare l’antipapa Giovanni XXIII (nome ripreso, senza paura, da papa Angelo Giuseppe Rocalli nel 1958) che coesistette con Urbano VI e Martino V, quest’ultimo eletto dal concilio di Costanza; oppure Eugenio IV, scomunicato e deposto con Felice V che abdicò in favore di Nicolò V nel 1447. Si può dire che nella storia con questo valzer di papi e antipapi, doppi papi e tripli papi, non si ha certezza della linearità della successione petrina; tra tutti i papi dimessi o deposti, fa impressione notare che il nome di «Benedetto» ricorre più di ogni altro. L’11 febbraio 2013 fu la volta di un altro Benedetto, numero XVI, il quale non fu obbligato da forze esterne dirette, ma prese la decisione, ponderandola nella sua coscienza e solo quando essa fu matura in lui, la comunicò, secondo le regole del Codice di Diritto Canonico che sancisce: Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti (can. 332 § 2). Il gesto di Benedetto XVI, superato lo stupore di rito, lasciò aperte, e tuttora lascia, molte congetture, dando forza ulteriore di verità alle pagine che seguono, perché è la prova che i fatti e le valutazioni che riporto, spesso molto dure, non sono solo fondate sulla realtà, ma travalicano l’orizzonte delle ipotesi e si collocano sul versante della drammaticità che assiste impotente alle dimissioni del papa. Se il papa stesso motu proprio si dimise perché non ce la faceva più a svolgere il suo ruolo, significava che il livello del degrado era arrivato a tal punto che solo un gesto forte, «un miracolo», poteva porvi rimedio. Per la prima volta il gesto delle dimissioni, non usuale nel mondo clericale dove tutto si misura sul perenne e sull’eterno, portò con sé un germe di cultura e di costume di «laicità». Esso scardinò, «come un fulmine a ciel sereno», la figura del papa dall’aurela di sacralità, dove ingiustamente era stata collocata e la riportò alle dimensioni dell’umanità ordinaria, là dove, uomini e donne stanno al loro posto fino a quando le forze spirituali e fisiche lo consentono. Per la prima volta, il papa in persona disse di non essere un «dio», o peggio, un idolo, ma di essere solo un uomo, e anche limitato, che deve fare i conti con le categorie della possibilità e dell’impossibilità. Nel mondo e nella teologia cattolici crollò un mito. Anzi, iniziò a crollare. Se, alla fine di questo libro, potevo avere qualche dubbio sulla durezza delle valutazioni, dopo il gesto del papa, ogni dubbio si è volatilizzato, perché ora l’esigenza di una grande riforma, non superficiale della Chiesa, è sempre più cogente e necessaria, specialmente «in capite», cioè nella struttura gerarchica che oggi è lo scandalo maggiore dentro il cuore stesso della Chiesa. Giovanni Paolo II (come vedremo più avanti) si era detto disposto a mettere in discussione l’esercizio storico del ministero pietrino e ora Benedetto XVI, suo successore, pose il primo atto di riforma in quella direzione. Il papato non può più essere lo stesso e il potere temporale, formalmente finito il 20 settembre del 1870, di fatto, cominciò a terminare l’11 febbraio 2013, memoria liturgica della Madonna di Lourdes e anniversario dei «Patti Lateranensi», che formalizzarono la coesistenza del pastore e del capo di Stato nella persona del papa. La Storia è una grande maestra di vita, proprio perché non insegna nulla, se è vero che ciascuno vuole compiere fino in fondo i propri errori; essa però si vendica, creando occasionalmente motivi e circostanza e simbolici che valgono più di un trattato scientifico. Nello stesso giorno in cui il papa era riconosciuto come capo del Vaticano (1929), il papa dichiarava al mondo intero di non essere più né capo di Stato né vescovo di Roma perché non era più in grado (2013). Una rondine non fa primavera e i cardinali, ovvero la curia, sono duri a morire. Essi non arriveranno mai a prendere decisioni per scelta, ma da sempre si rassegnano a quelle cui sono costretti dalla storia o dalle convenienze. Il papa cessò di essere vicario di Cristo, titolo quanto mai controverso nella storia della teologia, per restare soltanto il successore di Pietro in un «servizio» a tempo, camminando in tempo per essere in grado, eventualmente, di arrivare in tempo. Lo disse, in modo disarmante, lo stesso Benedetto XVI: «Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti». Con queste parole, egli confessò il suo limite cedendo alla dittatura della fragilità, non solo fisica, ma anche concettuale; lui, uomo di cultura e di studio, non era in grado di reggere i bisogni dei tempi di «oggi» e se non si fosse ritirato in tempo, avrebbe rischiato di mancare l’appuntamento con il Signore che nella sinagoga di Nàzaret, all’inizio del suo «servizio», disse con fermezza e competenza: «Oggi questa parola si compie nei vostri orecchi». Oggi, non ieri, non domani, non in un tempo che si rifugia nell’eternità perché ha paura dell’evolversi della vita, ma solo ed esclusivamente «oggi». Dio e il vangelo sono «oggi». E’ l’oggi di Dio. Benedetto XVI, ormai papa-non-papa, disarmato, e, oserei dire illuminato dallo Spirito, cedendo alla violenza della ragione, depose i sacri paramenti che difendono dalla mondanità esterna, prese atto che «il velo del tempio si era spezzato, da cima a fondo» e lasciò «il sacro soglio» che più prosaicamente si trasformò in una «sedia presidenziale», occupata da un incaricato per il tempo necessario al «ministero affidato». Finito il compito, si lascia la sedia e si torna a pregare e, se c’è, a convivere con la sofferenza. Cristo non ha lasciato la «sua» Chiesa ad alcuno, nemmeno al papa, perché ci ha garantito di essere «sempre con noi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,28). Egli chiama quanti sono disposti a dargli una mano perché ognuno svolga una sola delle «multae mansiones in domo Patris» (Gv 14,2). Anche il papa. Specialmente il papa, che deve dare l’esempio di non essere strumento o manipolatore di potere. Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato. Gli intrighi medievali e rinascimentali della curia romana non sono finiti. Le dimissioni del papa ne sono una prova, anzi un atto di accusa grave e impotente, come se il papa inerme dicesse: non sono in grado di reggere questa sentina che schizza da ogni parte. Se i cardinali e il segretario di Stato fossero stati uomini dello Spirito, avrebbero preso come criterio di vita le parole del Signore che invitano a un genuino spirito di servizio. Forse, in un clima e in un contesto di preghiera e di abnegazione, lo stesso gesto delle dimissioni papali, sarebbe stato motivato in modo diverso e sarebbe anche apparso meno dirompente: «Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17,10). L’inutilità di cui parla Gesù non è comportamentale o funzionale, ma appartiene alla logica della verità e del servizio: non sono più adatto. Il testo greco usa l’aggettivo «achrèios», composto da «a-» privativa e dal verbo «cràomai – io uso/compio», per cui «non sono più nelle condizioni di agire/compiere». La curia romana, purtroppo, da sempre ha usurpato il ministero pietrino al successore di Pietro, relegando questi a una funzione di appariscenza, con un ruolo di approvazione formale, riservando per sé il potere quotidiano, quello invisibile, quello vero, come nomine dei vescovi in primo luogo, scelti tutti per cooptazione e quindi ricattabili con la tentazione della carriera. Benedetto XVI, specialmente dopo gli scontri delle fazioni contrapposte, avvenuti davanti ai suoi occhi e dopo la constatazione che nemmeno la sua scrivania e il suo studio fossero più sicuri, se qualcuno poteva trafugare documenti, anche riservati, aprì gli occhi e vide. Vide e toccò con mano che la sporcizia, la corruzione, il malaffare, l’inganno e la menzogna erano moneta corrente nella sua Città, nella sua casa, nella Chiesa di Dio. Il «fumo di Satana» che Paolo VI, terrorizzato, aveva evocato nel 1968, per Benedetto XVI assunse un nome e una collocazione. Il fumo diabolico del carrierismo e delle lotte intestine per accaparrarsi il potere e imporre la propria immagine di Chiesa, invadeva il Vaticano e annebbiava le menti e gli occhi dei cardinali che, a papa ancora vivo, cianciavano di scenari di morte. Forse, per la prima volta, il papa si rese conto che il male sovrastava la Città del Vaticano e le iene erano in agguato per sbranarlo a pezzi senza pietà e misericordia. Gli uomini di Dio, quando vivono e agiscono senza Dio, sanno essere tragici e anche comici allo stesso tempo perché perdono il senso del ridicolo e riescono anche a prendersi sul serio. Lo Ior, con tutto il marcio che custodisce nei suoi forzieri, scoppiò in mano al papa che volle a capo dell’istituto una persona di sua fiducia perché lo riportasse alla legalità. Non solo non riuscì, ma, a sua volta, fu indagato dalla magistratura e dalla banca d’Italia per riciclaggio e costretto alle dimissioni dal segretario di Stato. Mons. Carlo Maria Vigano (v. sotto), uomo giusto, aveva avvertito il papa che monsignori e cardinali erano ladri e corruttori a forza di tangenti in Vaticano e fuori; per punirlo della sua onestà, fu allontanato dal vaticano e mandato oltre oceano. Di fronte a questi misfatti, non avendo la forza d’imporsi e di licenziare i figli delle tenebre, primo fra tutti il suo segretario di Stato, il papa fece quello che un uomo mite e debole sa fare: si tolse lui di mezzo per disarmare le mani dei suoi nemici. Per fare dimettere tutti e riportarli alla dimensione della ragione e della fede, se qualcuno credeva ancora, rassegnò le sue dimissioni, consapevole che con esse sarebbero decaduti tutti i detentori di qualsiasi incarico. Il fallimento dei colloqui con i lefebvriani, che si sono approfittati della sua eccessiva benevolenza, come dimostro più avanti, alzando sempre più il tiro per indurlo a dichiarare formalmente che il Vaticano II fu un «concilio minore», anzi non può essere annoverato neppure tra i concili perché «eretico», dovette averlo molto amareggiato e forse si è pentito di avere tolto loro la scomunica. Prima, nel 2007, con la concessione senza condizioni della Messa preconciliare, il papa s’illuse che avrebbe potuto dialogare con essi e si adattò alle loro richieste, ma alla fine capì che non era per amore della Chiesa che essi volevano ritornare, ma solo per prendersi una rivincita dottrinale: il vero peccato di orgoglio, il peccato di Adamo ed Eva che non ha mai abbandonato il ceto clericale. Non potendo mettere d’accordo coloro che avrebbero dovuto «naturalmente» andare d’accordo, osservando come ciascuno perseguisse il suo interesse a danno di quello della Chiesa, il papa li costrinse a prendere coscienza che egli non poteva stare dalla loro parte; si tirò fuori e pose, come i profeti della Bibbia ebraica, un gesto fisico, un gesto che parlasse più delle parole: Mi dimetto. Con questo gesto egli affermò che la Chiesa è di Cristo e che nessuno ha il monopolio dello Spirito Santo. All’obiezione di chi sicuramente cercò di bloccarlo dicendogli che «alla paternità non si può rinunciare», il papa rispose, parlando con i fatti, che la paternità è solo di Dio e noi ne partecipiamo secondo la grazia e la possibilità, la misura e le condizioni. Le dimissioni del papa pongono sul tappeto della teologia, la questione che è rimasta irrisolta anche al concilio Vaticano II, la stessa che il Vaticano I non aveva nemmeno affrontato, sbilanciando così l’autorità solo sul versante del papa. La questione riguarda la collegialità dell’esercizio dell’autorità nella Chiesa. Con la dichiarazione dell’infallibilità (vedi sotto) a beneficio esclusivo del papa, per oltre un secolo, la Chiesa è stata zoppicante e le conseguenze si vedono ancora oggi. Con le dimissioni di Benedetto XVI, l’anziano papa dice, forse senza volerlo, che l’autorità papale non è più assoluta, ma relativa, perché dimettendosi inidoneità «all’adempimento del suo ufficio», egli fa rientrare la figura del papa nella normalità della legge che esige le dimissioni (enixe rogatur – è fortemente invitato) di ogni vescovo in qualsiasi parte della Chiesa (CJC 401 §2). Tornando alla chiesa di comunione che è incompatibile con la chiesa piramidale verticistica, si afferma la necessità, non più procrastinabile, di un concilio che stabilisca i confini dell’autorità papale e nel contempo affermi i diritti dei vescovi che tornano a riprendersi la loro natura di «epìskopoi – custodi/sorveglianti» e non più luogotenenti o commissari governativi del papa-re o, ancora peggio, padroni di una porzione di Chiesa. Le dimissioni di Benedetto XVI rientrano nella categoria dei «segni dei tempi», che oggettivamente sta lì, spetta a noi leggerle in qull’ottica e da quella porspettiva che ci impegna a interrogarci sul loro significato che hanno in sé e nel futuro della Chiesa. Che cosa Dio vuole dire alla Chiesa di oggi, con il gesto di un papa che spontaneamente rinuncia al potere assoluto, all’immagine di sacralità di cui la sua funzione ra circonfusa per ritornare a essere un uomo di preghiera e di silenzio? San Paolo direbbe che questo momento è «un’occasione favorevole – un kairòs» per mettersi in ascolto di ciò che il Signore vuole dire alla sua Chiesa all’inizio del terzo millennio. Se deve nascere una nuova Chiesa, dipende anche da noi, perché Dio manda i suoi «segni dei temi», ma non si sostituisce alla nostra responsabilità e nemmeno conculca la nostra libertà, anche se è un impedimento alla realizzazione di un suo disegno. Dalle ore 20,00 del giorno giovedì, 28 febbraio 2013, memoria liturgica dell’asceta san Romano abate, vissuto a cavallo dei secoli IV e V, inizia un nuovo cammino per la Chiesa di Dio: esso può prendere la direzione del Regno attraverso la Storia, oppure il sentiero della paura verso il passato ala ricerca di una sicurezza che nessuno può dare perché è solo lungo il cammino che con i discepoli di Emmaus, sentiremo il cuore scaldarsi e alla fine, solo alla fine, scopriremo il volto del Signore nello «spezzare il pane». Spetta al nuovo papa e alla curia, di cui vorrà dotarsi, dimostrare con i gesti e la testimonianza che Dio è tornato a vivere in Vaticano perché i suoi abitanti, a cominciare dal papa, convertiti, hanno di nuovo cominciato a credere in lui, dandone anche testimonianza quotidiana. Il prossimo papa non potrà più erigere davanti a sé, o permettere che altri erigano, una cortina d’incenso, ma deposte le sontuose vesti della sacralità e preso un bastone, una tunica e un paio di sandali, dovrà scendere sulle strade del mondo per camminare accanto agli uomini e alle donne del suo tempo alla ricerca dei brandelli di Cristo disseminato nella Storia del mondo e delle singole persone. Ascoltando le parole di Benedetto XVI, con grande rispetto, ma reputandolo allo stesso modo colpevole e responsabile del degrado in cui versa la Chiesa, posso affermare che questo libro doveva essere scritto, come è stato scritto. Lo affido anche al nuovo papa, perché nello spirito di Francesco I, ripari la sua Chiesa e, senza paura, ma con la forza della sola fede, si lasci afferrare da Cristo per salire il monte delle Beatitudini e poi riscendere sulla pianura del Magnificat. E’ giunta l’ora ed è questa. Oggi.
 
Di P. Francesco D’Acquarica (del 13/12/2012 @ 23:05:28, in NohaBlog, linkato 3506 volte)

Il Natale della mia infanzia. Altri tempi.
Il consumismo e la profanazione moderna non erano ancora di moda.
Le luminarie per le strade la prima volta le ho viste in America quando negli anni ’60 fui missionario in Canada. In Italia sono arrivate più tardi. L’albero di Natale: anche quello è un’invenzione americana. Non parliamo poi di “Babbo Natale” che credo sia la profanazione del Natale cristiano.
La cultura nostrana prevedeva usanze e tradizioni più consone al nostro ambiente religioso, sociale e cristiano.
Già all’Immacolata si cominciava a gustare l’anticipo di una festa tanto cara con l’assaggio delle pittule. E’ vero che nella festa della Madonna era tradizione che si mangiassero le pucce, ma  l'assaggio delle pittule per i bambini era il segno che la festa del Natale era vicina.
Nelle famiglie e in chiesa si faceva il presepio.

Il presepio nelle famiglie di solito era costruito dal figlio più grande, coadiuvato dalla mamma. In quel tempo nelle nostre famiglie c’erano molto figli. Il più grande di dolito costruiva, gli altri, giocando, disturbavano. La mamma era orgogliosa di far vedere il capolavoro artistico dei suoi figli ai vicini di casa.
Le statuine non sempre era possibile acquistarle, perché la cassa familiare non lo permetteva. E allora si costruivano artigianalmente. Noi ragazzi andavano sulla strada vicino al Calvario (in quel tempo le strade non erano asfaltate): era lì soprattutto che si poteva trovare terra molto argillosa come creta e, una volta a casa, costruivamo i “pupi”: non erano dei grandi capolavori d’arte, ma facevano la loro figura.
Si sceglieva, così, un angolo della casa (di solito nella stanza de nanti): si disponevano alcuni “cippuni” presi dalla campagna, che opportunamente ricoperti di carta dovevano dare l’idea delle montagne (da qui il proverbio metti cippone ca pare barone), un po' di rami di pino sullo sfondo, fiocchi di bambagia per simulare la neve, ed infine l'angolino per la santa natività. L'illuminazione era costituita da qualche torcia elettrica. Gli addobbi di contorno erano  costituiti da pigne, arance e qualche confetto.

Il presepe in chiesa madre era posizionato di fronte, a destra di chi guarda, vicino all’altare dell’Immacolata.
Con una scala a pioli di legno, altissima, che arrivava fino all’altezza della volta della chiesa, mesciu Piethru, il sagrestano della mia infanzia, dal punto più alto, quasi alla volta della chiesa, faceva scendere un grande drappo colore roccia che, partendo da un unico punto, arrivava a terra allargandosi a forma di triangolo fino a coprire il tavolo che faceva da base al presepio. Le statue erano di grandi dimensioni, diciamo proporzionate all’ambiente della nostra chiesa parrocchiare. Non c’erano lucine a intermittenza o giochi di luci, come si usa oggi, ma una lampada elettrica e tanti lumi a olio e candele. E fu così che una volta il fuoco distrusse tutto il drappo ornamentale che partiva dall’alto e parte del presepe. Si salvò soltanto la bellissima statua di Gesù Bambino, quella stessa che oggi si usa piazzare di fronte all’altare.
In chiesa si andava tutti per la novena che cominciava e comincia ancor oggi il 16 dicembre. In quel tempo non esisteva la celebrazione della Messa vespertina. Tutto il paese partecipava alla novena, pregando e cantando quasi all’unisono.
All’ora stabilita, di solito quando faceva buio e il lavoro dei campi non era più possibile, cominciava la santa novena. Anzi nei paesi vicini (come per esempio ad Aradeo) negli anni ottanta ho predicato la novena di Natale che aveva luogo addirittura alle 5 del mattino. Anche a Noha (anche se non ricordo bene tutti i particolari) si usava celebrare la novena di Natale nello stesso modo.
Noi chierichetti indossavamo la tunica rossa con la piccola cotta bianca. Don Paolo Tundo, l’Arciprete, si metteva il piviale bianco, che la gente chiamava la cappa magna. E mentre i fratelli Piscopo (uno suonava l’organo a canne con mantici manuali e l’altro cantava) eseguivano le strofe in latino dei canti - ai quali si univa la voce potente dell’Arciprete - il sottoscritto, che era il capo dei chierichetti - usciva nel vico S.Michele, la strettoia dietro la chiesa, per cercare presso le famiglie (molte dimoranti in veri e propri tuguri riscaldati dai camini a legna) un po’ di brace per l’incensiere che poi sarebbe servito alla conclusione dei riti della novena.
Tutta l’assemblea cantava in latino il ritornello “Regem venturum Dominum”. Il rito si concludeva con la benedizione eucaristica con l’ostensorio delle occasioni solenni. E lì il mio incensiere, colmo di brace, doveva effondere nell’assemblea le volute d’incenso che davano senso alla preghiera e profumo di paradiso.

P. Francesco D’Acquarica

 
Di Fabrizio Vincenti (del 17/10/2012 @ 23:04:04, in Cronaca, linkato 2636 volte)

Corre voce che in Salento, qualche spettabile medico, impiegato di turno presso le varie aziende ospedaliere, che ricordiamolo bene sono strutture pubbliche, finanziate con soldi pubblici (cioè nostri), nonostante ci si presenti con la ricetta dopo anche svariate settimane di attesa per un controllo, richieda agli sventurati pazienti, preoccupati per le loro diagnosi, soldi in contanti. Ricordiamo bene a tutti quanti che i medici impiegati presso le aziende ospedaliere già percepiscono uno stipendio di tutto rispetto (provate a spulciare le loro retribuzione su internet, sono pubbliche) e non possono ASSOLUTAMENTE chiedere denaro quando visitano nel mentre sono impiegati di turno presso un’azienda pubblica come può essere un nosocomio. Poiché regna tanta omertà, ed è quella che rende il sud come il nord una schifezza, si invitano tutti gli sventurati di turno, senza aspettare sempre Striscia la Notizia, ad andare direttamente dal comando della Guardia di Finanza più vicino e denunciare questi criminali senza scrupoli, senza farsi tanti problemi. Nessuno può chiedervi altri soldi se è impiegato di turno presso una struttura sanitaria pubblica se non il ticket sanitario che tutti ben conosciamo. E se i genitori o i nonni sono un po’ troppo distratti su questi aspetti, ci pensino i figli o i nipoti ad indottrinarli perché è ora che questi soprusi finiscano una volta per tutte. E se mai dovreste sottoporvi a visita medica privata, richiedete sempre, dopo aver già pagato (in modo che nessuno vi imbrogli con lo scherzetto che “con la fattura costa di più”), la ricevuta fiscale ai medici, ai fisioterapisti, ai cardiologi, ai dermatologi, ai dentisti e a tutti quelli che sono tenuti a rilasciarvela PER LEGGE, e che con i nostri soldi si costruiscono quelle belle ville che vedete in pietra leccese e che tutti invidiamo. Ricordiamoci che le cose si cambiano a partire dal quotidiano e dal nostro piccolo. Denunciate le ingiustizie se credete di essere onesti!

Si prega di dare massima diffusione a questo messaggio.

Fabrizio Vincenti

 
Di Redazione (del 26/04/2021 @ 23:01:56, in Lettere al direttore, linkato 1192 volte)

Oggi voglio raccontare una storia, una storia di ordinaria ingiustizia, una delle tante, non la mia, ma quella di mio padre, classe ’48. Oggi, a distanza di un anno dall’inizio di questa pandemia finalmente, seppur in ritardo, è il suo turno per la somministrazione della prima dose di vaccino. Oggi 26 aprile 2021 alle 9,50 siamo in fila insieme per raggiungere quel diritto così tanto atteso. Un diritto che ad oggi sa più di abbracci mancati a nipoti e figli,  di telefonate lontane che non hanno il dono della presenza, un diritto che sa che di paura, reclusione e dolore, per chi come mio padre ha perso un fratello in dieci giorni a causa del Covid. Siamo lì insieme al centro polivalente in via Don Bosco a Galatina e sin da subito capisco che non sarà un buongiorno il nostro.

“Mi scusi Signora, ma suo padre non risulta in elenco, deve tornare in farmacia dove ha fatto la prenotazione e lì le diranno cosa fare”. Insieme al volto sgomento di mio padre, tanti altri volti in fila come il suo sono nella stessa situazione, il più dei quali soli, non tutti hanno la fortuna di aver figli disoccupati come il mio.

Torniamo in auto, mio padre inizia ad agitarsi, lo sono anch’io, ma bisogna rimanere calmi, un diritto è un diritto e tutto si risolverà, gli dico. Di corsa arrivo in farmacia, lui mi aspetta in auto, o meglio ci gira intorno per tutto il tempo. Verifico la prenotazione. “È tutto ok signora, ritorni al centro polivalente, non si capisce perché rimandano indietro le persone con tanto di prenotazione, noi dai qui più che stamparne un’altra identica non possiamo fare”.

Torniamo al centro, nel frattempo la protezione civile fa su e giù per cercar di risolvere il problema, i prenotati non in lista aumentano e inizia il malcontento e lo sgomento generale. “I prenotati non in lista da questa parte”, su e giù di gambe e poi, “i prenotati non in lista vengano con me,  un medico li attende per parlarci”. Inizia la processione dei disperati al seguito dell’operatore di protezione civile che ci conduce in una stanza.

“Guardate sarò franco con voi, stanno combinando un casino con queste vaccinazioni, perché l’unica cosa che conta e far passare il messaggio che le vaccinazioni stanno procedendo. Non siete in lista perché le vaccinazioni si stanno sovrapponendo, non ci sono dosi previste per voi, ma ci sono 100 dosi di AstraZeneca che se volete possiamo farvi. Proprio stamattina abbiamo ricevuto una circolare che la classe 60-70 anni”, bla bla bla… non presto attenzione, la rabbia prende il sopravvento, mio padre ha 73 anni, diabetico, cardiopatico, ex soggetto oncologico, assume farmaci anticoagulanti e non può fare l’AstraZeneca. Chiedo parola, comunico quanto appena ho riportato al medico e il suo sguardo appena capisce che non può fare quel vaccino volge altrove, avanti il prossimo, caso risolto, grazie e arrivederci. Nessuno in quella stanza ha detto Signor Bellone, prendo nota del suo nominativo, la richiameremo a breve per fissare un altro appuntamento e ricevere la dose di  Pfizer a cui ha diritto, ci scusi per il disagio, ma il suo diritto è al sicuro.

Usciamo da quel centro, il volontario della protezione civile ci scorta mortificato, rientriamo in auto e mio padre inizia a piangere e mi dice ”portami a casa, non voglio fare più niente” e lì mi dico “ecco questa è la risposta che il 99% dei “bravi” cittadini davanti alla violazione di un diritto hanno, l’impotenza, la rinuncia, ma io sono o no una disoccupata per giusta causa, sono o no  parte di quell’1% che non ci sta più a subire le ingiustizie senza dire nulla. Quel “così vanno le cose” impotente, sordo,  oggi non sarebbe stato muto, perché siamo noi a scegliere di subirlo, novantanove volte su cento.

Lo riporto a casa e inizio a muovermi, chiamo il medico di famiglia, racconto l’accaduto alla segretaria che mi dice, “non è possibile, io prendo il nominativo di tuo padre, ma non  so se e quando riuscirà a fare il vaccino, lui per età e patologie ha diritto a Pfizer e noi per ora abbiamo ultimato le liste di prenotazione e non so se ce ne saranno altre, ci sarebbe da chiamare i carabinieri”.  Carabinieri, parola sentita già più volte nel corso della giornata. Torno al centro polivalente, scettica, ma convinta di volerci veder chiaro. Chiamo tre volte il 112 per richiederne l’intervento, nessuna risposta. Mi rimetto in auto e vado alla stazione dei carabinieri di Galatina, trovo ascolto e comprendo di non esser la prima ad esser ascoltata lì per questioni legate al vaccino, ma l’unica strada percorribile con loro è la denuncia, il coinvolgimento di un avvocato e probabilmente alla risoluzione dell’ingiustizia mio padre sarà già morto di  morte naturale. Oppure, altra strada proposta dai carabinieri,  è scrivere il mio reclamo nella sezione online prevista dalla Regione Puglia relativa ai disservizi sanitari. Uno di quei servizi in cui nella migliore delle ipotesi la risposta è “Gentile cliente, attualmente tutti gli operatori sono occupati la preghiamo bla bla bla…”

Ci sarà un garante per il diritto alla salute? Inizio a cercare informazioni e scopro che esiste. Wow esiste! La figura del Garante per il Diritto alla Salute è stata istituita nel nostro ordinamento dall’art. 2 della legge 8 marzo 2017, n. 24 “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, meglio nota come legge Gelli, non Licio Gelli, che quella pure è un’altra storia tutta italiana.

Il difensore Civico, nella sua funzione di garante per il diritto alla salute può essere adito gratuitamente da ciascun soggetto destinatario di prestazioni sanitarie per la segnalazione di disfunzioni del sistema dell’assistenza sanitaria. Sale quel minimo di entusiasmo necessario, ma prima di cantar vittoria, cose del tipo basta un poco di zucchero e la pillola va giù, scopro che tale figura, quella del Garante, è nella realtà un centauro, un ippogrifo, una creatura leggendaria annoverata nella mitologia classica, giacchè solo 3 Regioni su 20 risultano aver dato attuazione a tale figura. E la Puglia? No, in Puglia per inciso pare non sia operativa neanche la funzione del Difensore Civico, pur istituito da legge regionale nel 1981. Pare non sia necessaria, pare che il principio  del “così vanno le cose”, di cui sopra, sia un ottimo regolatore delle controversie e che questo basti a sentirsi tutelati nei propri diritti.

Volete sapere com’è andata a finire la storia per ora?

Mio padre, risulta formalmente rinunciatario del vaccino, non può richiedere un’altra prenotazione in farmacia e, a meno che il medico di famiglia non riapra la sua lista interna quando e come non si sa, sarà l’ennesimo caso di privazione di un diritto. Ma è un uomo fortunato, ha una figlia disoccupata che aveva tempo da perder per raccontare questa storia, per lui e per tutti quelli che come lui conoscono solo il verbo del “così vanno le cose e così devono andare”

Mariangela Bellone

 
Di Albino Campa (del 07/07/2011 @ 23:01:46, in RadioInOndAzioni, linkato 3811 volte)

Eccovi di seguito un articolo a firma di Antonio Mellone sulla nostra 'RadioInOndAzioni' apparso sull'ultimo numero de "il Titano", supplemento economico de "il Galatino", n. 12 del 24 giugno 2012. Insomma W Interet Libero, W la libertà!

Il Titano La Puglia passerà al digitale terrestre entro la fine del corrente anno o al massimo entro il primo semestre del 2012. Questa bella notizia apprendiamo leggendo il calendario del passaggio al digitale. Tradotto in parole semplici vuol dire che per poter guardare i programmi della televisione saremo costretti – come hanno fatto o faranno anche in altre regioni – a riempire le nostre case di alcune scatole chiamate “decoder” da collegare in qualche modo all’apparecchio televisivo. Senza questo decoder le nostre televisioni (a meno che non siano acquistate in tempi recenti con il marchingegno incorporato) diventerebbero un semplice soprammobile.

Fonti più che attendibili ci informano che il digitale terrestre di fatto è un digitale sottoterrestre (o extraterrestre: cioè roba dell’altro mondo), in quanto si tratta di un vero e proprio ferrovecchio, una tecnologia obsoleta morta e sepolta ma temporaneamente risuscitata dall’endemico italico conflitto d’interessi che sembra avere quale obiettivo precipuo quello di far fare i soldi a chi i soldi li ha già: in questo caso i proprietari (più ricchi) delle vecchie reti televisive. Il tutto a discapito dell’innovazione vera, della democrazia e della libertà d’informazione.

Per fortuna la realtà supera l’immaginazione al potere, e il futuro prima o poi arriva. Per fortuna, cioè, a prescindere dalle scelte politiche sceme, c’è una realtà che non vuol perder tempo, che va per conto suo, e soprattutto contro l’archeozoico vento sinistro degli insipienti e gli ottusi. E questa realtà è un mondo in fermento, ricco di idee e di persone libere, pronte a cavalcare le punte più avanzate della comunicazione non allineata attraverso l’utilizzo di una tecnologia che non potrà più essere fermata, tanto meno da un decreto ministeriale.

C’è una tecnologia che invece sta crescendo a ritmi esponenziali (almeno in altre parti del mondo non tanto distanti dal patrio Jurassic Park), ed è la connessione ad Internet.

In rete si possono vedere già da oggi, anzi da ieri l’altro, centinaia di canali televisivi: a condizione che la linea arrivi, che sia veloce e che abbia un costo ragionevole. L’Italia purtroppo sembra relegata ad uno degli ultimi posti quanto a connettività (a momenti la Libia ha più connettività di noi), visto che le suddette tre condizioni necessarie non sono pienamente realizzate, e questo per precise scelte strategico-politiche volte a trasformarci tutti in pecore mute da tosare in tranquillità e possibilmente con il sottofondo della voce del padrone.

Mentre in altre parti del mondo si studiano “ponti unici di comunicazioni”, come sta cercando di fare Microsoft con l’integrazione in Skype di molte piattaforme (MSN, Lync, Hotmail, Outlook, Exchange…), in Italia stiamo perdendo terreno, tempo e denaro con il digitale terrestre e con i decoder. Ma tant’è.

Per fortuna la realtà supera l’immaginazione al potere, e il futuro prima o poi arriva. Per fortuna, cioè, a prescindere dalle scelte politiche sceme, c’è una realtà che non vuol perder tempo, che va per conto suo, e soprattutto contro l’archeozoico vento sinistro degli insipienti e gli ottusi. E questa realtà è un mondo in fermento, ricco di idee e di persone libere, pronte a cavalcare le punte più avanzate della comunicazione non allineata attraverso l’utilizzo di una tecnologia che non potrà più essere fermata, tanto meno da un decreto ministeriale.

Queste persone non bisogna rintracciarle a “Chi l’ha visto?”, né dall’altra parte del globo, ma vivono e operano accanto a noi. Per accorgersene basta aprire gli occhi e magari connettersi in rete.

Uno dei protagonisti della locale rivoluzione cultural-tecnologica in corso è il mite ma determinato nostro concittadino Tommaso Moscara. Il quale, non pago dell’esperienza non semplice di aver dato i natali e linfa continua al cliccatissimo sito www.galatina2000.it, luogo ormai topico di incontro e di dibattito della Galatines’ community, s’è messo in testa anche di “fare la radio”: la neonataRadioIndOndAzioni(d’ora in poi Radioinondazioni).

Radioinondazioni non è una radio come le altre tradizionali che trasmettono con le frequenze in FM. Radioinondazioni – ascoltabile su Galatina2000.it e su Noha.it e sicuramente su altri siti sui quali è stata “importata” – è una web-radio, cioè  una radio on-line che permette agli utenti di tutto il mondo di collegarsi per ascoltare in streaming musica e pensieri trasmessi dal computer di un altro.

Moscara ha pensato bene che fosse ora di inondarci di novità a partire da Galatina, la bella addormentata nel Salento, e ha dato vita ad una radio che non è un juke-box senz’anima e a basso costo (i veri costi di una web radio sono il tempo da dedicarle, la determinazione, e la voglia di mettersi in gioco) ma un cuore vivo e pulsante, un collettore dinamico di arte dei suoni e informazioni, un marchingegno che ricorda il tempo rivoluzionario di trenta e passa anni fa, quello delle radio libere (di cui Tommaso sembra aver sempre avuto il pallino).

La prima web radio di Galatina, dunque, è un microcosmo che sta interessando una crescente fetta di pubblico giovanile (giovani di tutte le età, s’intende) grazie anche a quell’aggregatore di ascolti e moltiplicatore di social network che è Facebook, acceleratore di particelle di questa bellissima neorealtà. Sono questi i passi che porteranno anche in Italia il fenomeno che da tempo si registra negli Stati Uniti: cioè il sorpasso degli ascolti delle radio “solo web” su quelli delle radio in FM.

In un futuro non tanto lontano non ci si collegherà alla web radio soltanto stando seduti a tavolino con il computer (e internet) acceso, ma anche in mobilità, tramite I-Phone e altri apparecchi da casa, in auto, e persino in spiaggia, anche senza il bisogno di accendere il computer.

Nella neonata Radioinondazioni s’è voluto addirittura strafare con le novità. Ci sono dei programmi originali ed in diretta come il “Tutti pazzi per la radio” in cui la creatività di alcuni ragazzi straordinari di Galatina si manifesta in forme finora considerate inedite; ci sono programmi culturali di approfondimento sui libri, come quello condotto da Michele Stursi addirittura da Pisa (per una web radio lo studio è il mondo, nel senso che si può avere un ospite “in studio” anche a mille e passa chilometri di distanza); c’è ancora il programma “il Lunedì” condotto da Francesca dalla bella voce e soprattutto dalla dizione finalmente non marcatamente paesana, anzi attenta all’ortoepia, cioè alla corretta pronuncia delle singole parole, e dei suoni della lingua, ma anche alla forma e alla terminologia.

Sì, ci sia consentita questa breve digressione: la radio è una palestra per gli speaker e fare una radio glocal come questa che ha l’ambizione di travalicare gli angusti “confini provinciali” significa anche migliorarsi prestando attenzione all’accento, alla dizione ed alla cadenza, che nei limiti del possibile dovrebbero essere senza pesanti o meschine inflessioni (benché il nostro salentino non presenti intonazioni enormemente difformi da quelle della lingua nazionale). E finanche a Galatina s’inizia ad abbandonare il “carzilarghismo” per prestare finalmente attenzione alla rotondità del linguaggio studiato e connaturale insieme e alla ricerca di una cadenza che non stanchi e che non aberri dalla caratteristica modulazione della lingua italiana. Punto.

Non si può, infine, non citare “Quello che le donne non dicono”, il programma con la musica che si crea addirittura dal vivo. È la trasmissione-spettacolo condotta per due ore di seguito ogni venerdì a partire dalle 19.30 dalla pittrice Paola Rizzo, in diretta dal suo studio d’arte ubicato in Piazza Castello a Noha (e ritrasmessa in replica in altre giornate ed orari). Qui, di volta in volta, viene invitata una band emergente per live acustici in studio, come ad esempio i Rino’s Garden, gli Indi-Ka, i Muffx, gli Adria, i Camden, Gigi Cinto, i Ghigni Five, i Toromeccanica,  gli Shotgun, i Jack in the head, e tanti altri ancora. È incredibile la grinta e l’alto livello professionale di questi giovani gruppi dalla firma per lo più anglofona: il che la dice lunga sull’orientamento culturale prevalente.

Radioinondazioni è una radio giovane, alle prime armi, ma con tanta voglia di crescere e di trasmettere musica e programmi, anche di nicchia. Non avendo l’assillo dello share, infatti, su Radioinondazioni si potrebbe perfino parlare di filosofia o di matematica o di diritto o di beni culturali o di educazione civica, insomma di materie che – solo ad evocarle – potrebbero provocare l’urticaria da allergia alla massa dei grande-fratello-dipendenti.

Radioinondazioni ha molta strada da percorrere e, a detta del suo fondatore e dei suoi amici collaboratori, c’è ancora tanto da fare e migliorare, per esempio nella puntualità dell’inizio dei programmi o nell’organizzazione o nella pianificazione del palinsesto o in dettagli tecnici che talvolta hanno fatto registrare fastidiosi fruscii in cuffia soprattutto nel corso di qualche concerto dal vivo… Ma, a pensarci bene, questi sono lussi che Tommaso Moscara può permettersi. Questo coraggioso pioniere, infatti, ha il torto ed il merito di aver fatto la prima web radio nella storia di Galatina.

 
Antonio Mellone
 
Di Antonio Mellone (del 29/12/2022 @ 23:00:20, in NohaBlog, linkato 601 volte)

Meno male che il 22 dicembre scorso a Noha, oltre al concerto per i cinquant’anni del Continiello (dico il bell’organo a canne di comunità), erano previsti nel pomeriggio inoltrato ben altri appuntamenti tra piazza San Michele e via Castello, tipo gli artisti di strada, i canti natalizi a cura delle scuole nohane, il mercatino, le caldarroste, l’assaggio dei dolciumi della tradizione, e l’immancabile Babbo Natale con la sua casetta downtown (insomma Magic Christmas contro Magic Crisi), se no davvero non avremmo saputo come riuscire a ospitare nella parrocchiale di San Michele Arcangelo il pubblico suppletivo in aggiunta a quello intra et extra moenia dei melomani (melomani, puntualizzo, non mellomani) che già la gremivano fin dai primi istanti del diciamo soundcheck, non essendovi in commercio né i banchi da chiesa a castello, e men che meno i doppi turni concertistici come pare facciano per esempio a Helsinki; per non parlare poi dei cachet da capogiro – ergo fuori dalla nostra portata - da riconoscere all’organista per gli straordinari.    

Sembra che alla fine (miracolo di Natale) entrambe le cose quasi in contemporanea, ma stocasticamente indipendenti, abbiano registrato robusti indici di gradimento.

Tornando al Concerto diciamo che solo chi si cimenta a organizzarne uno arriva a comprendere il senso più profondo dei suoi significato-etimologia-sinonimi-e-contrari. Per credere provate voi a fissarne una data nell’ambito di una rassegna organistica in corso, trovare una chiesa aperta in grado di ospitarne uno (sia di concerto e sia di organo funzionante), contattare un organista disponibile, stilare un programma plausibile, invitare un pubblico deciso ad accorrervi (non è un concerto di Vasco Rossi su spiaggia demaniale eh), e afferrerete all’istante i concetti di Concorso, Accordo, Intesa, Collaborazione, Armonia, Affiatamento et sim., cioè appunto Concerto.

Ed è proprio questo il nostro caso: un Festival Organistico del Salento e il suo direttore M° Francesco Scarcella pronti a dir di sì senza indugio già a fine settembre; il parroco don Francesco che con la sua santa pacienza proferisce l’ennesimo “Eccomi” e, a proposito di alta fedeltà, lavora come gli altri all’invito di fedeli e infedeli; un amico artista di nome Marcello D’Acquarica che collabora no-profit, anzi a perdere, e dedica il suo tempo libero prima alla redazione del cartellone dell’evento che, tra immagini, lessico, stemma, caratteri, tonalità dei colori, orario, logo del ministero della cultura e quello della regione Puglia, preposizioni semplici e articolate, ha richiesto undici (un-di-ci) versioni, per non parlare dei raffinati bassorilievi in terracotta con le effigi delle tre torri, dei velieri e dell’organo a canne paesano offerti in dono rispettivamente al direttore artistico, al concertista e al parroco; sant’Albino Campa (martire), patron di Noha.it e di Nohaweb, che ha realizzato il servizio fotografico della serata, e che, insieme a Marcello, ha permesso le riprese video in diretta proiettate su grande schermo grazie agli attrezzi forniti da Tommaso Moscara de “il Galatino” e dal mio collega Antonio Sambati; un programma che viaggia nel tempo e nello spazio, dal XVII secolo ai giorni nostri, dalla Germania alla Francia, da Sava a Noha, e quindi dal Fischer a mesciu Bach e al Greco [se giovedì scorso gli antichi autori avessero per caso ascoltato l’esecuzione dei loro pezzi avrebbero sicuramente esclamato: “Però, che belle opere che abbiamo scritto!”, ndr.]; un pubblico colto e raccolto, in sintonia con i brani proposti e decisamente incline a conceder la lode al “candidato” sotto forma di applausi a scroscio; il prof. M° Antonio Rizzato, severo, accorto, a tratti ieratico, attento a dettagli, disciplina, perfezione di tecnica e suono, ma così umile e indulgente e comprensivo con tutti, disposto a seguire il suo allievo passo passo, divenendone, per l’occasione, addirittura assistente e registrante (sarebbe più o meno come un arcivescovo che serve la messa al suo parroco), e dunque coprotagonista del risultato finale; e infine, ma non ultimo, l’organista savese Mattia Francesco Greco che studia, suona, danza leggero su tastiera e pedaliera, improvvisa e diverte, sta al gioco, e dà vita a un concerto d’organo che, come noto, non solo innalza lo spirito e sana il corpo, ma diventa altresì fatto politico, Vangelo e Costituzione, segno di pace (meglio il suono della bombarda ad ancia dell’organo che il fragore di una bombarda lancia proiettili), nonché tutela dei beni comuni, abbattimento di steccati, lotta alle disuguaglianze, e mai più musica classica o erudita per élites e classi dominanti, ma musica tout court per tutti: “[…] Canne tutte diverse, ma nessuna più importante di un’altra”, scriveva don Donato Mellone che mezzo secolo fa volle questo monumentale “organo vitale”.

Strumento che, confesso, ogni tanto suono anch’io.

Ma in codeste evenienze si parla (e a lungo) di organo a cane.

Antonio Mellone

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Di Redazione (del 25/07/2017 @ 22:58:49, in Comunicato Stampa, linkato 1465 volte)

Importante novità per la stagione sportiva 2017/2018. Acqua Minerale Maniva stringe il proprio legame con la Showy Boys Galatina. Maniva, in qualità di fornitore ufficiale, affiancherà la prima squadra bianco-verde negli incontri del campionato nazionale di I° Livello serie C e nelle sedute tecniche e lo stesso farà con le formazioni giovanili, sia nelle gare federali che negli allenamenti.

Il marchio Maniva, che ha già collaborato con realtà pallavolistiche quali Montichiari e Verona e calcistiche quali, solo per citarne alcune, Milan, Sampdoria, Genoa, Parma, Brescia e Verona, rafforza la sua presenza nel sud Italia e scende in campo con la Showy Boys, storico club di Galatina, per promuovere il progetto “Acqua e Sport”.

Orgoglio per le origini e la tradizione, trasparenza e correttezza della società sportiva, forte spirito di  squadra, sana e leale competizione, sono alcuni dei valori che meglio identificano la Showy Boys. In essa si incarnano gli stessi valori di cui deve farsi portatore lo sport per essere maestro di vita e accompagnare la crescita psico-fisica dei giovani atleti. Valori che vengono rappresentati dall’identità aziendale di Maniva che da gruppo di rilievo nazionale nel proprio mercato di riferimento punta sulle persone e sulle loro doti gestionali e commerciali. Obiettivo di questa collaborazione è diffondere uno stile di vita sano, pulito e veicolare il messaggio attraverso la pratico della disciplina sportiva della pallavolo.

La scelta di Maniva di sponsorizzare la Showy Boys assume uno specifico valore se si considera che l’acqua è un elemento essenziale nell’alimentazione di un atleta e che, grazie alle sue caratteristiche di prodotto, l’acqua Maniva ben si adatta alle esigenze di chi pratica attività sportiva. In particolare, grazie al suo pH alcalino, agevola l'eliminazione dell'acido lattico prodotto dal nostro corpo durante l'attività fisica e agevolandone i tempi di recupero.

“Siamo orgogliosi di aver stretto questo accordo di sponsorizzazione – dichiarano dalla Showy Boys - ringraziamo l’azienda per aver dimostrato grande attenzione nei confronti della nostra società sportiva e per aver condiviso progetto e valori”. Dalla sede centrale arriva la risposta di Maniva Spa: “questa collaborazione rafforza il binomio tra lo sport, la pallavolo in questo caso, e l’azienda da sempre impegnata a sostenere e diffondere a tutti i livelli e in molte discipline i principi di uno stile di vita sano ed equilibrato. La partnership con la Showy Boys ci porta in Puglia, nel Salento, per una sinergia importante e una forte promozione sul territorio del nostro progetto e dei nostri valori condivisi con la società galatinese”.

www.showyboys.com

 
Di Redazione (del 19/07/2019 @ 22:56:55, in Comunicato Stampa, linkato 800 volte)

Comincia a delinearsi sullo scacchiere di Efficienza Energia, prendendo forma, il sestetto che mister Stomeo guiderà per il quarto anno di fila in serie B.

Le caselle fino ad oggi completate riguardano il ruolo del libero, con Apollonio e Pierri confermatissimi, e quello del palleggiatore con la coppia nuova di zecca Parisi-Nicolazzo: a completare l’organico di posto due ecco l’arrivo di Riccardo De Lorentis che con Buracci saranno i terminali offensivi fuori mano.

Galatinese di nascita, classe ’90 per 194 cm., il neo opposto è un prodotto del vivaio SBV PALLAVOLO GALATINA con una parentesi, quella dell’approccio iniziale, nell’altra squadra locale della “PAOLO TUNDO”.

La lunga trafila nelle formazioni u.14-e 16, lo vede conquistare nel 2007-2008 la promozione in serie D con un gruppo di giovanissimi a cui Luigi Baldari e Rino Martina, quest’ultimo in veste anche di allenatore, danno un notevole contributo partecipativo.

L’anno successivo viene aggregato, nella fase iniziale, alla squadra allenata da mister Cavalera che disputa il campionato di B1, poi un lungo percorso sportivo dal 2009 al 2014 in terra d’Abruzzo passando per Chieti, Pescara, Sambuceto e Montesilvano. Al ritorno nel Salento veste i colori della casa madre SBV GALATINA nel biennio 2014-2016 in serie C, quindi il passaggio all’Olimpia Volley nell’anno successivo in serie B, poi nelle due stagioni successive  è in organico nei sestetti dell’Alliste e dello Specchia.

Ora ritrova mister Stomeo che, nel quadro di potenziamento dell’organico a fronte degli importanti obiettivi stagionali, ha richiesto la sua presenza nel roster.

Curriculum

 

2002-04  Paolo Tundo Galatina   sett.giovanile   

2004-06  SBV Pallavolo Galatina U.14-16

2006-08  SBV Pallavolo Galatina I^ Div. Prom. in serie D

2008-09  SBV Pallavolo Galatina B1

2009-10  Pallavolo Chieti  serie C

2010-11   Volley Pescara serie C

2011-12   Sambuceto Volley serie D

2012-13  Pallavolo Chieti B2

2013-14  Pallavolo Montesilvano C

2014-16  SBV Galatina C

2016-17  Olimpia Volley Galatina B

2017-18  Alliste Volley C

2018-19  Volley Specchia C

2019-20  Efficienza Energia Galatina B

 

AREA COMUNICAZIONE

EFFICIENZA ENERGIA GAS & POWER GALATINA 

 
Di Albino Campa (del 04/02/2012 @ 22:56:27, in Un'altra chiesa, linkato 3043 volte)

Io e Dio. Una guida dei perplessi
(di Vito Mancuso; Editore: Garzanti Libri; Settembre 2011)

Perché chiedersi che fare se e quando Dio dovesse chiederci di uccidere il proprio figlio?
Perché Dio dovrebbe chiedercelo? Per mettere alla prova la nostra Fede? Ma non è la nostra Fede
prova di morigeratezza e di Amore?
Si è scoperto analizzando ritrovamenti di resti umani che le comunità di 150000 anni fa, parliamo di uomini preistorici, ospitavano e quindi offrivano cura ed accoglienza a individui con malformazioni, diremmo oggi: disabili.
È stato ritrovato uno scheletro di un uomo risalente a 100.000 anni fa che aveva vissuto almeno venti anni con una gamba rotta. Non si può sopravvivere in certe condizioni senza l’aiuto di qualcun altro.
A questo punto viene da chiedersi dove sia finita la civiltà che oggi tanto decantiamo, se accantoniamo, nella migliore delle ipotesi, i nostri cari in strutture di accoglienza,  a volte profittatrici e con scarso senso dell’etica. Quando obbediamo al comandamento di Gesù che dice “amare il prossimo è amare Dio”, oppure: “se avete dato da mangiare, da bere, ecc…. lo avete dato a me” (Matteo 25,31-46), se allontaniamo dal nostro calore, dal nostro affetto chi ha bisogno, delegando ad altri, che siano pseudo-strutture private o create appositamente per la nostra effimera immagine?
La carità, dovrebbe sorprenderci sempre come accadde ai  discepoli che sorpresi, appunto, si chiesero:
“Signore, quando ti abbiamo visto affamato, o assetato, o forestiero, o ignudo, o infermo, o in prigione e non ti abbiamo soccorso?".
La carità non lavora in silenzio e senza sceneggiate di apparenza?
Che cos’è Dio se non il Bene Assoluto? Quello stesso bene che opera in noi e che è il nostro unico appiglio, la nostra unica ancora di salvezza. Il bene, dice V. M. a pag. 173, è una forza sconvolgente che si esprime con l’amore per la terra in quanto generatrice della catena alimentare, nella sessualità, quale forza di vita, nell’amore. Il bene inteso come servizio generoso è il vero miracolo che va contro la tragicità della vita stessa. E’ la  dimensione ottimistica e drammatica nello stesso tempo.
Il messaggio di Gesù è importante per l’insegnamento del bene. La guida della nostra Chiesa, ha bisogno di riconciliarsi con la realtà. Il ‘900 ha portato molti cambiamenti, ha visto la falsità del messaggio di carità con il silenzio dei massacri di milioni di Ebrei e zingari. Ha manifestato la sua inciviltà nelle guerre di religione nei Balcani, in Iraq, in Israele e nella Palestina. Se la scienza non avesse forzato alcune contrarietà dogmatiche oggi moriremmo ancora di vaiolo o di poliomelite, così come si muore di AIDS a causa delle contrarietà nei contraccettivi. Per essere credibili bisogna spogliarsi dalla presunzione accusatrice, bisogna disporsi umilmente allo stesso livello dell’altro da cui pretendiamo l’ascolto. La Fede ha senso se è resa da tutti compatibile con le esigenze della vita. I Vangeli vanno letti con responsabilità, confrontandone i concetti liberamente per  conoscerne il concetto straorinario di rivoluzione, considerati i tempi.
Il Bene Assoluto è negli occhi e nel cuore di Gesù, non può venire da questo mondo, ma possiamo e dobbiamo esercitarci e impegnarci coerentemente.
Un tempo c’era ingenuità, analfabetismo, superstizione, oggi invece siamo nel liquido, dice lo scrittore Vito Mancuso, occorre parlare con onestà a se stessi (e poi agli altri) se non si vuole far morire a fuoco lento tenendo calmi tutti come se nulla fosse cambiato. E’ necessario guardare in faccia il mondo che ha bisogno di credere nella forza del bene e dell’essere protagonisti attivi e non semplici spettatori. Bisogna vivere la perplessità, perché questa abita la mente di chi pensa e non si dispera, né predica sventure.

 

Marcello D’Acquarica
 
Di Redazione (del 27/06/2019 @ 22:53:34, in Comunicato Stampa, linkato 1245 volte)

Care concittadine, cari concittadini,

l'amministrazione Amante, sin dalle sue linee di mandato, decide di investire nella cultura come strumento attraverso cui fa rinascere la Città di Galatina e tutto il suo territorio. Una programmazione strategica ben precisa, con un obiettivo chiaro da raggiungere a piccoli passi pur avendo grandi ambizioni. Perché questa città lo merita, ha le potenzialità per farlo ma è necessario che rivendichi la propria identità e ne faccia vanto. E' necessario, tuttavia, confrontarsi con la realtà e capire le risorse economiche a disposizione dell'Ente: fino a dove ci si può spingere non venendo meno alla qualità delle proposte? Come si può fornire una scelta culturale ricca, vasta, ma nello stesso tempo di spessore tale da far diventare questa Città meta, non di passaggio, ma di alloggio anche per i turisti? Come fare, pur avendo vincoli e legami di un ereditato piano di assestamento?

Cari cittadini, l'amministrazione Amante ha tentato di fare ciò in due modi. 

Innanzitutto, la programmazione estiva è il risultato di mesi di lavoro, scambio di idee, confronti e scontri, relazioni, rinvii, opportunità colte all'ultimo momento e analisi sistematica di ogni minimo dettaglio. E anche in questa occasione non siamo venuti meno al nostro concetto di politica intesa come partecipazione, coinvolgimento degli attori di questo splendido spettacolo, ossia le associazioni e/o i privati che avessero voluto far parte della nostra rassegna estiva esibendo la loro arte e il loro sapere nei luoghi della Città. Poi ci abbiamo messo anche del nostro, sperimentando, rischiando ma credendo fortemente nella struttura di qualsiasi progetto, dal tarantismo, alla lettura, al teatro sino all'incontro di varie culture. E lo abbiamo fatto e lo faremo con puro entusiasmo, fonte principale per credere ancora in questa Città. Galatina merita di ritrovare un senso di comunità e di orgoglio che coinvolga tutti a prescindere da tutto. Galatina merita unione. 

E come nell'economia di una famiglia, abbiamo programmato le somme necessarie a sostenere tutto questo nei limiti delle possibilità dell'Ente. Dovendo, pertanto, in alcuni casi rinunciare a qualcosa. Ed è qui che entra in gioco l'altro modo con cui si è pensato alla programmazione di "A cuore scalzo". L'amore per questa Città. La gratuità del servizio svolto, per cosa? Appunto, per amore della Città. 

Pensare di "offrire" il proprio servizio alla comunità sembrerà strano a chi considera la pubblica amministrazione come il gioco delle tre carte. 

Il problema sta sempre negli occhi di chi guarda! E allora, cari concittadini...evitando di citare qui alcun nome, ci sono aziende del territorio che credono e investono nel progetto dell'amministrazione comunale e, quindi, credono ancora in questa Città. Ci sono aziende che investono con il proprio denaro e altre che, invece, rendono il proprio servizio pur mantenendo un livello qualitativo del prodotto reso molto alto. Tutto gratuitamente. E questo termine non cela alcun sotterfugio. E lo scrivo anche per rispetto non solo di queste aziende ma anche di ogni dipendente comunale che, in maniera più o meno diretta, è coinvolto in questo importante lavoro di programmazione e di attività burocratica in merito alla rassegna estiva.

Infine, questa rassegna ha in sé anche una sfida: quella di credere in un'associazione giovanile, di nuova costituzione, composta, nel suo direttivo, nella maggior parte da under 35, alcuni anche lontani dalla propria terra per motivi di lavoro, ma che sono legati fortemente a questa terra. Ragazzi, che sono anche professionisti, coraggiosi e vicini ad un concetto di città come comunità. Ragazzi che non chiedono nulla se non mettere a disposizione la loro disponibilità a livello logistico, organizzativo e professionale al fianco dell'amministrazione e di tutta la Città. E lo fanno gratuitamente. Sì, ed è come non prendere impegni una sera perché al termine di uno spettacolo è necessario riportare le sedie al loro posto. Gratuitamente. Ed è come rimanere nel proprio studio oltre il consueto orario di lavoro per inviare mail e ultimare gli aspetti logistici per il concerto di sabato sera in piazza. Gratuitamente. Ma, si sa, nemo propheta in patria.

Cari concittadini, Galatina è fatta anche di gente buona, trasparente e che continua ad amare questa città nonostante calunnie, offese, ingiurie e bugie che non meritano neppure il tempo di essere prese in considerazione. I vostri occhi non hanno la loro trave, che possa impedirvi di guardare ciò che è la realtà.

Guardate la vostra città, criticate, dialogate, chiedete spiegazioni. Ma fatelo con la vostra testa. Con i vostri occhi. A cuore scalzo.

Cristina Dettù

 
Di Antonio Mellone (del 13/07/2014 @ 22:52:51, in NohaBlog, linkato 3539 volte)

Uno dei meriti di questo sito è quello di richiamare l’attenzione su quello di cui altri cosiddetti mezzi di informazione preferiscono tacere. Vero è che alcune cose sfuggono ai più in quanto impercettibili o trascurabili; ma altre non vengono viste proprio perché enormi.

Così è stato, per dire, al tempo dei cinquanta e passa ettari di pannelli fotovoltaici di contrada Roncella (ma il discorso funzionerebbe anche per tutte le altre “grandi opere”).

Quel campo, che ha la parvenza di un cimitero con tante lapidi in ferro e silicio (i cui loculi non puoi nemmeno prenotare per un domani, come invece pare possa accadere nell’altro camposanto nohano - basta avere le opportune conoscenze sulla Comune) contravviene allegramente, a occhio e croce, a tutti i canoni del buon senso, dell’etica e dell’estetica.

E’ proprio del suddito lobotomizzato non proferir verbo, non batter ciglio, né storcere il muso mentre viene derubato, oltre che del panorama, del paesaggio, della natura e della salute, anche di un bel po’ di quattrini che in maniera diciamo così omeopatica vengono inoculati in bolletta.

Quei soldi, tanto per mettere il dito nella piaga (e come documentato nel nostro articolo “Dai campi di sterminio allo sterminio dei campi”, pubblicato su questo stesso sito il 12 novembre 2013), vanno oggi a finire direttamente, senza nemmeno transitare dalla “tangenziale” di Galatina, nelle tasche di un manipolo di tedeschi (mentre all’inizio, come noto, venivano indirizzati su conti correnti spagnoli: ma italiani mai, ndr).

Un tempo nessuno sembrava accorgersi di nulla, a partire dal sindaco di allora – che pare si spacciasse per un nohano – per finire al codazzo dei cosiddetti consiglieri comunali di maggioranza e di opposizione, tutti appassionatamente a braccetto nel rito delle larghe scemenze ovvero in nome del patto del Nazareno (iconograficamente, anzi plasticamente rappresentato nel corso delle processioni solenni dal gregge dei nostri rappresentanti piazzato alle spalle della statua del santo di turno). Ma a quanto pare così va la vita, e quella che s’ostinano ancora a chiamare politica - da palazzo Orsini a palazzo Chigi.

Noi parlavamo dello sfacelo del fotovoltaico in tempi non sospetti, quando ancora quella campagna era una campagna, terreno intonso, pseudo-steppa con cozzi, qualche albero qua e là, ed erba per i famosi “greggi”, mentre nessuno dei nostri amministratori pubblici riusciva a formulare una previsione sul danno che ne sarebbe derivato. Anzi sembravano tutti eccitati per la novità, gli investimenti, “le ricadute”, “i volani” e l’“energia a vocazione turistica” [copyright TAP].

I cittadini un po’ più svegli (che si contano tuttavia sulle dita di una mano) hanno potuto informarsi leggendo le nostre catilinarie, quando nessuno osava parlarne (men che meno “il Quotidiano di Lecce”, o addirittura le segreterie dei partiti politici, figuriamoci). Poi con il tempo, folgorati sulla via della Gamascia, ci sono arrivati anche gli altri, ma sempre timidamente e troppe volte in maniera imbarazzante, in qualche caso addirittura encomiasticamente, disconoscendo la realtà dei fatti e la pericolosità della loro dabbenaggine.

*

Perché, vedete, a parlare di pannelli fotovoltaici (come pure di TAP) quando i pannelli ci sono già (o quando la TAP passerà dal tinello di casa nostra) non serve mica essere un grande giornalista. Questa roba la vedono (o la vedranno) tutti anche senza l’aiuto del “Quotidiano” o della televisione o dei reportage con lacrime di coccodrillo incorporate, prodotti dai giornalisti già scendiletto.

Ma a quel punto, come viene ripetuto da molti, è troppo tardi. E allora tutti a dire: ormai c’è questa cosa e non possiamo farci nulla; per smontare l’intero ambaradan costerebbe tre/quattro volte tanto; e che ci vuoi fare. Nel migliore dei casi qualcuno ammette pure di non essersi reso conto: “…purtroppo allora non comprendevamo, non ci hanno spiegato bene, non s’è inteso, chi avrebbe mai pensato…”. Chi l’avrebbe mai pensato? Noi, e abbiamo cercato di dirvelo in tutte le lingue. Ma voi, nulla: elettroencefalogramma ridotto ad una retta parallela all’asse delle x.

Di questo passo saremo condannati a tenerci in saecula saeculorum pannelli fotovoltaici, TAP, SS 275, pale eoliche, discarica sulla falda acquifera di Corigliano d’Otranto, mega-impianto di compostaggio, tangenziale (che in barba alla matematica non tange, seca), centro commerciale Pantacom, nuova area mercatale C3 (colpita ed affondata), e via snocciolando il rosario delle varie porcate all’ordine del giorno, anche se a sentire i politici (con il senno di poi) nessuno ha (avrà) mai voluto nulla: né una roba né l’altra né l’altra ancora. Come se questi mega crimini si fossero (o si saranno) fatti da sé, a loro insaputa (come direbbe il loro collega Scaiola).

*

Noi, profeti di sventura, invece, cerchiamo di parlare dei rischi delle grandi schifezze portate in trionfo in nome delle “ricadute occupazionali” e del “volano dello sviluppo” quando si è ancora in tempo per evitare i danni, non quando questi sono ormai stati fatti e a nostre spese. Ci piacerebbe che si parlasse di più di queste spade di Damocle pendenti sulle nostre teste, che se ne discutesse, che ci si informasse una buona volta.

Magari per poter scegliere liberamente, in modo consapevole e informato, senza esser costretti poi a dire candidamente che non avevamo capito una mazza di cosa si stava macchinando alle nostre spalle.

Ecco: vorremmo che si smettesse una buona volta di avere occhi, orecchie, bocca, e qualche altro orifizio, otturati da un bel TAP.

Antonio Mellone

 
Di Albino Campa (del 27/10/2011 @ 22:51:39, in Un'altra chiesa, linkato 3363 volte)

Eccovi di seguito un'intervista a don Andrea Gallo, il prete genovese che porta in giro uno spettacolo in cui recita le parole del frate Girolamo
Savonarola. Tratta dal sito www.overgrow.it

Per la sua gente della Comunità di San Benedetto al Porto è semplicemente “Il Gallo”. A lui piace di più definirsi un prete “angelicamente anarchico”.

Ottantatre anni appena compiuti, una verve da fare invidia a un giovanotto, intelligenza lucida e fede profonda, strenuo e ostinato difensore degli “ultimi”, don Andrea Gallo è abituato a parlare chiaro. Un prete scomodo per la Chiesa “ufficiale” e le sue gerarchie che più volte gli hanno fatto intendere di non condividere le sue idee e certe sue prese di posizione. “La mia non è contestazione, né provocazione – sbotta – perché la Chiesa è la mia casa. Una casa in cui sto bene ma rivendico l’importanza di dare ascolto alla mia coscienza”. Un prete da marciapiede, amico di Vasco Rossi e Beppe Grillo, di Maurizio Landini (segretario Fiom) e Luca Casarini, che da anni passa le sue notti girovagando per le strade di Genova a soccorrere i disperati, barboni, drogati, alcolizzati e prostitute. Autore di diversi libri, ospite televisivo di molte trasmissioni cult (Che tempo che fa, Le Iene, Le invasioni barbariche…), da qualche tempo è impegnato nella messa in scena di “Io non taccio” lo spettacolo teatrale scritto da Stefano Massini (produzione PromoMusic) dedicato alla figura del predicatore Girolamo Savonarola in programma a Udine il prossimo 1° agosto (Piazzale del Castello ore 21.30).

A chi dobbiamo questo suo debutto nel ruolo di attore?

“Non è mica stato facile accettare una simile proposta. Mi sentivo inadeguato e comincio a sentire il peso dell’età. Ho detto alla produzione di rivolgersi a “colleghi” come padre Alex Zanotelli, don Ciotti, il “vostro” don Di Piazza. Io sono un prete da marciapiede, non ho titoli, non ho cattedra, non ho cultura!”.

Com’è che poi ha accettato?

“Quando ho letto i testi del grande frate domenicano ho compreso l’incredibile attualità del suo messaggio. Fra’ Savonarola non era un mito, ma un uomo che dava voce agli indigenti, al popolo, schierandosi contro il potere, contro la corruzione e il degrado morale della Chiesa e della società di fine del ‘400. E’ impressionante quante siano le similitudini con il nostro tempo”.

Ha un esempio da anticipare?

“Il tiranno di allora giudicava i magistrati esattamente allo stregua di certi politici di oggi. Il pubblico quando me lo sente dire ride pensando a una trovata dello spettacolo. Invece è la stessa storia che, a distanza di secoli, si ripe te Bisognerebbe riflettere…

“Basta pensare all’articolo 3 della nostra Costituzione. Esprime un concetto giuridico alto. Non si limita a dire che la legge è uguale per tutti ma che tutti i cittadini sono uguali davanti alla Legge.”

Una guida da accostare al Vangelo?

 

“La Costituzione italiana e il Vangelo sono bussole che guidano la vita”.

Con quale stato d’animo affronta il palcoscenico e che cosa apprezza di questa esperienza?

“Le due ore di spettacolo mi costringono a un esame di coscienza, a una meditazione, a un ritiro spirituale. Mi chiamano a rispondere personalmente di ciò che leggo facendomi sentire ogni volta più uomo, più cristiano, più prete, più non-violento, più antifascista, più anticapitalista…”.

Soddisfazioni?

“Le tante persone che, a fine serata, vengono a dirmi di avere apprezzato. A Firenze si è presentato un signore distinto, in abiti borghesi, che mi ha rivelato essere il priore di San Marco, quindi il successore di Girolamo Savonarola! E un’autentica sorpresa è stato il biglietto delle suore domenicane di clausura. ‘Bravo don Gallo, amico del nostro Priore. Guarda che non è da tutti. Grazie e in bocca al lupo’ diceva”.

Qualche anno fa c’era chi definiva Grillo un moderno Savonarola. Visto che vi conoscete lei come lo giudica?

“Siamo molto amici e così quando lo sento gli dico che la deve smetterla di credersi un padreterno. Lui ribatte dicendomi che deve esagerare perché deve far ridere la gente”.

Una conferma alle sue doti di grande comunicatore: che ne pensa dei social-network?

“Non sono molto esperto anche se mi dicono che il popolo della rete mi conosce e mi segue. Su Facebook si sono costituiti due gruppi “Don Gallo Papa subito” e “Vogliamo il Gallo al posto di Ratzinger”. Un mio intervento a “Le Iene” in cui ho affrontato tematiche d’interesse giovanile quali la sessualità, l’uso delle

droghe e del preservativo è finito su YouTube dove è stato visto da 45 mila persone! Questo mi rende felice e mi stimola a continuare il mio cammino”.

 

Esiste la censura da parte della stampa in Italia?

“Mi riguarda personalmente. In un giornale cattolico come l’Avvenire vige il divieto di pubblicare il mio nome. E’ accaduto in occasione della consegna di un premio e poi di una manifestazione cui ero stato invitato. Gli articoli sono usciti ma evitando di citarmi!”.

Sarà perché don Gallo è spesso in dissenso con i suoi superiori…

“Ogni tanto provano a mandarmi messaggi, preannunciando “severi provvedimenti”. Fui richiamato dal Cardinal Bertone per avere detto che avrei votato per il referendum sulla Legge 40/2004 (fecondazione assistita). Ma poi non ci sono stati provvedimenti anzi, a essere precisi, non sono mai stato neppure ammonito”.

Il senatore Giovanardi ha firmato a Washington un patto che afferma la completa identità di vedute fra Italia e Stati Uniti per quanto riguarda il no alla liberalizzazione delle droghe. Che ne pensa?

“La tossicodipendenza nel nostro Paese è una strage mafiosa di cui tutti devono sentirsi responsabili. Negli ultimi quarant’anni non è cambiato nulla e la Legge Fini-Giovanardi è una tragedia ed è scientificamente basata sul nulla”.

Quando parla di sessualità come un dono di Dio le danno del provocatore.

“Eppure è proprio così. L’importante è educare alla sessualità e al rispetto. Anche gay e lesbiche sono parte della natura umana”.

Si parla meno di Aids ma dati recenti dicono che il pericolo è assolutamente presente. Consiglia sempre il preservativo?

Ai ragazzi predico la castità ma, come l’Abbè Pierre, dico anche che in caso di rapporti non protetti non solo fanno peccato ma compiono un atto criminale. Io lo distribuisco a quelle povere ragazze costrette a prostituirsi.

Che cosa l’aiuta ad andare avanti?

“La mia Università è la strada e gli incontri a partire dagli “ultimi”. Quando vedo il sorriso di una giovane nigeriana che lavora a “La Lanterna”, la trattoria che gestiamo vicino al porto, mi si apre il cuore. Ha lottato per liberarsi dal racket e oggi è felice perché riesce a mandare 30 euro al mese ai suoi fratelli rimasti al villaggio. Mi aiuta la preghiera, la lettura e l’idea di ricominciare ogni nuovo giorno con un patrimonio di idee, energie e sofferenze”.

Ruba ancora i libri per permettere agli ospiti della Comunità di studiare?

“Ho smesso perché adesso me li regalano”.

Che cosa ha chiesto come regalo per il suo compleanno (il 18 luglio)?

“Vorrei che la gente uscisse dall’indifferenza che giudico l’ottavo vizio capitale. C’è bisogno di riscoprire valori come la lealtà, la solidarietà, l’accoglienza. Solo così potremmo affrontare il mare grosso e in tempesta di questi nostri tempi moderni”.

 
Di Albino Campa (del 17/05/2011 @ 22:51:33, in NohaBlog, linkato 2579 volte)

"Grande dolore come per qualunque padre che vede un figlio - come ogni sacerdote - che non è fedele alla propria vocazione. Naturalmente, lasciando che la giustizia, la magistratura faccia il suo corso per appurare le accuse, evidentemente, è giusto, insieme al dolore grande, rincuorare la gente, le persone, le comunità a guardare Cristo, Pastore dei pastori, e a non perdere assolutamente la fiducia verso tutti gli altri sacerdoti che anche a Genova, come ovunque, si dedicano con fedeltà e generosità al bene delle anime". Questo ha detto il cardinale Bagnasco riguardo lo scandalo del prete accusato di spaccio di droga e pedofilia della diocesi di Genova.

 Don Riccardo Seppia era conosciuto come “don Ricchiardo” dai ragazzini della parrocchia, che da sempre avevano il sospetto della sua omosessualità. Per telefono parlava apertamente: "Non li voglio di sedici anni, ma più giovani. Quattordici anni vanno bene e, mi raccomando, che abbiano dei problemi di famiglia". E ancora: "Portami un bambino, mi raccomando l'età, meglio un moretto, un negretto" dice. E l'amico risponde: "Vado nella zona della Fiumara e vedo di trovarti qualcosa". Oppure: "Mandami quel ragazzo, ho tanta roba". La roba è la droga di cui Don Seppia sempre disponeva e che avrebbe dato in cambio degli incontri. E quando la cocaina mancava, a quel punto scattavano 50 euro, "il solito regalino". E c'è un'altro scambio di messaggi che la dice lunga sul comportamento del sacerdote. "Vieni da me, sono solo", scrive don Seppia a un quindicenne che risponde: "Non posso sono a scuola". Risponde il prete: "Sono solo anche domani mattina. Di' alla mamma che sei a scuola e vieni da me".

 Mi chiedo come mai in un paese tutti sapevano o sospettavano delle deviazioni pervertite e infami di questo essere squallido e schifoso, mentre la nostra Madre Chiesa, con la sua santa gerarchia, non si sia mai accorta di nulla. Forse il nostro carissimo cardinale Bagnasco dovrebbe essere più presente nelle parrocchie della sua diocesi, o forse dovrebbe sforzarsi di conoscere almeno a quali elementi affida il suo stesso gregge. La colpa di un reato così infame è sì personale di fronte al codice penale, ma moralmente chi avrebbe dovuto vigilare dovrebbe farsi almeno un esame di coscienza nel capire come mai dei ragazzi sanno delle deviazioni di un adulto e un vescovo o un cardinale non sappiano delle orrende perversioni di un loro confratello sacerdote. Il dolore nel vedere un figlio infedele dovrebbe essere accompagnato dalla presa di responsabilità nel non aver vigilato sul comportamento di un proprio figlio. Forse, se i vescovi visitassero più volte le loro parrocchie in un anno, e non soltanto nel giorno delle cresime, e non soltanto dopo aver annunciato il loro arrivo per poi essere accolti in “pompa magna”, queste cose non succederebbero. Dove sono i vescovi in questa Chiesa? Nei concili? O solo nei seminari diocesani? O soltanto nei ritiri di sacerdoti dove si inizia e si finisce con un baciamano un po’ ipocrita? Preti, parlate con i vostri vescovi? Vi confidate? Cosa sanno loro di voi? Forse troppo poco o niente. Una famiglia che non conosce se stessa ed è divisa nel suo interno non fa tanta strada. Forse quel demonio che tanti sacerdoti faticano a riconoscere (tanti addirittura non credono neanche alla sua esistenza) esiste davvero, ed è talmente vicino che riesce a nascondersi tra le pieghe delle loro sottane. Per fortuna la fede non necessita obbligatoriamente della presenza delle loro figure; guai se fosse così, staremmo già sull’orlo del baratro.

 Caro don Riccardo, non proverei alcuna pietà per te se queste accuse nei tuoi confronti venissero confermate. E con te farei un’eccezione. Ti concederei la facoltà di non rispondere, ma ad ogni mia domanda e a ogni tuo rifiuto di risposta, ti percuoterei fino a farti dimenticare il tuo stesso nome. Non che io sia migliore di te e dunque possa giudicarti. Lo farei per prestare la mia forza e le mie mani a chi è debole e indifeso e da te ha ricevuto violenza. Sarei non come “una matita nelle mani di Dio” come fanno i santi, ma come un bastone nelle mani del più feroce e incazzato dei delinquenti. Forse hai interpretato male il significato dell’espressione cristiana “lasciate che i bambini vengano a me”. Se hai bisogno di una spiegazione del testo e la tua gerarchia non ti da abbastanza spiegazioni, vieni pure da me che mi offro io volontario a darti dovute delucidazioni. Ma forse un bel ritiro spirituale in carcere, tra tanti fedeli ergastolani e muscolosi, farà bene al tuo discernimento vocazionale. Aspettando la tua conversione, che sono sicuro ci sarà, ti auguro un bel pernottamento tra le sante grate di quel carcere. E visto che di tempo ora ne avrai tanto, se ti ricordi, fai anche una preghiera per noi poveri peccatori.

Fabrizio Vincenti

 

Caro Alessandro (1), tu lo sai noi non ci conoscevamo, io so poco o niente di te, non so dove hai vissuto, dove hai lavorato, che cosa hai fatto nella vita, ma mi hai incuriosito con la tua prima pubblicazione sul maestro pasticcere Rafelino Bello.

Un piacevole articolo documentale e testimoniale con uno spirito di fondo positivo di compiacimento e di sana ammirazione per un galatinese speciale.

Ti ho voluto conoscere e ti ho incoraggiato a proseguire in questa tua passione amatoriale di ricerca e divulgazione in un settore  quello dell’arte bianca che a Galatina ha tanto da raccontare.

I tuoi lavori sono proseguiti, le pubblicazioni anche, ma la musica è completamente cambiata.

Inspiegabilmente,  argomentando su Andrea Ascalone, hai imboccato una deriva antipatica, denigratoria al limite del diffamatorio.

Te lo confesso sono rimasto molto male, ancor più quando mi hanno fatto notare come in un  tuo scritto che ho trovato assai sgradevole e irriguardoso, mi avevi citato espressamente ingenerando l’idea di una mia condivisione.

Hai scritto che sei venuto a conoscenza  da me che l’attività di Ascalone ha rischiato di chiudere nel 2002 e questo è vero, ma hai omesso di dire che ciò accadeva per un’assurda mala burocrazia  che ha suscitato forte indignazione sia nel sottoscritto che nelle istituzioni locali.

Poi tutto si è risolto con il meritato riconoscimento di laboratorio storico.

E adesso  oramai che ci sono approfitto….

No Alessandro non va affatto bene usare due pesi e due misure.

Perchè per il maestro Rafelino hai attinto in primis alla famiglia e poi ai suoi estimatori e così non hai fatto per Andrea Ascalone?

Non ci vuole molto per capire che il tuo giudizio negativo è preconcetto ed ingiustificatamente critico.

Dico questo perchè ho dalla mia prove documentali che raccontano un’altra storia ed in più l’esperienza personale che mi ha permesso di conoscere e frequentare con eguale curiosità sia Rafelino che Andrea.

Nascono appaiati l’uno nel 37 e l’altro nel 38 (dichiarato nel 39), legano subito attratti dalla loro complementarietà.

Sono forse i primi due galatinesi che manifestano obiezione di coscienza  alla leva militare che evitano con le buone il primo e con le cattive il secondo (dichiarato disertore)  riparando entrambi in Svizzera.

Esperienze internazionali a seguire in Inghilterra l’uno ed in Francia l’altro.

Matrimonio con moglie emancipata d’oltralpe Rafelino, matrimonio con moglie tradizionale siciliana Andrea.

Basterebbero queste poche righe per comprendere la loro natura e i loro destini così diversi.

Rafelino genio e sregolatezza creatività e innovazione.

Andrea  rigore, perfezione, tradizione.

Quando si incontravano erano fuochi d’artificio scene incredibili.

Lo yin e lo yang una grande amicizia, un grande apprezzamento reciproco.

Caro Alessandro non parlerò oltre di Rafelino lo hai ben fatto tu, ti parlerò di Andrea che tu non hai conosciuto perchè altrimenti credimi non avresti nemmeno lontanamente potuto pensare quello che hai scritto.

Andrea era una persona di una umanità sconfinata con radicati in sé i valori più alti del rispetto reciproco e dei doveri verso se stesso, verso il lavoro, verso la famiglia e verso la collettività. Un rispetto è una attenzione da gran signore ha poi sempre avuto per l'universo femminile.

Ho visto con i miei occhi uscire in lacrime la moglie del regista televisivo Sergio Tau entrambi commossi e toccati da “tanto amore per il suo lavoro la sua terra e per il prossimo”.

Lui col suo esempio ha insegnato a tutti come si può tendere alla perfezione.

Il pasticciotto è l’emblema e anche la sintesi del suo pensiero.

Due semplici elementi pasta frolla e crema pasticcera per realizzare una delizia che ha conquistato il mondo.

Qual’è la ricetta segreta gli chiedevano in tanti?

E lui sornione ad autoironizzarsi rispondeva “la fessagginità” in un bagno di umiltà senza eguali.

E non c'è bisogno di scomodare la fisica quantistica per comprendere che in aggiunta dentro ogni singolo pasticciotto c'era un pizzico del suo grande amore che lo rendeva unico, inimitabile, irraggiungibile.

I suoi consigli le sue raccomandazioni hanno fatto scuola, hanno fatto comprendere come approcciarsi e come degustare al meglio il suo prodotto.

Il pasticciotto e come un fiore nasce e muore in breve tempo.

Per gustarlo al meglio bisogna attendere che dai 330 gradi del forno raffreddi lentamente ad una temperatura ottimale quando la pasta frolla sprigiona tutta la sua fragranza.

Non deve raffreddarsi molto perchè in quel caso inizia il processo inverso in cui la pasta assorbe l’umidità, e gli odori  dell’ambiente circostante.

Per questo è accaduto che rifiutasse di consegnare i suoi prodotti in un’auto sudicia o che sconsigliasse vivamente il trasporto a lunghe distanze.

La sua produzione è stata sempre limitatissima perchè mai doveva accadere di avere un avanzo della giornata.

Per noi galatinesi è normale chiedere se ci sono ancora dei pasticciotti, e sperare che non siano finiti.

A Galatina l’intero settore si è uniformato ai suoi standard di eccellenza.

I galatinesi si sono fatti viziare diventando degli esperti ed esigenti buongustai.

E approposito di marketing posso testimoniare senza ombra di smentita come  Ascalone è stato e lo è ancora oggi, il terzo attrattore turistico della città dopo Santa Caterina e la cappella di San Paolo.

Quindi caro Alessandro dire che Ascalone ha fatto un’operazione di marketing a suo vantaggio è completamente falso addirittura a danno delle altre pasticcerie è offensivo.

E’ vero esattamente il contrario.  Grazie a lui il settore ha avuto grande impulso e slancio.

Intere generazioni di bravissimi pasticceri si sono affermati sulla sua scia dando ognuno il proprio contributo come solo gli artigiani sanno fare. Io personalmente ho conosciuto ed apprezzato tanti di loro, Uccio Matteo, i fratelli Cuna, Antonio Pellegrino,​ Raffaele Antonaci, Mario Esposito, Leonardo Esposito, Fedele Ugenti,  i fratelli Malorgio, Totò Santoro, Orazio Contaldo, Maurizio Zurigo, Massimiliano Baglivio, Albino Tundo, Riccardo Carachino e la lista è lunghissima tutti bravi, ma bravi veramente .

Un patrimonio immenso che meriterebbe ben altra attenzione e valorizzazione !

Tornando ad Andrea, se ricchezza avesse voluto perseguire, gli sarebbe bastato sfruttare la sua grande notorietà e inondare il mondo di pasticciotti industriali anche solo in partnership.

Ma questo per Andrea era tradire la sua stessa natura, la ragione di una vita.

Oggi sono diffusissimi i pasticciotti surgelati anche crudi da cuocere, ma quando mai si potrà garantire quella perfezione che lui aveva raggiunto con l’utilizzo delle migliori materie prime, la lavorazione maniacale e la cottura nel suo mitico forno Siemens del 1947 attrezzato con ben 64 resistenze elettriche?

Andrea ha profuso nel suo lavoro un amore senza eguali dimostrando a che livelli di dignità può essere portato il proprio operato.

Il semplice gesto di accompagnarti alla porta era una maniera per ringraziarti per l’apprezzamento ricevuto, ma era anche un monito che reclamava eguale considerazione.

Non sono stati rari i casi di soggetti irriguardosi energicamente accompagnati fuori dal locale ed invitati a rispolverare i principi di buona educazione.

Andrea ha portato alto il vessillo di una galatinesità sinonimo di eccellenza che ci ha contraddistinto positivamente in provincia e non solo per tantissimi anni e che rappresenta il valore immateriale più prezioso della città.

Lui è il figlio illustre di una tradizione di artigianato artistico che gli studiosi accademici fanno risalire addirittura ai “frutti postumi della grande fabbrica di Santa Caterina”.

"Per comprendere la profondità del pensiero di Andrea, fine osservatore dei costumi e delle tradizioni locali, conoscitore dei più complessi risvolti antropologici e custode geloso dei segreti più intimi della società ci vorrebbe un corso di studi nella facoltà  DAMS dell'Università del Salento" ebbe a dire il compianto preside prof. Gino Santoro.

Tu caro Alessandro hai saltato a piè pari le testimonianze dirette di chi Andrea lo ha conosciuto di persona oltre a quelle dei suoi familiari, hai mercificato e mortificato il tutto farcendolo  con ricerche documentali che lasciano il tempo che trovano.

Tu lo sai bene che la validità di una ricerca è tale sino alla ricerca successiva e via di seguito sino all’altra ancora.  E comunque le ricerche serie vengono sempre sottoposte al vaglio della comunità accademica.

Sminuire e svilire il vissuto di quasi 300 anni di storia di una famiglia ci lascia perplessi ed amareggiati.

Una famiglia che ha fondato alberghi (a Santa Cesarea Terme) che ha prodotto liquori, gelati, dolci, che ha fornito servizi di banchettistica a tutta l'aristocrazia locale che da laboratorio requisito durante la guerra ha deliziato i militari delle forze alleate guadagnandosi una stima unanime non può essere mortificata in quel modo.

Il papà di Andrea frequentava il mitico liceo P. Colonna negli anni venti quando in quel periodo l'analfabetismo totale superava il 30 per cento della popolazione ed una licenza liceale in proporzione allora equivaleva a due lauree di adesso.

La tradizione orale poi tieni in conto  è sempre stata una cosa seria perché tramandata onestamente da generazione in generazione quando ancora il mondo non era accessibile a false notizie e facili ribalte.

Ed infine un’ultima considerazione.

Ma tu hai mai conosciuto Zeffirino Rizzelli?

Ovviamente No, ne sono certo perchè altrimenti non avresti mai osato minimamente mettere in discussione quanto il professore Rizzelli ha pubblicato.

La statura morale , culturale e l’onestà intellettuale di Zeffirino Rizzelli non sono sindacabili, e te lo dice uno che politicamente è stato schierato dall’altra parte.

Pertanto se Zeferino scrive che il pasticciotto è stato inventato il 1745 sappi che quel documento  ha valore notarile per la comunità galatinese.

Quindi concludo Alessandro esortandoti a rivedere completamente il tuo giudizio anche perchè tempo verrà che i fogli di “ carta bambagina” sui quali hai fatto facile ironia verranno alla luce e tu non faresti una bella figura.

Ed ad ogni buon conto sappi che se anche i tuoi articoli  hanno trovato consensi nei tanti spargitori di veleni immancabili in ogni comunità, per la stragrande maggioranza dei galatinesi che considerano Galatina la loro patria, dissacrare i loro padri è considerato un atto odioso quasi blasfemo e Zeffirino e Andrea lo sono a pieno titolo tra i più cari.

 

Dante De Ronzi

 

nota (1)  Alessandro Massaro autore articoli pubblicati sul “Filo di Aracne” e vari post su FB.

 

I lavori per l'allargamento della strada statale 16, la Maglie-Otranto, sono partiti. Da oggi sulla strada all'altezza di Giudignano le ruspe del gruppo Palumbo sono al lavoro.
Sui social network i cittadini ed i gruppi ambientalisti gridano allo scempio ambientale e "postano" sulla bacheche messaggi di allarme.


Ecco che cosa si legge sulla pagina facebook del Forum Ambiente & Salute:
"Proprio in queste ore si è dato inizio al massacro del bellissimo territorio di Giurdignano capitale europea del megalitismo preistorico.
Poderosi buldozer e abominevoli ruspe stanno scempiando la preziosa Terra d'Otranto per mortificarla con la costruzione di una malsana e faraonica strada tanto dannosa quanto inutile ai cittadini e fortemente ispirata da mire speculative !!!
Si fa appello a magistratura ed inquirenti per fermare questo ennesimo catastrofico scempio a danno di importantissimi patrimoni pubblici che, a quanto è dato sapere, si sta perpetrando disattendendo le puntuali prescrizioni di ben 2 Ministeri (Ambiente e Beni culturali), e in assenza di una valutazione per una più che necessaria accortezza a tutela paesaggistica e storico-archeologica
".

I lavori in corso sono quelli relativi all'appalto da 55 milioni di euro, un progetto fermo da tre anni. Proprio questo blocco ha messo in difficoltà i 300 operai della società del gruppo Palumbo, che ha vinto la gara per l'allargamento, oggi in cassa integrazione ed a rischio mobilità.
Il dubbio sollevato è però sull'effettiva necessità di tale allargamento che riguarda un tratto brevissimo di strada, appena 12 kilometri. Da allargare per andare più veloci.
Ma la zona è molto ricca dal punto di vista ambientale ed archeologico.
Solo nell'aprile scorso è stata scoperta una cripta paleocristiana; le testimonianze megalitiche e preistoriche sono tante.
La questione non è semplice. A complicarla ulteriormente la necessità di espiantare ben 8mila ulivi secolari. Negli scorsi mesi è partita on line una petizione per adottarli in quanto solo 1.500 era stata avanzata ufficiale richiesta di adozione da parte dei Comuni limitrofi. Ma anche in questo caso le mancanze o la carenza di notizie ha confuso le carte in tavola. Perché il reimpianto degli 8mila ulivi è un obbligo dell'Anas, che deve farlo a sue spese, così come indicato dal Ministero nella prescrizione contenuta nel decreto di Via del progetto.

fonte: iltaccoditalia

 
Di Albino Campa (del 18/12/2011 @ 22:49:26, in Eventi, linkato 4194 volte)

Si accendono le luci sul sipario del teatro “Parrocchia Madonna delle Grazie” di Noha nell’attesa fremente che prenda il via la seconda Rassegna Teatrale “Palcoscenico nei luoghi”, dopo lo strepitoso successo dello scorso anno. Si sente un leggero brusio in sala, una certa tensione circola già tra gli spettatori, un contagio continuo che sembra essere partito da dietro le quinte dell’accogliente sala teatrale e ora ballonzola tra gli astanti. Mancano meno di tre settimane all’apertura del sipario, ma è facile per l’estensore delle seguenti note immaginare ad occhi chiusi l’atmosfera che potrebbe crearsi in una situazione come queste: è la prima volta che la piccola frazione di Galatina ha la fortuna di essere coinvolta in una ricca rassegna teatrale e l’emozione non è quantificabile né facilmente malleabile.

“Domenica a teatro”, è questo il titolo della rassegna promossa dalla Compagnia “Theatrum” con il patrocinio del Comune di Galatina, della Provincia di Lecce e della Federazione Italiana Teatro Amatori, in collaborazione con la Compagnia Teatrale “Calandra” e il sostegno economico di diversi sponsor nohani e galatinesi. Primo imperdibile appuntamento domenica 8 gennaio ore 19:30 con la famosissima “Turandot”, messo in scena dalla “Compagnia dei Teatranti” di Bisceglie. Si alterneranno poi sul palco diverse compagnie teatrali locali e nazionali, per intrattenerci sino al mese di maggio con spettacoli di vario genere: dal musical alla prosa, dalla commedia brillante in vernacolo salentino e napoletano al teatro comico muto, passando per il dramma.

Un appuntamento imperdibile che occorre sostenere con una presenza numerosa e interessata, per far passare ancora una volta il messaggio che un centro culturale fremente qual è Galatina, con frazioni annesse, non può non avere un Teatro Comunale. Occorre appoggiare la rassegna e divulgare la notizia al di fuori della cittadina galatinese per cercare di porre rimedio a quel brutto livido nero che la bella città d’arte s’è fatta ingenuamente, permettendo la liquidazione dello storico “Teatro Tartaro”, di cui non resta che la facciata.

Michele Stursi

Posti numerati per i soli abbonati.

Per informazioni e prenotazioni:

Libreria Fabula, Corso Portaluce, 42 – Galatina

Tabaccheria Bandini, Piazza San Michele – Noha

Info e prenotazioni: tel. 334.6058837 – 336.609027

Ingresso contributo spettacolo: € 5.00

Bambini fino a 14 anni: € 3.00

Spettacoli nazionali: € 7.00

Abbonamento per l’intera rassegna: € 40.00  

 

 

 
Di Albino Campa (del 21/09/2007 @ 22:48:32, in NohaBlog, linkato 4869 volte)


Festa San Michele Arcangelo
28-29-30 Settembre 2007
Con il patrocinio del Comune di Galatina


Programma delle Celebrazioni
19 Settembre: Solenne apertura della Novena e intronizzazione della Reliquia
23 Settembre: ore 9.30 Apertura dell'Anno Catechistico
24-26 Settembre: Preparazione Spirituale all'Ordinanza Sacerdotale do Don Emanuele Vincenti che avverrà il 6 Ottobre presso la Basilica Cattedrale di Otranto
28 Settembre: Vigilia della Festa.
  • ore 7.15/ 9.30/11.00 SS. Messe
  • 18.00 Solenne Celebrazione Eucaristica
  • 19.00 Processione per le principali vie del paese
29 Settembre:
Solennità di San Michele Arcangelo
  • ore 7.00/ 8.30/10.00/11.30 SS. Messe
  • 19.00 Solenne Celebrazione Eucaristica al termine Bacio della Reliquia
   
Programma delle Manifestazioni
•L'allestimento delle luminarie nelle vie che
   tradizionalmente vengono addobbate saranno
   curate dalla premiata ditta:
   "CAV. CESARIO DE CAGNA"

28 Settembre:

  • Gran Concerto Bandistico Città di "Sogliano Cavour" (Le) Maestro Direttore e Concertatore Giuseppe Gregucci.
  • Al termine della Processione Spettacolo Pirotecnico a cura della Ditta "La Pirotecnica del Sud" di Piero Coluccia di Galatina (Le)
  • ore 21.00 Spettacolo di Pizzica e Musica popolare con i "NUI...NISCIUNU"
29 Settembre:
  • Gran Concerto Bandistico Città di "Sogliano Cavour" (Le) Maestro Direttore e Concertatore Giuseppe Gregucci
  • Rinomato Gran Concerto Musicale "Lorenzo Semeraro" Città di Mottola (TA)
    Maestro Direttore e Concertatore "Salvatore Tarantino"
  • ore 24.00 A conclusione dei Festeggiamenti spettacolo di Fuochi pirotecnici curati dalle Ditte "La Pirotecnica del Sud" di Piero Coluccia di Galatina (Le) e "Cav. Maggio Domenico" di Tuglie (Le)
30 Settembre:
  • ore 20.00 esibizione della Scuola di Ballo DANCING DAYS di Cutrofiano (LE) maestri GIUSEPPE E LUIGINA MENGOLI.
  • ore 21.00 "I CUGINI DI CAMPAGNA " in Concerto
 
ATTRAZIONE GIOCHI
Per tutta la durata dei festeggiamenti GRANDE LUNA PARK
 
MANIFESTAZIONI TRADIZIONALI
Con inizio alle ore 8,00 saranno sparati i tradizionali botti.
Ogni mattina i concerti bandistici, dopo aver sfilato per le vie della città, presteranno servizio in Piazza S. Michele.
 
Il Parroco ed il Comitato ringraziano la Comunità Parrochiale per aver contribuito alla realizzazione della Festa

 

 
Di Albino Campa (del 13/02/2012 @ 22:46:47, in Comunicato Stampa, linkato 4206 volte)

Si concluderà domenica 19 febbraio Oblivium, la Mostra d’Arte Contemporanea di Claudio Scardino, curata da Francesco Luceri e Daniela Bardoscia e realizzata in collaborazione con l’Università popolare “Aldo Vallone” e il Museo d’Arte “P. Cavoti” con i patrocini del Comune di Galatina, della Provincia di Lecce e dell’Assessore al Mediterraneo, Cultura e Turismo della Regione Puglia. Il percorso artistico ha visto protagonista, nelle sale del museo galatinese, la più recente delle performance artistiche della cosiddetta “arte partecipata” di Scardino, scultore, artista multimediale e pittore, che, formatosi nei più floridi centri artistico-culturali italiani, avvezzo a prestigiose partecipazioni a eventi d’arte nazionali e internazionali, ha conquistato con la sua scultura Athena il pubblico statunitense e con Diana ed Enrico VIII (entrambi esposti per Oblivium) l’internazionale MoMM (Museum of Modern Media). “Finding ways to define reality and be in reality is the big question of our time” scrive l’artista e scrittrice australiana Marlene Sarroff, “Throughout his career there has been no limits to his invention, combining art with life, he looks for the most appropriate situations and then dives into the reality to be completely soaked in it”. Conclude il suo intervento scrivendo “This is where Claudio Scardino performances, really become a magical tool”. Gli “strumenti magici” di cui parla Sarroff, sono ancora per pochi giorni a vostra disposizione. L’Oblio è iniziato l’1 febbraio e, ancora per questa settimana, è possibile intraprendere un percorso catartico, tra i volti e i colori dell’artista leccese. I visitatori potranno ancora essere protagonisti − costretti “a consegnare nelle sapienti mani dello sculture quel pezzo di noi stessi che nasconde un embrione d'artista smarrito e confuso”, come scrive la curatrice − con l’Action Painting, intitolata “Opera Continua”, ultimo invito rivolto dallo Scardino ai visitatori, al grido bellico latino “Pugna!” (Combatti!): chi lo vorrà, armato di colori a cera (forniti in loco), potrà divenire guerriero dell’arte condivisa scardiniana. Varcando la sottile linea rossa che simboleggia il mitologico fiume Lete, corso d’acqua di purificazione e dispensatore di dimenticanza, si attraversa l’oblio dei tempi, per ascoltare, attraverso la visione di Scardino, gli echi del passato, dei miti greci e latini, in un recupero di alcuni frammenti della nostra identità multiculturale. Con il sovrano inglese, poi, molto apprezzato dai visitatori, si ritorna alla modernità e si approda alla seconda parte di Oblivium, nel vorticoso affacciarsi dei ricordi, che riguardano l’esperienza dell’artista. Per concludere degnamente il percorso, sarà esposta per il week-end un’opera scultorea, inedita, di Scardino. Verrà, inoltre, predisposta una installazione audio dell’artista, accompagnamento auditivo verso l’oblio. Chiuderà la mostra un programma speciale: a partire dalle 18.30, spettacolo di letture sceniche, sapientemente interpretate da Michela Maria Zanon (artista) e Gianluca Conte (poeta) dell’Associazione culturale “Eterarte”; a seguire, un’esibizione musicale degli alunni della Scuola Secondaria “G. Pascoli”. Al termine, lo Scardino proporrà la realizzazione di una scultura in azione, che intersecherà con la creazione artistica teatralità e danza. Oblivium batterà il suo crepuscolo con uno spettacolo di danza, classica e contemporanea, a cura della “Europe Dance School” di Nadia Fiorella Martina, che empirà di vita e poesia le statiche sale del Museo “P. Cavoti”. I visitatori lasceranno questo trasognante viaggio nell’arte, musica e poesia con un rinfresco e una degustazione della simposiaca bevanda, gentilmente offerta dalle Cantine Santi Dimitri.
I curatori colgono l’occasione per ringraziare tutti i convenuti e per lanciare un messaggio: «È possibile far rivivere la nostra città, aprendosi a nuove e giovani forme di cultura. Oblivium, evento eccezionale per tutta la Puglia, è stata allestita senza un solo Euro pubblico. Certamente, se avessimo potuto contare su qualche finanziamento, l’evento sarebbe stato ancora più prestigioso. Ciò nonostante, è stato un successo. Ci auguriamo, per il futuro, che le amministrazioni appoggino le forze che si stanno costituendo per una rinascita culturale del territorio, che finiscano gli oscuri tempi dei finanziamenti clientelari, per permettere al nostro territorio, ricchissimo di potenzialità storico-culturali inespresse, una crescita moderna e florida. Oblivium è il nostro messaggio: è possibile far vivere Galatina, il Museo “Cavoti” e la Cultura. Esistono persone disposte a mettere a disposizione di tutti la loro passione e la loro esperienza. La Cultura è la vera crescita».

Museo civico d’Arte “P. Cavoti”
Piazza Alighieri Alighieri, n. 51,
Galatina (LE), 73013
Tel. 0836/567568
e-mail: info@museocavoti.it
Per info: daniela.bardoscia@alice.it; tel. 3297669635, 3881197170

 
Di Anita Rossetti (del 13/11/2014 @ 22:46:30, in Comunicato Stampa, linkato 3006 volte)

E’ di soli pochi giorni fa la nostra istanza all’Amministrazione di Galatina avente

per oggetto la richiesta del conferimento della cittadinanza onoraria al Dott. Antonino Di Matteo, utile soprattutto a toglierlo dall’isolamento utilizzato come anticamera della morte, ed oggi sui giornali viene pubblicata la notizia che l’esplosivo è a Palermo ed è pronto per una strage imminente!

Secondo quanto scrive Repubblica, una fonte considerata “molto attendibile” dagli inquirenti ha rivelato che il tritolo per organizzare un attentato a Di Matteo si troverebbe già a Palermo, situato in diversi punti. Raccolto da diversi mesi, ormai, dalle famiglie mafiose palermitane. È stato Leonardo Agueci, procuratore facente funzioni a Palermo, a comunicare l’emergenza sicurezza al Viminale.

Per questo condividiamo l’urlo di Salvatore Borsellino e anche noi, insieme a decine di città italiane in contemporanea con Palermo,

SABATO 15 NOVEMBRE alle ore 17.30 in Piazza Alighieri a GALATINA

organizziamo un sit in a sostegno del PM Nino Di Matteo

 e degli uomini che lo scortano.

“Ancora una volta giungono notizie di morte. Ancora una volta, come 22 anni fa, giungono notizie di carichi di tritolo preparati a Palermo per l’assassinio di un giudice. Ancora una volta si moltiplicano da parte delle istituzioni i messaggi di solidarietà in attesa di poterli sostituire con messaggi di cordoglio, in attesa di intervenire ai funerali di Stato per verificare che, ancora una volta, un magistrato che ha osato toccare quei livelli di potere che non devono essere nemmeno sfiorati sia stato chiuso dentro una bara ed il caso possa essere finalmente archiviato. Poi si provvederà a celebrarlo come l’ennesimo eroe, a travisarne le parole, ad intervistarne i familiari. a conferire medaglie d’oro e distribuire onorificenze sempre che questi siano disponibili ad interpretare convenientemente il ruolo loro assegnato, ad esibire le proprie lacrime e a comportarsi da vedove inconsolabili e da orfani affranti.

 Ed intanto, per salvare le apparenze, si dichiara che il dispositivo di scorta è stato elevato al massimo livello. così sarà maggiore il numero di componenti della scorta da sacrificare insieme alla vittima predestinata ed il numero di bare da allineare nella cattedrale di Palermo, che però questa volta, ai funerali di Stato, verrà presidiata con i carri armati perché non sia turbata con aggressioni un popolo esasperato, la parata degli avvoltoi di Stato.

 Ed intanto dell’unico dispositivo che potrebbe, se non impedire, almeno rendere più difficile l’esecuzione di un eventuale attentato, il bomb-jammer, non parla più nessuno. Dopo le menzogne del ministro Alfano sulla sua “immediata disponibilità” del dispositivo per la scorta di Di Matteo e la successiva auto smentita senza vergogna da parte di chi ha ben appreso dal suo maestro l’arte della menzogna, su questo argomento è calato il silenzio. Tanto poi, come per la zona di rimozione in via D’Amelio nel 1992, si dirà che il decreto era già nel cassetto di qualche funzionario dello Stato che verrà rimosso promuovendolo ad un incarico più elevato.

 Ma una domanda non posso evitare di pormi. A chi interessa eliminare Di Matteo? Non alla mafia, non a Totò Riina che dall’accertamento dell’esistenza di una trattativa stato-mafia non può altro che vedere elevare il suo status da sanguinario capo della mafia al livello di un capo si Stato con cui lo Stato italiano ha accettato di venire a patti, non alla cupola mafiosa , elevata dalla trattativa alla dignità del governo di uno stato parallelo con cui trattare alla pari, se non in stato di inferiorità per l’incombente ricatto delle stragi usate per alzare il prezzo della trattativa stessa. A chi può interessare se non a chi ha mantenuto per anni una scellerata congiura del silenzio su degli “indicibili accordi” che oggi, giorno dopo giorno, grazie proprio all’opera di Di Matteo e del pool di Palermo, continuano a venire alla luce? Nonostante il silenzio di chi, in una stanza del Quirinale trasformata in un’Aula di Giustizia, di questo silenzio ha scelto di continuare ad essere il garante.”

Salvatore Borsellino

E’ il momento, per ciascuno di noi, soprattutto per chi rappresenta le Istituzioni, di fare la propria parte, perché non si può più far finta di niente!

Per questo ci auguriamo che sabato Piazza Alighieri sia gremita di cittadini che abbiano scelto da che parte stare.

Anita Rossetti

Coord. Mov. Agende Rosse – Gr. Sognatori Resistenti R. Fonte e A. Montinaro- Salento

Galatina, 12/11/2014

 
Di Marcello D'Acquarica (del 15/01/2013 @ 22:46:09, in NohaBlog, linkato 3881 volte)

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.  
(Articolo 21 della Costituzione Italiana, comma 1)

 
Così la Costituzione italiana sancisce la libertà di manifestazione del pensiero, che si esplica attraverso la libertà di stampa e la libertà di parola. La libertà di espressione è cardine essenziale di ogni democrazia, riconosciuta anche dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948:
“Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
Abbiamo fatto passi da gigante quanto ad alfabetizzazione, tecnologia e scienza ma quanto ad emancipazione non possiamo dire di aver fatto altrettanto. E’ di questi tempi l’ultima novità in campo giornalistico che riguarda proprio la libertà d’opinione. Non che il cosiddetto caso “Sallusti” sia il caposaldo di quel diritto (anzi questo caso non ha nulla a che vedere con la libertà di opinione: qui si è trattato di una diffamazione bella e buona, e con dolo), ma sicuramente ha rimesso in discussione i confini di quel principio. La libertà d’espressione è un diritto inalienabile, la cui limitazione ne segna la progressiva instabilità, di contro la rinuncia spontanea all’esercizio di tale diritto fa retrocedere l’uomo al rango di bestia. Nel tempo, ed in alcuni paesi in maniera particolare, la scarsa capacità di confronto, e quindi  di scambi culturali, hanno contribuito non poco all’atrofia sociale. C’è un passo nel racconto di Carlo Levi “Cristo si è fermato ad Eboli” (Giulio Einaudi ed. S.p.A., Torino, 1945), che recita così: “il vero nemico della gente comune, quello che impedisce ogni libertà e ogni possibilità di esistenza civile è la piccola borghesia dei paesi con tutte le sue varianti, specie, contro specie, composta sommariamente dal podestà, dal farmacista, dal medico, dall’avvocato e dal prelato”. Lo scrittore si riferisce ovviamente a luoghi e tempi ben precisi, come la Basilicata degli anni ’30 del secolo scorso; luoghi che non si discostano di molto dal nostro paese per tradizioni e cultura. Ma l’eco di questa forma distonica del pensiero, soprattutto nei piccoli centri urbani,  nonostante siano trascorsi più di ottant’anni non si è ancora dissolta del tutto, da un lato per il senso di onnipotenza di chi presume l’inconfutabilità del proprio convincimento dall’altra per un’atavica forma di soggezione a prescindere.  Se senti con l’orecchio giusto, e riesci a immedesimarti in chi non ha quello che tu invece hai, la tua visone della vita si apre nell’essenza del messaggio più eccellente.
Che senso può avere dire di essere disposti all’ascolto delle richieste, dei dubbi, o dei bisogni dell’altro se pretendiamo che l’altro, appunto, debba essere limitato nella sua libertà di espressione?
La comunicazione deve essere interattiva, altrimenti si riduce ad un monologo. E' in un certo senso come la rana quando fa la regina dello stagno, a rispondergli possono esserci solo altre rane, o al massimo un rospo.
L’atto di pronunciare un'opinione, non è mai un crimine, lo è invece minacciare, tacciare, reprimere la libertà a chiunque di esprimersi. Pensare o mettere in discussione liberamente una corrente di pensiero, un’idea politica o religiosa, senza far calunnia ad alcuno, è crescita culturale. Se Gesù ci ha lasciato il comandamento di amare il prossimo e difendere la vita e per questo dico che dagli altari bisognerebbe condannare e scomunicare chi inquina la terra e uccide la vita, esprimo semplicemente la mia opinione che può essere discussa ma mai colpevolizzata. Se una persona non può esprimersi, non può neppure protestare contro ciò che succede.
Da qualche parte ho letto una frase che mi ha fatto accapponare la pelle: “Non dissentire è un buon metodo per restare al sicuro”.
"Non giudicate e non sarete giudicati" (Luca 6,37), può sembrare contemporaneamente il motto di un santo (non giudicare) o di un permaloso (non essere giudicato). Peccato che, se interpretata a rigor di logica, la frase evangelica non sia una condanna del giudizio. Infatti, perché mai essere giudicati deve essere considerato negativo? Una persona intelligente giudica e accetta il giudizio altrui.
Il diritto d’opinione e quello di condizionare la libertà, sono due atteggiamenti che se non gestiti democraticamente portano come risultato l’inciviltà. Ultimamente si è fatto un gran parlare di mafia, anche a Noha. Di recente anche in occasione dell’inaugurazione della scuola elementare di Noha. E anche per voce di Salvatore Borsellino, benemerito rappresentante della cultura antimafia.
Si è detto e ridetto che la mafia attecchisce dove viene a mancare lo Stato. Si rende quindi sussidiaria alla legge che naturalmente interpreta ed impone secondo i propri loschi obiettivi.
Lo Stato non è un ente astratto, ma la nostra stessa capacità di pretendere il dialogo, di autocritica e di partecipazione alle scelte sociali.
Ecco quindi a cosa serve la salvaguardia del diritto d’opinione. Serve a non tornare al tempo del medioevo, del caporalato, o ancor peggio, della dittatura.

Marcello D’Acquarica

 
Di Redazione (del 26/03/2014 @ 22:45:26, in Comunicato Stampa, linkato 2467 volte)

Giovedì 27 marzo 2014 dalle ore 17 alle ore 19:30 Museo Civico Pietro Cavoti, “Galatina de ‘na fiata”, personaggi locali, scioglilingua, proverbi, e curiosità sulla toponomastica di Galatina a cura di  Piero Vinsper in collaborazione con il Circolo Cittadino Athena.
Anche per l'anno 2014, con la seconda edizione, si è rinnovato l'appuntamento
"Vivi i luoghi della Cultura 7 giorni su 7", promosso dall'Assessorato al Polo Biblio – Museale del Comune di Galatina. L’associazione Città Nostra,che ha aderito a questa edizione, ha organizzato questo laboratorio sperimentale di “oralità” iniziato il 20 febbraio con appuntamenti che si sono tenuti a cadenza infrasettimanale rivolti a bambini a giovani e ad adulti ogni giovedì dalle 17:00 alle 19:30 e che si concluderà giovedì 27 marzo 2014. Un esperimento ben riuscito, condotto in modalità familiare, nato con l’intento di svolgere azione di animazione territoriale e di agevolare il dialogo intergenerazionale (piccoli, giovani, adulti) e di rinnovare i vecchi racconti (“li cunti de ‘na fiata”). Nel primo incontro di giovedì 20 febbraio sono state indicate le modalità per partecipare al concorso che invita i cittadini ad esprimere la loro creatività, cimentandosi in un testo letterario (saggio, racconto, poesia, articolo giornalistico) avente come tema ispiratore la città di Galatina nei suoi aspetti culturali, storici e sociali. Si poteva partecipare al concorso fino al 20 marzo. Il 27 marzo, in occasione dell’ultimo incontro, saranno premiati i vincitori.

 

Info: e-mail: associazionecittanostra@live.it, cell.331/1800400

 
Di Redazione (del 24/01/2014 @ 22:44:30, in Comunicato Stampa, linkato 2640 volte)

Lunedì 27 gennaio, con apertura alle h.18,00, tutta la cittadinanza è invitata a Palazzo della Cultura per partecipare alla manifestazione a cura degli studenti delle Scuole Superiori di Galatina che con la guida dell’Assessorato alle Politiche Culturali e il supporto dell’Assessorato alle Politiche Giovanili, in collaborazione con i dirigenti, i docenti e rappresentanti d’Istituto, hanno elaborato e condiviso, su idea progettuale del dott. Marcello Costantini, attività che sviluppano tra immagini, parole e musica, tematiche legate alle barbarie odierne.

Una iniziativa congiunta, che vuole andare oltre l’aspetto meramente commemorativo della Memoria dell’Olocausto e del Ricordo delle Vittime delle Foibe.
Per questo è stato tracciato un percorso di ATTRAVERSAMENTO del Palazzo della Cultura con ingresso da via Alighieri e, attraverso Biblioteca e Museo, uscita in via Cafaro dalla scalinata d’accesso al primo piano del Museo, come metafora del passaggio tra la BARBARIE PASSATA e le BARBARIE ODIERNE.

Quattro i temi proposti: SHOAH a cura del Liceo Scientifico, FEMMINICIDIO a cura del Liceo Classico, Artistico, Scienze Umane, MAFIA a cura dell’Istituto Tecnico, EMIGRAZIONE/IMMIGRAZIONE a cura dell’ I.I.S.S. Falcone e Borsellino.

Ciascuna scuola ha realizzato sull’argomento prescelto un video di 6/8 minuti. La proiezione avverrà all’interno della sala “C. Contaldo” e sarà accompagnata dalla presentazione degli stessi studenti, tra reading di testi ed esecuzioni di brani musicali, e dalle testimonianze straordinarie di Massimo Albanese, Veronica Valente, Brizio Montinaro, Said Jafari.

Nell’ occasione assisteremo alla proiezione in prima del video realizzato dagli studenti dell’I.I.S.S. “P.Colonna” vincitore della XII edizione del concorso nazionale “I giovani ricordano la Shoah”.

Luci e colori diversi metteranno in risalto le immagini che i ragazzi hanno selezionato e che accompagneranno i visitatori dall’accesso al Palazzo della Cultura, attraverso il Chiostro,la Biblioteca “P. Siciliani”che per la circostanza ha realizzato una mostra documentaria con libri e video sui temi, e il Museo “P.Cavoti”,dove attraverso i monitor appositamente istallati viene ripetuta la visione dei filmati prodotti.

Questo progetto è la dimostrazione che le attenzioni rivolte dall’ Amministrazione ai giovani sono ben riposte e che i giovani sono aperti a relazionarsi con gli adulti, mutuando le rispettive esperienze.

Il parere, raccolto dall’Ass. alle Politiche Giovanili, ing. Andrea Coccioli, conferma che la società deve puntare sui giovani. Per dirla con Rosa Luxembourg, giovani o barbarie.

La manifestazione, nella varietà dei linguaggi sarà vissuta come possibilità di presa in carico della memoria della barbarie passata (siamo tutti chiamati ad assumerci la fatica della conoscenza!) e come crescita di consapevolezza perchè tutto è ripetibile ed il rischio che la barbarie si ripresenti è reale, e perché le barbarie odierne sono tante e solo la conoscenza e la cultura condivise possono insieme costituire un’efficace resistenza per la costruzione di una società più giusta.

Queste considerazioni,espresse dalla prof.ssa Daniela Vantaggiato,Assessore alle Politiche Culturali, hanno animato l’impegno di tutti coloro che hanno collaborato per la buona riuscita della manifestazione, che nella serata si concluderà con l’intervento del Sindaco dott. Cosimo Montagna.

(Comunicato del Servizio Cultura e Comunicazione)

https://www.facebook.com/giorno.dellamemoria.5

 
Di Raimondo Rodia (del 22/07/2014 @ 22:42:53, in Comunicato Stampa, linkato 2093 volte)

I nostri Econauti saranno accompagnati alla scoperta di una Galatina incantata, in una passeggiata esoterica e magica tra le vie del borgo. Un trekking urbano che coinvolgerà grandi e piccini con le storie e gli aneddoti di Raimondo Rodia, i percorsi letterari a tema di Emilia Frassanito, i giochi e l’animazione per bambini. Un giro negli angoli nascosti del centro storico di Galatina, tra pietre che richiamano duelli rusticani all’arma bianca, testine che piangono sangue, segni magici dentro e fuori le chiese, i resti di una mitica chiesa templare, cavalieri senza testa, maschere apotropaiche, insomma l’eterna lotta fra bene e male, misteri ed esoterismo, culti e tradizioni ancora vive. Il tarantismo, gli splendidi affreschi della basica di S. Caterina, le case a corte, segnali segreti e… molto altro ancora. Saremo ospiti della Libreria Fiordilibro dove, per l’occasione, così, in un tripudio di odori e sapori, tra assaggi di prelibatezze dolci e salate, potremo curiosare tra i testi sul territorio messi in bella mostra negli scaffali, scelti con raffinata cura da Emilia. Ritrovo: ore 18.00 in Piazza G. Toma – Galatina. Info e prenotazione (obbligatoria entro 24 ore dalla data prevista) : Gli Econauti Surl 348 5444493 – 320 8689221 econauti.salento@gmail.com . Su richiesta, almeno con 24 ore d’anticipo, possibilità di Interprete in lingua straniera (inglese, francese e/o LIS (Linguaggio dei Segni). Indicare al momento della prenotazione allergie, intolleranze e scelte alimentari. Il percorso nell’ambito dell’iniziativa VVV – Viva i Venerdì Verdi si svolgerà a Galatina, Venerdì 25 Luglio 2014 ore 18. Tra magia ed esoterismo… Percorso sensoriale tra suoni e visioni, odori e sapori del Salento.

 

 

 

La partecipazione e il calore dei galatinesi al comizio di apertura della mia campagna elettorale sono andati oltre ogni più rosea previsione. È stato un bagno di folla, come scrivono i giornalisti in questi casi. È stato un momento importante perché ho sentito forte l’attesa e le aspettative della città nei confronti miei e di “Obiettivo 2022”, la coalizione che sostiene la mia candidatura a sindaco. Significativi anche gli interventi dei segretari di partito che hanno spiegato come è nato il progetto politico fatto da forze di centro, di sinistra e di destra, con cui vogliamo governare Galatina per i prossimi cinque anni, ma hanno dato anche un assaggio delle cose che intendiamo fare.

La nostra Galatina è allo sbando, manca di programmazione e sulle spalle della prossima amministrazione pesa come un macigno un debito di 12 milioni di euro e speriamo che siano solo questi, pari a 24 miliardi delle vecchie lire. Per questo, sin da quando ho accettato la candidatura a sindaco, mi sono preoccupato di capire come intercettare i fondi comunitari, anche andando a Roma, perché non basta dire che si vogliono fare investimenti, bisogna avere le idee chiare sui processi che li governano per strutturare adeguamente gli uffici.

Non aumenteremo le tasse e non sforeremo il Patto di stabilità. Sul primo punto ritengo che chi paga, paga già abbastanza; sul Patto di stabilità le penalizzazioni sono tali per il Comune che non ha senso forzare la mano. Dobbiamo, invece, con saggezza e con una buona programmazione portare Galatina fuori dalla palude. Venderemo le auto blu, faremo le strisce bianche gratuite per la sosta breve davanti agli esercizi commerciali e le strisce rosa per le mamme. Non permetteremo sprechi e interverremo sulla pubblica illuminazione, a partire dalle periferie che presentano forti carenze. Continueremo a impegnarci per il “Santa Caterina Novella”, pretendendo la garanzia sui servizi sanitari così come da candidato sindaco ho chiesto e da sindaco pretenderò.

Abbiamo costruito un serio programma di governo (quelli citati sono solo pochi punti) e non abbiamo perso tempo in chiacchiere: quelle le lasciamo a chi non ha altro modo per apparire in questa campagna elettorale. Per quanto mi riguarda, se sarò eletto, non sarò un sindaco a mezzo servizio, ma a tempo pieno e per questo ho già predisposto affinché possa lasciare il mio posto in azienda, in caso di vittoria. Noi facciamo squadra.

 Giampiero De Pascalis

 
Di Antonio Mellone (del 19/11/2015 @ 22:38:33, in Necrologi, linkato 2952 volte)

Oggi, 19 novembre 2015, mentre spuntava l’aurora, è venuta a mancare all’età di 93 anni la prof.ssa Mimì Piscopo, la prima laureata in “Lettere classiche” della nostra cittadina.

Vorrei ricordarla con le stesse parole di un articolo che vergai in suo onore sei anni fa (cfr. “L’Osservatore Nohano”  - n. 8, anno III, del 9 dicembre 2009).

*

<< Sono di fronte agli occhi color cielo quando è bello di una nohana purosangue: Mimì Piscopo, la mia professoressa di Italiano della mitica “I G” dell’Istituto Tecnico Commerciale “M. Laporta” di Galatina. Le chiedo alcune informazioni sul suo conto per una rubrica che tengo saltuariamente sul mio giornale, una rubrica dal titolo Curriculum Vitae.

Riesco a prendere appunti interessantissimi, ma il rischio è che anziché un articolo qui salti fuori un vero e proprio ponderoso volume. Perché le notizie e le curiosità (che sono come le ciliegie: una tira l’altra) sono interessanti e affascinanti, e riguardano non soltanto un’autentica gloria della scuola del XX secolo, ma anche la storia tutta e l’evoluzione (chiamiamola pure così) del contesto ambientale salentino, quello che ci fece da culla, e che ancora oggi funge da cornice alla nostra vita.

Ma ci provo ugualmente, tentando di lavorare con la lima più che con la penna, e cercando di non perdermi in mille fronzoli. Mi trovo di fronte – dicevo – ad una ragazza di 87 primavere, una Donna che senza indugio ti dice “sono nata il 16 luglio del 1922”, e subito mi viene da pensare che una vera Signora non si fa alcun problema nel rivelare la sua età.

Mimì frequenta a Noha la scuola elementare come molti suoi coetanei. Terminato il ciclo della scuola primaria, sfidando la tradizione che voleva che le donne rimanessero in casa a fare la calza, Mimì decide di sostenere l’esame di ammissione. “Solo coloro che superavano questo esame potevano frequentare la scuola media”.

L’ingresso nella scuola media quindi non era automatico, ma era una prima conquista per chi voleva proseguire negli studi. E’ inutile dire che andavano avanti solo coloro che si sentivano portati, che sovente coincidevano con i figli del censo e del privilegio, mentre gli altri venivano avviati verso un’attività agricola o artigianale, allu mesciu o alla mescia. La maggior parte dei ragazzi dunque si fermava di fatto all’esame di licenza elementare (ed una buona percentuale di essi non ci arrivava punto). “Quanti sacrifici per frequentare la scuola media e poi quarto e quinto ginnasio, e successivamente il liceo classico fuori paese. Erano tempi in cui la gente era costretta a stringere la cinghia. La fame faceva sentire i crampi allo stomaco. Si razionava il pane, addirittura! Il mio povero papà a volte rinunciava alla sua razione per non farla mancare a noi.. Il più delle volte andavamo a Galatina a piedi. Qualche volta alle sei in punto passava una corriera di studenti provenienti da diverse cittadine del Salento. Ci si conosceva un po’ tutti e, prima dell’inizio delle lezioni, si stava insieme a chiacchierare piacevolmente nell’atrio della scuola. A volte, quando pioveva, e quando era possibile, mi accompagnava il mio povero papà, con il suo biroccio trainato da un cavallo”. Qui si capisce benissimo quanto Mimì Piscopo sia dunque un’antesignana dell’emancipazione femminile nohana e salentina: “Non era facile soprattutto per una donna continuare negli studi. Andare a Galatina era come tradire una tradizione. Ma mio padre per fortuna era di più ampie vedute ”.

Ha un sogno, questa Donna, e a costo di sacrifici, di rinunce e di rottura di schemi arcaici, lo realizza. Questo è uno degli insegnamenti più importanti della professoressa di Noha: quando si crede nelle proprie possibilità e si lotta con determinazione ed impegno, non ci sono risorse finanziarie scarse o barriere culturali impossibili da abbattere.

Il “Pietro Colonna” di Galatina, e soprattutto la serietà ed il rigore degli studi che vi si conducevano, lasceranno nell’animo e nella formazione della studentessa Piscopo Cosima un’impronta incancellabile. E certamente – come evinco dalle sue parole – sentimenti profondi di nostalgia, di rimpianto ed anche di commozione. E’ come se, mentre ti parla, sentisse nell’angolo della sua memoria suonare ancora la campanella del “Colonna” incastrata a ridosso di un pilastro quadrato dell’antico chiostro domenicano, quell’aggeggio sonoro che scandiva l’inizio e la fine delle lezioni col tocco squillante dell’Idea che non muore.

La maturità arriva nel 1944. “E ormai volevo andare avanti. Mi consigliavano di prendere Farmacia. Ma io ero contraria all’idea, perché le farmaciste – così dicevo – mi sembravano delle bottegaie (soprattutto per gli orari di lavoro). Decisi di prendere Lettere con indirizzo classico, perché mi piacevano molto il greco ed il latino. E mi iscrissi all’università di Bari, dove avevo un punto d’appoggio presso il collegio Regina Elena”. Già dai tempi dell’università, Mimì evidenzia la sua passione. “Leggere, studiare, insegnare erano la mia passione”, tanto che corre spesso in soccorso alle esigenze di molti studenti amici e di molti colleghi in difficoltà, studiando e ripetendo insieme a loro, dando loro una mano nel superamento degli esami nelle materie più difficili.

In quel tempo i testi classici ed i distici erano per lei a portata di mano e di memoria; dalle sue scarpe, ad ogni passo, sembravano entrare ed uscire aoristi e ablativi assoluti. “Era difficile superare l’esame di latino. Sentivo che molti studenti l’avevano provato molte volte prima di superarlo… Io sostenni lo scritto un anno in anticipo, ancor prima che mi si consentisse di presentarlo. E ricordo il terribile prof. Vantaggiato che mi chiamò – io incredula – per sostenere l’esame orale, che superai subito e brillantemente. Ma non mi esaltavo mai. Questa è la mia indole: tra l’altro ero anche molto timida”.

Cosimina Piscopo si laurea nell’anno accademico 1948-49 discutendo una tesi (scritta a macchina) dal titolo: “La classe rurale in Terra d’Otranto nei primi sessant’anni del sec. XIX”, relatore il chiarissimo prof. G. Masi [tesi trascritta a cura di Marcello D’Acquarica e pubblicata su Noha.it nel luglio 2010].

Rientrata a Noha, inizia sin da subito a dare lezioni private di lettere, latino e greco, come del resto aveva sempre fatto quando era possibile durante la guerra. “Ma non mi pagavano mica!”. Nel 1954 diventa finalmente – come noi studenti l’abbiamo sempre chiamata – “La Piscopo”, sottintendendo “la professoressa” o, come i giovani d’oggi usano dire, la Prof.

Inizia dunque in quell’anno la sua carriera di insegnante di Lettere all’Istituto Tecnico Commerciale di Galatina “che non era ancora statale ma parificato. Tra l’altro io, insegnante, sembravo allora una ragazzina al confronto dei miei studenti”.

Dopo questa esperienza iniziale intraprende un lungo tour in diversi istituti che qui posso soltanto citare di sfuggita, avvistandoli dall’alto come in un ideale volo d’aquila.
Insegna così al Professionale Statale e poi al Professionale Femminile di Galatina. Successivamente a Maglie di nuovo presso un Istituto Tecnico Commerciale, con alcune ore presso il Magistrale di Galatina. Dopo “non ricordo precisamente l’anno” entra nei ruoli della scuola media ed insegna Italiano, Storia e Geografia ad Aradeo e poi finalmente a Noha alla “Giovanni XXIII” dove viene nominata anche vice-preside.

Ma dopo due anni decide di ritornare alle scuole superiori: sicché ritorna all’Istituto Tecnico Commerciale (nel 1981-82, quando chi scrive frequentava la famosa I G) e contemporaneamente al Professionale Femminile dove ricopre la cattedra di Storia. E poi ancora da Galatina a Gallipoli, alla volta dell’Istituto Nautico, con alcune ore settimanali a Carmiano presso un altro Istituto Professionale…“Amavo il mio lavoro. Ero molto scrupolosa. Andavo al lavoro anche con la febbre. E mi volevano bene. Ricordo che quando morì il mio povero papà (insegnavo al Professionale) il preside e tutti i ragazzi vennero al corteo funebre. Questo mi fu di grande conforto.

Raccontare qui la vita a scuola della docente Piscopo sarebbe impossibile: dovremmo indugiare in numerosi, singolari, piacevoli, interessanti particolari, come la preparazione delle lezioni, le spiegazioni, le interrogazioni, i consigli di istituto, gli incontri scuola-famiglia, i compiti in classe corretti a casa (a volte anche con l’ausilio della sorella Laura, che leggeva tutti gli elaborati degli studenti per filo e per segno), i problemi dei ragazzi che trovavano in lei una istitutrice, sì, ma anche una sorella, una madre e a tratti un’amica alla quale confidare i propri dubbi esistenziali. “Ci fu un periodo drammatico, anni terribili, quando a scuola entrò la droga. In un anno in una classe fummo costretti a respingere addirittura 14 studenti. Quanti incontri tra professori e genitori. Alcuni venivano a trovarmi perfino a casa chiedendo consiglio, sostegno, incoraggiamento. Erano problemi delicati: non si poteva far finta di nulla. […] Quante storie e quanti viaggi di istruzione al seguito dei miei studenti. Ovunque in Italia, nelle città d’arte, in montagna… Ricordo anche un viaggio bellissimo a Parigi. E quante esperienze: pensa che una volta andammo a finire persino in discoteca! Tuttora incontro in giro dei miei studenti che mi chiedono: si ricorda di me? Io confesso di ricordarmi dei più bravi. E dei più diavoli.

Chiudo questo curriculum vitae et studiorum su una persona di valore di Noha, non senza aver detto che Mimì Piscopo è stata nominata anche “Giudice Popolare”, incarico che ha esercitato per un certo periodo di tempo nel foro di Lecce. “Il Giudice Popolare è chi, con fascia tricolore, affianca i giudici nelle Corti d’Assise e nelle Corti d’Assise d’Appello, assistendoli nelle udienze e partecipando alle decisioni contenute nelle sentenze”. La scelta di un così delicato compito di magistratura penale (nelle Corti d’Assise si trattano infatti processi penali per i crimini più gravi previsti nel codice) ricadde su Mimì sicuramente per le sue doti di equilibrio, e soprattutto per la sua irreprensibile condotta morale. Anche quest’ultimo incarico è parte sostanziale di un brillante curriculum vitae.

Concludo questo scritto dicendo che a volte noi altri cerchiamo lontano (o peggio ancora in televisione) le persone di valore e degne di lode, ignorando i tesori a noi più vicini, benché umili ed al riparo dalle luci dei riflettori alimentati con l’energia dell’ottusità e dell’insipienza.

Sarebbe saggio se invece ci accorgessimo di chi, pur in atteggiamento di ritrosia, evitando la pompa magna, vive accanto a noi ed ha ancora molto da dare ed insegnare.

Con questi colpi di scalpello mi auguro di essere riuscito ad abbozzare un seppur grossolano profilo “della Piscopo”, alla quale vorrei indirizzare un grazie di cuore per tutto quello che ha fatto per i ragazzi suoi discenti (incluso il sottoscritto) e per il lustro che con il suo studio, il suo lavoro ed i suoi incarichi ha dato alla nostra cittadina.

Infine vorrei chiederle di essere indulgente con me ancora una volta, nel caso in cui nel corso di questo articolo (o di altri) dovessi aver seminato a destra o a manca qualche strafalcione, o, peggio ancora, qualche errore di sintassi o di grammatica che, come usava ripetere la Prof, “è sempre in agguato”>>.

*

Addio professoressa Piscopo, addio Mimì, e buon vento.

Con te se ne va una brava insegnante, una grande Donna, una pagina gloriosa della Storia di Noha.

Antonio Mellone

 
Di Antonio Mellone (del 26/06/2013 @ 22:37:57, in Cimitero, linkato 3700 volte)

Scopo di un articolo, come di ogni scritto, è sempre quello di far riflettere, e dunque possibilmente di cambiare il mondo. Fosse anche solo marginalmente, ma è pur sempre un cambiamento (si spera in meglio).

Stavolta si parlerà della morte, dalla quale, come diceva Francesco d’Assisi, “nessuno può scappare”.

Non è nostro obiettivo (né saremmo in grado) di discettare di escatologia (che è quella parte della teologia avente per oggetto l’indagine sui destini ultimi dell’uomo e dell’universo), bensì più prosaicamente dell’opzione della cremazione delle salme (che saremo).

Come tutti certamente sapranno la cremazione è “la pratica di ridurre, tramite il fuoco, un cadavere nei suoi elementi di base. Si tratta di una pratica molto antica: in Asia tale consuetudine si è mantenuta pressoché inalterata da millenni” (fonte: Wikipedia).

Con la cremazione il corpo umano (ormai esanime), composto principalmente di acqua, si trasforma in gas, vapore acqueo, carbonio e frammenti ossei. Il cadavere inserito in un forno crematorio a 1000/1200 gradi, in circa 20/30 minuti, si riduce non in cenere ma in frammenti ossei friabili che, in un secondo momento, verranno sminuzzati fino a formare quella che chiamiamo cenere. Questa “cenere” sarà poi a seconda delle usanze (o di quanto disposto dal de cuius) o custodita in un’urna o sepolta, ovvero sparsa in natura.

Per molti secoli la Chiesa cattolica ha bandito questa soluzione che pensava in contraddizione con la fede nella resurrezione dei morti. C’è voluta la rivoluzione del Concilio Vaticano II per sconvolgere anche questa “verità” - che molti teologi già ammettevano, in quanto, di fatto, la cremazione non fa altro che accelerare il processo naturale di ossidazione (sicché la “risurrezione della carne” era salva).

Dal 1963 dunque la Chiesa non considera più come un peccato anzi ammette la cremazione dei cari estinti a condizione che non sia in odium fidei, se non è decisa cioè in disprezzo della fede cristiana. Nel 2012 s’è finanche rieditato il libro liturgico del “Rito delle esequie”, completandolo con le preghiere in caso di cremazione. Oggi è addirittura possibile che le esequie avvengano in presenza dell’urna cineraria, ma la Chiesa preferisce che i funerali avvengano in presenza del corpo, e dunque prima dell’eventuale cremazione.

Per chiudere questo capitolo, diciamo infine che la stessa Chiesa, che promuove il culto dei defunti, è tuttavia contraria allo spargimento delle ceneri o la loro conservazione in luoghi diversi dai cimiteri (per esempio in casa o in giardino), e questo anche per scongiurare o contrastare concezioni panteistiche o naturalistiche o, peggio ancora, forme di feticismo o idolatria verso i morti.

La cremazione molto diffusa nel resto d’Europa (si pensi che a Bruxelles viene cremato circa il 65% delle persone decedute), in Italia, pur in crescita, si attesta in media intorno al 10% dei casi.

Una pratica, dunque, sempre più comune altrove ma non nel nostro Comune: tanto è vero che sembrano esauriti i loculi sia nel cimitero di Galatina e sia in quello di Collemeto (mentre a Noha ne avremo ancora per poco).

Perché tutto questo? Ma ovviamente perché ancora la cremazione non è entrata nell’ordine delle nostre idee e, dunque, viene praticata ancora in percentuali da prefisso telefonico.

Eppure se ci ragionassimo un po’ su capiremmo che la scelta della cremazione ha un suo valore etico e un suo rilievo morale, permette il risparmio dello spazio per chi resta, non ha risvolti negativi dal punto di vista igienico, contribuisce alla razionalizzazione degli esborsi economico-finanziari per le famiglie e per il Comune (si pensi al costo di un cimitero, al suo mantenimento, alle difficoltà di trovare nuovi spazi, e, non ultimo, alle spregevoli e mai debellate mafie che ruotano attorno al “business” dei camposanti). E si consideri, infine, il fatto che ci verrebbero risparmiati gli ineffabili (e a tratti ridicoli) manifesti di lotta politica di bassa lega sul “divieto di morire a Galatina” per mancanza di loculi al cimitero.      

Il ricordo dei defunti non sta nel portare un mazzo di fiori ad un mucchio di ossa custodite in un’urna ingombrante da ostentare, magari all’interno di una sontuosa cappella funeraria, e dunque nella crescita senza limiti dei nostri cimiteri, ma nel ricordo che i nostri cari hanno lasciato nella nostra mente e nel nostro cuore.

Allora non sarebbe meglio, più saggio, economico ed ecologico lasciare la terra ai vivi, sperando che ne sappiano fare buon uso finché sono ancora in tempo?

Antonio Mellone  

Fonte. il Titano, supplemento economico de il Galatino, n. 12, anno XLVI, del 26-06-2013

 
Di Andrea Coccioli (del 14/07/2019 @ 22:37:18, in Comunicato Stampa, linkato 1228 volte)

La lettera riportata sotto è stata inviata al Sindaco di Galatina, Marcello Amante, tramite PEC il 24/04/2019 esattamente 60 gg fa. Finora nessuna risposta ci è stata concessa. 

Il nostro ordinamento riconosce e tutela, in capo al cittadino che si rivolga a una pubblica amministrazione, il diritto alla risposta. 

Ma anche al di là della legge, riteniamo sia semplicemente vergognoso che il primo cittadino, chiamato a rispondere ad un chiarimento sulla proposta avanzata da mesi dal nostro Partito politico, non ci degni di  risposta. La scorrettezza istituzionale del Sindaco Amante ci preoccupa al tal punto che saremo costretti a informare il Prefetto di una totale inerzia del Sindaco che si lamenta in ogni contesto dello sforzo per risanare le casse comunali ma non fa nulla per evitare tale funesta circostanza. 

Lo ribadiamo con forza affinché i cittadini possano comprendere fino in fondo il paradossale agire amministrativo del Sindaco e della sua giunta silente.

Circa 300.000 euro sono stati lasciati in eredità dall’Amministrazione Montagna vincolando la cifra al fine di trasferire gli Uffici URBANISTICA (Prestigioso Palazzo detto Casa Paterna situato in via D’Enghien, LAVORI PUBBLICI (Palazzo Situato in via Giuseppina del Ponte), UFFICIO COMMERCIO (situato al Piano Primo in via Principe di Piemonte) UFFICIO ANAGRAFE (situato al Piano terra in via Principe di Piemonte), UFFICIO POLIZIA MUNICIPALE (situato in via Vittorio Emanuele)

I vantaggi del trasferimento degli uffici pubblici sopra menzionati presso il Palazzo dell’ex Tribunale sono molteplici come esplicitato nella lettera ultima inviata al Sindaco. Su tutto un dato molto significativo. NOTEVOLE RISPARMIO di soldi pubblici.  Far funzionare bene una struttura pubblica è molto meno oneroso che far funzionare quattro strutture comunali. 

Ci sono altri aspetti positivi nel “liberare” quattro immobili pubblici. 

Partiamo dagli uffici dell’INPS. L’istituto Nazionale chiede da anni al comune di Galatina una sede dove poter trasferire i propri uffici. E pagare un canone. Questo significa introiti per il Comune.

Ma anche l’Ufficio Territoriale del lavoro potrebbe essere trasferito in una struttura pubblica senza dover pagare un canone mensile ad un privato come adesso avviene.

Per non parlare della vendita di alcuni immobili comunali ai privati per strutture ricettive. Come si fa ora a vendere se gli immobili sono occupati da uffici pubblici?

Sono tanti i vantaggi collegati al trasferimento degli uffici ma questo potrebbe evidentemente toccare alcuni interessi di cui francamente ignoriamo le conseguenze. 

Va fatta chiarezza e siamo disposti ad un confronto pubblico con il Sindaco su questa saggia decisione di trasferire degli uffici al tribunale.

Si potrebbe anche efficientare la struttura dell’Ex tribunale con un impianto fotovoltaico e rendere la sua gestione ancora più conveniente. (Il governo ha stanziato dei finanziamenti per gli enti pubblici).

Lamentarsi del bilancio comunale senza fare nulla è il modo peggiore di amministrare una comunità.

A SEGUIRE LA MAIL PEC INVIATA AL SINDACO MARCELLO AMANTE

 IL 24 APRILE 2019

All’Attenzione del Sig. Sindaco Marcello Amante

 

Oggetto: TRASFERIMENTO UFFICI COMUNALI PRESSO L’EX TRIBUNALE

Gentile Sindaco Amante, era il lontano 5 gennaio 2018, più di quindici mesi fa quando con una lettera aperta e indirizzata all’Amministrazione Comunale inviata ai giornali locali, abbiamo chiesto quando gli UFFICI COMUNALI sarebbero stati trasferiti presso l’ex TRIBUNALE.

Abbiamo ricordato anche che l’Assessore ai Lavori Pubblici Sig.ra TUNDO il giorno del suo insediamento ha trovato un dossier completo di progetto e risorse disponibili finalizzate al trasferimento degli uffici Lavori Pubblici, Urbanistica, Ufficio Commercio, Polizia Municipale e Anagrafe. 

L’Amministrazione Montagna aveva predisposto il tutto per consentire agli uffici un rapido trasferimento e attraverso la devoluzione dei mutui aveva reso disponibili anche le risorse economiche per rendere operativo il trasferimento e non gravare totalmente sul bilancio corrente.

Facciamo presente che trasferire gli uffici comunali presso l’ex Tribunale è un vantaggio notevole per tutti i cittadini e per le casse comunali per i seguenti motivi:

1.     Concentrare tutti gli uffici pubblici in un’unica struttura rende decisamente più agevole il rapporto tra cittadini e la pubblica amministrazione che eroga servizi. Le persone non saranno costrette a girovagare tra uffici pubblici ubicati in posizioni a volte diametralmente opposte all’interno della Città.

2.     Nessuna struttura pubblica è accessibile ai disabili. Tutti gli uffici sono posti a piani superiori e non sono forniti di ascensore. Siamo in deroga alle leggi a danno dei cittadini.  Solo questo già sarebbe sufficiente ad accelerare l’iter per lo spostamento degli uffici presso l’ex tribunale. 

3.     Trasferire gli uffici pubblici all’ex tribunale fa risparmiare. E’ abbastanza elementare capire che pagare acqua, gas, energia elettrica e servizi di guardiania e pulizia per un solo edificio è più economico che pagare le forniture e i servizi per cinque. Ed è semplice verificare che i risparmi sono di importi a sei cifre.

4.     I vantaggi sono anche per i dipendenti pubblici. Un unico luogo di lavoro favorirebbe la relazione e la collaborazione fra gli stessi e aumenterebbe l’efficienza e la qualità del servizio prestato ai cittadini.

5.         Liberare gli edifici pubblici li rende disponibili ad essere messi sul mercato per trarne profitto. E le casse comunali hanno tanto bisogno di entrate per gravare meno sulle tasche dei cittadini.

Come Partito Democratico non siamo in Consiglio Comunale ma, come fatto finora, intendiamo portare avanti un’opposizione costruttiva verso questa Amministrazione, fatta di interventi su contenuti specifici e richiami precisi affinché si svolga un’azione di governo a vantaggio di tutti, nessuno escluso.

Cosa state aspettando per effettuare il trasferimento? 

Vi chiediamo, gentile Sindaco, perché non provvedete a trasferire gli uffici pubblici Lavori Pubblici, Urbanistica, Ufficio Commercio, Polizia Municipale e Anagrafe presso la struttura dell’ex Tribunale di via Ugo Lisi angolo Via Monte Bianco?

Cordiali saluti

Andrea Coccioli

Segretario del Circolo PD di Galatina   

 

www.pdgalatina.it 

pdgalatina@gmail.com

andrea.coccioli@ingpec.eu 

 

 

Egregio Sig. Presidente,

la presente per informare S.V. circa la situazione pericolosa che quotidianamente viviamo nella nostra Noha. Considerando che il nostro Circolo del Partito Democratico vuole proporsi al servizio della comunità, al fine di tutelarne l’incolumità e la sicurezza pubblica, non possiamo esimerci dal renderLa partecipe..

Accade spesso che giungano nella nostra Sede diverse segnalazioni circa la pericolosità del tratto di strada che collega il centro abitato di Noha al Cimitero comunale, più precisamente Via Aradeo, e volendo constatare quanto ci è stato ripetutamente riportato, il sottoscritto accompagnato da alcuni componenti del Direttivo, ha percorso a piedi il tratto di strada indicato. Lungo l’arco di tutta la settimana, soprattutto nei giorni festivi, abbiamo assistito ad uno spettacolo che ha del surreale. Poiché, come Le dicevo, quel tratto di strada è lo stesso che dal centro abitato porta al cimitero comunale, molti abitanti e soprattutto anziani, percorrono quella strada a piedi, rischiando di essere travolti da autovetture e/o mezzi pesanti che, nonostante i limiti consentiti, viaggiano ad una velocità ben superiore. A ciò si aggiunge il ridotto spazio “percorribile” ai lati della carreggiata (40 cm) che spesso si riduce a causa della presenza di sterpaglie. Un altro episodio che ci ha lasciati davvero col fiato sospeso è stato quando il giorno di Pasqua una signora anziana, con l’intento di scansare il guardrail, si è trovata immediatamente sulla strada in balia delle auto. In tutto ciò, essendo noi abituati ad agire, facendo in modo che la nostra denuncia non si fermi ad uno sterile comunicato stampa, abbiamo scritto anzitempo all’Assessore al LL.PP. Dott.ssa Tundo, la quale si è espressa come segue:

“[…] da quando sono impegnata come assessore ai Lavori Pubblici, dal momento che si tratta di competenza e proprietà provinciale, sono stata in prima linea presso le sedi opportune per porre l’attenzione a chi di dovere per arrivare ad una soluzione ottimale.”

Dal momento che si tratta di una proprietà della Provincia di Lecce e poichè l’Amministrazione non è riuscita a distanza di quattro anni a trovare “presso le sedi opportune” una soluzione degna di nota, come Partito cittadino chiediamo a Lei, Sig. Presidente, che venga necessariamente e improrogabilmente posto rimedio a questa situazione. Pertanto, Le chiediamo di fare un sopralluogo lungo quel tratto di strada. Chiediamo la Sua presenza nel nostro territorio, L’accompagneremo per constatarne la situazione, cercando di porvi immediato rimedio, auspicando un passaggio pedonale idoneo.

Fiducioso di un Suo positivo riscontro e certo che il nostro invito non sia declinato, La saluto cordialmente.

Il Segretario

Michele Scalese

 
Di Albino Campa (del 21/04/2011 @ 22:35:16, in Un'altra chiesa, linkato 2737 volte)

[pubblicato sula Repubblica/Il Lavoro [edizione Ligure] il 10 aprile 2011 p. XIII con il titolo «La settimana che porta alla Pasqua occasione di silenzio e riflessione» ]

Con oggi, domenica 17 aprile 2011, inizia per i Cristiani, la settimana più importante dell’anno, quella che dà l’avvio e il senso alla stessa esistenza della Chiesa. Gli antichi la chiamavano con una espressione potente, «la Settimana delle settimane» oppure «la Madre delle settimane». Con la domenica delle Palme, cioè oggi, infatti, si entra in un tempo senza tempo, nell’ultima settimana di vita di Gesù che segna l’inizio di una svolta nella storia con la quale ancora oggi stiamo facendo i conti: chi non crede perché deve misurarsi con una Persona inquietante e un messaggio travolgente che comunque si appella alla coscienza; chi crede per come crede, o, ancora peggio nei tempi bui e osceni del berlusconismo, per come corrompe e svende il cuore della propria fede. Semplici credenti, preti e cardinali che colludono con il massimo esponente della delinquenza e della illegalità sistematica, in questa settimana faranno fatica a ritrovare il volto di quel Cristo che non diede soddisfazione nemmeno al potere indeciso di Pilato, procuratore romano. Al quale procuratore, Gesù, al contrario, contrappone la sua identità austera e limpida: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande» (Gv 19,11). Coloro che hanno consegnato un Paese, un sistema istituzionale, il potere della Legge ad un depravato, corruttore di democrazia e di legalità, commettono un peccato ancora più grande.

Oggi, però, non voglio sciupare il tempo mio e dei lettori con il fango che sale sempre più abbondante sui fondamenti dello Stato di Diritto, ma desidero invitare i nostri lettori ad entrare in uno spazio di silenzio per guardare dentro di noi e verificare quali siano le ragioni che ci spingono ad essere o non essere, a prendere o a non prendere certe posizioni. O siamo motivati solo dall’interesse immediato e gretto oppure i nostri pensieri e le nostre scelte sorgono come acqua sorgiva dalla sorgente delle nostre convinzioni profonde fondate sulla Costituzione Italiana e/o sul Vangelo. Noi sappiamo e vediamo che la destra fascista (Lega e compagni di merenda) scelgono e agiscono senza alcun pensiero fondativo perché è loro interesse consumare la pagnotta «adesso» e se per fare questo devono essere cristiani, xenòfobi, illegali, ridicoli e immorali, lo sono perché il loro orizzonte è arraffare. Noi vediamo e constatiamo che la gerarchia cattolica italiana si adegua al momento storico come l’acqua in recipiente e viene a patti con chiunque sta al potere, anche se questo significa svendere i propri principi, lo stesso Vangelo e, cosa ancora più grave, quello stesso Crocifisso che in questa settimana onorano e inneggiano spudoratamente.

Gesù non cercava mai lo scontro diretto con il potere, perché cercava di operare nei centri piccoli, quasi mai nei centri dove la presenza del potere religioso e politico era ingombrante. E’ difficile trovarlo nelle città, perché il suo ambiente operativo erano i villaggi, anonimi come i loro abitanti. Quando percepiva che il potere religioso e il potere politico s’interessavano a lui cambiava ambiente e strategia. Per due/tre anni ha agito così, ma … venne un giorno, anzi il tempo, in cui «doveva andare» a Gerusalemme e vi andò senza esitazione: «prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9,51) dove avrebbe avuto lo scontro finale con il potere religioso che si era alleato col potere politico: «Non abbiamo altro re che Cesare» (Gv 19,15) e con lo stesso potere politico dal quale si distingue senza esitazione: «Il mio regno non è di questo mondo» (Gv 18,36). Gesù non accetta nemmeno che Pilato gli salvi la vita, mentre a distanza di XXI secoli da qual giorno memorabile, coloro che pretendono di rappresentarlo oggi, si sono venduti per accettare su di sé il regno perverso di un potere diabolico.

 
Paolo Farinella, prete
 
Parrocchia S. Torpete - Genova
 
Di Antonio Mellone (del 18/09/2013 @ 22:35:13, in Fetta di Mellone, linkato 3357 volte)

Chi pensava che gli allevamenti di ovini fossero scomparsi dalla circolazione s’è sbagliato di grosso. Son venuti meno molti di ettari di campagna e di pascolo (causa cemento, asfalto e fotovoltaico), ma le pecore ci son sempre, eccome. Siamo attorniati da centinaia e centinaia di pecore, di tutte le razze,  la maggior parte mute, alcune pronte a proferire qualche timido belato, ma così fievole che non disturba. Pecore che non sanno dove andare ed aspettano che le loro guide si decidano a prendere una direzione. Una volta che il pastore ha stabilito la linea le pecore son pronte a seguirlo, condiscendenti, sottomesse come solo le pecore sanno essere: dimesse, credule, quiete, disposte a fare ancora una volta, e come sempre, gregge.

In fila una dietro l’altra, chine, con lo sguardo ed il muso a terra, radunate, ammassate, le pecore rimangono nei ranghi, ordinate e affabili, compatte, indulgenti e unite: certo sono pecore e fanno le pecore.

Sempre obbedienti, ammucchiate, raccolte, arrendevoli, le pecore stanno lì dove le han messe, timide, rassegnate, statiche senza nemmeno sapere il perché. Commoventi e tenere, non c’è che dire.

Quand’è così non si hanno più parole. Sicché tocca al silenzio di diventare l’interlocutore preferito del saggio: le parole servono all’umanità quando ne vale la pena.

Antonio Mellone

 

Mercoledì 23 luglio, nella suggestiva cornice della Chiesa dei Battenti di Galatina, alle ore 20,30  Maurizio Nocera, Nico Mauro, Marco Graziuso e l’assessore al Cultura Daniela Vantaggiato ricorderanno Lucio Romano nella sua complessa figura di poeta e di intellettuale impegnato.

 Lucio Romano nato a Galatina nel 1936 è scomparso nel 2007 si è occupato di studi storici, conducendo tra l’altro ricerche sul movimento operaio e sulle origini del fascismo in Terra d’Otranto. Con le sue opere letterarie ha ricevuto numerosi riconoscimenti in ambito locale e nazionale. Molti critici letterari hanno scritto di lui.  Lui stesso ha scritto note critiche su Salvatore Quasimodo, Rocco Scotellaro, Alfonso Gatto. Accanto a questo bisogna ricordare il suo imprescindibile impegno civile è stato consigliere comunale per quindici anni e consigliere provinciale. Ha dettato l’epigrafe per Carlo Mauro, principale esponente del socialismo salentino, collocata tutt’ora in Piazza della Libertà .

 Ricordiamo alcuni titoli delle sue raccolte di poesie “ Sul calar della sera” (1958-1964); “ Vagare stanco” (1965-1968); ” Romano” (1969-1974); “Alografie” (1983-1987); “Morire di verso” (1988-1990); “ Lettere di Gioacchino Toma a Eduardo Dalbono”(1992-1997);   “Una vita in versi ”(2001).

L’amministrazione di Galatina gli ha assegnato alla memoria  il Premio Beniamino De Maria per il biennio 2009-2010, ci piace riportarne per intero la motivazione : Un uomo che ha saputo coniugare poesia ed impegno civile. Un uomo che ha lasciato un chiaro messaggio secondo il quale potere e poesia significano altruismo, solidarietà umana, generosità, tentativo di edificazione di un altro mondo possibile nel quale  tutti siano impegnati facendo tesoro anche della parola del poeta che lotta per il suo popolo, la sua gente, per gli umili e i diseredati.

In attesa di incontrarlo attraverso il ricordo degli amici e dei familiari lo ricordiamo così:

Salento       da “Sul calar della sera”  

 
E’ questo il Salento

 bruciato dal sole

ove il cielo del sud

 avaro dei piogge

 ha sotto gli occhi

 schiene curvate,  some

 dal cuore in pena:

ove sirene di cantieri sono

 antichi rumori di zappe.

L’evento, promosso ed organizzato dalla libreria Fiordilibro da sempre impegnata nella valorizzazione della cultura salentina , dei suoi esponenti e di quanti hanno contribuito e contribuiscono con il loro lavoro spesso solitario e  misconosciuto, a dare lustro al Salento ed in questo caso anche alla città di Galatina. L’evento ha ricevuto il Patrocinio del Comune di Galatina ed  è inserito nella Sezione “Vivi il Salento” della  rassegna estiva“ l’Estate della Cuccuvascia”- ritrovarsi a Galatina.

 

"La Basilica di Santa Caterina d'Alessandria a Galatina ed i Monumenti Orsiniani a Soleto, incontro tra Oriente ed Occidente, riflessione per l'Europa di domani"

La manifestazione avrà inizio Sabato 1 Aprile 2017 alle ore 10.00 presso il Teatro Tartaro di Galatina con la Proiezione dei documentari sui Monumenti Orsiniani di Galatina e Soleto: "La legenda Aurea di Galatina " prodotto da RAI STORIA , e "Santo Stefano a Soleto" prodotto da IN-Cul.Tu.Re , cofinanziato dal MIUR e con la collaborazione del MIBACT, per le Scuole Secondarie del Distretto di Galatina, con il commento dello Storico dell'Arte Luigi Manni e delle curatrici di IN-Cul.Tu.Re Paola Durante e Sofia Giammaruco.

Sempre Sabato 1° Aprile alle ore 18.00 si proseguirà presso il Teatro Tartaro con una Tavola Rotonda sulla "Basilica di Santa Caterina di Galatina” ed in particolare sul suo ciclo di Affreschi; interverranno gli Storici dell’Arte Prof.ssa Maria Stella Calò Mariani, Emerita dell'Università di Bari; Dott.ssa Antonella Cucciniello, Direttrice dei Musei del Palazzo Reale di Napoli; Prof.ssa Anna Trono, Docente di Economia Politica presso il Dipartimento di Beni Culturali dell'Università del Salento; Dott.ssa Eugenia Vantaggiato, Segretario Regionale MIBACT per la Puglia; Arch. Maria Piccarreta, Soprintendente Belle Arti e Paesaggio per le province di Lecce, Brindisi e Taranto.

La Tavola Rotonda sarà coordinata dal Prof. Rosario Coluccia, Ordinario di Linguistica Italiana e Accademico della Crusca.

Anche quest'anno, nella giornata di Domenica 2 Aprile, avrà luogo il Corteo Storico di Maria d'Enghien, che percorrerà le vie del Centro Storico al mattino a Soleto, e nel pomeriggio-sera a Galatina.

Nelle giornate di Sabato 1° Aprile nel pomeriggio, e per tutta la giornata di Domenica 2 Aprile, si terranno visite guidate nei luoghi Orsiniani con l'assistenza di esperte guide turistiche; si inizierà da Palazzo Orsini, attuale Palazzo di Città, per passare poi alla Basilica di Santa Caterina con il Suo Chiostro ed il Museo; analogamente a Soleto si terranno visite guidate alla Guglia degli Orsini ed alla Chiesa di Santo Stefano.

Sempre nelle giornate di Sabato e Domenica i Ristoratori del centro Storico di Galatina e di Soleto proporranno agli Avventori ed ai Turisti un Menu con i piatti tipici della tradizione Medievale del Salento, con la consulenza dei Ricercatori e dei Docenti dell'Istituto Alberghiero "A.Moro" di Santa Cesarea Terme; analogamente Docenti ed Alunni dell'Istituto Alberghiero di Santa Cesarea offriranno al Pubblico una dimostrazione dei principali piatti medievali. 

 
Di Albino Campa (del 03/11/2011 @ 22:29:47, in Fotovoltaico, linkato 3964 volte)

Per far posto a una centrale fotovoltaica hanno commesso un delitto

 «Un bel paesaggio una volta distrutto non torna più e se durante la guerra c' erano i campi di sterminio, adesso siamo arrivati allo sterminio dei campi», scrisse Andrea Zanzotto, scomparso una ventina di giorni fa. Pensava alla sua campagna veneta, ma non solo. Ed è il dolore del grande poeta trevigiano che ti viene in mente guardando l' angosciante servizio che una giornalista di Telerama, un' emittente pugliese, ha dedicato allo stupro del paesaggio nel Comune di Carpignano Salentino, poco a nord di Maglie, nel Salento. Dove le ruspe hanno estirpato centinaia di bellissimi ulivi per fare posto a una centrale fotovoltaica.

L' abbiamo scritto e riscritto: nessuno, a meno che non accetti la rischiosa scommessa nucleare, può essere ostile alle energie alternative e in particolare a quella solare. Ma c' è modo e modo, luogo e luogo. Un conto è sdraiare i pannelli in una valletta di un' area non particolarmente di pregio e da risanare comunque perché c' erano i ruderi di una dozzina di capannoni d' amianto, come è stato fatto in Val Sabbia col consenso di tutti i cittadini, di destra e sinistra, un altro è strappare quelle piante nobilissime che la stessa Minerva avrebbe donato agli uomini e che fanno parte della nostra storia dalla Bibbia all' orto di Getsemani fino alle poesie meravigliose di Garcia Lorca: «Il campo di ulivi / s' apre e si chiude / come un ventaglio...». C' è una legge in vigore, laggiù nel Salento. La numero 14 del 2007. Il primo articolo dice che «la Regione Puglia tutela e valorizza gli alberi di ulivo monumentali, anche isolati, in virtù della loro funzione produttiva, di difesa ecologica e idrogeologica nonché quali elementi peculiari e caratterizzanti della storia, della cultura e del paesaggio regionale». Né potrebbe essere diversamente: l' ulivo è nello stesso stemma della regione. È l' anima della regione. Eppure, denuncia Telerama, il progetto di quell' impianto «Saittole» da un megawatt della Solar Energy, è stato regolarmente presentato al Comune di Carpignano e da questi approvato nonostante l' area fosse agricola e fertile. Di più, l' autorizzazione finale è stata data dallo stesso assessore regionale all' agricoltura Dario Stefano che oggi dice: «Verificherò». Certo è, accusano il Coordinamento Civico apartitico per la Tutela del Territorio e il Forum Ambiente e Salute del Grande Salento, che quegli alberi che crescevano solenni su quattro ettari di uliveto secolare, come dimostrano le immagini registrate, «sono stati espiantati e ripiantati accatastati gli uni agli altri come pali di una fitta palizzata, lungo il margine del fondo, senza neppure le dovute prescritte cure d' espianto riportate nella stessa autorizzazione, ad esempio la prescrizione della presenza di una zolla del raggio di almeno un metro». Un delitto. Che fa venire in mente quanto scriveva Indro Montanelli: «Ogni filare di viti o di ulivi è la biografia di un nonno o un bisnonno». Buttare giù quelle piante non è solo una porcheria: è un insulto ai nostri nonni. RIPRODUZIONE RISERVATA

Stella Gian Antonio
(2 novembre 2011) - Corriere della Sera

 

L’iniziativa rientra nel calendario di appuntamenti frutto della collaborazione tra il Museo, la Coop. Imago e l'associazione 34°Fuso nell’ambito del progetto MuseoWebLab, vincitore di Principi Attivi 2012.

Il Museo Civico P. Cavoti, situato nel suggestivo Ex Convento dei P.P. Domenicani oggi Palazzo della Cultura, racconta la storia della Città di Galatina. 
A cominciare dalle opere di Martinez del XX Sec. indietro nel tempo fino alla lastra con iscrizione messapica, i vari oggetti formano un panorama nel quale l’opera artistica diventa testimonianza del gusto, delle scelte estetiche e culturali degli autori ma anche del contesto storico di cui è frutto.

Vi aspettiamo muniti di smartphone, tablet, videocamere, fotocamere e tanta voglia di condividere l’esperienza. Con i vostri post, selfies, tweets, video potrete dare libero sfogo alla vostra partecipazione e far rivivere le collezioni.
Gli hashtag da utilizzare sono #invasionecavoti, #museoweblab #invasionidigitali e #Lecce2019.

Con l'invasione del Museo P. Cavoti, aderiamo al programma delle #invasionidigitali di #Lecce2019 per REINVENTARE EUTOPIA.

PROGRAMMA DELL’INVASIONE
h.18.00
Ritrovo presso il Museo e inizio visita guidata

Seguire il percorso museale del Museo Cavoti è come effettuare un viaggio nel passato, alla scoperta della storia della città di Galatina e dell’intero Salento:

Si parte dalla prima sala dedicata agli artisti del XX Secolo ed in particolare a Gaetano Martinez, scultore autodidatta e voce viva e consapevole del dibattito artistico del Novecento italiano, che come scriveva il critico Cozzani “si è provato a scolpire per lo stesso intimo mistero per cui Giotto sulle rocce di Colle disegnava i montoni del suo branco”.
Nella seconda e terza sala si possono ammirare le opere del Fondo Cavoti (XIX sec.) che rendono omaggio al patriota, storico e artista galatinese Pietro Cavoti. La collezione è principalmente composta da bozzetti, disegni e acquerelli che illustrano vari momenti di vita dell’autore e i suoi interessi: si spazia dalle caricature, ai ritratti e ai costumi a lui contemporanei, passando attraverso l’architettura.
La quarta e la quinta sala sono invece dedicate rispettivamente alla scultura antica del XVIII - XVII secolo e ad affreschi, documenti antichi e reperti archeologici del XV secolo.

Chi siamo? 34esimo Fuso è un’associazione che riunisce giovani professionisti del patrimonio culturale, dell’economia e della comunicazione. Questo mix di competenze trasversali permette loro di sperimentare e progettare nuove forme di valorizzazione e promozione del patrimonio culturale e paesaggistico, delle arti e della creatività.

Cos'è Museoweblab? Museoweblab è un progetto vincitore del bando "Principi Attivi 2012" il cui obiettivo è quello di sperimentare approcci e strategie innovative per la valorizzazione e promozione di piccole e medie realtà museali, attraverso l’uso del web 2.0 e l’adozione della sua filosofia partecipativa.


p.s. Dimenticavo. Io vi racconterò la vera storia di Carlo Mauro, Avvocato e Politico Galatinese dei primi anni del '900. 

Ci sarà da divertirsi. Vi aspetto.
 
Di Redazione (del 10/07/2013 @ 22:29:26, in Comunicato Stampa, linkato 2805 volte)
La libreria Fiordilibro di Galatina, col patrocinio del Comune di Galatina e in collaborazione con le Officine Filosofiche di Terra d’Otranto presenta “Vota Socrate” di Ada Fiore. L’11 luglio, alle ore 19:30 presso il Chiostro del Palazzo della Cultura “Z. Rizzelli” di Galatina (P.zza Alighieri, 51) dialogheranno, con l’autrice del libro edito da Lupo Editore, Mario Carparelli (Università del Salento), Daniela Vantaggiato (Assessore alla Cultura del Comune di Galatina) e Francesco Luceri (Officine Filosofiche di Terra d’Otranto). Ada Fiore, professoressa di Filosofia e Storia al liceo “F. Capece” di Maglie e sindaco di Corigliano d’Otranto, immagina e descrive, in questo suo primo libro, un breve e surreale dialogo tra Socrate, il padre della filosofia occidentale, e San Pietro, il custode delle chiavi del paradiso. L’attenzione dei due cade, immediatamente, sui problemi odierni della società in un interessante confronto tra la moralità socratica e i contrasti e le contraddizioni contemporanee che noi tutti viviamo quotidianamente. Con le parole dell’autrice, «Vota Socrate è un libro che s’inserisce perfettamente nel contesto politico contemporaneo caratterizzato dalla disattenzione dei cittadini alla cosa pubblica, e Socrate diventa la nostra luce di emergenza cui guardare per recuperare i veri valori che sono alla base dell’agire politico». Agli slogan di campagna elettorale, ai monologhi da politica alla ricerca del voto, Ada Fiore ci presenta un personaggio, Socrate, che aveva posto al centro del suo impegno filosofico un semplice quanto ardito concetto: “Io so di non sapere, quindi so”. Nasce da ciò la necessità verso quel dialogo, quel rapporto di confronto e costruzione che non può fare a meno dell’altro, del suo impegno, del suo lavoro. Ma ciò solo se quest’altro si riconosce nella sua limitatezza e abbandona ogni pretesa di autosufficienza e autoreferenzialità. Il breve capitolo che chiude il libro, dall’enigmatico titolo Io voto Socrate, contiene tutto il nocciolo della questione, sagacemente analizzata dall’autrice, con quell’invito alla riconciliazione, passaggio necessario per una rinascita globale.Il libro contiene, dunque, nelle intenzioni dell’autrice, un vero e proprio progetto culturale di rinascita che trova, in Socrate, il suo simbolo fondamentale.
 
Di Marcello D'Acquarica (del 13/11/2012 @ 22:26:48, in I Beni Culturali, linkato 5081 volte)

Noha, 13 Novembre 2012

LETTERA APERTA A:

-Gentilissimo signor Sindaco del Comune di Galatina, Dottor Cosimo Montagna.
-Assessore con delega alle Politiche sociali, alla Cultura e polo biblio-museale, al Diritto allo studio   e servizi scolastici, Prof.ssa Daniela Vantaggiato.

Oggetto:
Istanza riguardante l’attuazione di un  procedimento amministrativo al fine di apporre un vincolo giuridico (finalizzato al loro recupero) dei Beni Culturali di Noha.

Gentilissimo Signor Sindaco e Assessore, con la presente, mi faccio carico di riassumere in breve i vari sforzi profusi dai nohani al fine di tutelare e valorizzare i Beni Culturali di Noha:

  • Il 12 agosto 2008, su richiesta dei soci del Circolo Culturale Tre Torri di Noha, l’Arch. Giovanni Giangreco, funzionario della Soprintendenza ai Beni Culturali della Provincia di Lecce, accetta l’invito di venire a Noha per prendere atto della volontà popolare, volta ad intraprendere la procedura di vincolo su alcuni beni culturali della cittadina, così come previsto dal Codice dei Beni Culturali. L’Arch. Giangreco suggerisce la necessità di preparare delle schede tecniche comprendenti i principali dati identificativi dei beni in oggetto. Schede che vengono predisposte e rilegate nel catalogo “I Beni Culturali di Noha” a cura del sottoscritto, e stampato a colori per i tipi dell’Editore Panico di Galatina.
  • Il 2 settembre 2009, i soci del Circolo Culturale Tre Torri di Noha, invitano il Commissario Prefettizio di Galatina, dott.ssa  Rosa Maria Simone alla presentazione di questo libro.
  • Il 26 Settembre 2009, in occasione della Festa dei Lettori organizzata, tra gli altri, anche dai “Presidi del Libro” di Noha e dalla “Biblioteca Giona”, viene presentato al pubblico il Catalogo dei Beni Culturali di Noha (nel quale sono contenute le schede tecniche dei Beni Gulturali, così come suggerito dall’Arch. Giangreco). Alla manifestazione, che ha luogo nell’atrio del Palazzo Baronale di Noha (e nella quale si esibiscono vari artisti), interviene un folto pubblico. Tra gli interventi s’annoverano anche quelli dell’Assessore Regionale alla Qualità del Territorio, dott.ssa Angela Barbanente  e quello dell’Arch. Giovanni Giangreco stesso.
  • In data 11 gennaio 2010 viene sollecitato un intervento per il recupero tempestivo del bene culturale da tutti conosciuto come “Le Casiceddhre”, sito in Noha (tutt’oggi in totale stato di abbandono e di decadenza), alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e paesaggistici delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto, alla diretta attenzione del Responsabile Arch.  Maria Costanza Pierdominici.
  • In data 22 gennaio 2010, mediante lettera Raccomandata A.R., le Associazioni di Noha:  “Circolo Cittadino Juventus”, “Fidas di Noha”,  “Circolo Culturale Tre Torri” e “L’Osservatore Nohano”,  inviano copia del Catalogo dei Beni Culturali di Noha (più copie furono consegnate in anteprima all’Arch. Giancreco) chiedendo l’intervento della Soprintendenza, nella persona del responsabile di settore Arch. Maria Costanza Pierdominici.
  • In data 30 Giugno 2010, i cittadini delle seguenti Associazioni: “Circolo Cittadino Juventus”, “Fidas di Noha”,  “Circolo Culturale Tre Torri”, “Parrucchieri Mimì” e “L’Osservatore Nohano”, chiedono all’Amministrazione Comunale di Galatina, ed in modo particolare al Sindaco Dott. Giancarlo Coluccia, di sollecitare la richiesta d’intervento della Soprintendenza della Provincia di Lecce (richiesta già inoltrata dalle suddette associazioni, come detto, con lettera Raccomandata A.R in data  il 22 Gennaio 2010 al responsabile di settore Arch. Maria Costanza Pierdominici).
  • In data 29 settembre 2011, in occasione della Festa Padronale di San Michele Arcangelo, le Associazioni di cui sopra, nonché numerosi esponenti dell’Artigianato nohano, effettuano una petizione popolare in cui vengono raccolte 1471 firme di cittadini per corroborare le istanze rivolte alla Soprintendenza (e rimaste senza esito). Le firme verranno depositate e protocollate presso il Comune di Galatina in data 16 Novembre 2011. Copia delle petizione popolare viene spedita con lettera Raccomandata A.R. a: Presidente della Provincia di Lecce Dott. Antonio Gabellone; Presidente della Regione Puglia Dott. Nichi Vendola; Dirigente per i Beni Culturali e  Paesaggistici Dott.ssa Isabella Lapi;
  • Verso la fine del mese di Aprile 2012, si presenta a Noha l’Arch. Carmelo Di Fonzo, in qualità di funzionario della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle Province di Lecce, Brindisi e Taranto, senza essere accompagnato da nessun altro esponente della Pubblica Amministrazione (per esempio del Comune di Galatina). L’Architetto Di Fonzo, coadiuvato dall'arch. Adriano Margiotta (volenteroso cittadino galatinese che avrebbe preparato successivamente, sempre su richiesta dell’Arch. Di Fonzo, la seconda tornata di schede), dopo aver effettuato sommariamente un sopralluogo nelle adiacenze di alcuni Beni Culturali nohani (osservando chissà cosa e a debita distanza) e tralasciandone la maggior parte, avrebbe richiesto a dei privati cittadini (probabilmente beccati per caso in mezzo alla strada), una ulteriore raccolta di schede dei Beni Culturali di Noha (affinché si procedesse al famigerato vincolo).
  • Verso la metà del mese di Luglio 2012, i cittadini privati  menzionati prima, avrebbero inviato  finalmente all’attenzione dell’Arch. Di Fonzo  alcune copie delle schede dei beni in oggetto, come richiesto.
  • In mancanza di alcuna reazione da parte della Soprintendenza e dietro iniziativa del sottoscritto, nel mese di Ottobre appena trascorso, contatto telefonicamente l’Arch. Di Fonzo. Nel corso del colloquio, l’Architetto mi riferisce che il materiale a sua disposizione è incompleto e sollecita ulteriori dati mancanti necessari per la procedura del vincolo. Su mio suggerimento si impegna di analizzare con maggiore attenzione  il Catalogo dei Beni Culturali di Noha, di cui mi dice di averne copia.

A questo punto mi chiedo e Vi chiedo, se è giusto che un dipendente dello Stato (o comunque in possesso di incarico) non si faccia vivo (come forse suo dovere), ed attenda invece che sia un privato cittadino, come il sottoscritto, a sollecitare una risposta, qualunque essa sia.
Non pensate che anche i Beni Culturali di Noha abbiano un minimo di dignità e dunque, anch’essi, una specie di diritto di cittadinanza? Non trovate deprimente lo scempio infinito cui questi beni vengono sottoposti, prima dai privati proprietari e poi dal pubblico (che dovrebbe limitare un po’ l’ignavia del privato, così come previsto dalla Legge)?
Vi ritengo, gentile Sindaco e Assessore, persone degne di fiducia e attente agli impegni di cui Vi siete fatti carico. Per questo Vi chiedo di incontrarci al più presto, affinché possa meglio spiegarVi lo stato dell’arte del lungo processo che porterà (porterebbe) al vincolo di salvaguardia sui suddetti beni culturali. Sono certo che un Vostro intervento nei confronti della Sovrintendenza accelererà, anzi sbloccherà l’iter che sembra essersi inceppato per chissà quali strampalati marchingegni. Ogni giorno trascorso senza un nostro intervento equivale ad un colpo di piccone alla bellezza, all’arte e dunque al benessere di tutta la collettività.

Distinti saluti

Marcello D’Acquarica

 
Di Albino Campa (del 27/05/2011 @ 22:25:23, in NohaBlog, linkato 2667 volte)
“Laurearsi presto (anche se non con il massimo dei voti), entrare nel mondo del lavoro "non troppo tardi" e farsi riscattare "dal papa'" il periodo di laurea, cosi' da assicurarsi una pensione. Sono i consigli che Maurizio Sacconi (insieme alla collega Maria Stella Gelmini) offre
a due scolaresche, una di Roma e una di Palermo, riunite alla sede dell'Inps, mercoledi' scorso, per l'iniziativa 'Un giorno per il futuro', la giornata annuale per la diffusione della cultura previdenziale tra i giovani.” (DIRE - Notiziario Minori-pubblicazione bisettimanale edizione del 27 maggio 2011).

Credo che i messaggi del signor Sacconi (vedi anche l’altro sulla stessa pubblicazione del mese scorso riguardante "il vittimismo dei giovani"), se ascoltati dai giovani di queste generazioni, farebbero inviperire gli animi.
I nostri ministri, che ovviamente non hanno fame- di lavoro sia ben inteso- continuano imperterriti a non capire che nella giungla della ricerca di un lavoro non ci si salva con dei consigli retorici e vuoti di "ragionamento".
I nostri giovani, quelli che noi genitori della stessa generazione dei due ministri, abbiamo mandato all'università perché tanto nessun apprendistato legittimo li avrebbe convogliati nel mondo del lavoro che, guardando solo "l'utile", approfitta delle altrettanto geniali proposte ministeriali di contratti a progetto o stage eternamente defiscalizzati, i nostri giovani, dicevo, sono sempre a piedi e non avranno mai né una professione né un lavoro decente. A meno di andare all'estero.
Cari ministri (volutamente minuscolo) Gelmini e Sacconi, se non cambiate le modalità di ricerca del percorso studio/lavoro non serviranno le vostre riforme di tagli né tantomeno le vostre paternalistiche omelie per “senza cervelli” (Altra infamante considerazione del governo nei riguardi del popolo italiano).
Uscite dal vostro bozzolo aureo e scendete (con la pelle e non solo nei talk-show dei vostri salotti) nelle famiglie, nelle scuole, nelle strade, nelle piazze, nei quartieri poveri, fra la gente che lotta ogni giorno senza l'aiuto di proposte concrete, anzi pagando a voi uno stipendio mensile con cui un giovane potrebbe benissimo iniziare a investire per il suo futuro.
Andatevene a casa vostra a lavorare per guadagnarvi la pagnotta e lasciate quel ruolo di cui è evidente la vostra incompetenza totale.
Arrendersi non è un segno di viltà ma di intelligenza.


Certo a voi manca!

Marcello D’Acquarica
 
Di Marcello D'Acquarica (del 21/04/2012 @ 22:24:46, in CDR, linkato 4115 volte)

Il nome “inceneritore” ha una certa assonanza, anche un po’ lugubre, con  quell’altro suo omonimo che incenerisce le nostre stesse spoglie quando è ora di togliere il disturbo.

Ma forse è meglio  allontanare dalla mente certi brutti pensieri sognando magari di passare le prossime vacanze con delle salutari passeggiate nell’agro di Noha.

L’idea di godere del silenzioso panorama della campagna nohana sprona ad essere mattinieri e aiuta a rinunciare anche ad un paio d’ore di sonno sperando di uscire a prendere una boccata d’aria buona.

Ci sono dei giorni, però,  che l’aria è irrespirabile. Mi ricorda tanto quell’odore soffocante che rilasciavano i fumi delle taiate delle Tre Masserie di qualche decennio orsono, quando per le vie di Noha non circolavano né camion, né compattatori ma due semplici operatori ecologici armati di carretto a pedali e scopa di saggina. Ma quelli erano tempi di miserie e non c’era il famigerato progresso moderno.

Certe mattine la  zaffata  asfissiante che si insinua prepotentemente nelle narici, reprime il desiderio di respirare a pieni polmoni.  Poi però pian piano il corpo si abitua all’aria mattutina ed il calore del sole rimuove lentamente l’inspiegabile mistero stagnante nell’aria che ogni volta che torno a casa trovo sempre più pesante.

Mi viene in mente un pensiero riportato in una pagina del mio diario:

“La prima volta che arrivai a Torino, rimasi colpito dallo strano odore dell’aria, un misto di marciumi vari, di olio bruciato e pietre ammuffite. Un odore che ti accoglie ineluttabilmente in qualsiasi periodo dell’anno appena metti il piede in stazione. Lì per lì sei portato a pensare che sia colpa della stazione ma una volta fuori la musica non cambia. Capita quindi di stare in un posto dove l’aria è sgradevole, ma fino a quando ci stai dentro non te ne rendi conto…”

Scrive Vittorio Messori ne “Il Mistero di Torino” (*): Se avessero riempito di polveri, esalazioni di piombo, capannoni, colonne di camion carichi di cemento e mattoni, non avrei avuto così tanta tentazione nostalgica del ritorno alle radici.

Noha (come Galatina e tanti altri paesi del Salento)  sono la testimonianza dell’ossimoro in assoluto. Vuol dire che hanno sacrificato generazioni intere con l’emigrazione pensando di risparmiare il territorio dall’industrializzazione, senza ottenere né il lavoro né la salvaguardia dell’ambiente.

Da qualche tempo anche l’acqua delle falde acquifere alla profondità di 90 metri sono fatiscenti. E pensare che fino a pochi anni addietro ci si dissetava, per esempio, con l’acqua dei pozzi dell’agro dei  “paduli” dove l’acqua si trovava, e si trova ancora oggi, ad appena a quattro metri di profondità.

C’è da restare allibiti nel sentire alcuni candidati al posto di “primo cittadino” dichiararsi favorevoli alla conversione della Colacem da cementificio in “inceneritore”. Si perché il dubbio che si tratti di una “conversione” piuttosto che il “potenziamento” del cementificio, persiste ed è suffragato dal fatto che a poche ore di mare dal Salento, ed esattamente a Ballare (Lezha),  c’è una fabbrica nata un paio d’anni addietro, uguale a quella di Galatina. Oramai la campagna salentina “ha dato”, ed il territorio intorno a noi somiglia ad una gruviera. Il cemento ha “munto” a dismisura il mercato locale mentre l’Europa dell’Est è ancora tutto da cementificare. Quella di de-localizzare dopo aver fatto scempio del nostro territorio è una porcata, soprattutto perché si vuole sempre esagerare, a qualsiasi costo. Non entro nel merito della validità della tecnologia degli inceneritori moderni, dello smaltimento delle ceneri catturate in corrispondenza del camino, né delle ceneri grossolane che si raccolgono sotto la griglia. Considerarle “inerti” e smaltirle in discarica o addirittura usarle per riempimenti di cave o per rilevati stradali mi sembra demenziale, un po’ come trovarsi nel mezzo di un ciclone e nascondere la testa sotto la sabbia. Tantomeno voglio entrare nel merito della riduzione dei rifiuti e dell’aumento del riciclaggio, benché questo debba essere considerato l’unico caposaldo della nostra tanto vantata civiltà, ma non possiamo fare a meno di aprire gli occhi e le orecchie, toglierci il velo di panna che ci intorbidisce quei quattro neuroni che speriamo siano ancora reattivi, per chiedere a Galatina, insieme ai comuni limitrofi, di farsi promotrice di una revisione della legge regionale sui rifiuti che prevede l’obiettivo “rifiuti zero”. Altro che incenerire!

Invece di mettere in discussione la scelta dell’incenerimento prevale la logica del minor rischio, come se ci fosse una soglia di rischio “accettabile”. Cercare cioè un “equilibrio fra ambiente ed occupazione” (notizia diffusa dal Vescovo di Taranto, a detta del candidato a sindaco dott. Gervasi nell’intervista di TRNEWS di Telerama). Come se un impianto del genere che può aumentare le morti dovute all’inquinamento lo si può regolare mantenendo il rischio entro una soglia accettabile, barattando cioè quattro posti di lavoro con le malattie dell’intera popolazione.
Non lo dico io, ma il dottor Giuseppe Serravezza, famoso Oncologo e Presidente dell’LILT (Lega italiana per la lotta ai tumori) – Sez. Provinciale di Lecce in un documento di cui allego la parte che ci riguarda.

Dice il dr. Serravezza:

Un tasso di mortalità per tumori maligni di trachea, bronchi e polmoni (tutte neoplasie non correlate all’alimentazione!) cresciuto vertiginosamente. Le aree interessate sono tutte nel Salento, da Lecce in giù. Maglie il paese più colpito (43 decessi nel 2004, 37 nel 2005), ma anche Gallipoli, Nardò, Tricase, Cutrofiano.  E poi ancora:

Alcuni anni fa abbiamo rilevato come l’area settentrionale di Lecce e il triangolo Maglie-Otranto-Galatina sono le zone che pagano il peggior tributo per morti da cancro ai polmoni. Si tratta di aree situate nei pressi di impianti industriali produttori di fumi nocivi e non è difficile ipotizzare che grazie ad un “gioco dei venti” queste sostanze raggiungano un territorio più ampio, pur senza escludere delle implicazioni dovute a situazioni ambientali autoctone.

Qui non si tratta di fare del terrorismo o essere profeti di sventura, ma di rispettare la volontà di Dio che in quanto “Amore” ci comanda di rispettare tutta la natura e non solo il nostro tornaconto personale.


(*) Il mistero di Torino, Vittorio Messori e Aldo Cazzullo- Mondadori Printing S.P.A. TN anno 2010.

 

Luisa Ruggio torna a Galatina, in un incontro promosso dalla Libreria Fiordilibro in collaborazione con I Vitelloni Bistrot,  per presentare il suo ultimo romanzo “ Notturno” edito da Besa, il 17 dicembre alle ore 19,00 presso i Vitelloni Bistrot di Piazza Alighieri,79.

Dialogherà con l’autrice, la giornalista Valentina Chittano.

Le note di Angelo Coluccia accompagneranno l’incontro .

Luisa Ruggio torna ad affascinarci con la sua scrittura e ci regala uno scrigno denso di tesori e meraviglie perché tale è Notturno .

Si narra che Erik Satie avesse una stanza segreta che fu aperta solo dopo la sua morte: lì custodiva una collezione di ombrelli. E’ questa la scusa che un traduttore tedesco ,Jul , usa alla soglia dei quaranta anni  come zattera e rifugio quando si accorge di non aver una famiglia,un futuro, né un vero luogo in cui fare ritorno. Da bambino Jul ha lasciato Stoccarda insieme alla madre, è cresciuto viaggiando in solitaria, attraversando paesi veri o immaginari, alla ricerca del padre che non ha mai conosciuto. A Firenze, dove continua a sentirsi un senza terra, tenta di dimenticare il passato di cui non ama parlare. Ha ereditato questo silenzio da suo nonno, il Lupo, sopravvissuto alla battaglia si Stalingrado e ad una traversata di quattromila chilometri a piedi in un regno di neve e sergenti. Nottetempo Jul si diverte a postare un racconto a puntate ispirato ai Cinque Notturni di Satie,  gli ultimi che il suo autore preferito scrisse dopo la morte dell’amico Debussy.Poi un giorno, una sconosciuta che dice di chiamarsi Lyda inizia a leggere il suo racconto a puntate e gli scrive da una terra si frontiera che non nomina mai. Inizia così un dialogo intenso , un inverno di favole e un processo di rivelazione.  I Cinque Notturni di Satie scandiscono la rieducazione  sentimentale ed erotica di Jul e Lyda. I due, insieme , rimetteranno in discussione tutto ciò che credevano immutabile, a cominciare dalla difficoltà di conciliare i mondi immaginari e la realtà claustrofobica della vita quotidiana, il tempo interiore e l’orologio degli altri.

Luisa Ruggio scrittrice e giornalista  ha esordito nel 2006 con il suo primo libro "Afra" aggiudicandosi ben 5 premi letterari, ha inoltre pubblicato diversi saggi sul cinema e la psicoanalisi e altri tre libri: "Teresa Manara" nel 2014, "La nuca" nel 2008, e la raccolta di racconti brevi "Senza Storie".

Emilia Frassanito

 
Di Albino Campa (del 13/09/2011 @ 22:21:59, in NohaBlog, linkato 2928 volte)

Chiudiamo le scuole!”, urlava nel 1914 Giovanni Papini nel suo pamphlet contro le scuole, definendole “casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengono rinchiusi”, “reclusori per minorenni istruiti per soddisfare a bisogni pratici e prettamente borghesi”, “ il mezzo più decente per levarsi di casa i figlioli che danno noia” e ancora “fabbriche privilegiate di cretini di stato”. (iconscarica il pamphlet di Papini in allegato all’articolo).

Le provocazioni di Papini per certi versi suonano alquanto attuali pur risalendo all’inizio del ‘900. Ancora oggi sentiamo dire da più parti che la scuola “non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico”, “appena passati gli esami e ottenuti i diplomi bisogna rivomitare tutto quello che s’è ingozzato in quei forzati banchetti e ricominciare da capo”. Tuttavia nei secoli la scuola e i metodi di insegnamento hanno fatto molti passi in avanti, è cambiato il rapporto tra studente e professore che non è più visto come colui che “detta il suo verbo dall’alto” o che si abbandona alla “sadica voluttà di potere annoiare, intimorire e tormentare impunemente qualche migliaio di bambini o di giovani”. Giovanni Papini qui si riferisce ovviamente ad un ambiente scolastico ormai ampiamente superato, ma leggendo il pamphlet alcuni aspetti sembrano ritornare ancora oggi e se non fossero così intelligenti quelle stesse parole starebbero bene sulla bocca di un qualsiasi politico della seconda repubblica.

Oggigiorno si sta cercando di arrivare per vie traverse alla chiusura della scuola pubblica, ma i motivi sono ben distanti da quelli che saggiamente era riuscito ad argomentare allora il Papini (motivi alquanto discutibili, risibili se vogliamo), ovvero la libertà di imparare a contatto con la realtà, di vivere la fanciullezza e la giovinezza senza alcun incarceramento scolastico, la libertà di scegliere. Il sistema scolastico italiano è come un superstite di una guerra (di riforme che si sono rovinosamente avvicendate negli anni), che l’ha portato in uno stato confusionale tale per cui vivacchia, cerca di tirare avanti giorno dopo giorno grazie alla buona volontà di chi gli sta intorno, ma sa che prima o poi dovrà farla finita.

Attenzione, i Papini di oggi non si vogliono più uccidere la scuola in quanto “casamento o reclusorio”, ma piuttosto “le ragioni della civiltà, l’educazione dello spirito, l’avanzamento del sapere” di cui è garante nella società. Il guaio è uno solo, direbbe Papini rivolgendosi ai nostri politici, “Nessuno – fuorché a discorsi – pensa al miglioramento della nazione, allo sviluppo del pensiero e tanto meno a quello cui si dovrebbe pensar di più: al bene dei figliuoli”.   

     Michele Stursi

 
Di Antonio Mellone (del 01/05/2020 @ 22:19:56, in NohaBlog, linkato 1162 volte)

Semplice. Basta interpretare la Costituzione a proprio piacimento, a partire dall’articolo uno, senza scordare il trentasei.

Praticare il politically correct, facilitare il vocabolario, semplificare il numero dei pensieri riducendoli all’Unico. Seminare ignoranza in modo da trasformare in miraggio la coscienza di classe. Ridurre lo studio all’alternanza scuola-lavoro, più che renderlo occasione di interrogativi critici.

Promuovere a Cavalieri del Lavoro i padroni e quasi mai i loro operai. Confondere le acque facendo credere alla classe dominata di essere la dominante. Ritenere che i sindacati firma-tutto facciano gli interessi dei loro assistiti. Scaricare sui lavoratori la cagione della loro oppressione.

Stimolare la guerra tra poveri e mortificare la lotta di classe. Continuare a estrarre plusvalore dalle fasce più deboli della popolazione. Parlare di Legalità scordando la Giustizia. Reputare il Liberismo come passaggio obbligato alla Modernità. Far credere che la disoccupazione sia colpa dei fannulloni.

Considerare certi diritti come un optional. Lasciare al palo i salari e portare acqua al mulino dei profitti. Caldeggiare il lavoro a titolo gratuito. Dare la colpa al cuneo fiscale con l’assunto secondo il quale la questione retributiva sia un problema meramente redistributivo. Prendere per verità assoluta il fatto che il salario minimo sia di intralcio a “sviluppo e crescita”. Vedere gli stipendi come un costo e non come un pezzo di società da rispettare.

Non capire che il saccheggio dei beni comuni è l’altra faccia del profitto. Pensare che il fine ultimo delle politiche economiche non siano il benessere e la piena occupazione, ma la “concorrenza e la competitività”. Parlare in continuazione di merito e di competenti (confondendone gli epigoni con i leccapiedi), e, dio non voglia, di resilienza.

Spacciare per labouristi i partiti che promuovono lavoro flessibile, mobile, in affitto, esternalizzato, in subappalto, facilmente licenziabile, riunito in false cooperative, così, per essere “al passo coi tempi”. Condonare l’evasione contributiva. Celebrare i funerali dei morti sul lavoro come se niente fosse. Non cogliere il fatto che smart-working è “divide et impera”, capitalismo che entra in casa, controlla, comanda con algoritmi, e assorbe tempo libero. Definire Occasione lo sfruttamento, tipo i part-time con prestazioni di otto ore al giorno.

Ammettere come normali le liberalizzazioni, le aperture festive, i turni massacranti, e venderli a suon di slogan: “24 ore su 24”, “sette giorni su sette”, o “365 giorni all’anno”. Travestire di Opportunità le molestie morali, le minacce velate e le intimidazioni edulcorate come metodo di gestione delle cosiddette risorse umane. Chiamare risorse umane le persone.

Prenderle per il culo con la festa del primo maggio.

Antonio Mellone

 
Di Antonio Mellone (del 25/11/2012 @ 22:19:02, in Circonvallazione, linkato 3768 volte)

Il primo novembre scorso, all’indomani della “Presentazione della nuova circonvallazione Sud-Ovest” che avevo visto (inorridito) su galatina2000.it, ed alla luce delle battaglie portate avanti, tra gli altri, anche da Tonino Baldari sulla salvaguardia dell’antica quercia vallonea che verrebbe tradita da questa “opera” “pubblica” (ci vogliono le virgolette sia su opera e sia su pubblica), invio da Milano (dove mi trovavo per una breve vacanza: non potevo perdermi la mostra su Picasso) il seguente lapidario sms alla Roberta Forte: “Cara Roberta, non dobbiamo salvare solo una quercia, ma ogni centimetro quadrato della nostra terra. Come i rifiuti non si riducono con gli inceneritori ma prima di tutto con minori consumi, e poi con la raccolta differenziata, così il traffico di Galatina non si ridurrà con una circonvallazione ma lasciando a casa le macchine, e usando di più il cervello per muoverci. Io continuerò a lottare ancora per questo. E tu?
Nel pomeriggio della stessa giornata, mi perviene, sempre sul telefonino (non ho l’i-phone, né bazzico su face-book), la risposta della Roberta: “Io non ho mai smesso, consapevole però che l’obiettivo non si raggiunge premendo il tasto di un telecomando, ed anche che spesso ciò che appare non è quello che sembra, e che bisogna affrontare le cose, analizzarle e trovare le soluzioni”. E poi ancora, saltando da palo in frasca: “Sbaglio o credevi che la ristrutturazione della scuola a Noha fosse un bluff e che la sua chiusura nascondesse chissà quali nefandezze? Io sto imparando ad accordare meno fiducia a quello che mi viene detto, al contrario spero che tu possa iniziare a fidarti appena un po’ di più. E’ un lavoro difficile per entrambi.
E qui, prima di entrare nel merito della prima parte di questa risposta, vorrei liquidare la seconda (quella a proposito della vecchia scuola elementare di Noha che inizia con “Sbaglio o credevi…”) con un brano della mia replica che suona così: “[…] Per quanto riguarda la scuola di Noha non ho mai pensato a chissà quali nefandezze: è fin troppo evidente la sciatteria con cui s’è lavorato […]”.
Avrei voluto aggiungere che probabilmente la mia interlocutrice non aveva letto una beneamata mazza di tutto ciò che avevo scritto sul sito di Noha, e soprattutto che non avevo “accordato alcuna fiducia a quello che mi viene detto”, anche perché non mi era stato detto proprio nulla, purtroppo. Anzi, ero stato (per mesi, invano) alla disperata ricerca di qualcuno che mi raccontasse più o meno ufficialmente qualche verità sullo stato di fatto della struttura, che, oltre tutto, era sotto gli occhi di tutti, anche dei ciechi, dei sordi, dei plaudenti, dei bendati e degli imbavagliati. Ma lasciamo, per ora, il semi-bluff della vecchia scuola di Noha, e ritorniamo a noi, cioè al tema della circonvallazione di Galatina, ed alla prima  parte del messaggio della Roberta, che sembra scritto in politichese puro.
Quando ho letto che “l’obiettivo non si raggiunge premendo il tasto di un telecomando” e che “ciò che appare non è quello che sembra”, e che “bisogna affrontare le cose”, eccetera eccetera, ho capito il dramma umano della nostra vice-sindaco (l’avrei abbracciata): insomma è come se volesse dire, ma, data la sua carica, non potrebbe; è come se fosse costretta ormai dal suo status ad arrampicarsi sugli specchi ed a dare il solito colpo al cerchio alternato da quello alla botte; è come se la sua coscienza fosse portata necessariamente ad accettare le ragioni del potere o della sua poltrona, rinnegando in un minuto-secondo anni di convinzioni. Ma tant’è.  
Io mi sarei aspettato una reazione di questo tenore: <<Sono d’accordo con voi, cari compagni di tante lotte. Ora basta: me ne frego del consenso degli altri assessori, dei consiglieri della mia maggioranza (e di quelli dell’opposizione che non si oppone), dei perbenisti di facciata, degli interessati, e dei cementificatori di sogni. Questa circonvallazione è un’emerita stronzata: inutile, dannosa e costosa. E’ un’opera disegnata anni fa, e pertanto anacronistica: sono altre le “strade” da percorrere per il benessere di tutti. E’ davvero un bel peccato cementificare ed asfaltare altri tratti della nostra vita.
Voglio ancora ribadire, miei cari, quello che ho sempre detto in mille altre occasioni: “Stop al consumo di territorio”. La terra è un bene comune, come l’aria, l’acqua, l’energia e la cultura. E va salvaguardata, metro quadro per metro quadro, senza se e senza ma. Questa circonvallazione interna è un pugno nell’occhio alla ragione, al buon senso ed alle pubbliche finanze. Questo n-esimo scempio non s’ha da fare, né oggi né mai. Ci saranno delle penali da pagare in caso d’interruzione dell’opera? Pazienza, si paghino pure: gli esborsi saranno pur sempre inferiori al totale dei costi monetari, e soprattutto a quelli sociali.
Dimettermi? Perché dovrei? Ci mancherebbe altro. Ho preso i voti dei miei concittadini proprio perché le idee di chi mi ha suffragato – che poi sono anche le mie - camminino sulle mie gambe, ed ora dovrei rassegnare le dimissioni? Giammai. Si dimetta piuttosto chi non pensa con la propria testa, ma con il portafoglio o con la logica di breve periodo, che non mi appartiene.
Le ferite al nostro territorio sono irreversibili. E poi l’ho sempre detto, e qui lo ribadisco: la terra è finita>>” 
Andiamo in pace.

Antonio Mellone

P.S. Ora non salti in mente a qualche scienziato pazzo (o a qualche politico no-strano) di fare la solita variante in corso d’opera, spostando magari questa circonvallazione verso la terra di Noha. Quell’altra ci mancava.
Nessuno ne ha parlato. Ma è meglio metter le mani avanti: non si sa mai.

 

Se Suor Orsolina fosse qui direbbe a tutti grazie per la vostra presenza. E grazie vi dico anch’io: anzitutto all’arciprete don Francesco che ci ha ospitati, alle Suore della Consolata qui presenti Suor Carmelita e Suor Felicita che con lei hanno vissuto in Amazzonia, ai concelebranti don Salvatore Farì che con lei ha trascorso un paio d’anni in Brasile, e grazie a P. Matteo e al seminarista Aronne che sono qui a nome della Comunità dei Missionari di Galatina, e grazie infine a P. Giuseppe Galeone, superiore della comunità di Martina Franca.

Teniamo presente che Sr Orsolina è nata qui, in questa chiesa fu battezzata e in questa chiesa ricevette dal Vescovo di Nardò Mons. Antonio Rosario Mennonna il mandato missionario.

La morte è sempre un momento triste. Ho ricevuto in questi giorni tantissimi messaggi di condoglianze dall’Italia, dal Kenya, dalla Tanzania, dalla Colombia, dall’Amazzonia, ma si sa che tutti i messaggi non potranno mai colmare il vuoto che la morte crea. Noi tutti ci sentiamo fatti per la vita, ci piace vivere sulla terra nonostante i problemi, le difficoltà, nonostante il Covid, la guerra e le bollette che aumentano. Poi arriva la morte e sembrerebbe che questo istinto per la vita sia tutto un fallimento. Intanto sappiamo che la morte non era nei progetti di Dio. La morte entra in seguito al peccato. E di fronte a questa realtà tenebrosa tante volte l’uomo si ribella. La reazione più istintiva è quella del pianto. A questo nostro istinto per la vita ci viene una risposta dalla Parola di Dio che ci parla di vita eterna. Noi battezzati crediamo alla vita eterna e alla risurrezione dei morti. Se Cristo non fosse risorto, scrive San Paolo ai suoi cristiani, vana sarebbe la nostra predicazione e inutile la vostra fede.

Di Suor Orsolina prima di tutto vi dirò la sua vera identità: donna missionaria. Donna e Missionaria, due sostantivi che indicano l’infrastruttura, le coordinate dell’amore, quello vero, quello che indica il massimo di questa parola e ci fa pensare a chi si dona a tutti senza risparmi: a Suor Orsolina bisognerebbe dire solo grazie per tutto il bene che ha fatto nel mondo, nella chiesa, specialmente per i più poveri e per gli ultimi. Ricordo Mons. Vincenzo Franco che è stato arcivescovo di Otranto e permise ai Sacerdoti della sua diocesi di fare l’esperienza missionaria proprio nell’Amazzonia Brasiliana, e lui stesso andò a visitare le attività missionarie. Ritornando nella sua Diocesi, in un convegno dei Sacerdoti esprimeva il suo stupore, la sua meraviglia nel vedere nelle Suore Missionarie la capacità straordinaria di compiere la loro missione.

Magari, voi sarete tentati di pensare: ma questa donna era senza difetti? Certo che ne aveva (come tutti), ma non è il caso di descriverli qui. Condivido con voi il buono a comune edificazione. Scriveva bene il grande poeta latino Orazio Flacco: Dove brillano tante belle qualità, io non darò importanza a qualche macchia.

Suor Orsolina sapeva che la morte era imminente, anche prima che glielo dicessero i medici. Dieci giorni prima che fosse ricoverata all’ospedale mi ha mandato una specie di iter biografico da cui ora prendo qualche parte; e poi i suoi messaggi: Se muoio avvisate i miei amici.

Scorriamo un attimo i suoi 88 anni. Gli appunti biografici che lei mi ha inviato riportano questa annotazione: Questo non l’ho scritto io. Lo traduco rispettando quello che hanno scritto.

Nel Paese di Noha (Le), in Italia nel 28 Marzo del 1934, nasce una bella bambina che subito dopo tre giorni viene battezzata col Nome di MARIA ANNUNZIATA D’ACQUARICA. Questa bimba, figlia del signor Ambrogio D’Acquarica e della signora Antonietta Paglialonga, da piccola, è stata educata nella fede cattolica da quando è nata e con 10 anni, conferma il suo Battesimo attraverso il sacramento della Cresima nella Diocesi di Nardò.

Poi lei stessa continua la sua storia con questo messaggio:

Dal 1941 al 1945 ho frequentato la Scuola Elementare del mio paese. Dal 1945 al 1959, fino all’età di 25 anni, sono rimasta in casa per aiutare la mamma. Ho frequentato la scuola di taglio e cucito a Galatina e nel tempo libero andavo da Ada Nocco per imparare a cucire da uomo. Infatti, in casa eravamo 7 fratelli e due sorelle. Dal 1959 al 1961 ho lavorato a Torino nel Seminario dei Padri Missionari della Consolata ed ero ospite insieme ad altre ragazze di Supersano delle Suore Missionarie della Consolata.

Nel mese di novembre del 1961, a 27 anni, Maria Annunziata entra a far parte delle Suore Missionarie della Consolata e diventa Suor Orsolina.

E’ di questo periodo l’episodio di quando io, Sacerdote da pochi mesi, nel mese di settembre 1961 mi trovavo in famiglia per un breve periodo di ferie. Succede che mentre sono in chiesa per celebrare la Messa, passa il postino e consegna a mia madre una lettera di mia sorella indirizzata a me. Nella lettera, spedita da Torino, Maria Annunziata diceva che lei ormai aveva deciso di farsi suora missionaria della Consolata e mi incaricava di trovare il modo di dirlo a mamma. Ma mia madre, conoscendo la grafia della figlia, apre la lettera prima che io arrivi, e la legge. Finita la celebrazione della Messa torno a casa e trovo mamma seduta in un angolo, sconvolta, in pianti, triste e arrabbiata per quello che aveva saputo. A me risparmiò la fatica di trovare il modo di informarla della decisione di sua figlia.

Il 22 maggio 1964 Suor Orsolina emette la Professione Religiosa, consacrandosi a Dio per servire la chiesa missionaria. Intanto avendo solo la quinta elementare, frequenta alcuni corsi di formazione culturale e pastorale, e viene inviata a Rovereto, in provincia di Trento dove io mi trovo, per stare un po’ con Padre Francesco, per insegnarle a suonare l’armonio (dai suoi appunti).

Nel 1967 fu destinata in Mozambico che in quel tempo era una colonia portoghese. Per apprendere il portoghese va prima in Portogallo. Ma intanto in Mozambico arriva la guerra d’indipendenza e così Suor Orsolina, resta in Portogallo per 14 anni: dal 1967 al 1981.

29/10/1967 sono partita per il Portogallo con la Nave Eugenio Costa, insieme ad altre Sorelle. Lì ho imparato il portoghese perché dovevo andare a lavorare in Mozambico ma siccome in quel periodo c'era la guerra ed io avevo fatto presente alla Madre Generale che avevo paura della guerra, mi hanno fermata lì per un po' di anni e ho completato la mia formazione studiando la lingua, facendo le elementari e ho preso il diploma dello stesso. Ho frequentato un Corso per Catechista, uno di Taglio e Cucito e anche un Corso di Missionologia per corrispondenza, terminandolo con 15 giorni di frequenza.

1974/1977 ho lavorato a Villa Nova de Foz Coa come catechista e orientando il Gruppo Corale.

Nel 1977 /1980 ho lavorato con i padri Missionari della Consolata nell’ Animazione Vocazionale e Missionaria ad Ermesinde dove i Padri avevano il Seminario Minore. Insieme a qualche Padre, di giorno andavamo nelle Scuole dei dintorni ed alla sera nelle parrocchie. Appena ci è stato possibile noi Missionarie della Consolata abbiamo comprato una bella casetta a CORIM e quindi di là col pullman andavo ad Ermesinde per il Lavoro di Animazione Missionaria (dalla testimonianza di Suor Orsolina).

Nel 1981 è chiamata a condividere la Vita Missionaria, in Brasile, nell’Amazzonia Brasiliana. Qui ha dedicato la sua Vita Missionaria nella Formazione di catechisti e di laici per la pastorale. E quasi subito il Vescovo le dà l’incarico di parroco di Caracaraì, dove ci rimane per quasi 9 anni fino al 2001, costruendo la Chiesa fidandosi della Divina Provvidenza, perché scrive lei: avevo solo 16 milioni di lire, ma mi è costata 46 milioni. E nel 2001 lascia Caracaraì per continuare il servizio pastorale di parroco a Mucajaì.

A Caracaraì, dove ha lavorato molto nelle scuole, nella parrocchia e nelle famiglie portando a tutti la Parola di consolazione e di gioia, Suor Orsolina è molto ricordata, ancor oggi. La comunità cristiana di quella parrocchia in questi giorni ha potuto seguire mediante un link appropriato la celebrazione dei suoi funerali svoltisi a Torino. E da Caracaraì sono giunti molto messaggi di cordoglio. Ne cito uno tra tanti: Ciao, Orsolina, mia e nostra carissima sorella, la Sig.ra Nokigna e alcuni cristiani della parrocchia di Caracaraì dove fosti incaricata dal Vescovo come parroco, stanno seguendo on line questo evento.

Oppure anche l’altro che ci è giunto nella celebrazione della Messa del giorno settimo:

Buon pomeriggio. Venerdì 29 aprile ha avuto luogo la Messa del settimo giorno per Suor Orsolina. Abbiamo fatto delle camicette* per partecipare alla Messa. Mancavano 4 colleghe che stavano lavorando, per questo non partecipavano alla Messa. Furono molto belle le testimonianze fatte alla presenza del celebrante. P. Luigi rimase incantato nel venire a sapere come la Suora realizzava il suo ministero pastorale nella Città. E tutti annuivano quando domandai chi si ricordava di quella bicicletta nera che la Suora usava perché suor Orsolina con quella bicicletta attraversava tutta la città, risolveva le cose, andava a dare lezione nella scuola ed aveva perfino le credenziali per dare i battesimi a Caracaraì. Il Padre rimase incantato ascoltando tutto.

In principio io avevo un nodo alla gola, ma dopo, la sig.ra Grazia ha dato la sua testimonianza e io ho detto qualcosa. Mi permise di parlare su Suor Orsolina che era una persona molto speciale e al Padre piacque molto.

* Sulle camicette bianche indossate durante la celebrazione della Messa di 'Settima' era stampata l'immagine di Suor Orsolina.

Nel 2004 al 2007 la Regione le chiede un altro servizio che lei assume con responsabilità e capacità gioiosa, vale a dire il lavoro di Segretaria nella Direzione Regionale. Nonostante tutti gli impegni Suor Orsolina non abbandonò mai l’apostolato e la visita alle famiglie con la preghiera di gruppo.

Nel 2007 fu destinata ad Ananindeua a lavorare con due Sacerdoti Fidei Donum di Torino nello Stato del Parà. E’ una zona molto povera dove la città si espande a dismisura, senza un minimo di infrastrutture anche elementari: acqua potabile, rete fognaria, scuola, sanità... il che genera miseria, violenza, malnutrizione e tanti altri mali che lasciano ferite profonde nelle persone. In questo clima di grande povertà, Suor Orsolina si dedicò alla pastorale del Battesimo. Erano 16 Comunità, e lei preparava i Catechisti del Battesimo, con corsi di formazione e visitando le Famiglie e le comunità. Da una di queste cappelle, da ICUI’ è giunto in questi giorno questo messaggio di cordoglio: Suor Orsolina è stata una grande missionaria, passò nella nostra comunità S. Rita da Cascia, oggi è andata  con Dio Padre. La nostra gratitudine per tutto l’impegno della nostra carissima Suor Orsolina che è stata con noi. 

È stata sempre una persona allegra e comunicativa: Il suo slogan era: “Per mangiare e passeggiare, è solo mi invitare.”

(Nota di suor Orsolina per far capire questo slogan):

Eravamo tre Suore Missionarie della Consolata, una Portoghese, una Brasiliana e la sottoscritta. C’erano due Sacerdoti Diocesani di Torino: don Pier Antonio Garbiglia, che era il parroco, e Don Marino Gabrielli. C’erano anche due coppie: Il Diacono Franco Scaglia con la moglie Loredana, e una coppia giovane, appena sposati di Venaria: Fabrizio e Laura. Non ricordo il loro cognome. Questa coppia ha sofferto molto a causa dei Documenti solo perché erano laici. Hanno dovuto avere un figlio per poter restare in Brasile. Abitavamo nella periferia di ICUI di 80.000 abitanti. Non c'era una abitazione finita. Ognuno di noi aveva la sua casa. I due Sacerdoti abitavano nella Casa parrocchiale. Era un rione povero senza alcun tipo di organizzazione civica. C'era solo una piazzetta vicino casa nostra dove c'era un bar, e quasi tutte le mattine ci svegliavamo con un morto. Bevevano, si drogavano e poi per niente si ammazzavano.

Un giorno, non sapendo più che cosa fare per finirla con tanti morti, ho pregato la Madonna delle Grazie, mi sono messa in tasca una Medaglia della Madonna Miracolosa e sono andata in piazza. Il bar era metà a muro e l’altra metà era costituita da una grata in ferro. Volevo mettere là la medaglia della Madonna ma pensavo tra me: se la butto dentro per terra, loro la scopano e la buttano via. Ho preso un pezzo di pietra, ho guardato se qualcuno mi vedesse, ho fatto un buco nella parete che era di fango e argilla, ho pregato la Madonna e ho messo la Medaglia nel buco del muro e sono andata via pregando, lasciando che la Madonna facesse il resto.

Alla sera, il bar è rimasto chiuso e dopo una ventina di giorni l’hanno riaperto ed hanno istallato una scuola di internet con vari computer. Io stessa andavo a scrivere la mia corrispondenza per l’Italia. In quei giorni, non c’era persona al mondo più felice di me. Vivevo ringraziando la Madre di Dio per la grande grazia concessami e quando c’è l’opportunità regalo la Medaglia Miracolosa a qualcuno, e incentivo a pregare la Madonna e a portarla addosso.

Tutti i Lunedì avevamo la giornata libera di pastorale, e come equipe andavamo a passeggio tutti insieme visitando musei, boschi e altri posti belli della città di BELEM. Andavamo anche un po’ lontano in un posto turistico con un grande Hotel e un altro posto dove c’era un grande fiume. Infatti, Belém è circondata da fiumi. Tutti i mercoledì avevamo l’incontro con l’Equipe Missionaria per la verifica e per progettare quello che c’era da fare. In quella Missione veramente ho goduto per le uscite e le passeggiate dei Lunedì, tutti insieme e tutte le settimane. Per questo abbiamo inventato lo slogan “per mangiare e passeggiare è solo da mi invitare”.  A tutte piacevano queste uscite e i passeggi e le mie Consorelle si appoggiavano su di me.

Il saluto di partenza dal Brasile per tornare definitivamente in Italia

Adesso Suor Orsolina, che l’Istituto ti chiede una nuova Missione in Italia vogliamo con molto gratitudine restituirti alla Regione Europa, come Pietra preziosa ringraziandoti di cuore per tutto quello che hai condiviso con noi con molta gratitudine, perdonando ciò che non è andato bene e chiedendo il tuo perdono. Siamo sempre la nostra famiglia, solo cambiamo casa. Per questo, vai con la certezza che qui hai fatto la tua parte. Il tuo profumo di gioia e di donazione, rimane sempre con noi.  

Infine l’ultimo anno della sua vita con la sofferenza per la salute precaria, la sofferenza per la malattia che in poco più di un mese l’ha letteralmente consumata. Pregate perché faccia una buona morte, erano gli ultimi suoi messaggi che mandava agli amici. E lei stessa pregava ancora anche quando, sedata dalla dose di morfina, non poteva più parlare, ma nei momenti di preghiera comune riusciva a seguire le orazioni muovendo ancora le labbra.

La nostra  preghiera ora è per lei. E certamente lei non mancherà di pregare per noi, per Noha, e per tutti.

P. Francesco D’Acquarica

 

Il Salento è una delle aree del territorio nazionale a più bassa pericolosità sismica; la provincia di Lecce non è, infatti, una zona sismogenetica. Eppure, frequentemente, la quotidianità dei salentini è stata "scossa" da terremoti con epicentro dall'altra parte dell'Adriatico. Sono passati appena pochi mesi dal terremoto in Albania, avvertito nettamente in tutto il Salento.

Il terremoto, ancor più perché evento eccezionale per questa terra, ci stupisce e ci spaventa, cogliendoci sempre impreparati. La sismologia storica raccoglie, tuttavia, testimonianze di terremoti avvenuti nell'Italia meridionale e nella penisola balcanica, avvertiti nettamente in Salento e, a volte, portatori di morte e distruzione nei piccoli borghi. 

Il più noto alle cronache recenti è il terremoto che, nel pomeriggio del 20 febbraio 1743, con la sua potenza mieté circa 200 vittime e provocò crolli e danneggiamenti degli edifici in tutta la Penisola salentina. Tra i comuni pesantemente colpiti ci fu anche Galatina.

Quello, però, non fu l'unico evento sismico che interessò la città. 

Eppure, oggi, Galatina sembra aver cancellato dalla propria memoria storica e popolare il ricordo di quegli accadimenti. Di tutto questo ci parlerà la geologa Francesca Lagna, il 22 febbraio presso la Chiesa del Collegio alle ore 19:00 nell’appuntamento della Rassegna Incontri al Collegio dal titolo Galatina ed il terremoto. Una storia dimenticata.  Introduce Don Antonio Santoro Rettore della Chiesa di Santa Maria della Grazia. La rassegna ormai giunta al IV appuntamento del secondo anno, è organizzata dalla libreria Fiordilibro con la collaborazione della Rettoria di Santa Maria della Grazia. 

 

Francesca Lagna

Laurea in Scienze Geologiche all’Università di Bari con il massimo dei voti ed una tesi in  Geologia Ambientale dal titolo “Analisi geologico-ambientale e caratterizzazione idraulica del bacino idrografico del Torrente Asso (Salento centro-meridionale).Esercita la libera professione occupandosi di Geologia applicata. Ha maturato esperienza nell’ambito dei settori della geologia, dell'idrogeologia e della geofisica e, in particolare, le loro implicazioni in ambito paesaggistico ed edilizio. La passione per la speleologia la porta ad approfondire le tematiche inerenti la speleologia urbana e, in particolare, l'esplorazione e la messa in sicurezza delle cavità antropiche. In qualità di socia del Gruppo Speleologico Neretino ha partecipato all'esplorazione de al rilievo di cave ipogee nei Comuni di Gallipoli e Cutrofiano.  Come libera professionista  ha preso parte, in qualità di progettista, alla stesura del progetto preliminare per la messa in sicurezza di Piazza Pedone e dell'omonimo frantoio ipogeo nel Comune di Patù. Da qualche tempo ha avviato, assieme ad altri professionisti, un'attività di divulgazione e conoscenza del patrimonio geologico, naturalistico e archeologico del Comune di Galatina. 

Emilia Frassanito

 
Di Redazione (del 19/09/2014 @ 22:15:37, in Comunicato Stampa, linkato 1719 volte)

Al Circolo Tennis è tutto pronto per domani pomeriggio. Le prove generali si sono concluse e chi ha assistito in anteprima, è rimasto a bocca aperta.

Si parte alle 16:00, con le prove di tennis per tutti. I nostri maestri organizzeranno delle prove di tennis per tutti i presenti.

A seguire, l'organizzazione ha preparato un particolare evento tutto da gustare: il Nutella Party. I più piccoli potranno assaggiare un menu a base di Nutella. Un vero tuffo nel mondo cioccolatoso.

A seguire, acrobati, clown, giocolieri, maghi ed artisti internazionali si esibiranno nello Sprockets Show: un evento nell'evento!

Appuntamento per domani, sabato 20 settembre, dalle ore 16:00, per un pomeriggio all'insegna del divertimento e del gusto, ma senza dimenticare il tennis.

Tutto l'evento, è stato organizzato con le forze dei maestri e del consiglio direttivo del Circolo Tennis ed è totalmente gratuito.

Galatina, 19 Settembre 2014

Circolo Tennis Galatina

 
Di Redazione (del 20/01/2021 @ 22:14:44, in Comunicato Stampa, linkato 665 volte)

Di seguito il discorso del Comandante in occasione della celebrazione della Santa Messa in onore del Patrono della Polizia Locale San Sebastiano

Saluto e ringrazio per la presenza le Autorità civili e militari ; ringrazio Don Dario e don Matteo per averci concesso, anche in quest’anno così particolare, di onorare adeguatamente anche se in forma ristretta il protettore della Polizia Locale San Sebastiano; grazie a tutte le associazioni oggi convenute, a iniziare dagli Scout dell’AGeSci.

Naturalmente un grazie ai colleghi dei paesi vicini che ci hanno onorato della loro partecipazione anche quest’anno.

Sarò breve, come promesso a don Dario, e per questo il mio intervento si articolerà

su una riflessione prima e su un brevissimo passaggio finale che non anticipo.

È passato un anno da quando proprio da qui in occasione della Festa del nostro Santo Patrono avevamo espresso quelli che erano i desiderata del nostro agire per l'anno in corso.

Nessuno  avrebbe  mai  immaginato  nemmeno  lontanamente  quello  che  sarebbe successo da lì ad un mese appena con l'insorgere della pandemia.

Da allora tutto, dico TUTTO, è diventato provvisorio e insicuro! Ci siamo ritrovati catapultati in pochi giorni a operare in una realtà indescrivibile.

Non era più il nostro territorio, non era più la Nostra, forse caotica, ma ridente realtà! Sui volti delle poche persone che ancora si vedevano in giro si leggeva benissimo lo sgomento e la paura.

Da quel momento però in ognuno di noi operatori di Polizia è nata la consapevolezza del nuovo ruolo che dovevamo svolgere.

Siamo stati, nostro malgrado, portatori di una pesante responsabilità,  come cioè se da noi dipendesse in parte l'esito positivo di questo terribile momento.

La giornata lavorativa era segnata da ben 4 appuntamenti, all'inizio ed alla fine dei due turni di servizio, in cui si cercava di far chiarezza sulle norme, per la verità non sempre ben chiare, che dovevamo far rispettare e per cercare,  senza dircelo espressamente, risposte ai nostri tanti dubbi...e perché no, paure!!!

Il nostro Comando diventava ogni giorno di più per i nostri concittadini il luogo dove fugare, personalmente o con una telefonata,  un dubbio o, a volte succedeva anche questo, avere una risposta che infondesse fiducia.

Oggi voglio rivolgere innanzitutto un ringraziamento e una preghiera al Nostro Santo

Patrono San Sebastiano che SICURAMENTE veglia su di noi e, in secondo luogo,

rivendicare con forza l'operato dei miei Collaboratori, rimarcando il loro impegno, la loro abnegazione e anche la loro infantile leggerezza con cui hanno assolto i loro compiti!!!! Sì, proprio leggerezza....perché non si va in guerra armati solo di buona fede e coraggio!!!

In verità però non c'era tempo né di approntare l'armatura, né di studiare l'avversario....tra l'altro ancora oggi subdolo e indescrivibile!!!

Siamo ancora in "guerra" e continueremo a svolgere il nostro compito per non vanificare quel prezioso consenso civico acquisito in questi mesi che costituisce per ogni Operatore di Polizia Locale il riconoscimento più ambito a cui può anelare. Vorrei infine formulare un augurio per tutti noi, che è quello di tornare quanto prima a vivere sereni senza l'assillo di questa intollerabile pandemia che ci limita e ci condiziona anche nei nostri discorsi e gesti quotidiani.

GRAZIE.....e W LA POLIZIA LOCALE

Galatina, 20 gennaio 2021 – Chiesa San Sebastiano -

IL COMANDANTE DEL CORPO DI POLZIA LOCALE

Comm. Sup. ANGELELLI dott. Domenico

 

Che cosa mi aspetto dal Sinodo dei vescovi che, nei prossimi giorni, discuteranno sulla famiglia? E, parlando di famiglia, dovranno affrontare temi scottanti: il divorzio, l’aborto, i contraccettivi, i matrimoni civili, il problema della ricezione dei sacramenti (confessione e comunione) da parte dei divorziati risposati e dei conviventi, i diritti civili per le coppie di fatto, il matrimonio degli/delle omosessuali, e altri ancora. Spero anche che discuteranno sul celibato dei preti.

I vescovi si confronteranno a viso aperto, con scontri vivaci e dialettici tra progressisti e tradizionalisti. Ne sono certo. Ma alla fine prevarranno i soliti compromessi. Dico di più: l’opinione pubblica, che è fatta anzitutto dai soliti mass media qualunquisti, sempre pronti a venerare le apparenze, penserà che la Chiesa finalmente si sia liberata da tanti tabù. Ma non sarà così. Vorrei credere in una coraggiosa apertura della Chiesa al mondo moderno, ma non ci spero più di tanto. Siamo ancora in una fase di transizione. Ma il passaggio sarà lento. Richiederà anni e anni.

So bene che da parte della Chiesa ridiscutere la legge sull’aborto e sul divorzio sarà impossibile, come sarà impensabile accettare le unioni gay. Il tema più caldo sarà quello sulla comunione ai divorziati risposati, ed è qui che arriverà un compromesso, che per me sarà ridicolo. Semplicemente ipocrita.

Ma è proprio così assurdo per la Chiesa ammettere la liceità dei contraccettivi? È proprio un tabù intoccabile tutto ciò che riguarda il sesso? Perché continuare a dire che è peccato la masturbazione? E sui diritti civili per le coppie di fatto, come si può rimanere tanto ottusi e disumani?

No! Saranno questi i diktat dei vescovi, pur tra sorrisini a destra e a manca, con qualche carezza ai poveri cristi, con qualche compassionevole concessione ma di carattere prettamente spirituale.

No! E così non si vedranno nuovi orizzonti aperti, se non vie spianate piene di crocifissi in vista del paradiso celeste, con tutto il carico pesante di solitudini, di tragedie, di incomprensioni.

Forse la Chiesa si dimentica che tutti, a partire dai gerarchi, siamo esseri umani che hanno bisogno di essere sostenuti già qui in terra, e non tanto consolati per la vita eterna.

Perché poi rendere ancor più complessa e difficile una esistenza, a cui basterebbe poco per sentirsi un po’ sollevata: evitare di dire che tutto il sesso in sé è male, ed è pericoloso; che l’amore è una prerogativa della Chiesa, la quale ne stabilisce le regole?

Alla fine, i vescovi diranno che la Chiesa è amorevole, comprensiva, sempre disponibile al perdono. Perdono di che? Il perdono richiede che ci sia un peccato. Togli il senso del peccato che tu, Chiesa, hai creato, per auto-alimentarti nella tua struttura, e non ci sarà più bisogno di quel perdono o condono, di cui il potere si arroga il diritto di concessione.

Inoltre, la Chiesa dovrà pur cedere, non so fra quanti anni, di fronte al celibato dei preti. Un obbligo puramente ecclesiastico, senza alcun fondamento divino, imposto nell’alto medioevo. Fino a quando durerà? Perché la Chiesa non lascia possibilità di scelta: se sposarsi oppure no da parte dei suoi preti? E che cosa sento? Prediche vibranti sull’amore umano, come un riflesso della stessa Bellezza divina! E poi si vieta ai preti di viverlo come altro essere umano? Queste assurde contraddizioni sono insopportabili.

Avanti così, cara Chiesa, e ti troverai fuori dal mondo. L’attuale consenso per questo papa è solo una illusione. Del resto, in questi ultimi anni, nella Chiesa che cosa è cambiato? Tutti citano le parole del pontefice, appena parla, e poi ciascuno fa gli affari propri. Se all’interno della Chiesa c’è fermento, ma non più di tanto, è solo per qualche diritto civile in più, per qualche ulteriore concessione sacramentaria, ma non vedo e non sento quell’ansia profetica che, nel passato, aveva spinto la Chiesa a uscire da immobilismi paurosi.

Oggi tutto è fermo. C’è solo tanto fumo, e questo è ancor più deleterio di qualsiasi eresia.

Don Giorgio De Capitani

 
Di P. Francesco D’Acquarica (del 06/06/2018 @ 22:12:50, in La chiesa di Noha e i Vescovi di Nardò, linkato 2276 volte)

Premessa importante - Seguono  ora cenni di storia di tre Vescovi di Nardò che ne hanno guidato la Diocesi mentre a Noha era arciprete Monsignor Paolo Tundo: storia dei nostri giorni, quando la storia diventa quasi come un diario, per averla vissuta in qualche modo io stesso in prima persona. Nella prossima puntata terminerò la storia di don Paolo Tundo tracciando alcuni tratti del Vescovo Corrado Ursi, poi cardinale e arcivescovo di Napoli. Farò del mio meglio per essere imparziale.

P. Francesco D’Acquarica

 

Nicola Colangelo (1879 - 1937)             

Vescovo dal 16 dicembre 1935 al  27 giugno 1937

Motto: Ducam et reducam (Condurrò e ricondurrò)

Dal 1935 al 1937 il Pontefice fu:

            Pio XI  (1857-1939)                                  Papa dal 1922 al 1939

 

            Arciprete di Noha

            Mons. Paolo Tundo (1888-1962),        parroco dal 1934 al 1962

 

            Nicola Colangelo nacque in Schiavi d’Abruzzo, provincia di Chieti, da Luigi e da Rosaria Di Primio, quarto di undici figli, l’undici novembre 1879. Il 4 aprile 1903 fu ordinato sacerdote e, per desiderio del suo Vescovo, Pietropaolo, entrò nel pontificio collegio leoniano di Roma.

            Si addottorò in diritto canonico presso la pontificia università di S. Apollinare, conseguì al Leoniano il diploma di pedagogia ecclesiastica, di ascetica e di sociologia. Nel seminario diocesano di Trivento fu padre spirituale, insegnò diritto canonico, sacra Scrittura ed elementi di ebraico, infine ne fu rettore. Nel 1912 fu parroco a Schiavi d’Abruzzo, suo paese d’origine, e vi restò per circa un ventennio. Fece riparare la chiesa, che poi abbellì mediante tre altari in marmo: della Vergine dei miracoli, del protettore San Maurizio e l’altare maggiore (que-st’ultimo fu eretto a sue spese in ricordo della promozione a vescovo). Nel 1931, Nicola Maria Di Girolamo, Vescovo di Cajazzo, già suo compagno di studi, lo elesse vicario generale e rettore del Seminario di quella diocesi.

            Il 4 aprile 1932 fu eletto Vescovo di Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria e fu consacrato a Cajazzo (Benevento) il 26 giugno da Nicola Di Girolamo e dai co-consacranti Giovanni Giorgis, Vescovo di Trivento, e Attilio Adinolfi, Vescovo di Anagni. Il 17 settembre 1932, fece l’ingresso in Oppido Mamertina e constatò la triste condizione materiale e morale della diocesi, che presentava ancora profonde tracce dell’immane flagello tellurico del 1908. La cattedrale ed il palazzo vescovile erano sistemate in baracche di legno, i locali del seminario erano stati in gran parte distrutti. Colangelo si adoperò per la ricostruzione della cattedrale, di altre chiese e rifece in gran parte il seminario.

            Il 16 dicembre 1935, all’età di 56 anni, fu traslato alla sede di Nardò, della quale prese possesso il giorno dell’ingresso, 26 aprile 1936, pur rimanendo amministratore di Oppido Mamertina, sino alla presa di possesso del successore. Colangelo diede vita al Bollettino ufficiale della diocesi e per la quaresima del 1937 vi pubblicò la prima lettera pastorale: L’ora presente e l’azione cattolica.

Grande impulso diede alla preparazione del primo congresso eucaristico di Parabita, che si doveva svolgere dal 29 giugno al 2 luglio 1937, invitando i vescovi della Puglia ed il cardinale Alessio Ascalesi, arcivescovo di Napoli, ad intervenire. Non potè però essere presente allo svolgimento del medesimo, essendo stato inaspettatamente ed immaturamente colpito dalla morte, proprio pochi giorni prima, il 25 giugno 1937, all’età di 58 anni.

            I familiari vollero che fosse sepolto nella tomba di famiglia del suo paese di origine, Schiavi d’Abruzzo, dove giace. Nel decennale della sua morte, il 30 giugno 1947, nella parrocchia di San Maurizio, dove fu parroco per circa 20 anni, fu murata una lapide con relativo mezzo busto in marmo e con la seguente epigrafe:

 

L’Ecc.mo e Rev.mo Nicola Colangelo, Vescovo di Nardò

del nostro popolo di  Schiavi d’Abruzzo decoro ed onore

lasciò le impronte delle sue qualità

e con tutte le forze tutto osò

per la salute delle anime

1879 - 1937

 

Relazione con la chiesa di Noha

            L’arciprete a Noha in questo periodo, l'abbiamo già detto, era Don Paolo Tundo. Nato a Noha nel 1888, primo di sette figli da Luigi e Giovanna Colazzo, fu ordinato Sacerdote a 26 anni. Il primo incarico pastorale fu quello di viceparroco ad Alliste, poi cappellano militare durante la prima guerra mondiale in Albania. Nel 1920 era già a Noha,  prima come “Sostituto parroco” e cioè vice-parroco, poi nel 1933 come Economo Curato e nel giugno 1934 finalmente come Arciprete di Noha.

            Fu molto attivo nel guidare la chiesa nei tempi turbolenti e drammatici della seconda guerra mondiale. Durante il “Ventennio” fu anche Podestà occupandosi, senza risparmiarsi, dei problemi della sua gente.

            Diede vita (e non c’erano ancora i computer) ad un giornalino parrocchiale intitolato “Il Buon Pastore” che faceva arrivare in ogni famiglia. Fin dall’inizio del suo ministero diede nuovo impulso alla Confraternita della “Madonna delle Grazie” che durante l'arcipretura di don Vitantonio Greco si stava spegnendo.

            La sua opera più importante fu la costruzione di una scuola materna per i bambini di Noha che fece erigere su un terreno di sua proprietà e che affidò alle "Suore discepole di Gesù Eucaristico".

Volle fortemente che la scuola fosse affidata in maniera stabile ad una congregazione di religiose, donando loro anche l’immobile. Bisogna sapere che nel 1941 già esisteva una scuola materna affidata ad una congregazione di Suore Antoniane. La scuola era situata in una abitazione privata di Via Cadorna angolo Cesare Battisti che anch'io frequentai. Ma le Suore, spaventate per un furto subìto di notte mentre erano in casa, decisero di abbandonare Noha, e lo fecero di lì a poco definitivamente.

Nel verbale della Confraternita della Madonna delle Grazie in data  5 Maggio 1941 (è l'anno del furto) c’è questa annotazione: Il 5 Maggio 1941 si sono riuniti i Confratelli. Hanno deliberato L.100 a favore delle Suore costituite a Noha. Sembrerebbe di capire come fosse un rimborso per i danni subìti nel furto. Quelle Suore abbandonarono Noha, ma don Paolo perseverò nel suo impegno a favore di una scuola materna. Ora la scuola di via Carso è molto ben frequentata, non solo perchè sono aumentate le famiglie con gli alloggi della "Zona 167", ma anche perchè vengono anche alcuni bambini dalla vicina Galatina. Le “Suore Discepole di Gesù Eucaristico” dedicano tutto il loro entusiasmo,  impegno  e cura per l'assistenza e la cura delle nuove generazioni.

           

            Don Paolo morì, possiamo dire, improvvisamente, il 30 giugno  del 1962, nel giorno del suo onomastico, la festa di S. Paolo che in quel tempo era celebrata il 30 giugno, e riposa nel camposanto di Noha nella seconda cappella a sinistra dell’ingresso, fatta erigere dalle sue sorelle.

 

          Altri Sacerdoti di questo periodo

*        Don Gerardo Rizzo (1924-2007), nipote di don Paolo.

*        Ma vi è anche Don Donato Mellone (1925-2015), anche lui suo nipote, che sarà poi suo successore nell’arcipretura di Noha.          

          Altri sacerdoti che in questo tempo in qualche modo hanno avuto a che fare    con la chiesa di Noha sono:

*        Papa Dunatu (Don Donato Frisullo di Aradeo)

*        Papa Vitu (Don Vito Zizzari di Seclì e Padre Spirituale della chiesa della   Madonna delle Grazie a Noha)

*        Papa Liberatu (Don Liberato Demitri di Nardò).

          Non ci sono particolari notizie sulla chiesa di Noha che riguardano il Vescovo     di Nardò se non le solite cose di abituale amministrazione.   

 

 

Gennaro Fenizia (1889 - 1952)

Vescovo dal 17 agosto 1938 al  21 luglio 1948

                                                    Motto: Posuit fines tuos pacem (Portò la pace )

Dal 1938 al 1948 il Pontefice fu:

            Pio XII (1876-1958)                           Papa dal 1939 al 1958

 

            L’arciprete è sempre don Paolo Tundo (1888-1962).

 

            Gennaro Fenizia nacque a Napoli il 10 luglio 1889, fu ordinato sacerdote il 16 agosto 1914 ed era professore di scienze in un liceo di Napoli, quando il 17 agosto 1938 fu eletto Vescovo di Nardò dal Papa Pio XI. Fu consacrato il 30 ottobre 1938 e fece l’ingresso solenne in Nardò il 4 dicembre.

            Nel febbraio 1940 indirizzò al clero ed ai fedeli della diocesi la lettera pastorale dal titolo: L’educazione cristiana.

            Per incrementare la vita pastorale, eresse alcune nuove parrocchie.

            Il 31 maggio 1942 intraprese la visita pastorale, che terminò nel 1945, la cui descrizione è molto frammentaria e di nessun rilievo.

Il 5 giugno 1945 dichiarò la Vergine del perpetuo soccorso patrona di Porto Cesareo, frazione di Nardò.

            Dal 30 maggio al 6 giugno 1948 celebrò in Nardò il I congresso eucaristico diocesano con la partecipazione di alcuni Vescovi della Puglia e del cardinale Alessio Ascalesi, Arcivescovo di Napoli. A ricordo, all’ingresso dell’episcopio, il 3 ottobre 1948, accommiatandosi da questa diocesi, fu posta una lapide in marmo avente lo stemma vescovile e la seguente scritta:

 

A Dio Ottimo Massimo

Dal  30 maggio al 6 giugno del 1948 a Nardò

l’Ecc.mo Vescovo Gennaro Fenizia

reggendo la diocesi neretina

il  I congresso Eucaristico con esultanza

di fede e di amore

alla presenza dell’Emin.mo Card. Ascalesi fu celebrato

il clero e il popolo al loro pastore posero con animo grato

Nardò 3 ottobre 1948

 

            L’anno successivo mons. Gennaro Fenizia fu traslato alle diocesi di Cava e Sarno il 21 luglio 1948, restando amministratore apostolico di Nardò sino all’arrivo del nuovo Vescovo. Risiedette sette mesi, da maggio a novembre, a Cava e cinque mesi, da dicembre ad aprile, a Sarno (Salerno). Attese specialmente alla ricostruzione del seminario di Cava, che 33 anni prima era stato abbattuto, perchè pericolante. Dopo alcuni anni di episcopato in quelle diocesi, all’età di 64 anni, morì a Cava dei Tirreni il 20 novembre 1952 e fu sepolto in quella cattedrale. Nel 1939, il Vescovo Alfredo Vozzi fece porre sulla tomba un piccolo monumento e questa epigrafe:

Qui nella pace di Cristo riposa risorgituro

GENNARO FENIZIA

napoletano che

nominato Vescovo di Nardò

il 17 agosto 1938

traslato alle chiese di Cava e Sarno il 21 luglio 1948

per singolare zelo delle anime in ogni campo rifulse

pastore buono e saggio amò i Sacerdoti

particolarmente i più umili

assai benemerito per molte opere

tra cui assolutamente insigne e lodevole

la ricostruzione del seminario diocesano di Cava

già da 35 anni abbandonato

all’età di 64 anni

immaturo non impreparato il 20 novembre 1952

colpito dalla morte

lasciò presso tutti grandissimo rimpianto

Il suo immediato successore

l’Ecc.mo Mons. Alfredo Vozzi questa lapide

tra il plauso generale del Clero e del popolo

il 4 ottobre 1959 pose.

 

Relazione con la chiesa di Noha

            La visita pastorale del 1942 la ricordo anch’io. Ero un bambino di appena sette anni. Mi è rimasta impressa nella memoria l’accoglienza festosa del Vescovo da parte della popolazione. Rimasi incantato nell’osservare quel vecchio (così mi parve) tutto vestito di color rosso-violaceo, accolto sotto un baldacchino all’entrata del paese. Era la prima volta che vedevo un Vescovo e pur essendo ancora piccolo, capivo che si trattava di un personaggio molto importante. Accompagnato così sotto quel pallio retto da sei aste impugnate da altrettanti robusti signori si avviò verso la chiesa parrocchiale come in processione solenne con tutta la popolazione.

            Rividi lo stesso vescovo, Mons. Fenizia, qualche anno dopo quando a Parabita frequentavo il seminario dei Missionari della Consolata. Era il 1947, io ero già più grande. Venne a trovarci mentre stavamo in un momento di ricreazione. Facemmo corona attorno a lui: questa volta lui era più dimesso. Lo salutammo e fu tutto più familiare e direi quasi normale.

            Il 14 dicembre 1939 don Paolo Tundo festeggiò il suo XXV° anniversario di sacerdozio. Nella chiesa di S. Michele il Vescovo Gennaro Fenizia celebrò il solenne pontificale alla presenza di molti sacerdoti convenuti da più parti. L’antico organo a canne e a mantice con una orchestra d’archi al completo accompagnò i canti eseguiti da una schola cantorum polifonica, composta da numerosi parrocchiani. Al pranzo offerto dal festeggiato partecipò anche il Vescovo Fenizia con numerosi convitati sacerdoti e laici, personalità e amici di don Paolo.

            Mons. Gennaro Fenizia venne ancora a Noha il 30 novembre 1946 (evento straordinario in quel tempo) per l’ordinazione sacerdotale di Don Gerardo Rizzo, (Noha 1924-2007). E fu ancora Mons. Fenizia che consacrò sacerdote nella cattedrale di Nardò Don Donato Mellone (Noha 1925-2015), nipote e successore di don Paolo all’arcipretura di Noha.

 

 Francesco Minerva (1904 - 2004)       

Vescovo di Nardò dal 16 sett. 1948 al 17 dic.1950

Motto: Nulla sapientia sine fide (Senza  fede non c'è saggezza)

Dal 1948 al 1950 il Pontefice era:

            Pio XII (1876-1958)                                 Papa dal 1939 al 1958

 

            L’arciprete di Noha

            Don Paolo Tundo (1888-1962),           parroco dal 1934 al 1962

 

            Francesco Minerva nacque a Canosa di Puglia, diocesi di Andria, il 31 gennaio 1904. Il 16 aprile 1927 fu ordinato sacerdote e in luglio si laureò in teologia.

            Divenne poi cancelliere della curia vescovile, padre spirituale del seminario di Andria, insegnante di religione nel ginnasio e nell’avviamento. Nel 1931 conseguì la laurea in giurisprudenza nell’università di Bari ed il 10 aprile 1932 divenne arciprete della cattedrale di Canosa.

            Il 16 settembre 1948 fu eletto vescovo di Nardò dal Papa Pio XII e fu consacrato il 31 ottobre 1948 nella cattedrale di Canosa da Ferdinando Bernardi (1874-1961), già Vescovo di Andria e allora Arcivescovo di Taranto, assistito da Fra’ Giuseppe Di Donna, Vescovo di Andria, e da Giuseppe Ruotolo (1884-1978), nativo di Andria e Vescovo di Ugento.

            Il 21 novembre 1948 inviò al Clero ed al popolo la prima lettera pastorale; il 4 dicembre ne prese possesso ed il 12 fece il solenne ingresso in diocesi.

            Dall’otto al 15 maggio 1949 celebrò il I congresso mariano diocesano a Parabita. Il congresso si concluse  con l’incoronazione dell’immagine della Madonna della Coltura, immagine  bizantina ivi venerata  da molto tempo, dipinta su un monolito.

            Rifece la parte del seminario diocesano prospiciente l’episcopio, riportando l’ingresso al lato dove era stato ai tempi di Sanfelice, rendendo più ampia e più regolare la piazzetta antistante.

            Nel settembre 1950 fu nominato amministratore apostolico di Lecce ed il 24 dicembre da Pio XII fu traslato in quella diocesi, restando amministratore apostolico di Nardò. Il 18 marzo 1951 si trasferì a Lecce, accommiatandosi da Nardò, dove sulla facciata del seminario fu scoperta una lapide marmorea con l’iscrizione:

Mons. FRANCESCO MINERVA

dal 12  dic. 1948 al 24 dic. 1950

Vescovo di Nardò

questo vetusto seminario rinnovando

rese viva espressione del suo apostolico zelo

Il popolo di Nardò riconoscente

18 Marzo 1951

 

            Per raggiunti limiti di età, rassegnò le dimissioni il 27 gennaio 1981, rimanendo Arcivescovo emerito dell'arcidiocesi di Lecce, ma ritirandosi nella nativa Canosa, pur continuando per molti anni a trascorrere l'estate nel Salento.

            Morì il 23 Agosto 2004, a cento anni e sette mesi circa, compiuti il 31 Gennaio 2004.

 

Relazione con la chiesa di Noha

            Nel congresso mariano di Parabita del Maggio 1949 la chiesa di Noha partecipò con un folto gruppo di pellegrini con il suo parroco don Paolo Tundo. Quella volta a Parabita c’ero anch’io perché frequentavo il seminario missionario dei Padri della Consolata, proprio lì, accanto al Santuario della Coltura, e fu tutto una festa.

            Il congresso mariano, il primo congresso diocesano, voluto dal Vescovo Francesco Minerva, si concluse con l’incoronazione della Madonna della Coltura, con la partecipazione del Cardinale Alessio Ascalesi, Arcivescovo di Napoli. L’evento straordinario e tutte le celebrazioni in programma furono preparate dai Missionari della Consolata che in quel tempo gestivano il Santuario della Madonna, ed io ebbi l'onore di partecipare a tutte le celebrazioni come seminarista e facendo parte del "piccolo clero" che il Vescovo Minerva tanto preferiva.

P. Francesco D’Acquarica

 
Di Donato De Lorenzis (del 24/05/2016 @ 22:12:07, in Campo Sportivo, linkato 3292 volte)

Campo Sportivo Noha. 27.12.2015 La nostra cittadina se pur piccola ha un Impianto Sportivo come tanti e tutti i paesi d’ITALIA, ed è un Impianto che se messo in funzione è invidiabile da tanti paesi molto più grandi del nostro, completo di tutto per qualsiasi SPORT, ma purtroppo per vari motivi, che non stiamo qui ad elencare, è rimasto chiuso per un po’ di tempo e al degrado totale abbandonato a se stesso, tutti quanti noi lo sapevamo, il tutto alla luce del sole. Così un gruppo striminzito di amici ha pensato bene di far qualcosa a rivivere l’Impianto per lo SPORT, tra l’altro tentativo fatto ancora indietro negli anni con altre amministrazioni, ma senza successo. Tra varie visite negli uffici che contano e che trattano lCampo Sportivo Noha. 27.12.2015’argomento “strutture sportive”, ci hanno consigliato di formare un’Associazione Sportiva e così ci siamo messi in moto. Nell’inverno freddo del 2015, precisamente tra il 15 e il 17 febbraio è nata l’Associazione Sportiva Dilettantistica DPM ATLETICO NOHA, il nome non è un caso, è stato studiato bene ed ha un significato. Anche il logo è stato studiato con non poca fatica, ma semplice da capire: le TRE TORRI è il simbolo di NOHA, lu SCIACUDDHRI, beh è di casa a NOHA, infine i PALLONI perché rappresenta lo SPORT. Non voglio per adesso mettere nomi di persone perchè nessuno di Campo Sportivo Noha. 27.12.2015noi ha meriti maggiori o minori dell’altro, tutti, dico tutti con il proprio contributo. Un grazie va anche a qualche persone estranea all’Associazione che, con il suo aiuto ha contribuito a far sì che l’iniziativa vada a buon fine. Quindi siamo tutti sulla stessa linea di partenza, dico questo per togliere qualche dubbio a qualcuno. E’ naturale che in un’Associazione, Comitato, Riunione, Assemblea, ci deve essere un responsabile, legale rappresentante o Presidente che dir si voglia con appunto delle cariche, delle figure interne, che devono mandare avanti la baracca così come previsto dalla Legge e Statuti; da qui la figura del PRESIDENTE e del DIRETTIVO, deciso a suo tempo e luogo da quegli amici che si sono messi in gioco, quindi nessuno si è rivestito di AUTORITA’!!!

Fatta questa premessa, arriviamo ai giorni nostri. Gli Impianti Sportivi Polifunzionali di NOHA rappresentano un Campo Sportivo Noha. 27.12.2015esempio concreto di risorse per tutte le comunità, l’idea dell’Associazione DPM ATLETICO NOHA è, sin dal momento dell’assegnazione dei suddetti Impianti, di creare una realtà Polisportiva che attraverso l’uso strumentale dello SPORT consenta a tutti gli Atleti, senza nessuna distinzione, di realizzare un percorso formativo completo, tutto questo senza SCOPI DI LUCRO, pensiero lontanissimo dei principi fondamentali della nostra Associazione.

La DPM ATLETICO NOHA per la migliore e più efficace azione delle funzioni prefissate ha come obiettivi: la collaborazione con tutte le Associazioni, Club o altre aggregazioni Sportive presenti nel territorio; la diffusione della pratica sportiva e delle attività Motorie-Creative; la promozione e lo sviluppo del Associazionismo Sportivo e Campo Sportivo Noha. 27.12.2015l’uso degli Impianti a tutti gli Interessati. Facciamo presente a tutti quelli che vogliono condividere e praticare Sport, dal Tennis al calcio in tutte le sue dimensioni, che l’Impianti sono aperti ed usufruibili in tutte le ore a secondo la loro prenotazione, quindi significa che se non c’è attività l’impianto rimane chiuso, non esiste orario da Negozio. Naturalmente per usufruire dei giochi ci sarà un contributo che parte da 0 euro per minori e qualcosa in più per i maggiorenni di buona volontà, da quantificare all’atto della prenotazione a seconda del tipo di Sport e dell’orario. Questo perché la corrente elettrica che si consuma viene pagata totalmente dalla DPM ATLETICO, non come qualcuno pensa dal Comune di GALATINA, ma se anche fosse diversamente bisogna comunque pagare ciò che si consuma, anche al Comune. Ricordo a tutti che siamo un’Associazione ONLUS non abbiamo SPONSOR che ci sostengono, ci autofinanziamo tra di…NOI…oppure con i piccoli contributi che ci vengono dati di volta in volta. Per tale motivo intendo Campo Sportivo Noha. 27.12.2015ringraziare fortemente un gruppo di AMICI, nostri compaesani, che dal primo in cui è stata riaperta la struttura, sistematicamente, ogni lunedì, vengono a giocare, dovremmo tutti prendere esempio da loro. Per concludere, vorrei ancora ricordare a tutti che il campo di calcetto ce l’abbiamo anche a NOHA, tanto per essere chiari e trasparenti a differenza di ciò che invece vorrebbero far passare altre persone con messaggi differenti o falsati.

La DPM ATLETICO NOHA, riguardo alla richiesta di chiarimenti avanzata dal Sig. Antonio MARIANO su NOHAWEB, circa la fruibilità o meno dei campi di NOHA da parte della “ RAPPRESENTATIVA NOHA”, si risponde restituendo al mittente tutte le eventuali accuse o polemiche di sorta e sottolineando che nessun rappresentante della neo formata squadra si è mai presentato presso la struttura a parlare con chicchessia sia Campo Sportivo Noha. 27.12.2015esso PRESIDENTE che DIRETTIVO. Affermando quanto pubblicato si dimostra che si parla o si scrive solo per il gusto di farlo o per il semplice ..SENTITO DIRE.. Occorre ricordare un famoso detto Nohano per cui come “PRIMA SE TIRA LA PETRA E POI SE SCUNDE LA MANU” . Questo modo di fare non è affatto corretto perché si dice il falso coscientemente!!! L’idea di fondo della DPM ATLETICO è lo sviluppo ed il consolidamento di tutte le Società Sportive anche dei Gruppi di giovani, come la “ Rappresentativa NOHA “, che attualmente forse non usufruisce della struttura per futili motivi dovuti ad incomprensioni o non conoscenza effettiva dello stato dei luoghi o semplicemente perché non hanno mai fatto richiesta. Detto e chiarito definitivamente quanto sopra, si spera che al più presto si possa risolvere questo increscioso malinteso se così lo possiamo definire, noi siamo completamente disponibili a qualsiasi dialogo ed apertura che preveda l’inclusività e non certo l’esclusione a priori Campo Sportivo Noha. 27.12.2015di nessuno. La possibilità di implementare un percorso non effimero, che produca persistenti miglioramenti alla qualità di vita di ciascun cittadino-atleta dipende anche dal modo in cui viene gestito il welfare-comunitario: le Società Dilettantistiche e non, nel rispetto delle proprie funzioni, devono imparare a promuovere lo SPORT. Le modalità di utilizzo degli impianti da parte della “ Rappresentativa NOHA “ e non solo, vengono concertati con il PRESIDENTE, sentito il DIRETTIVO, sempre presente in loco, al fine di ottimizzare l’uso e la fruibilità degli spazi stessi tra diverse associazioni che ne fanno richiesta.

Gli impianti Polifunzionali di NOHA sono, devono e rimarranno aperti a tutti. 

Al PRESIDENTE, tra l’altro, spetta, come da Statuto, il diritto insindacabile di intervento per la soluzione di Campo Sportivo Noha. 27.12.2015eventuali insuperabili divergenze relative all’uso degli stessi Impianti. Lo stesso PRESIDENTE è tenuto alla corretta utilizzazione degli Impianti, al rispetto di tutte le norme e regole stabilite, a vigilare ed è autorizzato, sentito il parere del DIRETTIVO, ad allontanare chiunque tenga un comportamento ritenuto pregiudizievole al buon funzionamento degli Impianti o dell’attività che si svolge.

L’Associazione DPM ATLETICO NOHA, sin dal primo giorno successivo all’assegnazione provvisoria, si è presa cura degli impianti che si presentavano in condizioni veramente disastrose e sotto gli occhi di tutti; il campo di calcio era un cumolo di sterpaglia e pietre, una situazione decisamente critica a cui la DPM ha voluto mettere mano con urgenza, infatti siamo intervenuti con misure di emergenza e di messa in sicurezza da subito e su diversi spazi, noi dell’associazione con tenacia, determinazione e tempestività siamo riusciti a dare ai campi un’altra immagine e la possibilità di aprirlo al pubblico nel più breve tempo possibile rispondendo anche alle Campo Sportivo Noha. 27.12.2015esigenze richieste dall’Amministrazione Comunale attraverso la manifestazione di interesse di giugno 2015.

Le difficoltà che la DPM ha incontrato sono state diverse e sempre in agguato, basta ricordare atti vandalici che abbiamo subito da ignoti sin dai primi giorni di insediamento, arrivando poi, a pochi giorni fa quando si è raggiunto il limite per danni provocati agli impianti per i quali si è richiesto l’intervento dei responsabili del settore LLPP. In un primo momento, si è pensato di non far pubblicità di questi brutti episodi perché ne sarebbe andato del decoro di tutta la nostra comunità, non solo, per evitare anche del vittimismo e tirati in ballo addirittura con falsità sui Social, allora è bene informare pubblicamente i cittadini. I danni, vanno dalla rottura ai tagli sull’impianti idrici mobili utilizzati per l’innaffiatura dei vari prati inglesi di proprietà della DPM; furti degli stessi tubi di acqua sempre Campo Sportivo Noha. 27.12.2015di proprietà della DPM; il campo di calcio irrorato con del veleno secca – tutto ha bruciato letteralmente tutta l’erbetta vera della quale il campo medesimo era dotato via via con non poco sacrificio per renderla verdeggiante, purtroppo, ignoti hanno addirittura lasciato le bottiglie vuote sul terreno di gioco, una volta utilizzate; da ultimo, ma non meno importante, due cagnolini di piccola taglia erano stati rinchiusi sotto il sole ed all’interno di una macchina parcheggiata nei pressi del campo di gioco. Solo per mero caso, in quella mattinata, sono stati liberati i due cagnolini, altrimenti per il caldo i poveri animali non sarebbero certo sopravvissuti.

Nonostante questi brutti episodi di VANDALISMO, la DPM ATLETICO con la stessa determinazione e tenacia di sempre e che la contraddistingue è riuscita a dare al Campo Sportivo un’altra immagine restituendo la normalità attraverso la possibilità di giocare sin da subito, sistemando tutto nel migliore modi. Le situazioni di disagio non sono certo scomparse, ma il lavoro svolto è stato tanto e ce ne sarà ancora, quindi si opererà certamente nella Campo Sportivo Noha. 27.12.2015convinzione di procedere nella giusta direzione. È necessario, però, che gli appassionati di SPORT, le Scuole, le Parrocchie, le Famiglie e le Istituzioni facciano sentire la loro presenza e la loro voce.

Con questo approfitto per comunicare a tutti che con una missiva indirizzata alla Direttrice della Scuola Polo 2 Galatina – Noha e per conoscenza anche al Comune di GALATINA, tutti i ragazzi di detto Plesso Scolastico sono stati invitati Suo tramite, a svolgere attività sportiva durante le lezioni di educazione fisica sul nostro Impianto Sportivo. Con piacere comunichiamo altresì che la Direttrice ha risposto POSITIVAMENTE, prenotando per il fine anno scolastico le due Manifestazioni Sportive di chiusura dello stesso, sia per le classi primarie che per le medie. Non solo, si porta a conoscenza tutti voi, che sempre presso gli impianti sportivi di Noha, si procederà ad organizzare il progetto che vede coinvolte le donne nello sport, in particolare nel calcio.

IL PRESIDENTE DELLA D.P..M. ATLETICO NOHA

M.LLO DONATO DE LORENZIS

 


Campo Sportivo Noha. 27.12.2015Campo Sportivo Noha. 27.12.2015
Campo Sportivo Noha. 27.12.2015Campo Sportivo Noha. 27.12.2015
 
Di Redazione (del 23/10/2013 @ 22:10:56, in Comunicato Stampa, linkato 2600 volte)
Le associazioni non si fermano nella loro giustissima Difesa del Salento e dei suoi Beni Comuni minacciati da maxi speculative colate di cemento!

Mega Mostro Commerciale di Galatina: i 'giochi' degli iter burocratici non si sono per nulla chiusi e le associazioni sono intenzionate a percorre tutte le strade possibili, garantite dalle norme, per difendere il territorio da un'aggressione famelica fatta di nuove mortifere e immense colate di cemento!

Sono state presentate ieri 22 ottobre 2013 le nuove osservazioni promosse da associazioni e cittadini sulle possibili e inaccettabili varianti dello strumento urbanistico di Galatina che minacciano di trasformare un territorio agricolo vergine di pregio e di qualità tra terre di eccellenti vigneti produttori di famosi e apprezzatissimi vini DOC, territorio addirittura esposto a pesantissimi rischi alluvionali come le cronache di questi giorni hanno drammaticamente registrato, aprendo le porte a un indicibile devastazione del paesaggio rurale tra clivi e serre caratterizzate dalla presenza di bellissime e antiche masserie, rischiando così di oltraggiare i, lì presenti e importantissimi, coni visuali colpendo al cuore il Salento rurale con cemento e asfalto, le associazioni compatte ribadiscono il giustissimo, fermo e fortemente motivato 'NO' alla Mega Mostruosa Aliena struttura Commerciale in contrada rurale masseria Cascioni, tanto inutile e, quanto mai, dannosa!

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Oggetto: Osservazioni sulla variante allo strumento urbanistico, adottata con delibera del Consiglio Comunale di Galatina (Le) n. 33 del 25/09/2013, ai sensi degli artt. 3 e 16 della L.R. n. 13/2001, per il progetto delle opere definite di pubblica utilità, su l’area già tipizzata dal PUG Comunale E2 – Agricola di Salvaguardia -, complementare al progetto di un’area commerciale integrata, in Contrada “Cascioni” .

Si invia in allegato quanto in oggetto specificato.
 
Cordialità.
 
Anita Rossetti
 
Di Antonio Mellone (del 11/06/2016 @ 22:10:03, in Sant'Antonio, linkato 3368 volte)

Nel mio paese Antonio non è un nome proprio, ma un nome comune di persona. E’ così diffuso che, quanto a tiratura, compete con quello del Santo Patrono: Michele.

Sicché il 13 giugno, festa onomastica degli Antonio e dei Fernando (Fernando è l’antico nome di battesimo del Santo di Padova, ovvero quello de zitu), a Noha è tutto un andirivieni di telefonate, messaggi, scambi di auguri che manco a Pasqua o a Natale.

Questo pezzo non è autoreferenziale, né scaturisce da una richiesta di auguri da indirizzare per l’occasione al sottoscritto. Figurarsi.

Non potrei arrivare a tanto, se non altro per un paio di motivi.

Intanto perché non ho le carte in regola, nel senso che sono il primo a scordarmi (non per cattiveria: è più forte di me) di tutti gli onomastici e dei genetliaci dei miei amici più cari e dei parenti più prossimi. Tuttavia, ultimamente, dopo 48 anni di vita, sto riuscendo a “ricordare” i compleanni di chi conosco grazie face-book, a condizione che costui o costei abbiano evidenziato sulle rispettive bacheche la data di nascita e siano annoverati tra gli “amici”. Siccome molti dei miei conoscenti, soprattutto per loro naturale ritrosia, non compaiono (ancora?) sul libro delle facce, io continuo a scordarmi bellamente delle scadenze di queste particolari forme di cambiali annuali (che tuttavia, bontà loro, non vengono consegnate al pubblico ufficiale per la levata del protesto da parte dei creditori).

In secondo luogo, perché il mio nome pare si pronunci non disgiunto dal cognome, tanto che mi si appella con una sola emissione di fiato, come in un’unica locuzione, o un solo lemma: Antoniomellone (voce ancora sconosciuta nell’annuario del culto e della venerazione agiografica).

*

Tutto questo panegirico (sic!) per dirvi che lunedì 13 giugno prossimo, solennità di Sant’Antonio di Padova, a Noha le benemerite associazioni locali che rispondono ai nomi di Acli, Ragazzi del Presepe vivente Masseria Colabaldi, L’Altro Salento, la CNA di Galatina, Noha.it, nonché molti, molti altri cittadini liberi e pensanti, organizzano un momento di fraternità nelle immediate vicinanze della cappella dedicata al Santo.

La festa ha inizio nel pomeriggio inoltrato sul sagrato della chiesetta, con la benedizione e la distribuzione del “pane di Sant’Antonio”, e proseguirà per tutta la serata (tranquilli, non si farà tardi) in località Magnarè (nomen omen: nel senso che se magna), sempre all’ombra del campanile del tempietto e della sua bella cupola maiolicata.  

Non sarà una sagra incontinente con ghiottonerie da centro commerciale, ma una molto più frugale festa di paese con distribuzione di panini imbottiti con salsiccia cotta al momento o pezzetti di carne al sugo. Dolci e altre prelibatezze locali completeranno la cenetta antoniana. Il tutto sarà innaffiato da acqua, birra e vino, mentre bandite saranno finalmente le solite bibite dolci, gassate e multinazionali (oltretutto dannose al corpo, alla mente, all’ambiente e all’economia).

Infine, per chi proprio non riuscirà a farne a meno, potrà assistere in diretta alla proiezione su maxischermo della partita di calcio Belgio vs Italia, valevole per il campionato europeo. Quando si dice unicuique suum.

*

Il party si concluderà, come tradizione vuole, con un piccolo spettacolo di fuochi pirotecnici e con il suono della campana di Sant’Antonio.

Il ricavato della serata sarà devoluto alla FIDAS di Noha, l’associazione dei donatori di sangue, nel pieno dei festeggiamenti per il suo trentennale dalla fondazione.

Tutti sono invitati a questa bella festicciola di paese, alla quale non possono assolutamente mancare tutti gli Antonio e i Fernando locali.

*

Un antico adagio nohano così recita: ‘Ntoni, li rari su li boni, e quiddhri ca su boni, su focu de Sant’Antoni’ [traduzione: chi si chiama Antonio raramente è una persona di valore, ma se lo fosse sarebbe d’inestimabile valore, vale a dire fuoco di Sant’Antonio].

Sono convinto che quasi tutti gli Antonio e i Fernando di Noha siano “fuoco di Sant’Antonio”. E che, dunque, per schiodarsi dal divano (per venire alla festa) non sia necessario un miracolo del Santo Taumaturgo per antonomasia.

Antonomasia: mai figura retorica fu più azzeccata al caso.

Antonio Mellone

 
Di Redazione (del 03/04/2019 @ 22:08:44, in Comunicato Stampa, linkato 1266 volte)

Luisa Sello, flautista friulana scelta dal Ministero dei Beni Culturali per rappresentare la musica italiana in tutto il mondo, il 4 aprile sarà la protagonista del secondo appuntamento della XX Stagione Concertistica Internazionale de “I Concerti del Chiostro”.

Lo  scorso  28  marzo,  l’affiatato  Duo  Pollice  ha  inaugurato  la  rassegna  con  un  concerto  per

pianoforte a quattro mani. I due musicisti sono stati accolti nella splendida chiesa della Madonna delle Grazie da uno straripante e caloroso pubblico che per quasi due ore ha goduto delle note di Mozart, Beethoven, Verdi, Rossini e Puccini.

Siamo molto felici di ospitare nel nostro paese questa rassegna musicale internazionale diretta dal M° Luigi Fracasso - afferma il sindaco di Soleto, Graziano Vantaggiato I Concerti del Chiostro sono vera Cultura e il mio augurio è che diventino un appuntamento itinerante in  più comuni della Provincia e non solo”.

[**]

Luisa Sello, definita dal New York Concert Review 2016 un’artista dall’avvincente passione e spontanea cantabilità, con tecnica brillante e grande charme, ci accoglierà insieme al suo flauto con il  programma “Quadri di colore”, tre sentimenti legati alla musica e a temi della vita: Arte, Amore e Gioia. Saranno eseguite musiche di J. S. Bach, W. A. Mozart, A. Vivaldi, G. Verdi e G. Rossini.

Appuntamento a giovedì 4 aprile alle ore 20 presso il Santuario Madonna delle Grazie di Soleto.

Come ogni concerto, anche questo sarà preceduto da una visita guidata nel Comune di Soleto a

cura dell’Associazione “Amici del Presepe” previa prenotazione.

 

Infoline: 3292198852

I Concerti del Chiostro – Associazione Musicale – via del Ciclamino 32, Galatina

Libreria Viva Athena – Via Liguria 73/5, Galatina 0836.566088

 

Pagina Fb: www.facebook.com/IConcertidelChiostro/
Email: iconcertidelchiostro2019@gmail.com

Gloria Romano

Ufficio stampa

 

 

Luisa Sello, flauto

Quadri di colore

 

 

LUISA SELLO Artista eclettica ed innovativa, flautista del panorama internazionale con una intensa attività solistica in Europa, Estremo Oriente, Stati Uniti e Sud America, è ospite di orchestre quali i Wiener Symphoniker, la Salzburger Kammerorchester, la Miami Great Symphony Orchestra, I Virtuosi Italiani.

Un’artista unica, una ‘musicista dall’eccezionale versatilità e dal carisma ammaliante, che riesce ad arrivare dentro l’anima di chi la ascolta, lasciando un’emozione difficile da dimenticare’. (Altromolise, Il Mattino di Bolzano, ABC Madrid, General Anzeiger Bonn, Messaggero Veneto).

Il suo repertorio abbraccia diverse epoche e forme d’arte, in un percorso da lei ideato

come esecutrice, autrice e regista, riscontrando consensi unanimi per ‘classe, eleganza, presenza, talento,

emozione’.

Ha lavorato con l'Orchestra del Teatro Alla Scala di Milano sotto la direzione di Riccardo Muti ed ha suonato accanto ad Alirio Diaz, Trevor Pinnock, Edgar Guggeis, il Nuovo Quartetto Italiano, lo Jess Trio Wien. Ambasciatrice della musica italiana nel mondo, è tra gli artisti sostenuti dai Ministeri degli Affari Esteri e delle Attività Culturali .

Ideatrice di spettacoli estremamente originali e nuovi, propone repertori classici e programmi riscoperti dal

gesto, in un personale percorso aperto a diverse forme d'arte, e da lei generato come interprete musicale, autrice di testi e regista .

Docente  al  Conservatorio  di  Trieste  e  Professore  ospite  all'Università  di  Vienna  e  di  Graz,  viene regolarmente invitata presso Istituzioni Accademiche in Giappone, Cina, Argentina, USA, Russia, Austria, Germania, Spagna, Estonia .

Laureata in Lingue per la Comunicazione Internazionale ed in Letterature Moderne, ha pubblicato saggi

comparativi tra letteratura e musica ed ha vinto diversi premi letterari         di poesia.

Incide per 'Stradivarius', una delle eccellenze discografiche europee, e per la Beijjing Honhchen Millennium

& Art,in Cina .

Luisa Sello ha studiato a Parigi con Raymond Guiot, primo flauto dell'Operà, ed è stata una delle allieve predilette di Severino Gazzelloni che di lei ha scritto ‘qualità di primissimo ordine: tecnica e suono di ottimo livello, unite ad una magnifica sensibilità interpretativa‘.

Dopo il successo del 'Pierrot Solaire' vincitore del premio Speciale Start Cup 2008, e 'Canto per la vita' commissionato per il Premio Unesco 2008, sta ora lavorando sui progetti 'Bach, musica eterna' e 'Quadri di colore'.

 
Di Antonio Mellone (del 10/06/2019 @ 22:08:09, in NohaBlog, linkato 1239 volte)

Provo a sintetizzare quel che ho avuto modo di capire del convegno dell’8 giugno scorso circa le Opportunità [sic] in merito alla storia della Xyella fastidiosa,   organizzato a Noha dal locale circolo PD, al quale sono stato gentilmente invitato.

Dunque, premesso che qui nel Salento, come recita il salmo responsoriale, ‘sta sicca tuttu’ e non ci sta più nulla da fare, che la nostra è zona infetta e il solo motivo del disseccamento degli ulivi è il batterio della Xyella, e che questo batterio ha come esclusivo untore la Sputacchina (un insetto con le ali e forse pure con le corna), è sufficiente guardarsi attorno per accorgersi del “paesaggio lunare” che ormai caratterizza la nostra terra [pare che anche sulla luna questa maledetta Sputacchina abbia fatto danni incalcolabili facendo seccare una miriade di piante autoctone, ndr.].

Certo è che chiunque osi mettere in dubbio questo Verbo che si è fatto Carne, anzi Melcarne, è un negazionista, un santone, un complottista, ultimamente anche un tuttologo, un sacerdote delle scie chimiche, e ovviamente un avversario della scienza: la quale, a quanto m’è dato di capire, o è Ufficiale o non è.

Ebbene sì, pare che la scienza abbia bisogno di aggettivi (ma prima ancora di soldi) per giungere a risultati inconfutabili, pubblicare studi de-fi-ni-ti-vi signora mia, e proferire leggi deterministiche (della serie: dato X non posso che ottenere Y, dove X sta per Xylella e Y per reddito - come i miei bravi studenti del primo anno di economia sanno a menadito).

La ricerca a 360°, invece, sembra sia vietata come la Cannabis Light: se ne deduce che una Ricerca con la maiuscola dovrebbe essere incontrovertibilmente retta, vale a dire a 90°.

Ora non ho ben afferrato se il relatore principale di questo bel congresso cittadino fosse un imprenditore o uno scienziato, ma non spacchiamo la palla in quattro. Qui ci basti sapere che quando l’imprenditore chiama il Cnr risponde, si mette sull’attenti o in ginocchio, a seconda, e si presenta sul campo all’in-do-ma-ni mat-ti-na pre-sto. Insomma basta la parola, come Falqui.

Sembra pure che il disastro, anzi l’emergenza (chiamiamola con il suo nome di battesimo) sia dovuta a chi si è opposto pervicacemente al piano Silletti di venerata memoria. Sì, quello che prevedeva il dogma dell’Immacolata Eradicazione non solo dell’ulivo infetto ma anche di tutto quanto di vivente cadeva nel raggio di 100 metri dal povero albero, incluse le piante sane, e giacché anche gli arbre magique però quelli ormai senza cellophane, il tutto asperso da diserbanti e pesticidi a gogo. Pazienza se tra questi oppositori (come si vede in un video del 2015, a meno di smentite, o voce doppiata o pensiero contraffatto) ci fosse stato anche l’esimio relatore del simposio di sabato 8, poi evidentemente folgorato sulla via di Bari.

Un altro punto fondamentale che mi sembra di aver colto dalla prolusione melcarnevalesca è che il Paesaggio ha senso se e solo se correlato al Profitto [sic], derivante magari da agricoltura intensiva, tipo quella con i filari di Favolosa, ovvero Fs17 - varietà che è senza alcun dubbio lunga, morbida e resistente (parola di Einstein). Il che (cioè il binomio inscindibile Paesaggio/Profitto) per una persona sana di mente sarebbe un ossimoro: tuttavia visti gli applausi scroscianti degli ammiratori dell’altra sera credo che il soggetto possa ormai ambire alla candidatura naturale di ministro dell’ambiente del prossimo venturo governo PD [adesso per favore non vi venga in mente di associare all’acrostico una bestemmia da scomunica apostolica: traducetelo, se proprio volete, con Post-Democratici, ndr.].

A proposito, ma sapevate voi che il ministro dell’agricoltura Centinaio, con il suo recente decretino, convertito in legge in men che non si dica con il voto di quasi tutti, è riuscito a ricreare il Partito Unico della nazione Lega-M5S-PD? Be’ non so voi, ma io ne ho avuto conferma la sera stessa del convegno, visto il trasporto con cui se n’è fatto cenno.

Mi rimane solo un cruccio di questo convegno: il non aver potuto - il sottoscritto e altri astanti - fare domande ai relatori (eppure ne avevamo un paio da porci).

Sarà stato per via di qualche decibel sopra il pentagramma o per l’intervento di qualcuno tra il provocatorio e il sarcastico, sta di fatto che organizzatori e relatori anziché rispondere a tono a ogni appunto, oppure come le persone intelligenti userebbero fare in questi casi con una bella battuta sagace o con l’efficacissimo sbadiglio, hanno invece perso le staffe, troncando così di netto il convegno. Avete presente: “Fedeli, la messa cantata è finita andate a casa” ? Ecco.

Per non parlare del principale conferenziere che s’è l’è addirittura presa con Emanuele, uno fra i più educati spettatori di sempre, il quale con il suo cellulare stava osando riprendere le ultime sceneggiate: “Ehi TU – fa il nobiluomo - non mi devi riprendere. Non ti do l’autorizzazione!”, mancava che ci aggiungesse “gné gné gnè” per farla completa. Qualcuno spieghi al ricercatore/imprenditore (o viceversa) che non eravamo in una riunione a porte chiuse del club Bilderberg, ma in un pubblico convegno dove, oltretutto, i “teleoperatori ufficiali” avevano ripreso pure le mosche di passaggio, e senza alcuna domanda in carta da bollo.

Confesso di essermene andato via con un ulteriore dubbio. Vuoi vedere – mi son detto – che sei stato ospite di un’adunata di Casa PD (dove PD sarebbe il combinato disposto della consonante iniziale e di quella finale di Pound)?

Antonio Mellone

 
Di Redazione (del 10/10/2013 @ 22:07:31, in Un'altra chiesa, linkato 2289 volte)
Nel carteggio intercorso tra papa Francesco ed Eugenio Scalfari si è visto, giustamente, l'inizio di una nuova era nei rapporti tra la Chiesa e la cultura moderna. O almeno la ripresa, dopo il gelo della stagione Woitiliana/Ratzingeriana, del dialogo conciliare.
Ciò, specificatamente in riferimento al rapporto Fede-Ragione. Un'alba di speranza ripresa nella coscienza di quello che Francesco stesso ha voluto chiamare un "paradosso": "la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell'uomo sin dall'inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione".
Noi non possiamo che rallegrarci di tanto osare; noi che testardamente abbiamo continuato a credere non mettendo da parte le ragioni della ragione, ma valorizzandole e tenendole ben in cale.
Noi, comunità di base, credenti della diaspora ecc., preso atto di questa grande apertura, vorremmo però, che si aprisse lo sguardo e si accendesse l'attenzione anche su un aspetto più pratico ma altrettanto deleterio della vita di buona parte della chiesa, pur nella consapevolezza, riconosce papa Francesco, "che quell'immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d'argilla della nostra umanità".
Mi riferisco a quel mondo chiamato volgarmente "cattolico" e che abbraccia tutta quella religiosità feticista che acceca, rende "intransigenti" e "arroganti" (per riprendere i suoi stessi termini affermandoli); rende schizofrenici e incoerenti con le idealità del Messaggio Evangelico.
Perché? Cosa fanno questi cattolici?
Vanno in pellegrinaggio a Madjugorie a pregare la Madonna degli umili; poi tornano in Italia e votano Lega, il partito dei razzisti. Si dicono "cattolici" e sono solo dei "provinciali".
Vanno in Chiesa a festeggiare i Santi del calendario ed escono fuori e calpestano i martiri in carne ed ossa che incontrano per strada.
Si dicono cristiani e si chiamano fratelli; ma poi, se possono, si fanno le scarpe a vicenda, arrampicandosi sui cadaveri degli "altri".
Pregano Dio per la Pace e la Giustizia, ma votano a destra, dove ingrassano i partiti di quel liberismo economico e di quel turbocapitalismo che seminano violenza e fomentano guerre.
Hanno lottato contro il divorzio, contro l'aborto, contro l'eutanasia, contro la contraccezione ed hanno spalancato la porte a quella globalizzazione che non è altro che la riduzione del mondo ad un mercato, dove investono i padroni del capitale e nel quale la condizione di cittadino interessa meno che quella di consumatore.
Hanno chiuso gli occhi pregando Dio e si sono ritrovati servi di un altro dio, il dio denaro.
Senza avvedersene, hanno voluto coniugare, in un rapporto incestuoso, ciò che il loro Maestro aveva avvertito non essere possibile: "Non potete servire Dio e la ricchezza!" (Matteo 6,24).
Sotto questa dittatura tutto si è trasformato in merce: idee, progetti, relazioni, oggetti, ecc.; perfino la religione!
Frei Betto, teologo brasiliano, incarcerato per anni e anni sotto la dittatura militare degli anni di piombo (1964-1985), denuncia: "Si vendono imprese, strade, influenze e governi. (...) Si trasforma Che Guevara in birra inglese, la liturgia in uno show business e i figli di Gandhi in un carro del carnevale. L'importante è mercificare e reificare tutto: dall'emblema rivoluzionario alle natiche della ballerina.
Rendere il superfluo necessario. Solo così si dilata il consumo. (...)
Creata per elevare le persone ad un altro livello di coscienza, perché vivano la comunione con Dio e tra loro, e fondata su valori derivati dalla rivelazione trascendente, la religione stessa, poco a poco, ha finito per perdere la sua dimensione profetica, di denuncia e di annuncio. Si sveste del suo carattere etico, di critica verso ciò che disumanizza, per adeguarsi all'imballaggio che la rende, nel mercato, un prodotto attraente. Così, essa risplende sotto le luci della ribalta, scambiando il silenzio con l'isterismo pubblico, la meditazione con l'emozione truccata, la liturgia con la danza aero¬bica. Nella sfera cattolica, rende il prodotto più appetitoso" (Adista 88/99).
Scandalizza che di fronte a questa deriva prostituiva qualcuno additi ancora come nemico da abbattere un inesistente "Comunismo". È da briganti e da delinquenti.
Qui non siamo più di fronte a quello che i vescovi francesi nel primo dopoguerra denunciavano come lo "scisma pratico" dei fedeli.
Qui siamo di fronte ad una ideologia liberista e libertaria che assolutizza il soggetto cancellando la società, intronizza sull'altare dei valori una libertà assassina riservata ai pochi e impedita ai molti, invoca stupidamente la giustizia impedendone le condizioni.
Di tutto ciò, caro papa Francesco, "insieme", come tu scrivi, se ne può parlare?
Aldo Antonelli - parroco in Antrosano
 
Di Redazione (del 09/08/2017 @ 22:06:34, in NoiAmbiente, linkato 1952 volte)

Non credo che non ve ne siate accorti anche voi che il paesaggio che si vede in giro per la nostra amata terra, con tutte le campagne e gli alberi bruciati, è molto triste. A causa della siccità e il caldo torrido la vegetazione è in evidente sofferenza. Non credo che non abbiate notato quanta tristezza si evince da tutti quei prati nero fumo, che solo a passargli vicino, l’odore acre di paglia bruciata mozza il respiro. Non credo che non ve ne siate accorti che su quei prati neri, oltre alla paglia carbonizzata che penetra i polmoni di tutti, sono rimaste le carcasse incombuste e deformate di tanti rifiuti ( soprattutto oggetti domestici: tv, valigie, scarpe, vasi, bottiglie, pneumatici, frigoriferi, ecc.) gettati prima degli incendi, con evidente strafottenza da incivili masse organiche senza coscienza.
Tutto questo penalizza la nostra dignità, di persone civili.
Noi crediamo che si possa ancora fare qualcosa per evitare questo scempio. Vi chiediamo di non gettare più i rifiuti nell’erba e di non bruciare più i prati. Forse  la legge non riuscirà a punirvi, forse,  ma la Natura lo sta già facendo. I fumi tossici e le fibre volatili che il vento sparge nell'aria, contribuiscono alle formazione di gravi malattie. O pensate davvero che le malattie riguardino solo gli altri e voi che amate  bruciare ne siete immuni?

SMETTIAMOLA DI FARE GLI SPORCACCIONI E COMINCIAMO A RAGIONARE.
SIETE TUTTI INVITATI ALLA MANIFESTAZIONE. CON LA VOSTRA PRESENZA DIMOSTREREMO INSIEME CHE NOI AMIAMO VIVERE IN UN AMBIENTE PULITO E SOPRATTUTTO SANO.

fareambiente - Laboratorio di Galatina

 
Di Redazione (del 12/07/2019 @ 22:06:12, in Comunicato Stampa, linkato 1070 volte)

La Città di Galatina e Arci Lecce presentano sabato 13 luglio"Intrecci di notte – La cultura unisce", una serata ricca di iniziative, inserita nell’ambito della rassegna estiva “A cuore scalzo”, promossa dall'amministrazione comunale.

Tra le iniziative in programma il concerto gratuito della “BandAdriatica” in Piazza San Pietro, oltre a dibattiti, testimonianze, stand gastronomici, workshop e spettacoli per continuare a crescere come comunità responsabile e consapevole attorno alle tematiche della migrazione e dell’accoglienza.

 

Sarà il coro Made in World, composto da richiedenti asilo e rifugiati ospiti nei progetti di accoglienza integrata gestiti da Arci Lecce e diretti dal maestro Andrea Cataldo, ad aprire il concerto di Claudio Prima e compagni che condurranno il pubblico in un vero e proprio viaggio musicale tra le coste del Mediterraneo.

BandAdriatica, la band che voga sulle onde agitate della musica salentina con elementi di tutte le coste sonore del Mediterraneo, porterà in scena l'ultimo lavoro Odissea. Uno spettacolo coeso e potente, arricchito da nuove coreografie, dove i linguaggi si armonizzano con le melodie popolari nel fervore meticcio delle città portuali. 

Dall'ex Monastero di Santa Chiara a Piazza San Pietro, i luoghi più significativi della città si intrecceranno con un programma ricco di iniziative, sostenibile e eco-friendly

L’evento sarà rigorosamente plastic-free, grazie al Comune di Galatina risultato vincitore del bando “Ecofeste” promosso dalla Regione Puglia; saranno utilizzate posate e stoviglie completamente compostabili e verrà distribuito materiale informativo. Fondamentale sarà la presenza di Officine Cittadine, che porterà “in piazza” una serie di laboratori e attività, per favorire la partecipazione cittadina nella realizzazione di una società democratica, economicamente efficace, socialmente equa, ecologicamente sostenibile e culturalmente diversificata. 

Numerosi anche gli espositori presenti lungo alcune strade del centro storico, tra cui l’associazione Nerò di Zollino con zafferano e legumi, l’apicoltore Saverio Alemanno, Canapa e Dintorni con prodotti tessili di canapa e Luna Laboratorio Rurale.

Ad aprire la serata, ore 19.30, in Piazza Galluccio, l'incontro di presentazione con gli interventi di Marcello Amante, sindaco di Galatina, Cristina Dettù, assessora alla Cultura e Anna Caputo, presidente di Arci Lecce. A seguire la performance teatrale di Gianluca Carrisi dal titolo “Le regole del viaggio”, attraverso il quale l’attore salentino interpreterà gli appunti che due etiopi rifugiati scrissero prima di partire da Addis Abeba per raggiungere le coste europee. 

Dalle 20.00 Piazza Galluccio ospiterà il laboratorio gratuito a cura di Blablabla "Arte migrante. L'immigrazione spiegata ai bambini" e per l’intera durata della manifestazione l'esposizione dei lavori artigianali realizzati dai ragazzi richiedenti e gli stand gastronomici con cibo dal mondo curati dal progetto Sprar "Safia Ama Jan" di Galatina. 

Uno spazio speciale sarà dedicato al progetto "Gombo - il frutto dell'integrazione" di Arci Lecce e grazie alla collaborazione del Panificio "Notaro" e della Pasticceria "Dolce Arte", sarà possibile degustare alcuni piatti della tradizione salentina cucinati con la tipica pianta originaria dell'Africa.

Nella stessa piazza, sarà possibile partecipare dalle 20 alla "biblioteca vivente", con la collaborazione del Servizio Civile "In reading 2017”.

Inoltre, rientra nell’ambito di Intrecci di Notte anche l’iniziativa dell’associazione Egerthe: la presentazione del libro LAMIERE, introdotto da Ettore Marangi, missionario a Nairobi, e con l’intervento di Phina Ajuoga. L’evento si terrà al Palazzo della cultura (P.zza Alighieri) a partire dalle ore 20.00.

A partire dalle 21.00, all'interno dell'ex Monastero di Santa Chiara, restituito recentemente alla città, si svolgerà lo spettacolo di Milonga a cura di Almavals di Stefania Filograna, accompagnati dal duo Lucia Conte e Monica Terlizzi. Spazio alla musica jazz, invece, in Piazza Orsini con Filippo Bubbico che sullo sfondo della storica Basilica di Santa Caterina, accompagnato da Dario Congedo e Gino Semeraro, porterà in scena una contaminazione artistica inedita.

“Intrecci di Notte è, prima di tutto, una sfida culturale – afferma l’assessore alla cultura Cristina Dettù - un progetto ambizioso che vuole regalare alla Città non solo un programma ricco di eventi, ma anche un messaggio importante: far scorrere lungo le strade e le piazze di Galatina l’essenza vera della cultura, quella di unire, creare, intrecciare le maglie della propria vita, del sapere, delle proprie emozioni per realizzare un qualcosa di unico, che sia in grado di aprire la mente e il cuore, resistendo alle storture della civiltà di oggi. Un festival che già nella sua organizzazione, rappresenta l’”intreccio” perfetto di tutto questo”.

Ufficio Stampa - Marcello Amante

 
Di Antonio Mellone (del 31/10/2019 @ 22:04:56, in NohaBlog, linkato 1403 volte)

Non so voi, ma io spero ardentemente che la pietra posta su quella Pantacomica del novello Centro Commerciale galatinese sia di natura tombale.

Come noto, il cosiddetto Mega-Porco (Mega-Parco per gli amici degli amici, vale a dire quelli che, visto il loro lessico, confondono la crusca accademica con quell’altra per l’intestino pigro) è venuto a mancare prematuramente all’affetto dei suoi cari sin da quando era in provetta, anzi ancor prima del suo prelievo dalla banca del seme: banca, si sa, sempre ben rifornita da numerosi donatori come pOLITICI, gggiornalisti, digerenti cumonali, 800 [sic] beoti martiri firmatari di appelli, e una banda di conferenzieri da bar dello sport promittenti portentose panacee, tipo il posto fesso.

Ma non è che premorto un Mega-Porco non se ne possa pascere un altro, ché anzi qui siamo circondati dagli Ipermercati schierati intorno a noi come un plotone di esecuzione. Ne abbiamo a bizzeffe: da Surbo a Cavallino, da Lecce a Tricase, e non so più dove altro. A questi s’aggiungano i novelli megastore Made in China dai posteggi sempre affollati, e la frittata anzi il wanton è servito.

È che ai Servi della Spesa non solo sfugge il fatto che un mastodontico centro fuoriporta è un ossimoro che uccide il paese, aumenta i costi sociali, incentiva la sottrazione di posti di lavoro, dà il suo contributo in termini di caldane al famoso cambiamento climatico, e spegne il (vero) centro città; ma anche il fatto che lo spettro che s’aggira negli Outlet non è quello del comunismo, bensì quello dell’incoscienza di classe, e purtroppo della lotta orizzontale (anziché verticale contro i propri aguzzini) nei confronti di chi è nella propria medesima condizione, se non peggio, credendo pure di essere un borghese.

Il Servo della Spesa non sa che fuori dalla GDO (Grande Distribuzione Organizzata), c’è un mondo bellissimo fatto di piccoli negozi, commercio ambulante, botteghe e mercatini, contadini e masserie; rincorre il Capitalismo in offerta speciale, passando da consumatore a consumato; porta soldi a palate nelle tasche del ben pasciuto oligarca economico, dimorante chissà dove (di certo non in queste lande); s’imbottiglia in mezzo al traffico come un citrullo, e se la prende con gli avi defunti di un altro poveretto come lui che gli ruba il parcheggio.

Il popolo dello shopping, ragionando vieppiù con il deretano, di fatto vuole male al suo borgo, si fa fregare dalla fidelity card, è abbacinato dal 3x2 sui suoi croccantini preferiti, vota il Partito Consumista, quello Del Fare, quello cioè delle mani libere su territorio e patrimonio, e dunque del SI alla Qualunque.

Ragazzi, per affrancarsi dallo stigma di follower dei Grandi Magazzini non è mica necessario saper discettare di Esistenzialismo alla Kierkegaard, andare al museo, mettere Mi Piace a post come questo o seguire i concerti d’organo (anche se aiuta molto); ma sarebbe un buon inizio non farsi prendere in giro dal pane caldo a tutte le ore (che non esiste, a meno di roba surgelata o peggio ancora precotta), o farsi abbindolare dalla frenesia dell’usa e getta (le cose si riparano eh, ma quasi mai contattando i centri autorizzati tramite call center), o finalmente portare un po’ di rispetto a capireparto e cassiere dei Malls possibilmente lasciandoli in pace almeno la domenica e nelle feste comandate.

Ma dico io: volete andare di domenica al centro commerciale, trasformando ogni solennità in un lunedì qualsiasi? Fate pure, siete liberi, anzi liberisti di farlo.

Però poi non prendetevela se un commesso - pagato quattro soldi quando non licenziato dal caporale di turno con un messaggio su Whatsapp - a un vostro cordiale saluto di Buona Domenica dovesse rispondervi: “Buona Domenica, ma vaffanculo”.

Antonio Mellone

 

Sarà presentato ufficialmente il prossimo 29 giugno alle 18.30 presso la Lega navale di Gallipoli il progetto Tourism for all realizzato dall’associazione Portatori sani di sorrisi  odv. Si tratta di un progetto integrato di turismo accessibile finalizzato a far vivere una vacanza spensierata a coloro che hanno delle difficoltà motorie e sensoriali, ma soprattutto a creare delle relazioni che consentiranno di vivere meglio anche dopo la vacanza.

Tourism for all comprende Felicetta portami al mare, Dinamiko Beach, Dinamiko Village e Access City. Si tratta di quattro progetti distinti ma connessi, accomunati dall’obiettivo di realizzare le migliori condizioni per far vivere dei giorni di spensieratezza agli ospiti ed ai loro familiari, ma anche di far riflettere sul concetto che le barriere si possono superare più facilmente senza i limiti mentali che ci si pone.

Felicetta portami al mare, è l’ultimo progetto di turismo sociale accessibile, la cui presentazione ufficiale è prevista il 29 giugno presso il porto mercantile – Banchina Foranea presso la Lega Navale di Gallipoli. Si tratta di un’imbarcazione completamente attrezzata anche per persone con disabilità che consentirà a tutti di vivere un’esperienza positiva in mare. Il progetto, però, non punta soltanto all’eliminazione delle barriere fisiche delle barche tradizionali, ma soprattutto a creare momenti di incontro, aprendo a delle nuove opportunità di divertimento e sport.

“Felicetta” è la prima imbarcazione accessibile, presente in tutta la costa nel nostro Salento e sarà ormeggiata nei vari porti. È dotata di rampa per consentire l’accesso a chi ha difficoltà motorie e sensoriali, dando l’opportunità di vivere il mare senza barriere e di capire a tutti che a volte " i limiti più ingombranti sono nella testa e che sono superabili”.

Con Felicetta – afferma il presidente dell’associazione Pierangelo Muci - offriremo finalmente la possibilità di trascorrere una giornata in libertà a chi ogni giorno vive tante difficoltà per poi affrontare con più energia le sfide quotidiane. Vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica sui concetti della “progettazione per tutti” e sull’importanza dell’abbattimento delle barriere architettoniche, non solo urbane. Vogliamo consentire la socializzazione, creando momenti comuni tra chi ha determinate necessità e chi invece ha la possibilità di soddisfarle. Non si possono sottovalutare gli enormi benefici dell’acqua sul benessere psicofisico di ogni persona, soprattutto per chi ha una disabilità motoria. Sono tantissimi gli studi che ormai confermano che il più grande farmaco gratuito è il MARE”.

Dinamiko Beach, si concretizza con la gestione di un lido in località Sant’Isidoro, riservando un’area demaniale destinata alla balneazione, alla possibilità di far vivere il mare a tutti. La postazione, oltre ad essere dotata di sedie Job e Tuareg per l’accesso al mare in libertà, è fornita di ombrelloni provvisti di sdraio e lettino posti lungo la passerella a ridosso del bagnasciuga. La gestione è curata dai volontari con diligenza, gioia, sorrisi e tanto amore che garantiscono, nel periodo estivo, l’apertura giornaliera dalle ore 9 alle ore 19. Gli utenti possono prenotare gratuitamente l’ombrellone attraverso il sito internet ed eventualmente il taxi sociale se non hanno la possibilità di raggiungere la spiaggia in autonomia.

DinamiKo Village nasce con l’obbiettivo di regalare sette giorni di relax e puro divertimento a tutte quelle famiglie vulnerabili che hanno vissuto una lungodegenza o che vivono una situazione di disabilità in casa, per far riscoprire loro la serenità perduta. Famiglie che spesso non possono neanche permettersi una vacanza e che arrivano da noi tramite una rete di associazioni dislocate in tutta Italia che collaborano con la nostra struttura.

Questo villaggio è il luogo ideale dove la famiglia può mettere da parte ansie e problemi per condividere un programma fatto di emozioni senza fiato! Si trova in una zona centrale del Salento immerso nel verde a pochi chilometri dalla costa.

I nostri ospiti, attraverso il servizio di Taxi sociale, se ne hanno bisogno, o muniti dei mezzi propri, frequentano le meravigliose spiagge salentine, sono impegnati in visite guidate alla scoperta del nostro territorio e la sera tornando al villaggio sono immersi in un’atmosfera magica di giochi, musica, buon cibo e condivisione di esperienze e di emozioni tra gli stessi ospiti e i nostri instancabili volontari.

Quando la malattia irrompe nelle case tutti gli equilibri si sfaldano e i problemi economici sono tra i primi a farsi sentire, il poter fare una vacanza tutti insieme si trasforma in un miraggio. 

Access City è, infine, un tour alla scoperta delle più belle città del territorio salentino che gli ospiti possono fare accompagnati dai volontari dell’associazione. Un giro tra bellezze culturali e paesaggistiche, una visita nei borghi antichi, sempre vissuto con inclusione e interazione, attraverso il supporto di guide turistiche del luogo che faranno conoscere i monumenti, le tradizioni, l’arte e la cultura del Salento.

Noi ci scontriamo quotidianamente con le tante difficoltà legate al mondo della disabilità - conclude Muci - e spesso sul territorio manca proprio la cultura degli spazi e dei luoghi accessibili davvero a tutti.

Siamo vicini a migliaia di famiglie che si rivolgono al nostro centro ascolto per problematiche diverse e spesso affrontiamo momenti di tristezza o disagio, ma vivere la disabilità non è solo questo.

Siamo convinti che dare l'opportunità a tutti di trascorrere momenti di gioia e armonia sia un dovere civile e morale che per chi ha la possibilità di fare per gli altri. Un semplice sorriso ed un particolare sguardo ricevuto sono in grado di riempire il cuore, di far dimenticare i problemi della vita quotidiana, offrendo un momento non solo di svago, ma anche e soprattutto di profonda riflessione morale”.

L'associazione

“Portatori sani di sorrisi ODV” è un'Associazione senza scopo di lucro che nasce nel 2013 da un gruppo di volontari. Essa opera per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, svolgendo principalmente in favore di terzi, le attività di interesse generale di cui all'art. 5 comma 1 del Codice del Terzo Settore.

L´Associazione si occupa di inclusione sociale, di abbattimento di barriere architettoniche, di diritti dei minori e di uguaglianza del genere umano da circa 9 anni.

Uno dei punti cardine della nostra Associazione è l'inclusione sociale di tutti e i progetti posti in essere dai nostri membri vanno ad intervenire dove purtroppo ancora oggi nella società si trovano barriere architettoniche sia fisiche che mentali. Siamo in prima linea per difendere i diritti della persona, dei minori, dei migranti e soprattutto di chi vive in condizioni di disagio, di malattia, di disabilità, dove spesso tali diritti vengono posti a margine o completamente calpestati.

Siamo un gruppo di volontari “clown” uniti da un fine comune: mettersi in gioco, donare sé stessi, con la convinzione che a far del bene, si riceve sempre del bene.

I “Portatori sani di sorrisi ” rappresentano l’emblema dell’allegria, quella pura! Quell’allegria che scaturisce dalla semplicità dei gesti e delle azioni, quell’allegria impagabile e spontanea che trova riscontro ogni giorno nei milioni di sorrisi donati e ricambiati dagli sguardi dei bambini e degli adulti pieni di gioia e di riconoscenza.

La nostra associazione è presente assiduamente nei diversi reparti degli ospedali salentini, si occupa dei bisogni primari delle famiglie, di mobilità sociale, di umanizzazione dei reparti pediatrici, di supporto alla malattia nelle cure lontano da casa, di turismo sociale accessibile e di progetti racchiusi nel nostro Villaggio sociale, il “Dinamiko Village”.

Recentemente l’associazione è stata selezionata tra 14 mila associazioni italiane per far parte del progetto “il gusto unico di donare”, nata dalla sinergia tra Coppa del nonno e 1 Caffè onlus, fondata dall’attore Luca Argentero.

 

Intervista al presidente e volontario Pierangelo Muci: https://youtu.be/kpM39aXxEgY 

Presentazione Dinamiko Village: https://youtu.be/Sa99gpxMh-g

Pagina Facebook: https://www.facebook.com/search/top?q=portatorisanidisorrisi

Sito web: https://www.portatorisanidisorrisi.it/

Antonio Torretti

 
Di Antonio Mellone (del 01/01/2013 @ 22:04:06, in Cronaca, linkato 2933 volte)

Recentemente, parlando del più, ma soprattutto del meno, con un’importante (notare l’apostrofo) esponente dell’Amministrazione Comunale di Galatina a proposito del mega-porco (scusate, ma non ce la faccio proprio a chiamare “parco” una distesa piallata di calcestruzzo) vengo a sapere, tra le altre cose, che il parroco di Collemeto sta (starebbe) strenuamente lottando insieme ad alcune delle sue pecorelle affinché questa mega-struttura veda finalmente la luce. Pare che, salvo errori, il Don locale non veda l’ora di aspergere con l’acqua santa questa nuova spianata delle moschee (o delle mosche).
Posso pure capire che un parroco sia devotissimo all’Immacolata Cementificazione, e non sarà mica il sottoscritto a mettere in discussione il suo “credo”, ci mancherebbe altro, (ognuno è libero di credere a quello che vuole: anche agli asini che volano), ma spiace dover constatare ancora una volta che quota parte della politica nostrana (quella Politica che per indole e Costituzione dovrebbe essere laica e indipendente), sia ancora una volta se non proprio attaccata alla sottana di qualche alto (o basso) prelato, e se non proprio genuflessa o subordinata al suo prevosto, in un certo qual modo, diciamo così, influenzata dal verbo clericale (“verbo” in minuscolo), pur di dimostrare al suo elettorato di essere in grado in un sol colpo di fare i gargarismi con l’acqua benedetta e di tener fede ai “valori irrinunciabili” (però senza mai accennare ad un mea culpa, nemmeno per sbaglio: mai sia Signore). Stiamo parlando in maniera trasversale, bipartisan, quindi del partito dell’udc (unione del cemento).
Ma ritorniamo al nostro parroco collemetese, che ci dicono sia persona ragionevole e mite, e di pasta completamente diversa rispetto al suo collega di Lerici (quello che si mette a pubblicare in bacheca un farneticante articolo copia-incollato dal sito ultra-conservatore Pontifex  - sanu me toccu - nel quale più o meno si afferma che la violenza e il femminicidio siano un po’ colpa delle donne che provocano…). Dicevamo, invece, del nostro parroco che, siamo certi, con uno studio appena un po’ più meditato e ragionato, non esiterebbe ad indirizzare ai fedeli più o meno queste parole, magari in una di quelle scalette, talvolta più lunghe di un sermone, che si usa indicare al termine della celebrazione eucaristica:
Miei cari fratelli, non svendiamo la nostra primogenitura per un piatto di lenticchie. Non diamo retta agli dei falsi e bugiardi che rispondono al nome di cemento e asfalto. Lasciamo perdere adulatori-lobbisti che in nome di uno sviluppismo che non sta né in cielo né in terra, promettono mari e monti, e dimenticano la nostra bella e fertile pianura.
C’è chi sta cercando di cavalcare l’onda della nostra disperazione, per la mancanza di posti di lavoro, di prospettive per il futuro, di un avvenire degno di questo nome per i nostri figli. Ma è veramente cosa buona e giusta nostro dovere e fonte di salvezza non costruire altre cattedrali nel deserto. Il tempo dei centri commerciali è morto e sepolto, e qui da noi ce ne sono fin troppi. I megastore non hanno mai portato posti di lavoro in più (ne creano 200 distruggendone 1000, la proporzione è questa; senza contare che oggi i licenziamenti sono arrivati anche fra i dipendenti della grande distribuzione, tanto che ne è costretto a parlare finanche il “Quotidiano di Lecce” che, si sa, dà solo le notizie che gli garbano).  Mai come stavolta è in corso una scientifica manomissione delle parole, usate puntualmente in modo distorto, con l’effetto del loro logoramento e della loro perdita di senso. Così si parla a vanvera di “riqualificazione” della località Cascioni, quando invece è in corso la sua mortificazione, e di “centro” a proposito di una struttura in periferia. Si usa inoltre la parola “parco” che rievoca il verde e non un susseguirsi di capannoni prefabbricati, e addirittura di “moderati”, che sarebbero i signori dell’udc (unione del cemento), contrapposti ai “fondamentalisti” che sarebbero invece i ragazzi che cercano di salvare quel che resta del nostro paesaggio e della nostra salute.
Il cemento nella nostra bella contrada Cascioni è un peccato contro natura. Non lamentiamoci poi se un acquazzone si trasforma in un disastro perché la campagna sta scomparendo e la Natura e Dio prima o poi son costretti a vendicarsi (e a riprendersi il maltolto).
Ho letto da qualche parte che gli stessi negozi ubicati nei centri commerciali sono strozzati, oltre tutto, da affitti esosi, e visitati da consumatori che ormai vanno “in centro” solo per passeggiare. E poi lasciatemi dire: la domenica si viene a messa e non al centro commerciale dove si vede un sacco di gente che ci va per ammazzare la noia e le domeniche, o per santificare le altre feste.
Ho pensato di fare uno striscione per esporlo sulla porta della nostra chiesa. E sapete cosa ho in mente di scrivere su questo striscione? “La domenica siamo aperti”: la stessa frase che, inorridito, leggo sugli striscioni piazzati all’ingresso dei mega-parchi (e che verrà, o verrebbe sicuramente apposto anche – Dio non voglia – su quello che i “moderati” vorrebbero costruire ad un fischio da questa chiesa). 
Sì, c’è gente costretta a lavorare a Natale, a Capodanno, a Ferragosto in queste faraoniche disumane strutture. Ma così non c’è rispetto della persona umana, del diritto, della ragione, della vita stessa. Noi invece dobbiamo batterci per la cultura della vita e non per essere trattati a merci in faccia. Ritorniamo ai veri valori, che sono a chilometri zero, come la nostra agricoltura, il piccolo commercio, il nostro artigianato, ed il turismo che non va alla ricerca dei centri commerciali (anzi ne fugge) ma di paesini belli, puliti, solidali ed in pace, come Collemeto. Non crediamo al miracolismo idolatrico di un “centro” pensato da gente senza scrupoli, che del benessere della nostra cittadina non saprebbe proprio che farsene (scusate il pleonasmo).
C’è chi dice che se non costruissero questo centro alle porte del nostro paese lo farebbero, chessò, a Nardò. E dove sta scritto? Noi lotteremo insieme perché non lo facciano nemmeno colà: l’ennesimo mega-porco sarebbe davvero un bel peccato a Collemeto, a Galatina, come anche a Nardò, a Cutrofiano o a Canicattì.
In piedi, cari fratelli, in alto i nostri cuori, e coraggio!
Restiamo uniti nella battaglia contro il maligno per la salvaguardia di una delle zone più belle e fertili della nostra piccola patria che ha il dolce nome di Collemeto.
Ne guadagneranno la nostra dignità, la nostra economia, il nostro futuro, il nostro attaccamento alla vita.
Sia lodato Gesù Cristo”.
Oggi e sempre sia lodato.

Antonio Mellone

 
Di Fabrizio Vincenti (del 02/04/2015 @ 22:03:38, in NohaBlog, linkato 2737 volte)

Cos’è successo a Noha? Ti svegli una mattina e ti accorgi che tutto è cambiato. Lo vedi dalle foto. Ed è normale che col passare del tempo tutto cambi. Alcuni muoiono, altri nascono, il paese cambia forma, si aggiorna, si evolve, implode, esplode; insomma non è più lo stesso nonostante conservi il suo nome. Cambiano gli usi, mutano i costumi, si confondono i dialetti, entra in campo la tecnologia, vanno e vengono i critici, rimangono criticati gli stessi, ma non è questo che si vede dalle foto. O meglio, ciò che è cambiato lo vedi da una foto se la guardi con nostalgia. E non è vero il fatto che si stava meglio una volta. Vi immaginate oggi senza un computer o il telefono? Lo guidereste un cavallo invece di un’automobile? Scrivereste oggi, senza l’aiuto di un programma, la vostra tesi di laurea su carta, misurando lo spazio in base alle note a piè di pagina? Non ditemi che si stava meglio una volta perché non ci credo. Ma se guardo una foto, una qualunque foto, mi accorgo che qualcosa è cambiato. Tutto è cambiato. E in base ad alcuni punti di vista tutto è cambiato in meglio, o quasi. Io sono affezionato alle foto, soprattutto se in quelle foto ci sono io che non mi ricordo più com’ero prima. E non mi ricordo più com’era Noha, e non mi ricordo più come eravate voi. Non c’è nulla di più triste di una foto, specie se in quella foto c’è molto paesaggio e tanti personaggi. Se poi in quella foto c’è una sola persona e pochissimo sfondo, allora quella che avete tra le mani è una foto tristissima. E visto che oggi siamo nell’era digitale, le foto ci sommergono e perdiamo la concezione del tempo che passa, perché le foto scandiscono i momenti più di un secondo trascorso. E rivedi Noha in tempi moderni e non sai più chi è e chi l’ha cambiata in quel modo. Vedi le chiesa semivuota la notte di Natale, nessuno che va più a scuola a piedi tanto da impiegare un vigile che diriga il traffico mattutino dell’esercito di genitori che accompagnano i loro figli in quelli indefiniti istituti d’istruzione. Un oratorio che non c’è mai stato quando non c’era e che non c’è ora anche se c’è. Vedo le foto e non vedo ragazzi che giocano, non vedo biciclette, non vedo i presepi che c’erano, non vedo la Pasqua. Cioè, non vedo la Pasqua di Noha, non vedo i nohani nel giorno di Pasqua. Ma guardo le foto e vedo le fiere, non vedo sorrisi, vedo cuccagne ma non vedo Noha. E non vedo me stesso, né il mio passato. Io non vedo oggi nulla di ciò che mi manca veramente; proprio io che non sono un nostalgico. Vedo il Calvario solitario nella domenica delle Palme, e processioni in fila indiana per simulare grande affluenza di fedeli. Vedo tanta solitudine di gente tristemente allegra. E un nohano triste è una contraddizione in termini. Vedo cavalli, quelli si, cani randagi, quelli si, erba ai cigli delle strade e strade impolverate; quella Noha la riconosco. Non vedo marciapiedi ma case diroccate, stradine abusive costruite da geometri o architetti si, ma non vedo il carnevale, non vedo la recita, non sento le campane forse perché sono troppo lontano. Eppure le campane suonano, la Pasqua arriva, il Natale non manca anche se quelle foto non sono le stesse, io non sono lo stesso e non riconosco voi. Eppure sono di Noha, lo giuro. Cos’è cambiato? Chi l’ha cambiato? Non rispondetemi’ ‘il tempo’ perché non è vero. In quelle foto non ci sono io, non ci siete voi, e non c’è neanche Noha, e lo sapete meglio di me. E qualcuno sicuramente mi starà chiedendo “e con questo cosa vuoi dire?”. Nulla, proprio nulla. Vorrei soltanto che qualcuno mi ridesse quello che c’era in quelle foto, anche se quello che c’era non era perfetto. Stiamo meglio ora, ma a me non importa di stare meglio se la domenica delle Palme, davanti al mio calvario, non ci sono abbastanza ulivi alzati in aria in onore di Gesù Cristo e di quello che siamo stati o di quello che almeno sembravamo di essere in quelle foto.

Fabrizio Vincenti
 
Di Albino Campa (del 01/02/2012 @ 22:01:12, in Comunicato Stampa, linkato 3133 volte)
Sabato 4 febbraio 2012, in occasione della presentazione del libro di Domenica Specchia ” Di Corte in Corte ” diviene la scusa per scoprire e disvelare il bellissimo centro storico di Galatina. Questa volta invece delle chiese ed i palazzi in stile barocco e rococò, protagonista della scena è la casa a corte. La tipologia architettonica delle case a corte è un fenomeno tipicamente salentino che deve la sua fama più che alle proprie caratteristiche strutturali, alla funzione di coesione sociale che testimonia. La casa a corte presenta un’unica entrata, caratterizzata da un portale d’ingresso più o meno rifinito a seconda della casata a cui appartiene, che porta ad un cortile interno su cui si affacciano gli ingressi per ogni singola stanza dell’abitato; raramente le stanze sono collegate tra di loro ma tutte si riversano nel cortile. Su questo si affacciano anche la stalla, la stanza del pozzo e la “pila” per il bucato che completano la struttura. Solitamente vi è anche un giardino sul retro delle abitazioni che, a differenza del cortile antistante non è lastricato. Appuntamento per la visita guidata curata da Raimondo Rodia ore 16.30 piazza Orsini nei pressi della basilica di S. Caterina. Oltre la visita guidata, sono previsti musica, assaggi, distribuzione del libro in forma gratuita.
 
Di Albino Campa (del 25/03/2013 @ 22:00:00, in I Beni Culturali, linkato 3757 volte)

L’altro giorno m’è arrivato per posta da parte della Fidas di Noha - tra i cui soci s’annovera ormai da qualche decennio anche il sottoscritto - l’invito graditissimo a partecipare alla festa del trentennale del gemellaggio tra l’associazione dei donatori di sangue Fidas di Vicenza e quella Leccese.

Il calendario dell’iniziativa, che verrà pubblicato anche su questo sito, è ricco di eventi, incontri, momenti formativi e conviviali, donazioni del sangue presso la nostra Casa del donatore di Noha (una delle più attrezzate, accoglienti e confortevoli d’Italia), ed, infine, visite guidate nei centri storici di Galatina, di Gallipoli, e, non ultimo, quello di Noha.

Che bello - ho pensato – trecento amici vicentini verranno nel Salento e addirittura a  Noha per godere della nostra ospitalità, del nostro ambiente, delle nostre ricchezze storiche, artistiche, culturali, eno-gastronomiche…

E mentre riflettevo su tutto questo già mi prefiguravo il gruppo di turisti vicentini che passavano dal loro centro storico (che ho più volte visitato tempo addietro) ricco, pulito, intonso (come se il Palladio vivesse ancora), ben illuminato, chiuso al traffico, al nostro, ancor bello, a misura d’uomo, particolare nella sua morfologia e nel suo mistero.

*   *   *

I nostri compagni di avventura potrebbero incominciare il percorso turistico nohano con la visita alla nostra piazza San Michele, il salotto buono, quello sul quale si sporgono da un lato la maestosa facciata della nostra chiesa madre (sul cui fastigio scolpito a tutto tondo in pietra leccese campeggia l’antico stemma di Noha con le tre torri e i due velieri, sormontato dalla corona baronale e abbracciato quasi dai due rami rispettivamente di arancio e di alloro) e dall’altro, di fronte, come se da tempo immemorabile dialogassero del più e del meno, la torre dell’orologio del 1861 (o quel che ne rimane). Potremmo raccontar loro che purtroppo l’orologio è fermo da un quindicennio se non di più, che le campane sono mute, che i loro battagli o martelli sembrano svaniti nel nulla, che però il meccanismo interno dell’antico cronometro a corda è esposto nell’atrio delle scuole di Noha. Arrampicandoci sugli specchi potremmo pure raccontar loro la palla megagalattica secondo cui la torre e il balcone civico verranno restaurate “quanto prima” secondo le intenzioni dell’amministrazione comunale. E che s’è anche pensato di chiudere finalmente al traffico il nostro centro storico, liberandolo una buona volta da auto in transito, parcheggiate, o spesso fermate a casaccio. Mica possiamo dir loro tutto, ma proprio tutto, come per esempio il fatto che i nostri rappresentanti politici, inclusi gli attuali, non ci sentano da un orecchio, e dunque preferiscano costruire circonvallazioni interne e discutere di nuove aree mercatali da cementificare in quattro e quatto otto, ma anche di comparti e di centri commerciali food e non food da far nascere in mezzo alla campagna di Collemeto, sempre in nome delle “ricadute sull’occupazione e lo sviluppo”, il ritornello buono per ogni occasione, ripetuto a mo’ di un salmo responsoriale un po’ da tutti i pecoroni di destra e manca.

Ma ci converrebbe tirare innanzi, senza indugiare più di tanto su certi argomenti: i nostri amici vicentini potrebbero accorgersi del nostro imbarazzo e magari smascherare così su due piedi le nostre magagne comunali.

Potremmo poi condurli in via Pigno per far loro ammirare il nostro orgoglio, la torre medievale nohana - che rispetto a quella di Pisa ha solo il decuplo del rischio crollo - con quel grazioso motivo di archetti e beccatelli quale corona alla sommità, con il ponte levatoio, con le catene tiranti, e con il passaggio segreto. Tutta roba che però i nostri ospiti potranno solo immaginare, senza poter vedere né toccare, perché la torre, il ponte, la vasca ed il passaggio, che stanno in piedi da oltre settecento anni quasi per quotidiano miracolo, sono – oltre che privati - nascosti dietro un alto muro di cinta, il muro di Berlino di Noha mai abbattuto però (arricchito ultimamente anche da un murales policromo). Continuando nella nostra pantomima potremmo insistere nel dire ai vicentini che siamo certi che nei prossimi settecento anni qualcosa si muoverà. Ma non diciamo loro cosa, se la torre, il ponte, il muro dei Galluccio, o finalmente qualche neurone nohano.

* * *

Sconsolati appena un po’ potremmo proseguire oltre, portandoli di fronte al palazzo baronale, anzi, forzando un po’ la mano, addirittura prima nell’atrio e poi nel cortile o piazza d’armi del castello. Il che è il massimo che si riuscirebbe ad ammirare di quest’altro bene culturale nostrano: da quando sono state sfrattate le gentili signore che vivevano al piano nobile del palazzo sembra che se la siano svignata anche i fantasmi del passato aggrappati alle sue chianche oltre che alle volte dei secoli, lasciando il posto alle tarme, all’umidità, alle muffe, e a qualche altro verme solitario o in colonia.

Ma poi, lasciandoci alle spalle cotanto oltraggio (e sottacendo accuratamente il fatto che sotto i loro piedi si cela un grande antico frantoio ipogeo visitabile soltanto dagli speleologi coraggiosi, mica dai turisti) potremmo riuscire a riveder le stelle o le stalle conducendoli nei pressi delle famose casiceddhre e raccontare loro la storia dello sciacuddhri. Però, ahimè, anche qui, i nostri poveri viaggiatori, pur a bocca aperta, dovrebbero rimanere a debita distanza da questa meraviglia per il pericolo di caduta massi in testa. Anche qui i nostri amici avrebbero a che fare con rovine e stupidità: ultimamente anche il campanile è crollato, ridotto ad una piccola torre mozza, una montagna spaccata, un rudere, uno sgorbio, mentre il resto delle casiceddhre, ridotte a poco più che macerie allo stato puro, sembrano quelle stesse che ancor oggi si contemplano nel centro storico de L’Aquila, “ricostruito” dal governo del cavaliere mascarato. Soltanto che qui a Noha non c’è stato il terremoto, ma probabilmente qualcosa di peggio.

Poi chiuso questo capitolo, li indirizzeremo da lì ad una cinquantina di metri verso la “casa rossa” (magari nel frattempo li avremo bendati ben bene, come al gioco della mosca cieca, per non fargli scorgere il sito archeo-industriale scoperchiato e diruto del Brandy Galluccio).

Eh già, eh sì, la leggendaria casa rossa, la casa pedreira nohana che sembra disegnata e fatta costruire dall’architetto spagnolo Antoni Gaudì, ricca di cunti e storie, e destinata a diventare poco più o poco meno che la dependance di un paio di casini (in minuscolo, e non nel senso volgare del termine).  Ma forse sarebbe meglio stendere un velo pietoso anche su quest’altra roba che non sapremmo più come definire. Meglio non nominarla invano facendo finta di nulla? Come se non esistesse? Forse sì. Se sapessero e vedessero in che stato versa l’interno e l’intorno di quello che un tempo era uno splendore gli amici vicentini potrebbero risponderci con degli insulti se non con degli improperi espressi con altrettante sonore pernacchie.

*   *   * 

Non so se sarebbe il caso di andare oltre conducendo il gruppo dei malcapitati nei pressi della masseria Colabaldi ancora una volta messa in vendita dagli acchiappagonzi con tanto di comparto approvato da chissà quale illuminata maggioranza di consiglieri comunali per la costruzione di una ottantina di villette a schiera acquistabili con comode rate cinquantennali. Ma forse no, meglio lasciar perdere anche qui e cambiare itinerario, meglio accompagnare i donatori (di pazienza) nella nostra amena splendida fertile multicolori campagna nohana, per esempio verso lu Runceddhra.

Ma a pensarci bene purtroppo anche là ad attenderci non ci sarebbero che scempio e tristezza, come quei quaranta e passa ettari di impianto fotovoltaico, inutili o di certo non utili alla popolazione o al comune (come invece tanti allocchi - inclusi i nostri rappresentanti politici - credevano dapprincipio o temo credano ancora).

No, no, come non detto, meglio ritornare alla casa del donatore, senza nemmeno dirgli che quell’edificio color rosa antico adiacente è il vecchio cinema paradiso di Noha, il nostro “Cinema dei fiori”, ormai in balia di funghi, muschi e licheni.

Però, se non per rifarci, almeno per darci un tono, potremmo dire che abbiamo oltretutto anche un centro sociale nuovo di zecca, con tanto di funzionalissima sala convegni, come quella della vecchia scuola elementare di piazza Ciro Menotti ristrutturata un paio di anni fa ed inaugurata in pompa magna il primo dicembre scorso. Il fatto che sia ancora chiusa al traffico dei pensieri e delle opere è una quisquilia: manca ancora l’elettricità come Dio comanda, anzi come comanda la legge. Embè? Cosa vuoi che sia. Inezie, dettagli. Prima o poi l’Enel allaccerà ‘sto benedetto cavo e tutto potrà partire secondo i programmi. Quali, non si sa ancora. Ma i nostri rappresentanti “disponibilissimi e preparatissimi” ci hanno assicurato: “tutto secondo i programmi”. Punto.

*   *   *

Forse sarebbe meglio abbassare la cresta e l’enfasi sulle nostre meraviglie: rischieremmo che i nostri ospiti, gli amici donatori di sangue venuti dal nord, turisti per caso o loro malgrado, affranti di fronte a tanta bellezza spriculata, esprimendosi in vicentino stretto, rivolgano a noi queste semplici ma significative parole a mo’ di giusto guiderdone per la nostra responsabilità - fosse anche solo quella di esserci voltati più volte dall’altra parte: “Nohani, cu pozzati buttare lu sangu!”.

Antonio Mellone
 
Di Albino Campa (del 05/04/2011 @ 21:59:30, in NohaBlog, linkato 3045 volte)
Per cosa viviamo? È una domanda alla quale ognuno cerca di dare una risposta nella propria vita. Non siamo sicuri se valga la pena vivere per i soldi, la famiglia, la casa, il lavoro, l’amore. C’è chi accumula ricchezze, chi sperpera, chi vive nella povertà più assoluta, chi sceglie di abbandonarsi al caso. Ma di quello che stiamo facendo, cosa ci rimane? Una casa dove poter invecchiare? Chi siamo stati noi in questa vita? E se a me non rimane niente, cosa rimane a voi di me? Forse la mia eredità o forse solo il ricordo. Molto poco direi. Eppure ci affanniamo dalla mattina alla sera come se dovessimo dare conto a qualcuno del tempo. Il tempo che oggi ci viene messo a disposizione dall’Assoluto (ci viene dato perché esso non sa cosa farsene del tempo),il tempo, dicevo non è più considerato un diritto, un dono. Le ore devono “volare” per noi, non trascorrere, come se sempre avessimo fretta che arrivi il dopo. Ma cosa c’è dopo? Siamo sempre in ansia perché arrivi presto il domani, come se l’oggi fosse passato inutilmente.
Qualcuno impiega il suo tempo a ingarbugliarsi la vita, forse per paura che domani, se non avesse da risolvere i problemi che lui stesso si è causato oggi, non abbia nulla da fare. Starsene con le mani in mano è un’idea troppo misera per noi. Ma per cosa ci diamo tanto da fare? Per fare volontariato, per leggere e studiare o per ascoltare chi ci sta accanto? No; corriamo dalla mattina alla sera perché dobbiamo fare l’aperitivo, andare in palestra, correre dal sindacato, discutere con l’avvocato, rispondere a tutte le telefonate, i messaggi, gli sms, i fax, le mail. Dobbiamo correre per vedere la nostra soap opera, il nostro reality preferito; corriamo perché fra un po’ chiude il supermercato, il figlio esce da scuola, la pasta si scuoce, arriva il temporale, becchiamo il traffico, dobbiamo arrivare prima, saltare la fila, farci vedere, perché “io c’ero”. Il motore della macchina sempre acceso, il mazzo di chiavi pesantissimo, la ventiquattrore non basta più a contenere tonnellate di carta. Arrivano le bollette salate; pretendiamo la trasparenza delle chiamate. Affitti troppo cari, case troppo costose, lavori a breve termine. Sempre correndo in cerca di un nuovo impiego, perché non fai in tempo a firmare un contratto che già è scaduto. Chiudi la portiera dell’automobile e già ti ritrovi la multa sul parabrezza; non fai in tempo a raccogliere una cosa che ti è caduta che già te l’hanno rubata; compri un cellulare  e mentre lo paghi la casa costruttrice ne ha prodotto uno totalmente diverso; finisci di imparare una procedura e già ne hanno sviluppata un’altra. Perciò si corre! Ci si deve precipitare nelle cose perché oggi, se ti si slacciano le scarpe è un dramma. Non hai il tempo di legartele, altrimenti rimani troppo indietro rispetto agli altri, perciò corri comunque, con il rischio di inciampare rompendoti tutti i denti, ma devi, per cause di forza maggiore, devi correre, possibilmente più veloce degli altri.
Immersi nelle pratiche, nei rumori, negli odori, nelle parole di tutto, di tutti, urliamo, saltiamo, vediamo domani, non oggi, domani. Ma attenzione: tu corri. Non è una tua impressione, no; tu corri veramente, sudi, tamponi, sei “sovra pensiero”, non hai tempo, stai stretto, sei alle strette, soffochi. Soffochi di ansia. Ecco uno dei peccati mortali di oggi: l’ansia. Tu non devi sapere, devi dimostrare di sapere; non devi essere, devi dimostrare o apparire; non importa se sei un “morto di fame”, noleggia una Ferrari e fatti un giro nel centro di Roma. Ti guarderanno; tutti ti guarderanno. Guadagli ottocento euro al mese? Non preoccuparti; ho qui una carta di credito che ti promette follie. Hai commesso uno sbaglio? Non preoccuparti; l’importante che sei qualcuno; non ti succederà niente. Come? Hai sbagliato ma non sei nessuno? Beh, allora fingi, dai … fingi.  
Se guardi New York dall’alto tutto ti appare fantastico. Sfoglia una brochure di un’agenzia viaggi; ogni posto ti sembrerà un incanto. Sei stato in Grecia? Non sai cosa ti sei perso in Francia. Hai visto Miami? Ma non hai visto quanto è bella Barcellona. Ah, sei stato anche a Barcellona? Beh, non mi dire che sei stato anche alle Maldive! Non ci sei stato? Allora nella tua vita non hai visto niente! Vai a vederle, anzi, visto che ti trovi vola anche a Cuba, in Messico, poi in Brasile, via a vedere l’India, poi Praga. E non lamentarti. Lo so che guadagli solo mille euro al mese. Guarda; ho saputo che puoi partire lo stesso poiché ti viene data la possibilità di pagare fra sei mesi. E non dirmi che non hai una casa. Prenditi quella più bella; hai quarant’anni per pagarla. Non preoccuparti; se tu dovessi morire, la pagheranno i tuoi figli.
Ce la cerchiamo noi l’ansia, la desideriamo intensamente, non sappiamo vivere senza di essa. Siamo masochisti nel senso letterale del termine, godiamo a farci male. Scegliamo la politica che più ci danneggia, le strategie meno proficue per il successo; noi dobbiamo litigare, dobbiamo farci valere, tutti devono sapere chi siamo. Perché noi siamo sempre qualcuno, anche quando siamo indesiderati. Guardiamo il prezzo della benzina e inveiamo contro tutti ma contro nessuno; poi, però, per spostarci di cento metri andiamo in macchina. Ma in fondo dobbiamo; siamo sempre di fretta. Malediciamo i politici ma in fondo la maggior parte di noi sono uguali a loro, solo un po’ più invidiosi. Perché, se davvero fossimo in disaccordo con loro, saremmo in grado di cambiare le cose. Tutto può cambiare se lo si vuole, tutto; ma “Il perché lo devo fare io? Fatelo voi” ha distrutto ogni sorte di speranza in un futuro roseo. Se fossimo tutti chiusi in una scuola, saremmo soltanto disposti ad occupare il posto dietro la cattedra, quello che spetta ai professori. Nessuno vuole stare dall’altra parte. Tutti vogliono insegnare, nessuno vuole apprendere. Perciò si finisce a lasciare anche in cattedra gli stupidi che, senza alcun rimorso, trasformano la classe in una bolgia. Si invertiranno prima o poi i ruoli: gli animali andranno allo zoo per mostrare ai loro cuccioli le varie specie umane. Provate a guardare due automobilisti che litigano, una madre e una figlia in disaccordo, due soci d’affari che tanto in affari non sono. La parola “politica” ha rovinato le menti; dico parola perché di politica vera e propria non c’è alcunché oggi che si possa definire tale. Vedere omini incravattati, con rolex al polso, percorrere le piazze antistanti Camera e Senato senza neanche saper recitare il primo articolo della Costituzione, grazie alla quale occupano anche le rosse poltrone, dovrebbe fare ribrezzo. Eppure ridiamo. Ridiamo per ogni cosa. Ridiamo del razzismo, della corruzione, del sesso a pagamento, della malavita. Noi ridiamo perché la vita in fondo bisogna prenderla alla leggera. Ma l’abbiamo presa tanto poco sul serio che ci siamo fatti raggirare da quei pochi più furbi di noi. Ad ogni angolo di ogni strada si vedono seni e cosce al vento, per la gioia di tutti gli uomini. Ogni dieci passi un luogo dove tentare la fortuna. Guadagni ancora ottocento euro al mese? Rilassati! Puoi spenderli tutti a tentare la fortuna, c’è il lotto, il poker, l’ippica, il totocalcio, scommesse sportive, e poi hanno stampato anche i gratta e vinci “vinci spesso e vinci adesso”. Non perde nessuno, mettiamolo bene in chiaro. Pensa, non perde niente neanche lo Stato, anzi; guadagna così tanti soldi mentre tu insegui la fortuna che si può permettere di aumentare ancora di mille euro al mese lo stipendio di ogni parlamentare. E se poi prendi un verbale al codice della strada di euro trentotto, non ti preoccupare, puoi sempre fare ricorso (pagando comunque sempre euro trentotto, dimenticavo questo piccolo particolare). Se poi hai commesso qualcosa di grave continua a stare tranquillo. Tra un po’ in carcere ci saranno solo quelli che ruttano in pubblico; per tutti quanti gli altri ci sarà l’indulto. Basta solo avere fiducia nella … democrazia. Se poi qualcuno ti disturba, sia anch’esso un pubblico ufficiale, lo puoi spaventare dicendogli “Tu non sai chi sono io” e lui, stai pur certo, per non perdere quelle milletrecento euro al mese che ha, tremerà come una foglia e non ti disturberà più.
Che bel Paese l’Italia. Noi del sud ci accontentiamo de “lu sole, lu mare e lu ientu”, siamo abituati a essere trattati da figliastri. Al nord credono ancora che la Padania sia una Nazione e che Federico Barbarossa sia stato più grande di Alessandro Magno. Al centro, ancora stanno litigando se è più giusto tifare per la Lazio o la Roma e se un laziale può avvalersi della residenza nella capitale. Però abbiamo tante opere d’arte (che cadono sotto il peso brutale dell’incuria), abbiamo la Divina Commedia (anche se non la studia più nessuno), il mare più bello (anche se si trova qualche lavatrice qua e là sulle spiagge). Venite a visitare l’Italia. Però attenzione alla borsa se passate da Napoli, a Venezia rischiate di pagare un gelato sette euro (ma Venezia è Venezia). Guardate gli svizzeri, quelli del canton Ticino. In patria loro sono tanto scrupolosi da sembrare burattini di legno. A Lugano non vedi una carta per terra, una macchina fuori posto, una foglia secca. Tutto fila alla perfezione. Poi quelli stessi svizzeri il fine settimana fanno un salto di 10 km e si ritrovano in Italia, la bella Italia. E qua si danno alla pazza gioia; sfrecciano a 150 km orari sulle autostrade sicuri che non riceveranno mai un verbale. Parcheggiano dove meglio credono, sporcano. Perché in Italia tutto si può fare, tranne che essere onesti, corretti, civili.
Siamo sempre all’avanguardia. Quando si tratta di centrali nucleari, matrimoni tra coppie gay, eutanasia, legalizzazione della droghe, si dice che dobbiamo metterci al passo con l’Europa. Quando nel resto d’Europa invece si fa una politica ecologista, attenta ai problemi familiari, meno burocratica possibile, noi in Italia facciamo finta di niente, ci scordiamo di essere europei.
Tutti criticano la politica. Poi, appena c’è la possibilità di candidare qualcuno di famiglia in quel partito contro cui abbiamo sempre inveito, subito ci si fa avanti per “fottersi” il posto. Perché in Italia non contano i principi ma gli affari. Tutti vogliono fare gli imprenditori di se stessi; tutti cercano di vendersi, neanche a caro prezzo. In Italia un compromesso lo si trova sempre. Maestri nella diplomazia, ci credo! Barattiamo tutto: il nostro corpo, la nostra salute, i nostri principi, il nostro credo, gli anni da fare in carcere, le sanzioni amministrative. “Hai evaso il fisco? Mettiamoci d’accordo. Quanto mi vuoi dare? Mi devi un milione di euro. Facciamo un forfè, dammi cento mila euro e siamo apposto”. Io mi dimentico di pagare una rata e dopo cinque giorni arriva la lettera del legale. Siamo stanchi dei partiti. Ma quando ci sono le elezioni ci riversiamo a fiumi per dire che quello è migliore di quell’altro. Ma chi è meglio di chi? Nel resto del mondo si va a votare perché si crede in qualcuno. In Italia si vota per evitare il “male peggiore”. Non l’avete mai sentita questa espressione? Arrivano gli immigrati ed è colpa di qualcuno. Muoiono ed è sempre colpa di qualcuno. Rubano o stuprano? È sempre colpa di qualcuno. Lavorano, rispettano le regole e pagano le tasse? Anche questa è colpa di qualcuno.
C’era un tempo in cui l’Italia faceva invidia al mondo. Abbiamo inventato il Risorgimento. Tutti vengono a visitare l’Italia che fu. Nessuno viene a vedere l’Italia che è. Possono venire a vedere i musei, le città storiche, le opere d’arte antiche. Nessuno però viene per vedere oggi chi siamo.
Noi reclamiamo diritti per il nostro futuro. Pretendiamo un lavoro stabile, una vita sana, una casa accogliente, un rispetto sol perché siamo persone. Nessuno può mettere a repentaglio il nostro futuro e quello dei nostri figli. Non abbandoniamo la cultura della mente: se ci è impedito scendere in strada con spranghe per fare una rivoluzione radicale, l’unica cosa che ci rimane contro la mala – politica, la criminalità, la vigliaccheria e la mancanza di rispetto per l’altro, è la cultura. Difendiamo la cultura, amiamola, vogliamola. Solo così arriverà quel nuovo Risorgimento delle società e delle menti tanto sperato.
Fabrizio Vincenti
 
Di Albino Campa (del 29/04/2012 @ 21:58:44, in Comunicato Stampa, linkato 2948 volte)

Non ha certo disatteso le aspettative dei numerosi occorsi l’On. Italo Bocchino, che ieri sera ha partecipato all’incontro tenutosi presso il comitato elettorale del candidato sindaco Giancarlo Coluccia a Galatina. Presenti anche Pierantonio De Matteis (Responsabile circolo Galatina FLI), l’Avv. Paolo Pellegrino (Presidente Provinciale FLI) e Gerardo Filippo (Segretario Provinciale IO SUD).

Attualmente l’On. Bocchino riveste la carica di Vicepresidente Nazionale di FLI , partito schieratosi con Coluccia per le prossime elezioni amministrative.

Ad aprire il meeting è stato il candidato sindaco del terzo polo che, dopo i ringraziamenti di rito a tutti i presenti ed in particolare all’On. Bocchino ed a Pierantonio De Matteis, promotore dell’evento, ha esternato il suo apprezzamento verso quel partito, FLI, i cui vertici hanno una radice politica comune: infatti anche Coluccia, come Bocchino, ha iniziato il suo percorso politico nell’MSI poi AN. Il candidato sindaco ha voluto significare che “anche AN ha deciso di abbandonare la politica bipolare del PDL, di abbandonare quel contenitore ormai vuoto e sterile per formare poi il terzo polo” . Ed ancora ha dichiarato “siamo sicuri che l’intesa con Futuro e Libertà sarà proficua e duratura, potendo contare su forti e consolidati rapporti con i vertici nazionali del partito, come la presenza dell’On. Italo Bocchino oggi testimonia.”

Dal canto suo l’On. Bocchino ha voluto enfatizzare l’esistenza nella coalizione di Coluccia di una forte omogeneità dovuta alla presenza dei partiti del terzo polo e di liste civiche, che non si nascondono dietro ai partiti ma che vogliono supportare i partiti contribuendo fortemente alla realizzazione del programma comune. “Sicuramente”, ha affermato Bocchino,”queste elezioni amministrative segneranno il cambiamento della successiva politica nazionale, si ripeterà la situazione del 1993 con il passaggio allora dalla Prima alla Seconda Repubblica. Al fallimento del bipolarismo, dovuto alla mancata realizzazione sia da parte del PD che del PDL del loro progetto, si risponderà con delle riforme importanti a livello Costituzionale attraverso anche una radicale riforma della legge elettorale che consenta al cittadino di poter scegliere direttamente il proprio parlamentare. Oggi si assiste sempre più al divario tra i ricchi, divenuti tali attraverso l’evasione fiscale e la corruzione, e il ceto medio sempre più povero nonostante abbia lavorato onestamente. Questo no né più accettabile, così come non è accettabile la situazione precaria dei giovani e delle donne a cui lo Stato, diversamente da altre realtà, non offre la possibilità di essere contestualmente madri e lavoratrici. Perché tutto questo cambi bisogna partire dalle realtà locali, bisogna scegliere persone corrette e preparate come Giancarlo Coluccia, persone che possano realmente lottare al fianco del cittadino e per il cittadino.”

   

 

 
Di Fabrizio Vincenti (del 16/03/2020 @ 21:58:24, in NohaBlog, linkato 1625 volte)

La morte di don Donato Mellone fu per me come un tuono nel cuore e il fatto di non aver potuto partecipare al suo funerale mi lasciò per giorni come in una nottata tempestosa. Oggi apprendo della morte di Antonio Guido e vedo Noha con una finestra chiusa: è un’epoca che oggi è finita del tutto poiché don Donato e lu Pasulu erano due universi dipinti su una medesima tela. Questa tela oggi è stata staccata dalla parete e appesa chissà dove, sicuramente anche nei miei cari ricordi.

Hanno condiviso lo spazio e il tempo. Amore e odio, sacro sarcasmo e indicibile rispetto l’uno per l’altro. Don Camillo e Peppone di una Noha passata e che mi manca indicibilmente; fintamente nemici, amorevolmente fratelli, come di sangue, più che di sangue.

Ho avuto molte famiglie perché famiglia è dove si trascorre il proprio tempo. Io ho trascorso anni interi con loro due e loro sono stati una delle mie tante famiglie, non perfette poiché la perfezione non fa parte dell’umano. Loro sono come quei protagonisti di un film che non ha tempo. Uno con gli abiti di un prete, l’altro vestito come il più pio dei laici in circolazione. Per anni sono stato a messa ogni giorno e loro insieme a me: parlavano pochissimo tra loro e le poche cose che si dicevano erano di un’ironia che nessun comico al mondo potrebbe eguagliare. S’intendevano con uno sguardo accennato.

Erano due veri cristiani.

Ricordo con quanta dignità e cura il laico vestiva delle vesti sacre il chierico, come adagiava la casula sul capo attento a non sfiorare gli occhiali del prete, come porgeva il cingolo tra le sue mani sui fianchi. E poi lo ricordo sull’ambone a scandire ogni singola parola della lettura del giorno come un megafono fiero prestato al sacro. Si è chiusa una finestra a Noha, l’ennesima da cui si vedeva un bel paesaggio. Ringrazio Iddio per avermi dato almeno la possibilità di stare affacciato a quella finestra per qualche tempo.

Ciao Antonio. Appena giunto lassù sai già cosa ti aspetta: c’è don Donato con la sua risata a dirti “era ora, finalmente sì rrivatu!”. Non oso immaginare come gli risponderai.

Fabrizio Vincenti

 
Di Redazione (del 22/11/2017 @ 21:57:24, in Comunicato Stampa, linkato 1859 volte)

Dal 20 al 26 Novembre le associazioni culturali “Archeoclub Terra D’Arneo”, "La Fornace", "Fare Ambiente-Laboratorio di Galatina", "Giovani Galatinesi Gi.Ga” , con il patrocinio del Comune di Galatina, vi danno appuntamento per celebrare insieme la Giornata contro la Violenza sulle Donne. Un momento importante di riflessione collettiva su un tema che ci presenta quasi quotidianamente i suoi tristi numeri: nel 2017 l’agghiacciante media di una vittima ogni tre giorni, 120 donne uccise nel 2016, 7 milioni di donne che, secondo dati Istat, hanno subito almeno una volta violenze e abusi.

“La violenza di genere rappresenta uno degli ostacoli più meschini tra il nostro paese e la civiltà” afferma il Presidente di Gi.Ga Edoardo Mauro ”una situazione piena di viltà e gravi silenzi di cui (e lo dico da uomo) mi vergogno tantissimo. Come associazione giovanile ci siamo sempre mossi con grande attenzione sul tema, consapevoli del fatto che una corretta testimonianza all’ interno del mondo giovanile possa essere fondamentale per abbattere stereotipi e preconcetti. Solo con una giusta educazione collettiva si può combattere questa assurda piaga sociale: ecco spiegato il perché di questi momenti, per esserci non solo come singoli ma soprattutto come comunità”

È chiara sugli intenti di questa manifestazione Simona Ingrosso della Fornace “In comune con le associazioni ideatrici ci siamo ritrovati uniti in un'unica idea e obiettivo, parlare e far parlare della violenza sulle donne. Il messaggio che vogliano lanciare è "Noi ci siamo" per denunciare lo STOP alla violenza sulle donne. Le installazioni fisse comunicano e sensibilizzano: oggi la donna riveste ruoli importanti, ma nelle sue mura ritorna ad essere amica, compagna, moglie, figlia, madre e nonna e lì escono le sue fragilità, la sua bellezza. Il nostro scopo è rivolgersi non solo alla cittadinanza ma anche a tutti coloro che vogliono accogliere questa nostra posizione: ecco spiegata la scelta di luoghi come il centro storico, giornalmente passeggiato da turisti che possano testimoniare come Galatina sia attenta a queste tematiche. La biblioteca comunale è luogo incontro dei più giovani perché dobbiamo partire da loro se vogliamo che false verità vengano screditate con una giusta cultura sul tema”

Presente anche Maria Antonietta Martignanò, Presidente dell’Associazione Archeoclub Terra D’Arneo “L’Associazione Culturale Archeoclub Terra D’Arneo, in occasione del mese dedicato contro la violenza sulle donne, propone “SCATENIAMOCI”, un evento che vede la nascita di alcune istallazioni volte a sensibilizzare sul tema della violenza di genere in altrettanti luoghi del Comune di Galatina, frazioni comprese. Abbiamo pensato alla parola scateniamoci perché volevamo avesse più significati, tutti positivi. Scateniamoci nel senso letterale: togliamo le catene con coraggio! Coraggio di parlarne, coraggio di denunciare, coraggio di metterci la faccia. Scateniamoci con frasi, pensieri, aforismi sulle donne e contro la violenza sulle stesse. Presso il Palazzo Gorgoni e presso la Biblioteca ci saranno degli spazi per scrivere, lasciare il vostro pensiero, il vostro no!”

Particolarmente rilevante sarà la giornata del 25, dove SCATENIAMOCI prevedrà l'occupazione delle piazze di Galatina, Noha e Collemeto. Siete tutti invitati a partecipare con la testa, con il cuore, con un fiore!

(Si ringraziano la Fioreria Andrea Cafaro, CentroColore Ferramenta, Arte Rustica Santoro, Libreria Fabula e i singoli cittadini che, donando le loro scarpe, hanno contribuito alla realizzazione delle installazioni)

-"Archeoclub Terra D’Arneo”;
-"La Fornace";
-"Fare Ambiente-Laboratorio di Galatina";
-"Giovani Galatinesi-Gi.Ga"

 
Di Albino Campa (del 16/12/2006 @ 21:56:32, in Racconti, linkato 4049 volte)

"Eccovi di seguito la seconda parte della storia del Tabacchino di Noha, tratta dal -il Galatino-, anno XXXIX, n. 21, dell'8 dicembre 2006. La terza ed ultima puntata di questa mini-serie verrà trasmessa su questi stessi schermi la prossima settimana"

IL TABACCHINO DI NOHA

(seconda parte)

di

Antonio Mellone

Il tabacchino di Cici si trovava proprio di fronte alla Chiesa Piccinna, la Congrega della Madonna delle Grazie, il Pantheon della Nohe de’ Greci, abbattuto nel corso degli anni ’60 (Cici e consorte ospiteranno poi nella propria casa la statua della Madonna delle Grazie per molti anni – nel 2001 la statua ritornerà nella nuova grande Chiesa a Lei dedicata – riservando alla loro illustre “Ospite” il posto d’onore, la cura e l’attenzione che meritava).

*   *   *

Accanto ai beni di Monopolio (sale, tabacchi, fiammiferi, accendini e valori bollati) nel tabacchino di Noha s’iniziano a vendere altri prodotti come i fogli di protocollo (che da ragazzi acquistavamo, a righe o a quadretti, in occasione del compito in classe, sul quale rimanevano impressi i nostri elaborati nelle più disparate discipline scolastiche), le buste per le lettere, la carta copiativa o carta-carbone (scomparsa dalla circolazione) e altri articoli di cartoleria, e poi ancora lamette per i rasoi (un tempo non c’era ancora “il radi e getta”, ma lamette, da riutilizzare più volte nei rasoi eterni), l’ottima crema dopobarba Proraso, introvabile altrove, e poi ancora man mano che il tempo passava, caramelle alla menta o alla liquirizia (le Golìa), gomme da masticare, altri prodotti per l’igiene personale.
Da Cici c’erano anche le cartoline, oggi introvabili, che ritraevano in bianco e nero scorci della Noha del tempo che fu (una loro riedizione o la stampa di nuove cartoline della nostra cittadina oggi non sarebbero poi così fuor di luogo).
Nel tabacchino di Noha si distribuivano anche gratuitamente i libri di testo della scuola dell’obbligo, sussidiari freschi di stampa, abbecedari intonsi, testi bellissimi che hanno introdotto intere generazioni ai piaceri della lettura.
Cici si occupava anche della prevendita dei biglietti per il cinema di Noha, il “Cinema dei Fiori” (chiuso nella seconda metà degli anni ’70), i cui film western, mitologici, fantascientifici, comici, venivano pubblicizzati proprio all’ingresso del tabacchino, con dei cartelloni o manifesti enormi esposti in una bacheca in legno protetta da una rete metallica molto simile a quella della gabbie per le galline.

*   *   *


Da adolescenti ci capitava spesso di frequentare il tabacchino di Cici almeno un paio di volte al dì. Questo non perché necessitavamo delle lamette per la barba (non eravamo che ragazzini imberbi), o perché, bambini viziati, acquistavamo le figurine Panini dei calciatori (erano lussi che solo in pochi potevano permettersi, e noi non eravamo tra questi), e nemmeno perché eravamo fumatori precoci (non lo siamo tuttora). Ma perché non passava giorno senza che almeno un paio di persone adulte ci chiamassero per strada (era sufficiente essere di passaggio), in piazza, o soprattutto al Circolo Cittadino, per incaricarci di acquistare uno o più pacchetti di sigarette e fiammiferi. Si passava dalle Nazionali, alle Esportazioni senza filtro e alle MS, dalle Diana, alle Marlboro, dalle Rotmans, alle Dunhill, o ad altre marche straniere light o strong che non sapevamo nemmeno pronunciare correttamente. I fiammiferi più richiesti erano per lo più i Minerva e soprattutto i cerini (oggi rarissimi).
Cici (invalido di guerra) un signore distinto, elegante, sempre con la cravatta, anche durante la calda stagione, sapeva che sigarette e fiammiferi non erano per noi. E ci serviva tranquillo.
Gli adulti un tempo “te cumandavanu a bacchetta!”. Ci chiamavano: “Vane e ccattami nu pacchettu de Milde Sorte dure e nu pacchettu de pospari…”. E noi di corsa ad eseguire “l’ordine” ed a riportare tutto all’ordinante: sigarette e, soprattutto, il resto: la mancia non rientrava punto nell’ordine delle idee. Si aveva soggezione, quasi timore reverenziale nei confronti dei grandi, quello che oggi (grandi noi; ahinoi!) non ci sembra nutra la novella progenie nei confronti della generazione che la precede.

 
Di Raimondo Rodia (del 04/03/2014 @ 21:56:09, in NohaBlog, linkato 2734 volte)

Il tema della grande bellezza della nostra Italia si deve concretizzare in fatti veri, abbiamo un paese splendido anche nei borghi più dimenticati ed è questa bellezza che apprezzano i turisti che ci vengono a trovare. Dobbiamo difendere con le unghie e con i denti la nostra cultura, le nostre tradizioni, l’arte, i paesaggi. Oggi vi racconto come, anche una frazione della nostra Galatina, può offrire tesori, ma anche soffrire l’ignoranza ed il qualunquismo di una classe politica e sociale che impone il brutto al bello, ecco dobbiamo riappropriarci della bellezza, come filo conduttore della nostra esistenza, lo dobbiamo a noi ed ai nostri figli. A Noha, prima comune, poi frazione di Galatina, vi sono alcune masserie fra cui la celebre ” Colabaldi” che andrebbero riscoperte, rivalutate, bene il presepe vivente, ma non si possono accendere i fari sulla struttura solo pochi giorni all’anno. Struttura che ha visto la presenza di una chiesa di rito greco, una torre di avvistamento medio-evale, un monastero basiliano ed infine dal 1595 la masseria del mercante di pellame fiorentino Nicola Bardi. Nei dintorni un probabile menhir, ridotto a sedile, con tanto di scritta esegetica e dedicatoria in caratteri greci dedicata a ” Giovanna “, i resti di una pavimentazione in mattoncini di terracotta di una domus romana, attaccati chissà perchè con dell’ottimo cemento sul muro accanto al menhir. I resti dei tanti ritrovamenti fatti nella zona, monete di varia epoca e resti di portate domestiche ( piatti, orci ed altro vasellame ), il giardino di delizia del castello, oggi casa baronale, con la torre trecentesca con ponte levatoio in pietra. La casa Rossa chiusa ed abbandonata, un gioiello di arte Liberty che farebbe a gara con la ” casa di pietra ” di Gaudì a Barcellona, invece che esaltare e proteggere il bene, i nuovi proprietari hanno preferito un orribile e moderno fabbricato accanto. Le cosidette ” casiceddhe ” una sorta di piccolo villaggio in scala, opera della maestria di Cosimo Mariano, che fine farà oggi ? Il suo delicato equilibrio resisterà agli artifici del nuovo proprietario ? Le varie edicole votive, le masseria, la vora, il palazzo ducale, le tombe messapiche ritrovate e ricoperte da villette a schiera, la tomba del gran visir non fruibile, l’elenco sarebbe ancora lungo e non voglio tediarvi. Ma rispettare il monumento della cosidetta ” Trozza ” un pozzo inesauribile, fonte di acqua, come indica la scritta in latino, fatta apporre da Orazio Congedo, da scritte ed imbrattature e abbandono. Come non indignarsi poi della situazione dell’orologio pubblico in piazza, fermo da tempo immemorabile e lasciato nell’incuria totale. Vi dicevo che l’elenco non finirebbe, ma voglio accendere un ragionamento sul vecchio cinema Fiori, sul doppio frantoio ipogeo di Corte Marangi non fruibile. Ma sono anche contenitori culturali come la vecchia scuola media, che dopo ben 1 milione e trecentomila euro di spesa, non è agibile per un allaccio alla rete elettrica non a norma con il progetto, dopo essere stato inaugurato in questi anni per ben due volte. Ma anche l’impianto sportivo con palestra inagibile, campi di calcio e calcetto ed il campo da tennis che bastava solo di una piccola, normale, manutenzione ( vedi verniciatura del campo ) per essere fruibile di giorno, perchè di sera ahimè i pali dell’illuminazione son caduti in campo….

Raimondo Rodia

 

Lo scrivevamo nel nostro programma elettorale e ogni passo, ogni iniziativa, ogni provvedimento che questa amministrazione ha fatto è stato funzionale a quell’assunto iniziale. Certo, come è giusto che sia, ogni passo, ogni iniziativa e ogni provvedimento sono stati anche il frutto di un dialogo interno alle forze di maggioranza con diverse visioni, diverse sensibilità e diverse velocità. Tutte comunque protese alla valorizzazione economica, artistica, sociale e culturale del nostro centro antico.

Oggi possiamo dire che l’atto di approvazione in giunta di due ulteriori varchi per il controllo elettronico degli accessi nell’area ztl del centro storico – su Porta Nuova e su Porta Capuccini – che segue la decisione per l’imminente installazione di un nuovo varco anche su Porta Luce, è un passo determinante per la sicurezza e la regolamentazione del traffico nel nostro centro antico.

È sotto gli occhi di tutti oggi che lo sviluppo delle attività commerciali, soprattutto lungo gli assi Piazza San Pietro – via Garibaldi – via Robertini da un lato e Piazza San Pietro – via Vittorio Emanuele II – piazza Cavoti dall’altro, ha di fatto evidenziato la vocazione del nostro centro storico. La vitalità di una sana “movida”, tanto auspicata nelle precedenti amministrazioni è ora una realtà che ha riportato veramente al “centro” il salotto della città. Con una differenza tutt’altro che trascurabile: se per altri nel passato era considerato inevitabile avere un parco auto ai piedi della Chiesa Madre, parcheggiate in spregio ad ogni regola non solo del codice della strada ma anche del buonsenso, la nostra scelta è andata nella direzione di recuperare spazi e decoro con l’istituzione di ampie isole pedonali per la tranquillità di famiglie e ragazzini che oggi “scorrazzano” in piena tranquillità e sicurezza. Un obiettivo che ha richiesto inevitabilmente anche un ripensamento della viabilità a garanzia dei sacrosanti diritti di chi ha scelto di vivere stabilmente nel centro e, tra gli altri, è stato necessario permettere ai residenti, nelle ore di pedonalizzazione, l’accesso da Porta Luce che quindi andava regolamentata, come fatto, con un apposito varco, per evitare soprusi che avrebbero vanificato gli obiettivi della ztl.

Certo, il percorso non è concluso, sarà necessario mettere in campo ogni ulteriore azione politico/amministrativa per creare i presupposti affinché possa rendersi necessaria, quasi inevitabile, la rimodulazione degli orari di apertura e chiusura. Non possiamo negare che la pandemia abbia condizionato e indirizzato, talvolta ritardando, le decisioni dell’amministrazione per questa parte importante della città.

Piazza San Pietro subisce ancora troppo la presenza delle auto, in considerazione anche della riduzione delle aree a parcheggio, in conseguenza dell’aumento degli spazi esterni concessi alle attività commerciali. I pochi presenti devono necessariamente poter essere disponibili per i residenti.

Il percorso – per tornare al passaggio che inserimmo nel nostro programma elettorale – è ancora in itinere e ci vorrà ancora del tempo per portarlo a termine, ma la direzione è tracciata su una direzione chiara che ritengo irreversibile.

L’istituzione di aree pedonali, le strette sul numero dei pass consentiti, la possibilità data ai solo residenti di parcheggiare senza limiti di tempo, i varchi per il controllo elettronico su tutte le porte, sia di accesso che di uscita dal centro antico, affinché venga impedito ogni sopruso, sono tutte azioni che l’amministrazione del Sindaco Marcello Amante ha messo in campo perseguendo una chiara idea di valorizzazione del nostro centro antico con sempre più spazi restituiti alla socialità delle persone.

 

I consiglieri comunali

Albano Vito Tundo

Pierantonio De Matteis

 
Di Antonio Mellone (del 16/09/2018 @ 21:52:35, in Fetta di Mellone, linkato 1411 volte)

Come qualche mio studente sa bene [sì, ne ho qualcuno per hobby: nel senso che vengono a lezione da me per hobby, ndr.], l’Economia per fortuna non veste l’uniforme. Purtroppo nemmeno l’impermeabile, visto quant’è pregna degli umori del potere e dei caratteri dell’antropologia sociale, a loro volta influenzati dai primi. Insomma siamo in presenza del ciuco che si morde la coda.

Si possono avere eccome delle idee diverse in materia. Questo non implica però che il primo che si sveglia la mattina – mancando di categorie e strumenti dell’analisi economica - possa discettare di Economia. Chi s’improvvisa economista non discetta, scetta (che al paese mio significa tutt’altra cosa), oppure è una Cetta. Laqualunque.

Vero è che gli economisti mainstream son convinti del fatto che la loro disciplina sia una scienza esatta [sbagliato: nel senso che l’Economia non è propriamente una scienza, ndr.], e continuano a sfornare teorie-luoghi-comuni in grado di assicurar loro prebende e carriere universitarie, quando non anche politiche. Codesti Diciamo Professori, perlopiù teologi del neoliberismo, li vedi spesso correre al capezzale dello Stato: ma non per rianimarlo, bensì per impartirgli l’estrema unzione. Ubiqui come manco padre Pio, scorrazzano indisturbati sui cosiddetti giornali nazionali e locali, sulle tele-orba a reti unificate, e purtroppo anche nei dintorni del governo del Paese (incluso l’attuale “del cambiamento” che sta facendo di tutto per assomigliare al Precedente Direttorio, in sigla Pd, riuscendovi benissimo), con l’obiettivo di edulcorare la pillola - posto che si tratti di un farmaco assumibile per via orale e non per altri orifizi.

Ma ritorniamo ai cultori dell’Economia allopatica, i cui ragli sono presi come manco il Verbo descritto dall’evangelista Giovanni. Nel clero di codesto falso pluralismo s’annoverano gli accoliti degli organismi sovranazionali meglio noti come troike (con la k, ma anche senza), che ci spingono verso le dimissioni dalla nostra carica di cittadini, sermoneggiando qua e là su quanto la democrazia sia controproducente al nostro bene supremo.

Ci sono poi in ordine sparso: la setta delle politiche economiche del drenaggio di risorse dai molti che s’impoveriscono verso i pochi che s’arricchiscono, la congrega del Santo Briatore, i servitori dello Status quo, l’arciconfraternita del paesaggio-intonso-roba-da-antiquati, i fautori della Deregulation per gli amici e la Regulation per gli altri, gli ortodossi del Meno Stato e Più Mercato (pazienza se poi le mafie dei mono-oligopoli portano al fallimento di questo benedetto mercato), l’associazione degli schiavi moderni che non sanno di esserlo, i flagellanti delle multinazionali (tipo Tap, parlando con pardon), gli idolatri dei centri commerciali h24 incluso il giorno del Signore (degli Agnelli), e tutto il gregge degli adoratori del Pil, oggi e sempre sia lodato.

Il fanatismo (religioso) Pilifero scorda che nel famoso indice non rientrano cose che invece vale la pena di considerare valore, come la pasta e la salsa di pomodoro fatte in casa, i fagiolini dell’orto di tuo fratello, il polpo pescato in riva al mare con la zampa di gallina, ogni dono ai vicini di campagna, la saggezza di molti padri, l’amore di madre, le calze rammendate, il maglione lavorato ai ferri da zia, l’aria frizzante di un’alba a Lido Conchiglie e il tramonto al canneto di Sirgole. In compenso il Pil aumenta con la vendita di armi, con la caduta di ponti, e perfino quando si scrivono stupidaggini su fb.

L’economista eterodosso, quindi scostumato, forse non avrà mai una cattedra alla Business School (il cui numero di docenti sovente supera quello dei decenti), ma aprirà mondi nuovi alle persone e significati diversi al Pil. Che così potrà diventare Poesia: Ispirazione Lirica, ma anche Pensare Insieme Liberamente, oppure Perfetta Ideale Letizia, Piacevole Interpretazione Logica, Promuoviamo Iniziative Lodevoli, e infine, dulcis in fundo, Pasticciotto Incidentalmente Leccese.

“Incidentalmente”, dico, in quanto il Pasticciotto è Inequivocabilmente Galatinese. Pazienza se l’acronimo che ne vien fuori sarà Pig traducibile con Maiale.

L’importante è che non si tratti di un Mega-Porco[1].

Antonio Mellone

 

[1] Il Mega-Porco per antonomasia è il centro commerciale di 260.000 mq di cemento vibrato che alcuni talebani dell’ipermercato vorrebbero ancor oggi colare nell’amena campagna di Collemeto, fraz. di Galatina, convinti come sono che gli asini volteggino nell’aere.

 

L'Associazione "𝑪𝒊𝒕𝒕𝒂̀ 𝑵𝒐𝒔𝒕𝒓𝒂” di Galatina organizza per il giorno 25 giugno alle ore 18:00, il quinto dei sette eventi alla scoperta dei paesaggi nostrani, previsto nell’ambito del progetto "𝑾𝒆 𝒂𝒓𝒆 - 𝑺𝒊𝒂𝒎𝒐 𝒊𝒍 𝒑𝒂𝒔𝒔𝒂𝒈𝒈𝒊𝒐 𝒄𝒉𝒆 𝒗𝒊𝒗𝒊𝒂𝒎𝒐" Puglia Capitale Sociale 3.0. Questa volta visiteremo la Valle della Cupa, l’evento è in collaborazione con “GAL Valle della Cupa”

Partenza alle ore 18:00 da “Malcandrino”, nel territorio tra Lecce, Monteroni e San Pietro in Lama. Malcandrino è una tenuta situata nei terreni anticamente di proprietà del feudatario Malcandrino appunto, e dove una vecchia cava di tufo è stata ristrutturata con volte a stella per accogliere gli ospiti al suo interno.

Successivamente ci sposteremo a “Villa Romano”, set del film “Latin Lover” di Cristina Comencini, della serie TV "Più forti del destino", e del film del 1974 "Le farò da padre", con protagonista il compianto Gigi Proietti. Poi visiteremo l’Azienda Agricola “Melograni Martino”, marchio dedicato ad alcuni coltivatori di Melagrane biologiche, dove avremo il piacere di ascoltare l’esibizione musicale di Samuel Mele ed avverrà una degustazione di prodotti tipici.

Ricordiamo che visita e degustazione sono gratuite.

 Città Nostra Aps
Galatina

 

L'unica vera infrastruttura di cui ha urgentemente bisogno il Grande Salento sono i Grandi Boschi !!!

No ad altro asfalto e cemento:

le infrastrutture vere che più mancano al Grande Salento sono i "Grandi Boschi"! 

Mentre alcuni politici parlano nel Grande Salento di altre infrastrutture ridondanti che rischiano di compromettere ancora altro territorio pugliese si leva l'appello preventivo dal mondo ambientalista del Grande Salento per indicare la strada della pacificazione e della crescita vera e virtuosa del territorio! 

Contro anche le devastazioni intollerabili degli impianti industriali speculativi d'energia rinnovabile nelle campagne pugliesi: la richiesta perentoria per una mobilitazione e risposta forte dello Stato a repressione e bonifica degli scempi in corso e per la ricostruzione del vitale tessuto connettivo forestale e di naturalità oggi compromesso all’inverosimile e portato al livello massimo storico di degrado, ad un livello tale da costituire un’emergenza nazionale abbisognante del massimo e più urgente intervento risolutore dello Stato!   

L'Onu proclama il 2011 Anno internazionale delle foreste: si RIFORESTI LA PUGLIA!
Il Ministro salentino Raffaele Fitto e il presidente Antonio Gabellone della Provincia di Lecce, e quelli delle Province di Brindisi, Massimo Ferrarese, e di Taranto, Gianni Florido, insieme al Presidente Nichi Vendola della Regione Puglia, si preoccupino dei problemi più gravosi e seri, delle vere infrastrutture vitali che mancano da decenni e decenni al Salento: I GRANDI BOSCHI !
Non altre strade e strade in territori vergini o che consumano altro suolo!
Sì, solo ad interventi infrastrutturali che migliorano infrastrutture esistenti!
Ma non si accetterà mai più il consumo di altro suolo integro, naturale e rurale, per nessuna altra infrastruttura fotocopia e ridondante in tutto il Grande Salento!
E' il Grande Salento l’area con la maggiore percentuale di suolo cementificato ed asfaltato d'Italia, la zona dello Stivale, dell'intera Nazione isole incluse, con la minore percentuale di superficie boschiva.
Un territorio, peraltro, a grave rischio di desertificazione naturale, come segnalato dall'ONU, cui si aggiunge oggi quella artificiale, spaventosa, terrificante, del flagello da fotovoltaico nei campi!
Ed il Grande Salento era invece, fino a non molti decenti or sono, terra di boschi e foreste immense e pittoresche, nel leccese, nel tarantino e nel brindisino!
Se oggi ciò non è più così, se il vitale tessuto connettivo forestale di questa terra è stato depauperato all'inverosimile, non si deve ai cosiddetti "cambiamenti climatici" o a qualche altro effetto naturale, ma solo e soltanto all'azione devastatrice dell'uomo, alla barbarie del fuoco doloso e della scure indiscriminata, all' iper-infrastrutturazione, all'iper-sfruttamento del territorio, alle esigenze voraci dell'industria e dell'industrializzazione selvaggia, alla mala politica, alla speculazione, all'avidità di denaro facile, alla colonizzazione e svendita del Salento!
Questa è un EMERGENZA, e deve essere la priorità politico-amministrativa delle tre province! Del Grande Salento!
La vera prioritaria infrastruttura veramente vitale che manca a noi salentini è quella dei vasti boschi pubblici e privati, della riforestazione del Grande Salento!
L'unica sulla quale nessun cittadino in buona fede o sano di mente avrà mai nulla da eccepirvi contro! Un’infrastruttura la cui ricostruzione, attraverso un massiccio intervento statale, costituisce un fattore strategico di sviluppo e di benessere autentico per il sud della Puglia, nonché una notevole occasione di impiego e lavoro per numerosissimi giovani ed imprese locali.
L'assenza dei naturali boschi nel Grande Salento è causa di dissesto idrogeologico, di cambiamenti microclimatici locali, di diminuzione della fertilità dei suoli, di interruzione di una naturale rigenerazione-purificazione dell'aria dall'inquinamento, di diminuzione della piovosità, di impoverimento della biodiversità (cui l' ONU ha dedicato il trascorso anno 2010!), di crisi del settore zootecnico d’eccellenza e qualità, di scomparsa delle produzioni silvicole, ecc. ecc. E' un danno al paesaggio, all'economia e alla salubrità del territorio salentino inimmaginabile ed inquantificato!
Un “imperativo categorico” irrinunciabile e non più procrastinabile del nostro territorio e della sua gestione ed amministrazione, è quello della "Riforestazione" e "Rinaturalizzazione" con essenze autoctone e reintroduzione delle specie botaniche recentemente scomparse, a seconda dei casi previa “Bonifica” dei luoghi! Un imperativo che, come, con stupore, ognuno di noi può notare, è scomparso dall'agenda politica da decenni, mentre in passato era tra le principali priorità politiche della nostra terra; scomparso dall'agenda di tutti i partiti, scomparso dal mondo dell'informazione; scomparso dalla nostra memoria ... ma gli ambientalisti del Grande Salento non se ne sono dimenticati, ed oggi, contro la famelica antropofaga foga speculativa che domina quasi ogni atto amministrativo e ogni trama partitica, vogliono e chiedono, con forza e determinazione, di riportare nella prima pagina dell'agenda di ogni istituzione territoriale e di ogni partito, che voglia ancora sperare nella “credibilità” agli occhi dei cittadini, il più grande dei bisogni di questa terra: i Grandi Boschi pubblici e l'incentivazione massima dei rimboschimenti dei suoli dei privati! 

 Oreste Caroppo

Hanno già dato loro adesione:

- Forum Ambiente Salute del Salento- Gruppo apartitico d’azione locale a difesa dell’ambiente - sede centrale in Lecce

- Coordinamento Civico per la Tutela del Territorio, della Salute e dei Diritti del Cittadini - sede centrale in Maglie (Le)

- Save Salento - Salviamo il Salento

- Nuova Messapia - sede in Soleto (Le)

- Movimento per La Rinascita del Salento

- Associazione Arneotrek - trekking & outdoor - Salento 

- Biomasseria Santa Lucia - Macurano (Lecce)

- I DIALOGHI DI NOHA

 
Di Redazione (del 31/10/2019 @ 21:52:06, in Comunicato Stampa, linkato 926 volte)

I fondi stanziati dal Governo, di cui il M5S è parte importante e propositiva, nel Decreto Crescita hanno dato i loro frutti anche a Galatina, risolvendo questioni annose e da sempre a cuore alla cittadinanza.

Il contributo destinato ai Comuni per interventi di efficientamento energetico e sviluppo territoriale sostenibile saranno impiegati soprattutto per la sede municipale in via Monte Bianco, l'ex tribunale di Galatina, per l'adeguamento impiantistico e la messa in sicurezza della struttura. Si sta parlando di 130 mila euro di stanziamento.

«Quest'intervento auspichiamo possa rappresentare un primo passo per il successivo accorpamento di tutti gli uffici comunali in un unico stabile -dichiara il consigliere comunale pentastellato, Paolo Pulli- Passaggio questo che consentirebbe di risparmiare i costi di gestione degli immobili comunali ed offrire un miglior servizio ai cittadini». Il consigliere del movimento 5 Stelle Galatina prosegue augurandosi che:«Questo stanziamento permetta di liberare definitivamente gli edifici comunali messi in vendita, permettendo quindi di recuperare risorse preziose per il risanamento del bilancio e il contestuale rilancio della città. Nell’ultimo consiglio comunale (NdA 22/10/2019) ho ribadito durante l’approvazione del bilancio consolidato come i quasi 20 MILIONI di euro di fabbricati, terreni ed immobili ascritti in bilancio rappresentino un patrimonio non fruttuoso, che necessita di risorse continue per contrastare la naturale obsolescenza ed invece può e deve rappresentare una risorsa per la città attraverso cessioni a privati o gestioni pubblico-private che siano in grado di valorizzare questa massa enorme di proprietà altrimenti poco o per nulla utilizzate.»

Consigliere

Paolo PULLI

 
Di Redazione (del 07/02/2013 @ 21:51:48, in NohaBlog, linkato 3103 volte)
L'INCHIESTA di quiSalento.it - Di strada in strada, asfalto e cemento sul Salento, Dalla Regionale 8 alla statale 275 fino alla Maglie-Gallipoli, i progetti che feriscono il paesaggio e l'agricoltura compromettendo lo sviluppo sostenibile.

http://quisalento.it/salento-news/linchiesta/15263-ambiente-di-strada-in-strada-asfalto-e-cemento-sul-salento.html

Cemento e asfalto per fare del Salento un groviglio di strade, spesso inutili, quasi sempre a quattro corsie, frutto di progetti faraonici partoriti in altri tempi, quando lo sviluppo del Salento sembrava legato ad un modello industriale, rivelatosi illusorio. Oggi, invece, tutti gli strumenti di pianificazione urbanistica, dal piano territoriale di coordinamento della Provincia al Piano paesaggistico regionale di prossima presentazione, guardano al territorio in un’altra dimensione, facendone un elemento unico e insostituibile di uno sviluppo sostenibile basato su tre pilastri: Turismo, Ambiente e Cultura.

Ma pezzi del Governo e delle stesse amministrazioni pubbliche, dall’Anas alla stessa Regione Puglia fino alla Provincia di Lecce, marciano in tutt’altra direzione, dando il via libera a progetti devastanti che continuano a consumare il suolo, abbattendo uliveti, ingoiando campi coltivati e rovesciando tonnellate di cemento e asfalto che altereranno per sempre il paesaggio del Salento. E spesso, mentre la magistratura amministrativa si sostituisce alla politica con una lunga serie di verdetti, il ricatto occupazionale con la “necessità” di spendere i fondi europei stanziati fa il resto.

Eppure il Salento ha la sua rete di strade efficiente e diffusa sul territorio, strade che diventano “della morte” quando vengono percorse a velocità ben superiori dai limiti di velocità imposti dal Codice della strada, e solo raramente per carenze strutturali. D’altro canto, si continuano a progettare arterie in grado di indirizzare sempre maggiori volumi di auto verso la litoranea, ma già ora in alta stagione lunghi tratti della costa risultano intasati dalle auto per l’assenza di parcheggi e/o di mezzi alternativi. Una progettazione, dunque, che non guarda al futuro e che vede protagonista il partito dell’asfalto e del cemento con un fatturato previsto, solo per queste cinque strade, di una cifra che sfiora complessivamente i 500 milioni di euro.

Per rompere questo circolo vizioso, nasce la mobilitazione di un gruppo di cittadini che ha lanciato una petizione via Internet dal titolo “Basta strade inutili. Salviamo la terra del Salento” (> leggi la petizione).

Ecco quali sono attualmente i progetti che nella petizione si chiede di fermare e/o di rivedere legandoli alle esigenze reali del territorio.

> REGIONALE 8, AGRICOLTORI IN GINOCCHIO. Ufficialmente il cantiere non è ancora partito, ma le ruspe sono lì e il primo crinale verde alle porte di Vernole è stato già aggredito dalle macchine movimento terra che si sono dovute fermare, dopo la segnalazione dei lavori abusivi da parte di alcuni cittadini. Circostanza che ha portato all’apertura di un’inchiesta della Procura della Repubblica.

Il ventilato avvio del cantiere della Regionale 8, ha provocato la ferma reazione di numerosi agricoltori, supportati dalla Coldiretti (> vedi denuncia) che si vedono cancellare le loro aziende, paradossalmente finanziate dagli stessi enti pubblici. Il progetto è in piedi da più di un quarto di secolo e nel corso tempo, peraltro, ha subito variazioni che ne hanno snaturato gli stessi presupposti. La strada, infatti, nasce come “Circumusalentina”, un progetto faraonico che negli anni Ottanta prevedeva di costruire un anello parallelo alla costa, un nastro di asfalto a quattro corsie. Di tutto ciò rimane solo il primo tratto, completamente stravolto nel tracciato ma non nella invasività.

Si tratta di un’arteria a quattro corsie lunga poco più di 14 chilometri con ben dieci rotatorie e, come se non bastasse, 16 chilometri di strade complanari e raccordi. Il tracciato ora parte dalla Tangenziale est di Lecce, all’altezza della strada di Fondone, quattro corsie per un tratto correranno quasi parallele alle quattro corsi della tangenziale per andare a innestarsi sulla Provinciale 1, ovvero la Lecce- Vernole) all’altezza della rotatoria vicina al residence Giardini di Atena. Da questo punto (e quasi fino a Vernole) la Regionale 8 prevede l’allargamento della provinciale sul tracciato esistente per poi diventare nuova strada per aggirare con circonvallazioni sia Vernole sia Melendugno per andare a finire sulla Melendugno-San Foca. La colata di cemento è impressionante: migliaia e migliaia di ulivi sradicati (2.400 nel solo territorio di Melendugno): oltre ai 14,230 chilometri a quattro corsie con spartitraffico e complanari, un cavalcavia a Melendugno, svincoli con la costruzione di dieci grandi rotatorie.

L’opera è finanziata con ben 57 milioni di euro dal Cipe e ricade tra le strade di categoria C considerate non prioritarie (in teoria potrebbe essere anche a doppia corsia). I comuni attraversati dalla Regionale 8 sono Lecce, Lizzanello, Vernole e Melendugno. L’appalto è stato aggiudicato all’Associazione temporanea di imprese (Ati), composta dal Consorzio cooperative costruzioni, Leadri e Montinaro Gaetano e figli.

Fra gli altri problemi, non soltanto una Via (valutazione di impatto ambientale) scaduta nel 2011 ma anche vincoli idrogeologici in quello che la Gazzetta del Mezzogiorno ha definito “tormentato e lacunoso procedimento”, da cui emergono più ombre che luci. Anche per questo la Coldiretti di Lecce nei giorni scorsi ha annunciato che la sua organizzazione sarà al fianco degli agricoltori che si stanno costituendo in giudizio per fermare la realizzazione della strada (>vedi articolo). Anche le altre organizzazioni degli agricoltori, Cia e Confagricoltura stanno seguendo la vicenda al fianco degli agricoltori interessati.

> 275 STRADA PARCO? MACCHÈ.  L’hanno chiamata strada-parco per tentare di mitigarne l’impatto. Ma la momento, soprattutto nel tratto che va da Montesano a Leuca, non è altro che una nuova superstrada a quattro corsie con un’enorme rotatoria tra San Dana e Leuca, sempre a quattro corsie. Il progetto della Maglie-Leuca prevede il raddoppio della statale 275 da Maglie fino a Montesano Salentino, ma da quel punto in poi è tutto un nuovo tracciato che sbancherebbe il cuore del Capo di Leuca. Il progetto della nuova 275 ha un importo complessivo di ben 288 milioni di euro e prevede la realizzazione di viadotti, ponti, rotatorie, svincoli e complanari. Si calcola che non meno di ventimila alberi che verranno abbattuti per la realizzazione della strada e tonnellate di cemento e di asfalto  modificheranno irrimediabilmente l’attuale morfologia di una delle zone più incontaminate del Salento. Attualmente il progetto sembra fermo, incagliato nelle pieghe della burocrazia, ma l’appalto sembra già a buon punto nonostante le voci di protesta che si levano da una parte del territorio.

> MAGLIE-OTRANTO, RUSPE IN AZIONE. L’allargamento della statale 16 è iniziato. Non sono serviti gli appelli, neanche del Difensore Civico della Provincia di Lecce, il senatore Giorgio De Giuseppe, a bloccare un progetto definito “faraonico”. A settembre scorso, mentre le ruspe stavano per entrare in azione, De Giuseppe, raccogliendo le istanze degli ambientalisti e delle associazioni, aveva scritto alla Regione Puglia invitandola a “scongiurare il danno macroscopico che tali opere arrecano al territorio compromettendo, per altro, sviluppo e benessere futuri” e per dire no ai “progetti faraonici”. “Correre a gran velocità sulla strada, infatti”, spiegava, “è inconciliabile con la valorizzazione di un territorio che merita visite e scoperte appropriate”. Appello caduto nel vuoto e lo scempio ha avuto inizio con quasi ottomila alberi di ulivo che dovranno essere espiantati o abbattuti, per far posto all’allargamento della strada Maglie - Otranto, tra il km 985 e il km 999,1  trasformandosi in una superstrada a quattro corsie con tanto di svincoli con cavalcavia e lunghe complanari per il traffico locale. Si tratta di poco meno di venti chilometri con un progetto che prevede una spesa di quasi 55 milioni di euro. Attualmente è cantierizzato il primo lotto, da Maglie a Palmariggi. Il secondo, fino a Otranto, potrebbe essere meno invasivo?

> OTRANTO-GALLIPOLI, STRADA MOSTRO. L’hanno chiamata “strada mostro” gli ambientalisti salentini. Si tratta della provinciale che dovrebbe collegare Otranto a Gallipoli, un progetto approvato e finanziato con 20 milioni di euro con fondi Fas (che pur fanno gola). La strada è progettata dalla Provincia di Lecce e il tratto più criticato è quello dell’attuale provinciale 361 da Maglie ad Alezio, che, passando per Parabita e Collepasso, devasterebbe la serra con le due tangenziali di Alezio e di Collepasso. La strada ignorerebbe distese di ulivi secolari, con i relativi vincoli paesaggistici e attraverserebbe aree archeologiche ma anche straordinarie dal punto di vista paesaggistico, come la la collina di Sant’Euleterio che, con i suoi duecento metri di altitudine, è il punto più alto del Salento. Il tutto quando si potrebbe più agilmente mettere in sicurezza l’attuale rete stradale della zona.

> CASALABATE-PORTO CESAREO, L’ULTIMO SOGNO. In ordine di tempo è ultimo, ma il progetto della Casalabate-Porto Cesareo non ha niente da invidiare ad altri progetti quanto ad invasività. Per il solo secondo lotto è di pochi giorni fa l’approvazione del progetto preliminare, con un impegno di 8 milioni di euro per la sola tangenziale di Campi Salentina. La strada dovrebbe collegare le due coste nel Nord Salento, congiungendo la direttrice per Salice e Veglie con la strada provinciale Campi-Squinzano. Anche qui si tratta di finanziamenti europei: fondi Fas relativi al “Piano per il Sud”.

> FIRMA LA PETIZIONE SUL SITO DI PETIZIONEPUBBLICA.IT


ROBERTO GUIDO

fonte: quiSalento

 
Di Redazione (del 13/07/2021 @ 21:51:38, in Comunicato Stampa, linkato 604 volte)

Attuando le disposizioni anti-contagio del Virus SARS-Cov-2, è fatto obbligo ai partecipanti del I Seminario di Formazione etico-sociale "Le parole dell'odio: temi, metodi e strumenti d'analisi" indetto dal PD di Noha, di prenotare il proprio posto a sedere chiamando o mandando un messaggio al nr. 331/2188504 entro e non oltre il 16 Luglio 2021

 Questo il primo di una serie di Seminari di formazione etico-sociale, che il PD di Noha ha indetto. Siamo pronti da un anno, abbiamo un sacco di cose da dire, da raccontare, abbiamo lo strumento migliore per essere presenti sul territorio: la formazione soprattutto dei più giovani. E così, dopo un anno di fermo a causa della pandemia, siamo nuovamente pronti a presentare a tutti voi il nostro primo evento, il nostro primo Seminario. Abbiamo scelto l'odio come prima tematica perchè sentiamo nostri i mezzi di contrasto dello stesso, e lo facciamo dipanando la tematica così diffusa da creare soprusi, discriminazioni e disuguaglianza sociale. Con noi ci saranno autorevoli Relatori - che già da ora ringrazio personalmente per il loro servizio - pronti a condividere con tutti noi il loro sapere. Perchè chi conosce non può odiare, la sapienza genera sempre Amore dell'altro!

Vi aspettiamo Sabato 17 Luglio 2021 alle ore 20 a Noha in P.zza San Michele, sarà l'occasione inoltre di rivederci e incrociare anche solo per un attimo il nostro sguardo!"

Grazie a chi ci sarà, noi ci mettiamo il cuore, sosteneteci!


Michele Scalese
Segretario PD - Noha

 
Di Albino Campa (del 28/01/2011 @ 21:51:10, in Musicando pensieri, linkato 3043 volte)

In questa nuova pagina della rubrica Musicando pensieri vogliamo proporvi un passo de L’ultima caccia di Federico Re di Antonio Errico (pagg. 80-81-82, Manni Editori, 2005) accostato a Le Onde di Ludovico Einaudi.

Buona lettura e buon ascolto a tutti voi!

 
 
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Troppo pesante si era fatto il carico per me.

Negli anni che vennero rivolsi domande ad altri saggi d’oriente.

Era il tempo che cominciavo ad avvertire la pesantezza del sospetto di inutilità per tutto quello che facevo, che giorno dopo giorno si andò consolidando fino a trasformarsi in macigno opprimente.

L’origine delle domande che inviai al sultano Al-Raschid e che egli passò a Ibn Sabyn, era in quella pesantezza, in quel gravame di dubbio.

Chiedevo se l’esistenza del mondo avesse avuto un inizio, se avrà una fine, e quale potesse essere il processo della mente capace di comprendere il tempo e il senso dell’inizio, di prevedere il tempo e il senso della fine.

E volevo conoscere quali fossero i sistemi sui quali si fonda la vita di ogni uomo, e quella degli animali, degli alberi, dell’erba, e se la fede e la ragione possono bastare a spiegare l’universo e i modi con cui esso si manifesta agli occhi nostri.

Le risposte che mi diede Ibn Sabyn non aggiunsero niente alle conoscenze che possedevo.

Qualche particolare, forse, ma senza rilevanza, qualche riflessione che non mutò le idee che avevo maturato fino a quell’istante.

Però mi sorprese la sua capacità di ergersi sopra di me, di trascurare la riverenza che si deve a un potente.

Disse che io confondevo la sostanza delle cose con la loro apparenza, che non sapevo cogliere la loro essenza, che non distinguevo un riflesso del sole dal raggio diretto. Forse era vero. Forse confondevo.

Mi attraeva la rappresentazione del mondo, la messinscena dei fatti, la verosimiglianza di un racconto più del vero resoconto di un avvenimento.

Vivevo come in uno stato di sdoppiamento.

Spesso mi accorgevo che non partecipavo col pensiero all’accadere degli eventi ma che li osservavo come se leggessi in un libro la storia di un tempo lontano in un luogo lontano.

Io, Federico, spiavo i movimenti, le passioni, gli amori, i furori, i turbamenti dell’uomo che ero diventato e non riconoscevo.

Mi disse Ibn Sabyn che soltanto il cielo avrebbe potuto indicarmi il cammino che porta alla verità.

Ma non mi disse quale fosse la verità. Non mi disse da che cosa fosse stato generato quel cielo al quale dovevo rivolgermi per conoscere la verità. Non mi disse, Ibn Sabyn, quali dei miei pensieri, quali delle mie azioni appartenessero alla categoria del bene, quali a quelle del male.

Mi disse che dovevo imparare a scendere nella profondità delle mie giornate.

Io scendevo nella profondità delle mie giornate, senza riuscire mai a trovare niente.

Quando seppi che Ibn Sabyn aveva rinunciato alla sua età giovane e saggia, non mi stupii perché la traccia di un dolore radicato nella mente io l’avevo già intravista nel disprezzo per le cose del mondo con cui erano avvelenate le risposte che diede alle mie domande.

Dalla sua solitudine sui monti del Marocco, dal rifiuto che ebbe dei miei doni, dalla superba sapienza delle sue parole, dai giudizi sferzanti sulla mia persona, intuii che i suoi vent’anni custodivano l’esperienza di molteplici esistenze, la conoscenza di molteplici pensieri.

Ora forse posso accettare l’ipotesi che fui io a non saper trovare nelle sue risposte le verità che contenevano.

Ma allora pensai che nessuno avrebbe potuto darmi di più di quanto da me ero riuscito a darmi, di quanto avrei potuto ancora darmi.

Fu anche per questo che feci realizzare nel deserto di un’altura la perfezione di un castello.

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Michele Stursi

 

Organizzato da Libreria Fiordilibro, in collaborazione con Note d’Arte passeggiate storico-artistiche, Salento Guide Turistiche e Rete Turistica Grecia Salentina.

Sabato 9 giugno, nuovo appuntamento della rassegna Tour d’Autore dedicata alla cultura, all’arte, agli uomini illustri salentini. Questo terzo incontro è  riservato alla cultura bizantina nel Salento, il suo tramonto ed il succedersi della cultura latina con il rito cattolico romano in tutta la sua magnificenza. Verranno prese in esame le due maggiori icone quella del rito greco-bizantino che fu la Chiesa dei Santi Sofia e Stefano a Soleto e quella della nascente cultura latina a rito cattolico-romano che è rappresentata dalla Basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina.Tra loro la potentissima famiglia dei Del Balzo Orsini committente di entrambe. Nella prima parte del Tour d’Autore torniamo nella Basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina, ma questa volta per cogliere tutti i segni del passaggio del vecchio mondo bizantino che si dissolveva e della nuova cultura latina che si faceva strada rappresentata dallo stile gotico. Nella seconda parte del Tour l’attenzione è tutta rivolta alla Chiesa di Soleto con la presentazione del Dvd: “La chiesa dei Santi Sofia e Stefano di Soleto curata da Franco Meraglia, Francesco Manni e Beatrice Arcano di Rete Turistica della Grecia Salentina -Japigia. Il dvd contiene un album fotografico e dei video dedicati agli affreschi della chiesetta ed alla storia di Soleto. Introdurrà Andrea Panico prof. di Storia dell’Arte. Degli interventi musicali in lingua grica accompagneranno l’incontro.

Ingresso e visita guidata gratuiti.  

 Il programma prevede :    

  • Ore 17:30  Ritrovo P.tta Orsini . Visita Guidata all’interno della Basilica di Santa Caterina d’Alessandria dal titolo “ Dalla chiesa dei Santi Sofia e Stefano a Soleto a Santa Caterina d’Alessandria a Galatina” curata da Salento Guide Turistiche. Ingresso gratuito, ma è gradita prenotazione info: 333.8451218
  • Ore 19:00  Palazzo Galluccio via Umberto I ,37 Galatina : presentazione del DVD “La chiesa dei Santi Sofia e Stefano a Soleto.  Interventi di Franco Meraglia di Salento Guide Turistiche con  “ I Del Balzo Orsini” e Francesco Manni di Rete Turistica Grecia Salentina  con “ Salento italo-greco e Bizantini in Occidente. Una storiografia da riscrivere”.    Introduce Andrea Panico di Note d’Arte passeggiate storico-artistiche.

Emilia Frassanito

 
Di Albino Campa (del 07/01/2017 @ 21:49:38, in Comunicato Stampa, linkato 2262 volte)

IL COMMISSARIO STRAORDINARIO

PREMESSO CHE:

- nella nota circolare (prot. n. 1686) del 07.01.2017 della Prefettura di Lecce si comunica, tra l'altro, che nel corso delle riunioni di C.C.S. — Centro Coordinamento Soccorsi — tenute in data odierna, è stata sottolineata la necessità di assumere idonee determinazioni per la sicurezza della circolazione e soprattutto degli studenti che riprenderanno l'attività scolastica lunedì 9 gennaio, concordando, alla presenza dei rappresentanti del MIUR- Ufficio Scolastico Territoriale di Lecce e dei soggetti gestori della rete viaria e trasporti pubblici, sulla necessità, a tutela della pubblica e privata incolumità, di procedere alla chiusura degli istituti scolastici di istruzione secondaria superiore, per i quali è presente più forte il fenomeno del pendolarismo; - La Regione Puglia — Sezione Protezione Civile ha diramato in data odierna, alle ore 17,55, messaggio di allerta meteo nel quale sono previste nevicate sino al livello del mare e persistenza di temperature molto basse con diffuse gelate;

PRESO ATTO della forte nevicata che ha investito il Comune di Galatina in queste ore;

ATTESO che nelle prossime ore le strade potrebbero rendersi ancora impraticabili, con conseguenti difficoltà alla circolazione stradale e pericolo per la sicurezza dei veicoli e delle persone;

CONSIDERATO che i disagi della giornata odierna potranno persistere ed aggravarsi a causa del ghiaccio che, certamente, si formerà sulla sede stradale nel corso della nottata, in conseguenza dell'ulteriore abbassamento delle temperature e nelle successive 24-36 ore;

RITENUTO, pertanto, di dover garantire la pubblica incolumità, in particolare a favore degli alunni e del personale scolastico proveniente dai paesi limitrofi;

RAVVISATA, quindi, l'opportunità di disporre la chiusura degli istituti scolastici di secondo grado per il giorno 09 Gennaio 2017;

VISTI gli art. 50 e 54 del D. Lgs. 18.8.2000 n. 267,

ORDINA

1. la chiusura delle scuole secondarie di secondo grado ricadenti nel territorio comunale per il giorno 09 Gennaio 2017, con la consequenziale sospensione delle lezioni;

2. la presente ordinanza va comunicata:

• alle segreterie scolastiche; • al Prefetto di Lecce; • alle Forze di Polizia; • alla stampa locale online.

RENDE NOTO

A norma dell'art. 8 della Legge 241/1990 che responsabile del procedimento è il Dirigente della Direzione VI — Polizia Municipale — S.U.A.P. e Protezione Civile — dott. Antonio Claudio OREFICE.

Avverso la presente Ordinanza è proponibile:

Ricorso al TAR competente per territorio entro 60 giorni dalla pubblicazione;

- Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica entro 120 giorni dalla pubblicazione. SI AVVISA L'Ufficio Protocollo per la notifica della presente Ordinanza:

• alla Prefettura di Lecce — protocollo.prefle@pec.intemo.it;

• al Dipartimento della Regione Puglia — Servizio Protezione Civile — servizio.protezionecivile@pec.rupar.puglia.it;

• All'Associazione di Protezione Civile — A.N.O.P.C. — protezionecivilegalatina@pec.it

• Ai Funzionari scolastici: LEIS 024007@pec.istruzione.it; leis02700p@pec.istruzione.it; letd03000q@pecistruzione.it, leps04000e@pec.istruzione.it;

• Alle Forze di Polizia — Stazione Carabinieri — tle31047@pec.carabinieri.it; Polizia di Stato: comm.galatina.le@pecps.poliziadistato.it;

• Alla stampa locale on — line: dinovalente@galatina.it; ilsedile@tiscali.it; redazione@inondazioni.it; telegalatina@libero.it; info@noha.it; info@radiorizzonti.net.

• Il presente atto va, altresì, pubblicato sul sito web istituzionale del Comune.

Commissario Straordinario

Il DIRIGENTE

Dott. Antoni FICE

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Di Antonio Mellone (del 07/10/2016 @ 21:48:51, in NohaBlog, linkato 2288 volte)

Non vorrei mummificarmi sul Senato, ma non si può tacere su alcune assurdità previste da questa fattispecie di “riforma” (virgolette obbligatorie).

C’è da dire che, a dispetto delle corbellerie che si raccontano in giro, dunque negli spot pubblicitari stile Mulino Bianco (buoni giusto per i cerebrolesi o per certi feisbucchini da riporto), o gli editoriali del Tg Orba di Enzo Magistà/Macifà (in questi giorni è fantastico), o le articolesse dei giornaletti vari, il Senato NON viene soppresso: semplicemente si trasforma. In un ircocervo.

In pratica si passa da un bicameralismo perfetto a un bicameralismo alla cazzodicane.

Ne parleremo più approfonditamente nel mio prossimo brano. Ovvero sbrano.

Per un attimo soffermiamoci sull’articolo 55. Questo articolo, che nella Costituzione prima dello scempio renzian-boschian-verdiniano era composto da poche chiarissime locuzioni, nella nuova (“nuova” si fa per dire) diventa d’un tratto logorroico, verboso, prolisso come invero molti altri (evidentemente come i suoi reverendi estensori e promotori). Mi rifiuto per decenza di riportarlo qui di seguito. Se proprio non riuscite a farne a meno trovatevelo pure in Internet (però poi fatevi visitare. Da uno bravo).

Passando al nuovo articolo 57 scopriamo che i Senatori saranno 95 e che altri 5 potranno essere nominati dal Presidente della Repubblica. Ora. Siccome un Presidente della Repubblica non rinuncerà mai a cotale prerogativa, si può dire già sin da oggi con ragionevole certezza che i Senatori saranno sempre in numero di 100. E con un bel 5% di Senatori di nomina presidenziale.

Non so se gli italioti riescano a rendersi conto di questa assurdità. Stiamo parlando del 5%, perdio, un vero e proprio partito del presidente della Repubblica (come un Napolitano, per dire). Il 5% è una cifra sicuramente molto più alta della percentuale di alcuni partitini di governo, che oggi con numeri da prefisso telefonico fungono da ago della bilancia.

Non pensate voi che questo 5% sia un’ulteriore sottrazione di democrazia? Vabbè, mi direte, ma stiamo parlando di un 5%, cosa vuoi che sia. E ‘stica.

Altro che “la prima parte della Costituzione non viene toccata”. Viene toccata, eccome. Anzi viene stravolta. A partire dall’articolo 1, quello che parla di sovranità che appartiene al popolo. Tanto per dire.

Ma vediamo un attimo il restante 95%. Credete voi che i 95 Senatori di nomina NON presidenziale saranno scelti dai cittadini? Col piffero.

I 95 membri del Senato non saranno mica eletti per fare i Senatori. Nossignore. Saranno eletti (se pur lo fossero) per fare altro, cioè per fare i sindaci (ne avremo ben 21, dunque con doppio incarico) o i consiglieri regionali (ne avremo 74 scelti dal mazzo).

Tutto il cucuzzaro, infine, cioè sindaci, consiglieri regionali e senatori di “nomina regia”, avranno per investitura, per convenienza di partito, per grazia ricevuta dall’alto, insomma per magia l’immunità parlamentare. E oltretutto i rimborsi spese. Mica ce la danno gratis. La disponibilità, dico.

Poi uno pensa: ma con tutti i pensieri e i cavoli che un sindaco (o un consigliere regionale) ha per la testa - ché non ha manco il tempo di respirare - come farà a dedicarsi anche al Senato, per esempio studiando approfonditamente i testi delle leggi da approvare o meno? Si sa che alcune leggi (stiamo parlando di 22 materie) dovranno passare obbligatoriamente anche dal Senato, senza tener conto delle proposte di legge delle quali il Senato vorrà esplicitamente discutere in aula.

Dico io: o fai bene il sindaco o fai bene il Senatore. Oppure male entrambi.

Continuando (e chiudo per oggi) sempre con l’articolo 57, leggiamo che “la durata del mandato dei Senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, e bla, bla, bla”. Chiaro? Ogni Senatore ha una durata diversa dal suo compagno di seggio o di partito, sicché il Senato diventa un Motel con Senatori che entrano o escono a tutte le ore del giorno e della notte, a seconda della scadenza del loro mandato. Alla faccia della semplificazione.*

Caro fautore del Sì, come diceva Voltaire, non condivido le tue idee ma… no, vabbè, a posto così.

[continua]

Antonio Mellone

P.S. 1) Consiglio la lettura dell’appassionato (e appassionante) libro del prof. Salvatore Settis dal titolo “Costituzione!” e sottotitolo “Perché attuarla è meglio che cambiarla” (Passaggi Einaudi, Milano, 2016, 336 pagg.).

P.S. 2 Vignetta di Vauro – pubblicata a Servizio Pubblico il 2/4/2014. Nell’attesa delle nuove vignette del nostro Marcello D’Acquarica.

 

 

 

 
Di Marcello D'Acquarica (del 09/09/2022 @ 21:48:15, in NohaBlog, linkato 865 volte)

La nostra cittadina, secondo le ricerche storiche, si chiamava Noje o semplicemente Noe, oppure con caratteri greci: Νϖιε. Al tempo dei Monaci Basiliani (verso l'anno 800 - 850 circa d.C.) c'era già a Noha un Protopapa greco. È il periodo in cui probabilmente si costruiscono l’antica chiesa detta “Piccinna” e il convento e chiesa di Santu Totaru (S. Teodoro) che, con il passare dei secoli, furono inglobati nella Masseria Colabaldi.

Le cose nel Salento e quindi anche a Noha, andarono avanti sotto la giurisdizione dei Monaci Basiliani per circa tre secoli. Poi, nel 1090, Goffredo il Normanno, conte di Nardò, ostile ai greci, chiese e ottenne dal Papa Urbano II (1088 - 1099) che il governo della diocesi fosse sottratto ai Monaci Basiliani e affidato ai Monaci Benedettini.

Su molti documenti antichi Noha è qualificata come: “Noe, terra dei Greci”.

A Noha si continuò a parlare e pregare in greco fino almeno al 1600. La Chiesa Piccinna, a forma ottagonale, dedicata alla Madonna delle Grazie, verso la fine degli anni ’50 del secolo scorso, fu puntellata con una struttura di pali in legno che la ponevano in sicurezza stando “appoggiata” alla attigua Chiesa di San Michele Arcangelo, molto più resistente. Sopra il tetto coperto di tegole crescevano rigogliose le piante di fico. Da tempo era stata devastata e i vandali avevano asportato tutto, comprese porte e finestre. Resistette fino al 1963, anno in cui venne abbattuta perché dichiarata pericolante. Per demolirla, gli operai chiamati a effettuare l’opera distruttiva e definitiva, legarono dei grossi cavi d’acciaio alla parete rivolta a sud facendoli passare attraverso due grandi brecce già aperte nelle mura. Legarono quindi i cavi ad un grosso camion e con questo potente mezzo meccanico strattonarono la chiesa fino a raderla al suolo. Le pietre rotolarono fino all’altezza del cinema, che si trova a circa 100 metri di distanza.

Le macerie vennero trasportate e sparse sul campo alla periferia di Noha, l’area adibita a pascolo e denominata “Piezzu”, ubicata di fronte all’edificio delle scuole elementari. Furono smaltiti pezzi di pareti con parti di affresco. Mescolati con il pietrame, c’erano anche frammenti di scheletri umani, evidentemente resti delle sepolture conservate nello spessore delle mura. E chissà che gli affreschi e le ossa non appartenessero proprio a loro, ai nostri Evagelos e Ruperto.

Oggi, di quel Santo luogo di preghiera, che aveva resistito e “protetto” Noha per oltre un millennio, non resta altro che la memoria di qualcuno e alcuni documenti storici che la descrivono talmente bene da poterla immaginare.

Uno fra questi, molto importante, è relativo alla seconda visita pastorale, quella iniziata il primo gennaio 1719, anno in cui è parroco Don Nicol’Antonio Soli (Arciprete per 38 anni, dal primo dicembre 1689 all’11 dicembre 1727, data della sua morte).

Sono gli atti di questa Santa Visita che ci informano che la chiesa della Madonna delle Grazie (detta Chiesa Piccinna) era anticamente tenuta da sacerdoti greci; che attorno alle pareti di questa chiesa antichissima vi erano dipinte immagini di santi e caratteri greci che riportavano i nomi di coloro le avevano fatte dipingere.

Così scrive P. Franceso D’Acquarica nel suo libro “La Storia di Noha”:

Riporto ora la descrizione della Chiesa Piccinna fatta in occasione della Visita Pastorale del 1719.

“Visitavit Ecclesiam Sancte Marie Gratiarum que p.mo a Grecis Sacerdotibus incolebatur, et nunc religiosa ecclesiasticorum et laicorum hominum Sodalidate aucta est, et summopere commendavit. Circa huius Ecclesiae Antiquissime parietes multe variorum Sanctorum Sacre Imagines pluribus ab hinc seculis non exiguam Sacris, atque Ecclesiasticis Pastoris lucem possunt afferre, inter illas autem que in sinistro eiusdem Ecclesie latere sunt depicte Sanctorum Eficies sequentes Greci caracteres leguntur eorum indicantes nomina qui opus ipsum fieri pingigi curarunt et quorum etiam nunc prope caracteres ipsos greco habita expresse visuntur imagines ad vivum, ut videnctur depicte.”

 

Traduzione (di Padre Francesco D’Acquarica):

«Il Vescovo Sanfelice visitò la Chiesa della Madonna delle Grazie, che anticamente era tenuta da sacerdoti greci, e ora vi è una congrega di ecclesiastici e laici e la raccomandò molto. Intorno alle pareti di questa chiesa antichissima ci sono dipinte con eleganza da molti secoli fa, molte immagini di vari santi, le quali possono illustrare non poco i pastori che hanno retto la chiesa. Tra quelle immagini poi che sono dipinte sul lato sinistro di questa chiesa si leggono i seguenti caratteri greci che indicano i nomi di coloro che fecero dipingere e di cui anche adesso si vedono espresse con abbigliamento greco immagini dipinte, come pare, dal vero».

I caratteri greci qui riportati li troviamo nella relazione citata e indicano i nomi di coloro che fecero dipingere le immagini dei vari santi:

Mnh ape. tw Pawlw -  W. ebaine l.. star... -  Mnh. ain. tw Pawlw. tw Pwpertw

Con l’aiuto della nostra concittadina e amica Mariella Chittani, residente in Grecia, ci siamo rivolti a dei docenti di filologia, ed esattamente alla Professoressa di filologia e greco antico del Terzo Liceo di Pireo/Atene, Galanopoulou Paraskevi, per farci tradurre quelle espressioni.

Pur riscontrando molte difficoltà nell’interpretazione dei simboli riportati da Don Nicol’Antonio Soli, si è giunti alla conclusione che il significato potrebbe essere il seguente:

Ricordati di me Santo, del tuo servo Evagelos;

Ricordati di me Santo, del tuo servo Ruperto;

Quindi Angelo e Ruperto sono i nomi dei due nostri sacerdoti greci che fecero affrescare la chiesa, comprese le loro stesse immagini (con abbigliamento greco immagini dipinte, come pare, dal vero), di cui purtroppo non si è salvata nemmeno una foto. Ciò che fa meraviglia, ancora una volta, è il messaggio di Fede che ci viene trasmesso così, in un tentativo straordinario di comunicazione con Dio, attraverso gli strumenti di quel tempo.

(Testo e grafica di Marcello D’Acquarica. Alcune notizie storiche sono state ricavate dal libro “NOHA - LA SUA STORIA” di P. F. D’Acquarica - 2021 – Arti Grafiche Marino - LE)

Marcello D’Acquarica

 
Di Redazione (del 21/11/2017 @ 21:47:40, in Comunicato Stampa, linkato 1096 volte)

Da Venerdì 24 a Domenica 26 Novembre (dalle ore 16.00 alle ore 20.00) la Libreria Fiordilibro, organizza il Laboratorio di Scrittura e Lettura Creativa "Corpo Scritto | Raccontami una storia" a cura della pluripremiata scrittrice e giornalista Luisa Ruggio. Tre giornate dedicate al mestiere del narratore, ma rivolte a chiunque desideri giocare a scoprire la propria scrittura sommersa ed indagare da vicino i cortocircuiti e le tecniche narrative che scandagliano il cuore di ogni storia. Il Laboratorio di Scrittura e Lettura Creativa, nella formula del workshop, si svolgerà negli spazi di Palazzo Di Lorenzo, in via Mory a Galatina.

Ci sono alcune storie che ci attendono da sempre, come anime gemelle spesso tardano ad arrivare perché dobbiamo ancora scoprirle, o meglio, scriverle. Questo semplice principio guidato dalla curiosità e dal gesto di indagare la vita e il cuore umano, è alla base del laboratorio di scrittura e lettura creativa rivolto a tutti e suddiviso in tre lezioni teoriche e pratiche, reading, training del narratore.

Finalità del Laboratorio: riportare i gesti della scrittura e della lettura nella dimensione conoscitiva ed introspettiva tipica del giocare, del viaggiare e dell'inventare. Un allenamento dell’immaginario in quanto cassetta degli attrezzi della vita umana, avviare alla lettura delle parole e delle storie custodite e tradite dal corpo e pronte ad essere condivise, scrittura per il corpo e stesura di un racconto, esercitare le tecniche narrative e drammaturgiche, ideare ed elaborare un testo e confrontarsi con le dinamiche della scrittura intesa come pratica necessaria al mestiere di vivere.

Luisa Ruggio, giornalista e scrittrice, dopo l'esordio con i saggi Cinema e Psicoanalisi, ha pubblicato con Besa il pluripremiato "Afra" (2006), "La nuca" (2008), la raccolta di racconti brevi "Senza Storie" (2009),  “Teresa Manara” ( 2014), “Notturno” ( 2015) “Un poco di grazia” (2016).-

Per info e costi rivolgersi a Libreria Fiordlibro via Vitt. Emanuele II,31 Galatina , tel 3803797092

 
Di Redazione (del 20/06/2023 @ 21:46:08, in Comunicato Stampa, linkato 207 volte)

Sono partiti i lavori di manutenzione ordinaria e straordinari delle strade situate nella zona industriale di Galatina gestite da ASI.
L’attività ha riguardato il manto stradale, la pulizia dalle erbe e il ripristino di alcuni punti dissestati che rendevano complicato il passaggio dei mezzi delle imprese.
Questa attività, svolta dall’ASI Lecce è il frutto di una sinergia sviluppatasi in questo primo anno di amministrazione Vergine a Galatina, attraverso il consigliere delegato Andrea Gatto. L’attenzione posta al decoro ed allo sviluppo della zona industriale è dimostrato oltre che da questa attività anche dall’approvazione dei regolamenti ZES del Comune di Galatina, primo in provincia.
Inoltre il Comune sta collaborando con ASI attraverso la rimozione di eventuali rifiuti ai bordi di strade ed aiuole.
“Voglio esprimere la mia soddisfazione per quanto siamo riusciti a raggiungere in questo primo anno di governo, su un'area che non era tenuta nella giusta considerazione ma che è oggi potenzialmente protagonista di un rilancio del comparto produttivo. Una zona industriale operativa che è tornato ad essere attrattivo e potrebbe costituire un volano per l'economia del territorio ed anche per il rilancio del vicino quartiere fieristico" dichiara il consigliere Gatto

Segreteria Sindaco

 
Di Redazione (del 13/02/2023 @ 21:45:55, in NohaBlog, linkato 273 volte)

La proposta di un impianto di trattamento dei rifiuti speciali a Santa Barbara, per una capacità di trattamento di 90.000 tonnel­late / anno, conferma la tendenza in atto a trasformare il compren­sorio di Galatina in uno snodo di raccolta e smistamento di rifiuti speciali al servizio non solo della Provincia di Lecce ma di vasti territori regionali ed extra-regionali.

Appare significativa in tal senso la dichiarazione d'intenti con­tenuta nel progetto Entosal per cui "L'impianto per la sua po­sizione geografica, può concretamente fungere da centro di rife­rimento per le attività di raccolta recupero e trasporto di parti­colari tipologie di rifiuti speciali (soprattutto pericolosi, prodotti nella Provincia di Lecce e nella Regione Puglia. Il gestore punta a riferirsi ad un mercato più ampio di quello locale, avendo ac­cesso anche a clienti nazionali grazie alla specificità dei rifiuti trattati.”

Beninteso il termine specificità” dei rifiuti trattati non esprime la eterogeneità e la nocività dei rifiuti stessi; un elenco di circa 400 variegate tipologie, che comprende quanto di più inquinante e pericoloso provenga dalle lavorazioni industriali; non stupisce quindi che vi siano in Italia diversi produttore lieti di liberarsi di tali sostanze, che costituiscono però una vera bomba ecologica per le comunità locali. L'elenco dei codici CER (Codice Europeo dei Rifiuti) spazia dai residui dalle lavorazioni siderurgiche agli scarti animali, dai fanghi di vario tipo a bagni con cromo e in­chiostri dai residui delle concerie ai reflui petroliferi, dai rifiuti della lavorazione dell'amianto ai residui di pitture e vernici. Al­cuni di questi scarti hanno una composizione talmente problematica da poter essere definiti rifiuti di rifiuti", avendo un Codice CER indicato come "scarti inutilizzabili per il consumo o la tra­sformazione".

Un aspetto della proposta che inquieta fortemente è la presenza in gran parte delle operazioni previste di trattamenti di frantu­mazione" e di "miscelazione che potrebbero determinare, se non correttamente gestiti e controllati da enti terzi, la perdita delle caratteristiche nei rifiuti in ingresso, con possibili difficoltà suc­cessive a garantire la tracciabilità dei singoli rifiuti ed a evitare la miscelazione di rifiuti pericolosi e non pericolosi, come previ­sto dalla legge. La proposta, prima ancora di entrare nel mento dei contenuti, appare in contrasto  non solo per il progetto in sé, ma anche per il contesto politico-amministrativo in cui si pone con alcuni fon­damentali indirizzi comunitari, contenuti nella Direttiva 2008.98.CE e successive modifiche e recepite nella normativa nazionale (D.Lgs. 152'06):

  1. Rete integrata: le istituzioni locali devono creare una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti urbani e speciali al servizio di ogni singolo bacino:
  2. Principio di autosufficienza: occorre perseguire l'autosuf­ficienza nello smaltimento dei rifiuti tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti specializzati per ogni ca­tegoria di rifiuti.
  3. Principio di prossimità: la rete deve permettere il trattamen­to di ognuna delle categorie di rifiuti in uno degli impianti appro­priati più vicini grazie all'utilizzazione dei metodi e delle tecno­logie più idonei al fine dr garantire un elevato livello di prote­zione dell'ambiente e della salute pubblica.

Nel progetto in esame non si intravede né dove sia "l'integra­zione" tra i vari impianti in esercizio o previsti, né quali strategie siano adottate dagli enti locali per rispettare il principio di auto­sufficienza e minimizzare i trasferimenti.

 

Di fatto nella realtà questi principi vengono troppo spesso ignorati grazie ad una programmazione a maglie larghe della Regione, e alla totale inosservanza da parte della Provincia di Lecce degli obblighi di corretta localizzazione e di controllo degli impianti (art. 197 D. Lgs. 152/2006), ogni procedimento autoriz zativo considera ogni proposta come a sé stante, senza una ottimizzazione del sistema di raccolta ed una minimizzazione degli spostamenti cui è soggetto ciascun carico di rifiuti. Ciò indubbia­mente agevola i produttori ed i gestori, grazie ad una sostanziale deregolamentazione, che amplia discrezionalmente i limiti di mercato e facilità i traffici di rifiuti da e verso altre regioni o altri stati, imponendo però alle popolazioni locali pesanti e spesso inaccettabili ricadute ambientali, come nel nostro caso. Intanto prolificano nel comprensorio di Galatina gli impianti di tratta­mento di rifiuti speciali anche pericolosi, oltre alla Entosal, sono già autorizzati o in via di autorizzazione le società Ecom S.A.", "Sa­lento Riciclo" e "Ambiente e Riciclo" di Gelatina; "Cave Marra Ecologia di Galatone (con 2 sedi sulla S.P. Galatone-Galatina e nella zona industriale di Galatone-Nardò), Progest" di Galatone (Zona Ind.) e la stazione di trasferenza dei rifiuti organici "Bian­co nella stessa zona industriale, oltre alla ben nota Colacem di Galatina /Soleto, che da sola è autorizzata a trattare fino a 400.000 tonnellate anno di rifiuti speciali.

 

L'atteggiamento benevolo della Regione nei confronti dei vari gestori è particolarmente evidente esaminando le variazioni in­tervenute nella stesura dell'ultimo Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti Speciali, approvato con Delibera Giunta Regionale n. 673 del 11.05.2022. Nella precedente versione del 2015 (appro­vato con Deliberazione Giunta Regionale n. 1023 del 19.05.2015) erano imposte delle distanze minime di sicurezza per la popola­zione insediata nell'area e per alcuni siti sensibili come scuole e strutture sanitarie, da definire in fase di autorizzazione previo stu­dio di approfondimento delle condizioni climatologiche locali (venti dominanti. altezza dei camini, tipo di emissione ecc.)

Nella versione attuale del Piano tali vincoli incredibilmente scompaiono, cosi come l'obbligo del relativo studio propedeuti­co. Perché un'area sia considerata inidonea occorre che sia og­getto di un esplicito vincolo ai sensi del Piano Regionale di Qua­lità dell'Aria (Legge Regionale n. 52 2019). In assenza di tale vincolo, gli insediamenti possono essere localizzati anche in pros­simità di centri abitati, con poche blande prescrizioni sull'inqui­namento acustico.

Un altro aspetto inquietante su cui meditare è costituito da una strategia che si sta diffondendo in questi anni nelle amministra­zioni pubbliche, pressate da un lato dai gestori, desiderosi di dare avvio alle attività, e dall'altro lato dalle associazioni e comunità locali preoccupate per gli effetti ambientali: la finta opposizione.

In pratica la Provincia o il Comune di turno emettono il diniego all’autorizzazione alla conclusione del procedimento autorizzativo ma senza poi motivarlo con solide argomentazioni scienti­fiche. In tal senso fa scuola e merita di essere riportata per stral­cio la sentenza con cui il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso del Comune di Gelatina, che chiedeva la conferma del diniego stabilito dalla Provincia di Lecce e annullato dal Tar ad uno degli impianti prima citati poi effettivamente realizzato anche sulla ba­se di questa sentenza: 'Il Consiglio Comunale di Galatina si è li­mitato a richiamare l'esistenza di un ambito paesaggistico tute­lato ma non ha saputo o potuto indicare quali specifiche caratteristiche dell’intervento in progetto arrechino pregiudizio al con­testo tutelato".

Per quanto concerne poi gli impatti cumulativi (aspetto essen­ziale collocandosi l'insediamento in un contesto in cui operano altre strutture simili), il Tar aveva notato "la genericità delle obie­zioni del Comune nelle quali non è contenuta nessuna valutazione tecnico-scientifica quanto al consumo di territorio, non si citano infatti le superfici già interessate dagli impianti in esame, nonché la vicinanza dell'impianto dal più vicino centro urbanizzato, e le ripercussioni negative che la sua realizzazione determinerebbe sulla collettività - (Gazzetta del Mezzogiorno. 22.06.2020).

Ma questo atteggiamento dell'Amministrazione Comunale non è isolato, se anche la nuova compagine oggi al governo cittadino ha fatto notare la sua assenza alla Conferenza di Servizi convo­cata sull'argomento. Grave segnale di indifferenza nei confronti della salute collettiva e dei beni comuni.

Né stupisce, se questo è l'andazzo nei procedimenti ammini­strativi nella nostra realtà, che nel Rapporto Ecomafia 2022 di Legambiente, la Puglia occupi il 3° posto in Italia per reati am­bientali e che nella stessa classifica la provincia di Lecce si ponga al decimo posto, mentre nella classifica dei reati legati al ciclo dei rifiuti la Puglia occupi il 4° posto in Italia, mentre la provincia di Lecce sia al 18° posto.

La criminalità odierna non è quella di un tempo, che agiva a suon di lupara ed estorsioni, ma si è evoluta ed ha infiltrati nelle nostre istituzioni nutrendosi di assenze e silenzi, istruttorie ca­renti, di autorizzazioni a maglie larghe e di controlli inadeguati. come è stato denunciato più volte dalla nostra magistratura.

Antonio De Giorgi

 fonte: Il Galatino - Anno LVI n°3 del 10-02-2023

 
Di Antonio Mellone (del 16/11/2013 @ 21:44:15, in Fotovoltaico, linkato 3476 volte)

Ci sarebbe molto da elencare a proposito dei danni derivanti dall’obbrobrio rappresentato dal mega-porco fotovoltaico di contrada Roncella (ma il discorso rimane valido anche per tutti gli altri campi trafitti da queste corone di spine, ferro, silicio, e giacché ci siamo anche cemento, che intasano a chiazze vaste aree del Salento).

Questi mali incommensurabili – elenchiamo a caso - vanno dalle variazioni del microclima all’inquinamento elettromagnetico; dall’energia prodotta in eccesso che si disperde in rete al tema dello smaltimento dei pannelli una volta terminato il loro ciclo “vitale”; dalle famose “ricadute occupazionali” pari a zero ai danni all’immagine di un habitat intonso fino a qualche lustro fa; dagli effetti nefasti provocati sulla salute dei salentini a causa del fatto che queste “energie alternative” non hanno fatto altro che aumentare la produzione di energia da combustibili fossili (vedi Cerano) - grazie alla truffa dei cosiddetti “certificati verdi”, come già spiegato altrove - alla sottrazione di terreni all’agricoltura, finiti per definizione; dal depauperamento economico-finanziario della nostra terra considerata dai conquistadores di tutto il mondo come un bancomat da assaltare al lavoro nero, alle mafie, al riciclaggio di rifiuti nascosti in questi “parchi”, al giro di soldi e mazzette e truffe di vario tipo ai danni dello Stato (che ogni giorno stanno intasando la cronaca nera locale, come se già il resto non bastasse)…

Ci sarebbe in effetti molto altro da dire, argomentare, chiosare sul tema. Ma temiamo che i nostri interlocutori vengano colpiti da ictus cerebrale per troppo stress da concentrazione. E quando diciamo “interlocutori” vogliamo includere oltre all’ex-sindaco di Galatina, anche il suo successore e attuale primo cittadino, con tanto di curie e codazzo al seguito (in effetti non c’è soluzione di continuità tra la padella e la brace), ed una marea di concittadini in pantofole, sedotti e abbandonati su comodi divani & divani.  

*

Tutto questo cercavamo di comunicare ai tempi in cui scendevamo in piazza per spiegare ai cittadini a cosa si andava incontro, per raccoglierne le firme di protesta e proposta, per distribuire sacchettini di terra benedetta (benedetta direttamente da Dio, s’intende)…

Ma in quel tempo tanto le “autorità” civili che quelle religiose, non solo mostravano orecchio da mercante non solidarizzando con te e la tua lotta contro gli inganni travestiti da “energie alternative”, ma facevano a gara per far fare il turno di riposo alle rispettive intelligenze. Sicché l’una ti dava della “vittima della calura estiva”; l’altra del “profeta di sventura”. E tu a continuare a combattere contro il vero micidiale spread che purtroppo continuerà ad assillarci per un bel po’: quello culturale.

Risultato?

Panorami di ferro e silicio. Distese enormi di pannelli fotovoltaici entrati per sempre nei paesaggi delle nostre campagne, come novelle cartoline da inviare ai tour-operator del resto del mondo. Specchi riflettenti che affiancano ulivi e fichi d’india, e spesso si sostituiscono ad essi, mangiandosi la terra rossa e l’orizzonte. E noi altri, nel mentre ammiriamo queste prospettive, dobbiamo pure ricordarci ogni bimestre di pagare la bolletta, il dazio ai signori dell’“energia alternativa” che vengono da lontano.   

*

Salento, mare, sole e vento sono ormai una leggenda, una fola, un luogo comune, una corbelleria. E solo chi credeva nelle favole poteva pensare che questa fosse la realtà.

La verità, invece, brilla della sua stessa perspicuità. Sicché il resto della storia è oggi espresso da un altro slogan un po’ meno ipocrita e più empirico: Salento, male, fole e cemento. Il tutto avvolto dalla tormenta infinita (come quella del V canto dell’Inferno dantesco) prodotta stavolta dal vento sinistro degli insipienti e degli ottusi.

 Antonio Mellone
 
Di Marcello D'Acquarica (del 07/04/2020 @ 21:43:12, in NohaBlog, linkato 1084 volte)

In questi giorni di “clausura” imprevista oltre a definire qualche lavoretto rimasto in arretrato, dovendo stare chiusi in casa, abbiamo approfittato per darci un po’ di più alla lettura. In ogni caso i dati enunciati da tv e social, ci costringono anche a riflettere su quanto sta accadendo nel mondo, nelle varie parti d’Italia e intorno a noi, nel Salento. Guarda caso, esattamente negli stessi giorni di questa drammatica pandemia, mi sono capitate per le mani due cose che stranamente si intrecciano con la stessa cordata del dramma che stiamo vivendo:

  • il libro “Il Pianeta di Tutti” di Vandana Shiva con Kartikey Shiva. Serie Bianca Feltrinelli – Prima edizione maggio 2019; utilizzato, fra l’altro, come strumento informativo per l’esame di Diritto Pubblico Comparato dell’Ambiente, uno degli esami per il terzo anno di giurisprudenza.
  • una lettera inaspettata da parte di Roberto Serafini, il mio vecchio amico d’infanzia e di vita, non proprio una lettera, ma una busta chiusa indirizzata a me e contenente dei semi di zucca.

Qual è il nesso tra queste tre cose? Proviamo a ragionarci sopra.

In pratica, quello che sta accadendo ci costringerà a cambiare per sempre certe abitudini che ultimamente avevano davvero preso una velocità supersonica. Tutto quel correre affannato di tutti e di ogni giorno, sembrava ci stesse portando via l’ultima occasione per respirare, non avevamo tempo per nessuno e per null’altro se non per affannarci a correre di qua e di là, tra centri commerciali, ristoranti, happy hour e viaggi turistici a dismisura, sembrava dovesse finire il mondo da un momento all’altro. Ecco, questa “clausura” imprevista e forzata ci ha costretti a capire che il mondo non sta per finire, che c’è solo bisogno di fermarsi ad osservare, a dialogare, ad ascoltare, ma soprattutto ad amare la vita. Speriamo che ciò che stiamo proponendo, e cioè di sperare che al più presto arrivi un nuovo decreto in cui ci dicono che le catene con cui ci hanno imbrigliato sono state rotte, che possiamo di nuovo ritornare a fare tutto quello che si faceva prima, magari con qualche precauzione in più, con la convinzione di aver imparato la lezione, se faremo davvero questo, sarà l’ennesima pezza per tappare una falla che ha radici profonde nel sistema globale. E state pur certi che la pezza non resisterà molto.

In poche parole, faccio molta fatica a credere all'uomo buono, la storia ci insegna che abbiamo sempre "invaso", "depredato", "colonizzato e sfruttato", ora più che mai abbiamo ampliato le proporzioni del nostro “fare” senza senso e senza futuro, e per di più siamo passati dai 2 miliardi di abitanti del pianeta del 1969 ai sette miliardi di oggi. In meno di 100 anni siamo stati la causa della scomparsa di molte specie di biodiversità e di gran parte della desertificazione.

Vandana Shiva è una fisica ed economista indiana. E’ tra i massimi esperti di ecologia mondiale e sociale.

E’ premio Nobel per la pace nel 1993. Ha vinto premi letterari e scritto molti trattati di ecologia. E’ tutto vero quello che denuncia? Per esserne certi bisognerebbe analizzare a fondo le fonti che cita in bibliografia. Comunque, visti i tempi che corriamo, e il sistema che governa il mondo oramai globalizzato, c’è poco da indagare. Ma forse qualcosa si può ancora fare per cambiare direzione. Scrive Vandana:

il potere convenzionale va dal controllo centralizzato degli stati o nazioni, a quello ancora più centralizzato delle CORPORATION. Chi sono? Non sono tante, insieme compongono l’1 per cento dell’umanità, lo stesso un per cento che domina sul 99 per cento restante. Da questo punto in poi, se volete leggere gli appunti sulla denuncia del Premio Nobel Vandana Shiva, potete farlo nella seconda parte di questo breve testo.

Roberto, senza aver letto la denuncia descritta nel libro “Il Pianeta di Tutti”, sapeva bene che i semi li abbiamo ricevuti dalla natura e dai nostri antenati, e che è giusto tramandarli con la stessa ricchezza, integrità e diversità. Lui, come tanti altri nostri amici contadini, osservanti le tradizioni dei nostri padri, metteva da parte i primi frutti di ogni raccolto, per riseminarli nuovamente l’anno successivo. Eppure non era un contadino di professione, lo faceva con passione perché amava i cibi genuini e la natura. Se tutti i contadini del Salento adoperassero i semi tramandati da padre in figlio, le Corporation non sarebbero contente, ma non perché avremmo tolto loro la possibilità di sfamarci con i loro prodotti, ma semplicemente perché loro temono la localizzazione, che toglie spazio al loro potere e ai loro interessi economici, senza badare a quanta morte e distruzione comporta.

 

2° Parte

 Riflessioni riassuntive estrapolate dal libro “Il Pianeta di Tutti” di Vandana Shiva

Le Corporation, la struttura dell’1 per cento dominano il mondo perché sono per la globalizzazione e contro la localizzazione che non porta loro profitti (pag 163):

WTO – organo mondiale per il commercio, ex Gatt –; FMI – Banca Mondiale e Internazionale; TNC – Corporation Transnazionali – secondo la denuncia deviano le Istituzioni, i Tribunali, la Polizia, i Ministeri, tutto per il proprio interesse. (pg 179)

Produzione Olio di Soia e Palma da olio – Deforestazione – emissioni di inquinamento – Monsanto – Du Pont – Bayer – Pfizer – Genentech (società biomedica) – Global Healt (ricerca vaccini e famaci) – Compagnke Agro Businnes quali Mendekez, Nestlè, Kraft, Coca Cola, Diageo, Pepsico, ecc. (pag 141)

A capo del sistema esiste il modello filantropo/capitalistico della BMGF (Bill end Melinda Gates Fondation)

Papa, Regina, e mercante e avventuriero. (pag 138)

Pretendere di raggiungere un altro pianeta e costruirvi una civiltà autosufficiente è un salto nel vuoto, arroganza, ignoranza e insensibilità. Disse Gandhi: "La Terra fornisce quanto basta alla soddisfazione dei bisogni di tutti, ma non abbastanza per l'avidità di pochi". pag 188

Nelle crisi che ci hanno portato sull’orlo del precipizio si trovano anche i semi della speranza e della libertà, i semi che rigenereranno la nostra umanità e la nostra identità di cittadini della Terra. Pg 11

Questo libro è un’espressione della speranza che si fonda sull’unione: è la filosofia della vasudhaiva katumbakam ossia della terra intesa come unica famiglia. Pg 12

Possiamo con l’interconnessione, con la solidarietà, creare un movimento interplanetario per spezzare le catene e abbattere i muri costruiti dalle illusioni della mente meccanica e sconfiggere la macchina del denaro e il mero simulacro della democrazia. Pg 13

Quando si è sull’orlo del baratro andare aventi significa cadere nell’abisso. Pg 16

I processi che stanno distruggendo il suolo, la biodiversità, l’aria, l’acqua e l’equilibrio climatico stanno uccidendo al contempo anche l’umanità. Pg. 17

Con il termine “Antropocene” (l’Era dell’uomo) si allude al potere dell’uomo di disarticolare i processi ecologici della Terra. Ritenere che questo potere distruttivo dia ad alcuni umani il diritto di impadronirsi delle risorse, dei processi e dei sistemi della Terra è da arroganti e da irresponsabili. Pg. 19

La perdita di diversità nei nostri campo e nella nostra dieta, dovuta alla diffusione – negli ultimi cinquant’anni - della Rivoluzione VERDE e dell’agricoltura INDUSTRIALE, non solo contribuisce alla crisi ecologica, ma favorisce la diffusione di epidemie.

Mangiare è un atto comunicativo. Mangiando noi comunichiamo con la Terra, con il coltivatore, con chi preparare il cibo.

I pesticidi e gli erbicidi velenosi che spargiamo sul nostro cibo distruggono i batteri benefici del nostro apparato digerente, causando gravi malattie che vanno dai disturbi intestinali a problemi neurologici come l’autismo e il morbo di Alzheimer. Pg 22

Il vero capitale è la Natura: Ecologia ed economia derivano dal greco Oikos, che significa casa. L’ecologia è la scienza della casa, l’economia è l’amministrazione della casa. Quando l’economia opera in conflitto con la l’ecologia il risultato è la cattiva amministrazione della Terra, cioè della nostra casa. Pg 24

Mentre viene spacciata come soluzione alla fame nel mondo, l’agricoltura industriale è responsabile del 75 % di tutti i problemi ecologici e sanitari che si registrano a livello globale. Fame, malnutrizione, obesità, diabete, allergie, cancri, disturbi neurologici, sono tutti connaturati a un sistema alimentare mosso dall’avidità e fondato sulle tossine. Pg 25

Dagli alberi impariamo l’amore e la generosità incondizionati. Le foglie secche che cadono ci mostrano il ciclo della vita, la legge del ritorno, perché le foglie diventano Humus e suolo e proteggono la terra riciclando sostanze nutritive e acqua. Pg 27

L’Impero dell’1 per cento: separazione, violenza colonizzazione, estrattivismo ed estinzione.

Le tre grandi separazioni che ci hanno portati sull’orlo dell’estinzione come specie sono la separazione degli umani dalla natura; quella degli umani tra loro, secondo criteri di classe, religione, razza e genere, e la separazione dell’Io dal nostro essere integrale e interconnesso. Pg31

Lo standard oil , fondata dai Rockefeller  ha plasmato il mondo economico, politico e tecnologico odierno. Ha dato inizio all’era dei Robber Barons, quella petrolifera che è anche quella del dominio del denaro-

I sistemi estrattivi lineari basati sulla violenza sono all’origine delle disuguaglianze economiche e della polarizzazione dell’1 per 100 da una parte e del 99 per cento dall’altra. Pg 33

Il mondo che abbiamo creato è il frutto del nostro pensiero e dunque non può cambiare se prima non modifichiamo il nostro modo di pensare (Albert Einstein).

L’Attività della mente meccanica è incentrata sull’introduzione di molteplici separazioni:

separa il suolo dalle piante, definendo il primo come vuoto ricettacolo di fertilizzanti chimici e le seconde come macchine alimentate dalla benzina dei fertilizzanti. Separa il cibo dalla salute, la terra dall’aria. Riduce la vita aa proprietà intellettuale, tramite l’acquisizione dei brevetti, per poterla possedere e monopolizzare nonostante ciò porti all’estinzione della specie al suicidio degli agricoltori.

La mente meccanica è una mente che privatizza.  Pg37

Altra mutazione importante è avvenuta in politica con la democrazia rappresentativa: questa un tempo proprietà del popolo gestita dal popolo nell’interesse del popolo è diventata in breve proprietà delle corporation gestita dalle corporation nell’interesse delle corporation. La concentrazione del potere economico nelle mani di pochi eletti da nessuno e che non sono tenuti a rendere conto a nessuno del loro operato, si traduce nella capacità di influenzare i governi le leggi e la politica, per plasmare il futuro del nostro cibo, della nostra salute e del pianeta. Pg55

Uccidere gli agricoltori con il debito e la popolazione con il cancro e l’avvelenamento da pesticidi è genocidio, un crimine contro l’umanità. Pg 66

Multinazionali come Monsanto, Bayer, Dow, Du Pont, e Sygenta, attraverso il libero scambio le politiche neoliberali e la deregolamentazione dei commerci, stanno estendendo il loro impero con fusioni e acquisizioni sempre più vaste. Come per esempio la fusione di Monsanto con Bayer con l’avallo della Banca Centrale europea  (21 marzo 2018) . Pg 73

Il Cartello dei Veleni, non solo si ristruttura attraverso le fusioni ma va oltre la convergenza delle sementi, pesticidi e fertilizzanti estendendosi ai macchinari, alle tecnologie dell’informazione alla raccolta dei dati sul clima, e sul suolo, alle assicurazioni per assumere un controllo totale sul nostro cibo. Si continua a spacciare per futuro una strategia fallimentare. Pg 75

Le libertà economiche, intellettuali, politiche che garantiscono la proprietà collettiva delle sementi, del cibo, delle nostre menti, delle nostre piccole economie per produrre e consumare localmente in modo sostenibile sono la “barbarie” che il famigerato un per cento vorrebbe estirpare. E queste libertà sono ciò che molti movimenti sociali sono impegnati a difendere, e dovremmo farlo tutti. Pg76

 

Il termine “Biologia molecolare” (ingegneria genetica) ha avuto un ruolo importante nel progetto di costruzione del “gene”. La fondazione Rockefeller dal 1932 ne è promotrice con l’obiettivo di avere il controllo sulle relazioni umane e porle in armonia con la struttura sociale del capitalismo industriale. Controllo. Limitare la riproduzione dei deboli di mente e le disfunzioni sociali che contrastano con i cambiamenti della tecnologia. Pg 77

Il Cartello dei Veleni considera il “gene” l’elemento fondamentale della vita. No. Non lo è. Non esiste al mondo un qualcosa di auto-replicante che si chiami “gene”, semmai è l’organismo intero come sistema complesso. Il Dna è una molecola priva di vita. Non ha la capacità di riprodursi. Sono le proteine, gli enzimi, a produrre il Dna e non il contrario. (The Doctrine of DNA di Richard Lewontin). Pg 78

L’Ingegneria genetica è alta tecnologia, usarla per inoculare un gene nella melanzana, che produce una tossina, in associazione con marcatori di resistenza agli antibiotici, è come usare una ruspa per  piantare un chiodi in una parete. Sono le pratiche di agricoltura organica che generano resistenza ai parassiti e alle malattie.

Il cotone Bt (geneticamente modificato) richiede un enorme utilizzo di sostanze chimiche per controllare i super parassiti emersi dal fallimento di questa presunta tecnologia che avrebbe dovuto tenerli sotto controllo. Intanto, per esempio, milioni di ettari di terreni sono stati inquinati e strappati agli agricoltori che essendosi indebitati per sopperire alle spese sono falliti. Ma l’obiettivo di Monsanto e di Mahyco era quello di avere i brevetti sulle sementi. E le loro azioni producono interessi solo per loro. Non per i contadini. Questi muoiono anche per l’avvelenamento da pesticidi. Pg 85

E’ dimostrato a livello globale che il Roundup ha causato un aumento di malattie in particolare il cancro. La Monsanto ha sferrato un attacco ponderoso contro l’OMS che ha classificato il Roundup come probabile cancerogeno. Secondo la rivista medica Lancet, in esperimenti sui topi si è dimostrato che l’esposizione al Glifosato è causa di tumori.

Il legame Monsanto – Facebook è profondo. Una agricoltura una scienza. E’ un progetto di Bill Gates, insieme a Zuckerberg patron di Facebook, hanno concepito un accesso minimo garantito gratuito in internet per decidere quali informazioni passare agli utenti. Pg 100

Il diritto al cibo consiste nel diritto di scegliere quello che vogliamo mangiare, di sapere che cosa c’è nel nostro cibo, di optare per un cibo nutriente e gustoso, invece di dover ingerire i pochi cibi confezionati che le Corporation vogliono costringerci a consumare. Pg 102

Nel mondo del famigerato UN PER CENTO, i governi (tutti) sono un’estensione del Grande Capitale, sono praticamente i loro piazzisti. Pg 105

La desertificazione, la perdita della biodiversità, l’estinzione degli impollinatori biologici, il cambiamento climatico, è opera dell’agroindustria per almeno il 40 per cento. E questo sistema fornisce solo il 30 per cento del cibo che consumiamo. Se dovesse aumentare questa proporzione ci ritroveremmo su un pianeta morto. E senza cibo. Pg 106

Nel 2016, per difendere la grande bugia del miracolo Golden Rice brevettato dalla Fondazione di Bill Gates, insieme a quell’altra grande bugia delle banane che contengono ferro, la banana OGM e la melanzana “brinjal” sono stati mobilitati 107 premi Nobel. Inclusi alcuni fantasmi come per esempio Alfred G. Gilman morto nel 2015.

Ogni pianta ha le proprie particolarità nutritive. L’agricoltura industriale produce merci prive di nutrimento non solo perché nel suolo non viene restituita la sostanza organica, e quindi impoverito, ma anche perché le monocolture riducono la varietà delle sostanze nutritive che invece viene garantita dalla biodiversità. Pg 110

La digitalizzazione dell’economia ci riserva brutte sorprese. La demonetizzazione dell’economia indiana introdotta nel 2016 allo scoccare della mezzanotte, ha fatto si che le multinazionali si appropriassero della ricchezza delle persone, chiudendo da un giorno all’altro i rubinetti del denaro contante per le economie reali e lasciandole aperti solo per i settori digitalizzati, cioè le Corporation, nel caso specifico la Digital India. Pg 129

La guerra ai contanti porterà enormi profitti ai portali delle Corporation, coloro che incasseranno. Nel mondo digitale, coloro che controllano gli scambi, attraverso reti finanziarie, ricavano qualcosa da ogni passaggio. In una economia reale circola denaro reale che corrisponde al lavoro vero. Al contrario in una economia digitale tutto diventa irreale. 

Una sola scienza, una sola agricoltura, una sola storia: il modello filantropico capitalista di Bill Gates, per plasmare e aggirare le strutture democratiche secondo la sua visone del mondo.

Un solo uomo, il papa, il re, la regina, e anche il mercante avventuriero. Pg 138

Bill Gates, o chi per esso seguirà la stessa traccia, dominerà il mondo perché in questo momento ha già investito 5,4 miliardi per lo studio di un sistema capace di alterare la stratosfera riflettendo una piccola parte del calore del sole, mediante lo sbiancamento delle nuvole sopra gli oceani. Ha a che fare con i brevetti chiesti da Intellectual Ventures (una società americana), che serviranno a d attenuare la forza degli uragani rimescolando le acque superficiali degli oceani con quelle profonde. Pg 147

L’Umanità si trova ad un bivio: o fare pace con la Terra o ci estingueremo portando con noi all’estinzione milioni di altre specie.  Pg 159

Dobbiamo gettare i semi della vera libertà nella nostra immaginazione e nel nostro quotidiano, nelle nostre azioni e nelle nostre molteplici relazioni. Dobbiamo evitare di ridurre tutto a materia grezza per fabbricare denaro.

Come diceva Ghandi, dobbiamo smetter di posizionarci sulla piramide, alla base o al vertice, ma dobbiamo porci al centro di un grande cerchio dove tutti sono elementi del grande cerchio oceanico, in questo modo chi si troverà nei cerchi esterni non schiaccerà chi sta all’interno, bensì gli trasferirà forza, e tutti ne trarranno beneficio.

Il sistema oggi vigente separa il produttore dal consumatore, che viene illuso dalla “convenienza” di bassi costi. Ma non si tiene conto dei costi altissimi che la società e la Terra stanno pagando. Il Consumismo è la dipendenza sociale dalla spazzatura che a sua volta continua ad alimentare la macchina del denaro delle Corporation. Pg 173

Marcello D’Acquarica

 
Di Antonio Mellone (del 06/07/2014 @ 21:43:08, in NohaBlog, linkato 3832 volte)

Se giungi a Galatina, nota città d’arte salentina, provenendo da Lecce attraverso la strada provinciale 362, sulla tua sinistra, ad un chilometro circa dal passaggio a livello, quasi a ridosso del distributore della Esso, trovi, pronta ad accoglierti a cancelli spalancati, una costruzione di pianta più o meno rettangolare, la cui struttura portante è costituita da un telaio mono-piano con pilastri prefabbricati in cemento armato, mentre il tetto, la cui architettura è costituita da travi metalliche e tralicci, è coperto da tegole di un bel colore rosso mattone (ovviamente in un materiale che non ha nulla a che vedere con la terracotta). Si tratta dell’inconfondibile sagoma dell’ex-supermercato della Lidl (un grande magazzino a chilometri zero, cioè tedesco) senza più nemmeno la sua bella tondeggiante insegna gialla dalle scritte rosse e blu.

Ogni volta che transito da quella strada (e questo succede almeno un paio di volte al dì) non mi vien mica da pensare alla cementificazione screanzata di un altro paio di ettari di campagna galatinese per la costruzione dell’ennesimo capannone con parcheggio in asfalto incorporato: no, assolutamente.

Invece il mio pensiero corre subito verso le due categorie concettuali di cui sono infarciti i presunti ragionamenti di molti nostri amministratori locali (alcuni reduci dal recente trionfo elettorale, altri un po’ meno) e cioè: a) il “volano per lo sviluppo” e b) le immarcescibili “ricadute occupazionali”.

Ora - a meno di una bella pausa di riflessione o di ferie sine die - sembra che quel supermercato sia prematuramente venuto a mancare all’affetto dei suoi cari. L’emporio Lidl, infatti, è geschlossen, closed, fermé, chiuso, tanto che non si vedono più le solite due o al massimo tre automobili parcheggiate nelle sue immediate adiacenze; l’interno dei locali sembra ormai desolatamente vuoto e spento; l’insegna divelta.

A dire il vero non ho atteso la chiusura di quel locale commerciale per pensare al poveretto che ha redatto il business-plan di questo “investimento”, e come e perché avesse mai potuto pensare, con questi chiari di luna, di riempire i carrelli e di far tintinnare le casse: l’avevo invece arguito sin dal primo momento, dacché, invero inorridito, avevo scorto delle ruspe pronte a sbancare quell’ultimo lembo di terreno galatinese per la preparazione del massetto in latero-cemento (mentre una prece, molto somigliante ad un requiem aeternam, affiorava sulle mie labbra nel contemplare la lungimiranza della nostra supposta classe politica – e sottolineo supposta - in merito alle sue allucinazioni di marketing che qualche illuminato osa pure definire “pianificazione territoriale”).

Vuoi vedere – ripetevo tra me e me - che i consumatori di Galatina e dintorni han deciso di attuare oggi una strategia di riduzione dei consumi, di restringimento di cinghie, di piani di accumulo denaro, di risparmio forzoso, perché non vedono l’ora poi di partecipare con il portafoglio pieno zeppo di euro a quell’apoteosi che sarà il taglio del nastro del novello mega-porco commerciale targato Pantacom in agro di Collemeto?

Probabilmente sarà così, visto che gli scienziati non smettono (ancor oggi) di sciorinare numeri e di infarcire i loro comunicati-stampa di “ricadute occupazionali” e di “volani per lo sviluppo”.

E per scienziati intendo la banda larga installata a palazzo Orsini.  

 
Antonio Mellone
 

Brano apparso su “Il Titano”, supplemento economico de “il Galatino”, n. 12 del 26 giugno 2014  

 

Alla vigilia del campionato europeo di calcio Euro 2016, che si terrà a Parigi nelle prossime settimane, 250 Youth Ambassadors di ONE hanno ricreato un enorme campo di calcio nel centro di Parigi per sottolineare che la povertà è sessista. Provenienti da varie parti d’Europa e Africa, chiedono ai grandi della terra di garantire a donne e ragazze la possibilità di giocare con gli stessi mezzi degli uomini e di ‘non lasciarle a bordo campo’. Fra gli attivisti italiani c’era anche Federica Anchora, 21 anni, originario di Galatina.

Un’enorme campo da calcio nel centro di Parigi

Mentre molti tifosi aspettano ansiosi l’inizio degli Europei di calcio, gli Youth Ambassadors di ONE hanno colto l’occasione per portare il loro messaggio al mondo – in contemporanea con il forum dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), che riuniva rappresentanti dei governi solo a qualche chilometro di distanza.

Rappresentano oltre 50 nazionalità e vengono da 7 paesi europei e dalla Nigeria: di bianco vestiti, i 250 giovani ambasciatori di ONE hanno ricreato un enorme campo da calcio - circa 700 metri quadrati – contornato da striscioni con il messaggio: “La povertà è sessista. Non lasciamo donne e bambine a bordo campo”.  Un recente rapporto pubblicato da ONE, Poverty is Sexist, mostra chiaramente che povertà e discriminazione di genere sono interconnessi. Oggi, 62 milioni di ragazze al mondo non ricevono un’educazione, in Africa tre adolescenti ogni quattro che hanno contratto l’HIV sono ragazze, e una donna in Sierra Leone ha un rischio 183 maggiore di una donna in Svizzera di morire durante il parto.

Ragazze e donne sono essenziali per rompere il ciclo intergenerazionale della povertà e investire su di loro aiuta tutta la società ad uscire più rapidamente dalla povertà.

Federica Anchora, una dei 40 Youth Ambassador italiani, ha dichiarato:

“Noi Youth Ambassadors abbiamo un messaggio per i politici: vogliamo azioni concrete per costruire un mondo migliore e con meno ingiustizie. Siamo andati a Parigi per incontrarli e portare il nostro messaggio di persona. La percentuale di persone che vive nella povertà estrema si è ridotta del 66% tra il 1990 e il 2012, in buona parte grazie alla cooperazione allo sviluppo. Siamo a buon punto, ma possiamo raggiungere l’obiettivo di eliminare la povertà estrema solo se i leader del mondo daranno priorità ad investimenti verso ragazze e donne”.

Gli Youth Ambassadors di ONE incontrano leader politici internazionali.

Dal 31 maggio al 2 giugno, 250 giovani ambasciatori di ONE, provenienti da oltre 50 nazionalità si sono incontrati a Parigi in parallelo al Forum annuale dell’OCSE per un summit dal tema: eliminare la povertà estrema.

Lo scorso anno, firmando gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, i grandi della terra hanno fatto l’ambiziosa promessa di eliminare la povertà estrema entro il 2030, ed è ora il momento di trasformare le promesse in azioni. Il Forum dell’OCSE ha visto la presenza di ministri e delegati da oltre 40 paesi per discutere questioni internazionali, come realizzare le promesse fatte lo scorso anno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Durante il Summit, Gli Youth Ambassadors di ONE hanno incontrato politici internazionali tra i quali: il Ministro degli Affari Esteri Francese, il Ministro per la Cooperazione allo Olandese e Sloveno e rappresentanti politici provenienti dall’Italia, Germania, Irlanda, Svezia, Svizzera e Australia. Infine, gli Youth Ambassadors hanno avuto la possibilità di incontrare il Segretario Generale dell’OCSE Angel Gurría e il Direttore della Comitato per la cooperazione allo sviluppo Erik Solheim, e Pascal Saint-Amans, Direttore per il Tax Center dell’OCSE.

Adrian Lovett, CEO di ONE ad interim, ha detto:

"Questa generazione può essere, ed infatti sarà la prima a vedere la fine della povertà estrema. Da Parigi a Lagos, passando attraverso Berlino, Roma, Bruxelles, L’Aia, Dublino e Londra la mobilitazione dei nostri giovani ambasciarori è enorme. I leader del mondo non possono ignorarla.”

Una grande opportunità nel 2016

Oltre alle promesse, gli Youth Ambassadors di ONE chiedono ai leader del mondo di agire. Una delle prime opportunità per dimostrare che è possibile eliminare la povertà estrema e le discriminazioni di genere è il rifinanziamento del Fondo Globale per la lotta contro l’AIDS, la tubercolosi e la malaria, previsto in Canada a Settembre.

Malattie legate all’AIDS sono attualmente la causa principale di morte per le donne tra 15 e 44 anni. Proteggere le ragazze e le donne da queste malattie mortali richiede un grande impegno da parte dei leader del mondo per rafforzare il supporto al Fondo Globale. Attualmente il Fondo Globale stima che oltre il 60% di investimenti sono indirizzati verso ragazze e donne.

Lovett aggiunge: “Gli Youth Ambassadors di ONE chiedono ai leader a Parigi di annunciare il prima possibile il loro supporto economico al Fondo Globale. Siamo felici che l’Italia organizzi una conferenza sul Fondo Globale il prossimo 27 Giugno e chiediamo al Primo Ministro Renzi di aumentare l’impegno dell’Italia ad almeno 200 milioni di euro per i prossimi 3 anni. Questo sarebbe un forte segnale dell’ambizione italiana e dell’impegno verso lo sviluppo internazionale, specialmente in vista della presidenza del G7 il prossimo anno.

 

Per ulteriori informazioni contattare:

Federica Anchora Tel. 3203316762 e e-mail anchorafederica@yahoo.it

In allegato: la Youth Ambassador Federica Anchora e l’azione di Parigi.

Note per il redattore:

Chi siamo

ONE è un’organizzazione sostenuta da oltre 7 milioni di membri che opera con campagne e attività di sensibilizzazione per combattere la povertà estrema e le malattie prevenibili, soprattutto in Africa. Apolitica, ONE mira a sensibilizzare l’opinione pubblica e a lavorare di concerto con i leader politici per combattere l’AIDS e le malattie prevenibili, aumentare gli investimenti per l’agricoltura e l’alimentazione e chiedere ai governi maggiore trasparenza nei programmi di lotta alla povertà. Per saperne di più: ONE.org.

Programma “Youth Ambassador”

Gli ambasciatori ONE sono un gruppo di giovani volontari estremamente motivati, selezionati tramite bando pubblico, che conducono attività di sensibilizzazione in tutta Europa per porre fine alla povertà estrema. Sollecitano un impegno concreto dei responsabili politici, lavorano con i mezzi di comunicazione per aumentare la visibilità delle campagne ONE e incoraggiano il pubblico a sostenere le petizioni e le altre azioni ONE con attività online ed eventi locali.

L’edizione di quest’anno rappresenta il programma più ambizioso sinora realizzato e prevede la partecipazione di 300 giovani ambasciatori di tutta Europa, di cui 40 italiani. Il gruppo del 2016 interverrà su nutrizione, HIV/AIDS, trasparenza, disparità di genere e aiuti internazionali, tutte tematiche di vitale importanza per l’eradicazione della povertà estrema entro il 2030.

 
Di Antonio Mellone (del 21/08/2021 @ 21:41:54, in Fetta di Mellone, linkato 2757 volte)

Ci ho dovuto riflettere alquanto prima di tagliare quest’n-esima fetta: infatti, nelle migliori scuole di giornalismo (che io non ho frequentato, ma so come va il mondo avendo fatto il militare a Cuneo, vabbè a Milano) dicono che la notizia non sia il cane che morde l’uomo, ma il contrario. Ergo questo pezzo sarebbe (stato) totalmente inutile in un contesto diverso, o per meglio dire normale.

È che però, nelle mie ricerche sull’archeologia nohana, non mi sembra di essermi mai imbattuto in una cerimonia solenne di tal fatta: pertanto, salvo sviste o omissioni, trovandomi nel campo, appunto, delle notizie, essendo questo avvenimento il primo nel suo genere, mi accingo a lasciare su questa pergamena (elettronica) quelle impressioni che, pur con i miei illimitati limiti, ho la presunzione di pensare contribuiscano a fare la Storia del mio paese, scritta finalmente in maiuscolo e d’ora in poi mai più di serie Zeta.

Ebbene, senza tirarla troppo per le lunghe, il primo di agosto scorso due ragazzi si sono uniti civilmente ovvero – preferisco questa seconda formula -  sono convolati a nozze: si tratta di Jerry Misciali di Noha e di Antonio Antonazzo di Parabita. Non me ne vorranno, gli sposi, se per questo passaggio utilizzo alcune immagini pescate dai loro profili social, quindi già pubbliche, e nemmeno gli autori delle rispettive foto, nei confronti dei quali mi dichiaro sin d’ora disponibile a citarne il nome quale giusto guiderdone al loro copyright.    

Nel titolo parlavo di fichi. Ma ci terrei a precisare che non v’è alcun riferimento alla botanica, dunque alle Moracee nelle centinaia delle loro varietà e ai relativi frutti eduli, freschi o essiccati; e men che meno al modo di dire “Fare le nozze coi fichi secchi”, pare coniato nel 1896 in occasione del matrimonio tra Vittorio Emanuele di Savoia e la principessa Elena del Montenegro per indicare le non proprio prosperose finanze dell’augusta consorte. Oltretutto, per la cronaca, i fichi di certe geografie rientrano nella categoria dei presidi slow food, vere e proprie eccellenze gastronomiche, e sembra ne fossero stati offerti in abbondanza, insieme ad altre leccornie s’intende, persino nel “rinfresco” reale seguito allo sposalizio di William e Kate.

Invece questa volta mi riferisco al concetto più popolare (magari gergale) di fico, allorché in maniera icastica vogliamo far riferimento a qualcosa o a qualcuno che risponda agli attributi di piacevole, accattivante, originale, sollecitandone al contempo approvazione, compiacimento e complimenti.

Sì, esclusivamente in questi termini dico che si è trattato di nozze coi fichi, a partire dagli sposi: ma non solo in quanto belli, eleganti, radiosi, manco un pelo delle loro barbe fuori posto (ma quanto si somigliano ‘sti carusi), e giacché pure ironici, e imbranati quanto basta come accade a quasi tutti i coniugi del pianeta nel giorno degli sponsali, ma soprattutto perché hanno saputo tener duro facendo comprendere a chiunque che non esiste una parte “sbagliata” della storia, e che spesso certe barriere architettoniche mentali (se non proprio culturali o addirittura intellettuali) son fatte di perbenismi puritani e adattamenti conformisti, quando non di ipocrisie apocalittiche. La verità, che brilla della sua stessa perspicuità, o è di carne o è ideologia di bassa lega: e sarebbe il caso che il potere ne prendesse atto una buona volta.

Non posso concludere queste note senza un cenno a quanto fichi siano (stati) i genitori dei coniugi, non tanto nell’aver superato brillantemente il groppo emotivo della giornata epocale, quanto per l’orgoglio e la dignità dimostrati nel rimanere accanto ai loro “bambini” in ogni attimo di questa bella realtà. Ma fichi, di più, fichissimi sono anche gli altri parenti (a partire dai più anziani, straordinariamente moderni e laici, per finire ai giovanissimi, testimoni e si spera protagonisti di cieli nuovi e terra nuova), e il resto degli invitati, senza tralasciare, in questa era di cibernetica, gli amici diciamo in Dad (incluso il sottoscritto), che non hanno lesinato sui like all’indirizzo dell’avvenimento, di chi l’ha pensato, voluto e raccomodato.

Sono certo che d’ora in poi “tracce” di unioni civili di tal natura saranno rinvenibili ovunque, oltre che negli archivi dello stato civile di ogni comune, anche nei registri parrocchiali locali e globali, in quelli delle moschee, delle sinagoghe, dei santuari shintoisti, insomma negli elenchi conservati nei templi di ogni religione.

Per di più, se Dio è amore non può non benedire legami sacri (e fichi) come quello di Jerry e Antonio.

Antonio Mellone

 
Di Redazione (del 31/03/2014 @ 21:41:34, in Comunicato Stampa, linkato 2203 volte)

La storia della Repubblica è nata con le stragi organizzate da chi doveva decidere chi mandare al governo.

Questa volta però non permetteremo di nuovo ai malefici poteri non più occulti, sebbene ancora mascherati, di organizzare attentati per mezzo degli idioti e vigliacchi mafiosi che poi finiscono in carcere dopo aver dettato papelli e stipulato contratti di cui periodicamente chiedono il rinnovo.

Scateneremo il finimondo prima che venga torto un solo capello a chi rappresenta il nostro vero Stato!        Si tratta di difendere il diritto alla vita non solo di quei Magistrati che sono in prima linea per fare luce sulle nefandezze del sistema stato-mafia, dei ragazzi che li scortano per uno stipendio da fame e senza neanche i vetri oscurati alle loro auto, senza il jammer che eviterebbe il boato ordinato da Riina, come quello di Capaci e Via D’Amelio,  ma anche di difendere il diritto di tutti noi a vivere e non più a sopravvivere.    Lo dobbiamo ai nostri morti che hanno vissuto sognando un Paese libero dal puzzo del compromesso mafioso e lo dobbiamo ai nostri figli che hanno diritto a respirare il fresco profumo di libertà di cui parlava Paolo Borsellino.

Ma soprattutto lo dobbiamo a noi stessi perchè siamo vivi e, per questo, non permetteremo altri morti.

BASTA FARE ANTIMAFIA SOLO COMMEMORANDO I MORTI

 CHE E’ FUNZIONALE AL SISTEMA CRIMINALE!

ONOREREMO LA MEMORIA DEI NOSTRI MORTI RIMANENDO ACCANTO AI VIVI!

NON E’ PIU’ TEMPO DI SUBIRE, SIAMO PRONTI AD AGIRE!

Per questo condividiamo l’appello di Salvatore Borsellino, che vi preghiamo di leggere fino in fondo, e invitiamo tutti a partecipare al presidio davanti alla Prefettura di Lecce che si terrà il 3 Aprile p.v. alle ore 18.00.

Anita Rossetti

MOV. AGENDE ROSSE – SOGNATORI RESISTENTI “R. FONTE E A. MONTINARO” –SALENTO

Evento fb: https://www.facebook.com/events/637527486319664/?ref_dashboard_filter=upcoming

Da SALVATORE BORSELLINO:

IERI NOTTE, APPENA DOPO LA PUBBLICAZIONE DI QUESTO POST, HO RICEVUTO UNA TELEFONATA DAL PREFETTO DI PALERMO: MI COMUNICAVA CHE IL MINISTRO ALFANO SI E’ DICHIARATO DISPONIBILE AD INCONTRARMI A ROMA IN UN GIORNO QUALSIASI DELLA PROSSIMA SETTIMANA.
IO MI SONO DICHIARATO NON DISPONIBILE.
COME DICO NEL TITOLO DEL POST LE PAROLE NON SERVONO, SERVONO I FATTI, E I FATTI SONO L’IMMEDIATA FORNITURA DEL BOMB JAMMERE ALLA SCORTA DI DI MATTEO, E NIENTE ALTRO.
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LE PAROLE NON SERVONO

Era il 3 dicembre 2013 quando il ministro Alfano chiese di ricevermi in privato, in presenza del prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo, in margine alla riunione del Comitato per l’Ordine e la Sicurezza, per assicurarmi, testualmente, che era stato reso disponibile per la scorta del magistrato Nino Di Matteo, destinatario della minacce di morte lanciate dal carcere di Totò Riina, l’uso del ‘bomb jammer’.
Con questo nome vengono chiamati dei dispositivi, di diversa sofisticazione tecnologica, complessità e potenza, in grado comunque di impedire l’uso di telecomandi quali quelli adoperati per innescare l’attivazione di cariche esplosive come quelle usate nelle staggi di Capaci e di Via D’Amelio per massacrare i magistrati Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino insieme alle loro scorte.
La stessa affermazione venne reiterata, qualche minuto dopo, a fronte di una precisa domanda posta da Giorgio Bongiovanni, direttore di Antimafia Duemila, nel corso della successiva conferenza stampa.
In realtà che queste assicurazioni non fossero veritiere lo appresi, alla fine della riunione del comitato, quando alcune delle persone che vi avevano partecipato mi dissero che le affermazioni fatte dal ministro in quel contesto erano sostanzialmente diverse nella sostanza. Era stato cioè comunicato che, prima di disporre l’adozione del dispositivo, sarebbe stato commissionato uno studio per valutare gli eventuali problemi causati dalle emissioni di onde radio da parte del dispositivo stesso nei confronti di quelle persone che si trovassero a passare nel suo raggio d’azione.
Dovettero passare quasi tre mesi prima che, attraverso indiscrezioni trapelate negli ambienti giornalistici, si venisse a sapere che, dai rapporti redatti da non meglio precisati ‘esperti’, era stata sconsigliata l’adozione del dispostivo perchè in grado di provocare non meglio precisati ‘danni’ ai portatori di pace maker ed alle donne in stato di gravidanza.
Il rapporto però sembra non contenesse alcuna indicazione sul modello e sulla casa costruttrice del dispositivo testato e questo costituirebbe già di per se un elemento che ne invaliderebbe completamente l’attendibilità, dato che di ‘bomb jammer’ come si può evincere da una semplice ricerca sulla rete, ne esistono e ne sono commercializzati svariate decine di modelli di diversa potenza e sofisticazione, con la possibilità anche di modularne la potenza e le bande di emissione, e tutti dovranno, prima di essere messi in commercio, essere sottoposti a prove e certificazioni per valutarne l’eventuale impatto nelle condizioni in cui devono essere adoperati.
Rimarchiamo poi che di possibili impatti sulla salute pubblica non si è mai avuta notizia in margine alla notizie dall’uso di questi dispositivi da parte di personalità pubbliche, italiane e no, come ad esempio in relazione alle visite di Capi di Stato, ad esempio quella recente del presidente Putin per il quale notizie giornalistiche riferivano della impossibilità di usare i cellulari a Roma nel raggio di 300 metri dalle strade percorse dal corteo presidenziale.
In quel caso nessuno aveva emanato disposizioni per tenere i portatori di pace maker e le donne incinte lontane dal corteo ma non si sono avute notizie di infarti o aborti causati dal passaggio di questo o di altri cortei di personalità pubbliche più o meno necessarie di protezione.
Lo stesso vale per l’ultimo conclave per quale le stesse notizie giornalistiche riportavano l’adozione di questi dispositivi per assicurare l’impossibilità di fare trapelare attraverso i telefoni cellulari premature indiscrezioni all’esterno ma che non hanno mai invece riportato notizie di possibili problemi paventati per prelati e cardinali spesso avanti negli anni e non sempre in floride condizioni di salute.
Tralasciando la facile anche se amara ironia su questioni che sono purtroppo maledettamente serie, devo invece riferire che oggi mi è giunta notizia del fatto che il prefetto di Palermo ha convocato alcuni esponenti della Scorta Civica di Palermo per affermare che è stato fatto tutto il possibile per la sicurezza del magistrato Di Matteo, ne è stata potenziata al livello massimo la scorta ma non è stata possibile, per motivi, appunto, di salute pubblica, l’adozione del bomb jammer.
Di questo sarebbe stato informato lo stesso Procuratore Generale, Dott. Roberto Scarpinato, che si sarebbe dichiarato soddisfatto dei provvedimenti adottati.
Io non so, perchè non l'ho personalmente sentito, se questo corrisponde al vero, ed anzi ne dubito fortemente, ma in ogni caso queste assicurazioni, queste parole, non ci bastano, non ci servono.
Noi vogliamo, pretendiamo fatti e i fatti dicono che si sta ancora una volta ripetendo la vergognosa sequenza di provvedimenti che potrebbero e dovrebbero essere presi immediatamente ed invece vengono procrastinati fino a quando non servono più. perchè intanto il peggio è avvenuto.
La storia si ripete, a qualcuno la storia non insegna nulla.
Il decreto per il divieto di sosta in via D’Amelio, pure se ripetutamente richiesto dalla scorta di Paolo, non era stato attuato, era atto lasciato in un cassetto.
Il giorno dopo la strage il prefetto e il questore di Palermo dissero che via D’Amelio non era considerato un obiettivo a rischio, ma a noi non interessa che dopo qualcuno si dimetta o venga destituito, che qualcuno paghi per la sua incapacità o la sua inefficienza.
Non ci interessa, non serve, che la scorta sia potenziata, sia portata a 10 a 20 uomini, significa soltanto far morire 10 o 20 uomini invece di cinque.
Basta con le parole, servono i fatti.
Serve che la scorta di Nino Di Matteo e degli altri magistrati in pericolo di vita sia immediatamente dotata di un bomb jammer di modello e sofisticazione adeguata ad impedire una ennesima strage.
Non ci serve che il ministro Alfano, preoccupato della ricaduta di possibili contestazioni sulle sue riunioni per la prossima competizioni elettorali, cerchi di rassicurarci con un’altra serie di parole se queste parole sono soltanto menzogne.
Il 12 aprile andremo a Roma a dimostrare la nostra solidarietà a questi magistrati fin davanti al Viminale e intanto il 3 Aprile andremo davanti alla sede delle prefetture di tutte le province italiane per ricordare ancora una volta ai rappresentanti di questo Stato dalla memoria troppo corta che il BOMB JAMMER DEVE ESSERE DATO PRIMA, NON DOPO UN POSSIBILE ATTENTATO.

 
Di Albino Campa (del 06/02/2012 @ 21:41:27, in Comunicato Stampa, linkato 2547 volte)

L'economista e filosofo ideatore dell “Decrescita felice”, Serge Latouche, sarà nel Salento nei prossimi giorni.

Quello della “decrescita felice” non è un discorso qualsiasi: è l’unica ipotesi sensata praticabile oggi per uscire dalla crisi economica (e soprattutto sociale) attuale e impostare la possibilità di evitare ai VOSTRI figli (io figli non ne ho) la catastrofe totale che è l’unico sbocco possibile, entro pochi decenni, dell’attuale impostazione basata sul consumismo/insoddisfazione/infelicità di massa.

A Lecce
Giovedì 9 febbraio 2012  h. 10.30  
UNIVERSITA’ - AULA SP2 - SPERIMENTALE TABACCHI via F.Calasso (presso Porta Napoli)
"Controsensi e controversie sulla decrescita. Oltre il mito dello sviluppo ed il fallimento dell'economia dei consumi"
 Partecipano:

Carlo Mileti, presidente Coop. Soc. Commercio Equo e Solidale, Lecce

Prof. Stefano Cristante, Presidente Corso di Laurea Scienze della Comunicazione – Università del Salento
 
A Corigliano
Venerdì 10 febbraio alle ore 18.00 presso la sala conferenze del Castello De Monti  in collaborazione con l'Amministrazione Comunale
 presentazione del nuovo saggio "Per un'abbondanza frugale" e confronto sulle politiche di decrescita per le piccole realtà locali.

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Scrive Latouche: «Siamo imbarcati su un bolide senza pilota, senza marcia indietro e senza freni, che sta andando a fracassarsi contro i limiti del pianeta.» Che fare, allora? «Dobbiamo aspirare ad un miglioramento della qualità della vita e non a una crescita illimitata del prodotto interno lordo (PIL).»   
E ancora: «Ci dicono che con la decrescita scenderà su di noi la tristezza di un’infinita quaresima. Non è vero niente. Invertire la corsa ai consumi è la cosa più allegra che ci sia!»

COOP. SOC. COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
infocell: 330-976464    sudsudlecce@email.it

 
Di P. Francesco D’Acquarica (del 13/10/2013 @ 21:40:10, in Cultura, linkato 3404 volte)

Nel 1973, esattamente 40 anni fa, veniva alla luce il volumetto “Storia di Noha” edito da “Grafiche  C.Borgia” di Casarano. E’ opportuno ricordare quell’evento, anche per verificare il cammino che si è fatto e non spegnere l’entusiasmo che aveva creato.

Ero da poco rientrato in Italia, dopo 5 anni di Missione in Canada, e per motivi di salute mi fermai a Noha oltre il previsto. Fu così che, tanto per passarmi il tempo, cominciai a curiosare nell'archivio parrocchiale di Noha. Trovai un libretto di una cinquantina di paginette intitolato: “L'Università e il Feudo di Noha - Documenti e Note” scritto da un certo prof. Gianferrante Tanzi, ed edito nel 1906 da Tipografia Cooperativa a Lecce. Questo scritto prezioso, essendo ovviamente fuori catalogo, non è facilmente reperibile.

Le mie ricerche su Noha partirono proprio da lì. Mi resi conto, leggiucchiando il libriccino del Tanzi, che Noha aveva avuto una storia molto antica e molto ricca di notizie, anche se quello che leggevo in quel libercolo a volte era vago e impreciso. Mi venne voglia perciò di fare ricerche più accurate.

Mi misi a intervistare testimoni qualificati e informati su alcune notizie e tradizioni di Noha. Cominciai a consultare anche altri documenti di storia locale, arrivai all'archivio vescovile di Nardò, di cui ab immemorabili Noha aveva fatto parte, consultai l'archivio di Stato di Lecce e la biblioteca comunale di Galatina. Negli spostamenti sovente mi guidava don Donato Mellone, in quel tempo Arciprete di Noha, a cui devo tanta gratitudine sia per la sua grande disponibilità ad accompagnarmi e sia per avermi permesso di consultare l'archivio della Parrocchia.

Dopo circa un anno di ricerche (1972-1973), per la prima volta davo alle stampe la prima edizione. Di Noha e della sua storia nessuno conosceva le antichità, nessuno ne parlava, nessuno sapeva, neanche a livello di istituzioni o di cosiddetta gente di cultura.

Il libro di appena 90 pagine fu stampato a Casarano dall’editrice Borgia; mi sovvenzionò la stampa un'amica dei Missionari della Consolata che avevo conosciuto durante la mia permanenza a Salve, un comune vicino Santa Maria di Leuca. Furono stampate 300 copie, arricchite da una mappa del paese che avevo fatto io stesso in maniera molto artigianale, senza essere né un tecnico né un geometra, tracciandone il disegno delle strade che percorrevo con la mia Bianchina. Anche le foto le avevo fatte io stesso in bianco e nero. Il volumetto fu messo in vendita a 1.000 Lire la copia e andò letteralmente a ruba, soprattutto perché l'avevo arricchito con una raccolta di proverbi dialettali e di alcune mie poesie in dialetto che suscitarono (finalmente) la curiosità dei nohani. Quell’edizione si esaurì in men che non si dica.

Pubblicato e venduto quel libro, le mie ricerche non finirono più. Per me era naturale continuare ad approfondire le ricerche su Noha (che, voglio dirlo con determinazione anche ai giovani, danno sempre grandi soddisfazioni).

Dopo 15 anni, scoperti nuovi documenti, nel 1989 chiesi al Sindaco di Galatina, che in quel tempo era l’On. Beniamino De Maria, se valeva la spesa stampare i miei aggiornamenti. Fu così che l’Amministrazione Comunale si prese cura del mio scritto, approvò e sovvenzionò completamente la stampa della nuova opera con 4 milioni di Lire. L’Editrice Salentina di Galatina stampò così la seconda edizione della mia “Storia” in mille copie, questa volta arricchita dalle foto in bianco nero dello studio fotografico Mirelfoto- Pignatelli di Noha, oltre che quelle del mio archivio.

Feci la “presentazione” della nuova edizione alla scuola media di Noha dove fu adottata come testo di cultura locale: l’edizione era più ampia della prima per i contenuti ma anche più elegante nella forma.

Intanto io continuavo le mie ricerche (le notizie sono come le ciliegie: una tira l’altra) e scoprivo altre notizie sempre molto interessanti. Trovai per esempio una relazione sullo stato della parrocchia da parte di Don Michele Alessandrelli, arciprete di Noha dal 1847 al 1882, che, in occasione della visita pastorale del Vescovo di Nardò, aveva compilato con molta precisione di particolari preziosissimi. Trovai anche una relazione ricchissima di informazioni del “primo” Vescovo di Nardò che ritenevo molto interessante.

Inoltre analizzando meglio tutti i documenti dell'archivio parrocchiale, che lessi e trascrissi in “file digitali” per scoprire i miei antenati (ho potuto costruire cos’ il mio albero genealogico fino al 1500), trovai notizie abbondanti sulla situazione sociale, religiosa, economica e politica della gente di Noha. Erano tutte notizie preziose che meritavano di essere pubblicate.

Erano passati trent’anni dalla prima edizione. La seconda edizione era ormai esaurita. Valeva la pena far conoscere al pubblico le notizie di cui ero venuto a conoscenza. Cercavo il modo di stampare una terza edizione, ma come tutti sanno, la difficoltà principale in questo settore dell’editoria locale era proprio quella di reperire i fondi, o comunque trovare un mecenate che si prendesse cura della cosa.

La mia destinazione a Galatina nel 2003 in qualità di parroco della Parrocchia Cuore Immacolato di Maria e l’incontro con il Dott. Antonio Mellone fu provvidenziale. Fu Antonio che venne a cercarmi in parrocchia per propormi di stampare i miei aggiornamenti con una nuova edizione elegante, bella, ricca, di lusso, direi anche spettacolare e impensabile e degna di stare nelle migliori biblioteche nazionali ed estere (come di fatto mi risulta essere) e nacque così il volume Noha, Storia, Arte, Leggenda. Grazie all’editore-mecenate, il compianto Michele Tarantino, l’edizione venne alla luce nel 2006. In quella occasione Michele ebbe a scrivere: “Questo libro è a tutti gli effetti un bene culturale, un dono, un regalo che ho voluto fare innanzitutto a me, ma anche a mia moglie, legata, come me, alla terra dei nostri genitori; e - consapevole del fatto che i buoni frutti nascono da alberi che hanno coscienza delle loro radici - ai miei figli, nati e cresciuti nell’Italia del Nord, affinchè conoscendo la Storia di quello sperduto paese di provincia che risponde al nome di Noha, imparino sempre più ad amare e a rispettare le loro stesse origini; ai miei conterranei salentini ed ai miei amici sparsi in ogni parte d’Italia, e a tutti quanti si degnino di leggere e consultare questo volume, perché, benché a volte mute, anche le piccole realtà locali possono essere importanti testimoni della Storia”.

Grazie Michele Tarantino per questo messaggio così caldo e sentito! Oggi anche tu sei una pagina bella della Storia di Noha.

Ma le mie ricerche sono sempre continuate (secondo quel saggio proverbio nohano secondo il quale: fino alla bara sempre s’impara). Oggi a 40 anni da quella prima edizione posseggo notizie e scoperte che quarant’anni fa erano impensabili e sconosciute a tutti. Tante sono state rese pubbliche sul nostro giornalino on-line l’“Osservatore Nohano” di felice memoria.

Ma a questo punto sarebbe opportuna una pubblicazione nuova “ordinata e completa” di come avevo immaginato che fosse la storia del mio paese, quando, esattamente quarant’anni fa, resi pubblica la mia prima edizione della “Storia di Noha”.

P. Francesco D’Acquarica

 
Di Antonio Mellone (del 19/06/2016 @ 21:39:51, in NohaBlog, linkato 17986 volte)

Sovente la lettura dei siti internet locali (la classica rassegnazione stampa) somiglia  ad una seduta spiritica in grado di svelarti misteri incredibili, tanto che a volte – come questa - ti viene da esclamare: “Perbacco, chi muore si rivede”.

In effetti sulle diverse testate (nel senso di capocciate) giornalistiche locali è apparso di recente un bel comunicatone stampa a firma del Comitato spintaneo Pro - Centro Commerciale (secondo uno dei siti di Galatina, di nuova e robusta costituzione), nel quale con tecniche di massaggio cardiaco e di respirazione bocca a bocca si cerca di rianimare il famoso mega-porco Pantacom.

E’ inutile provare a spiegare ai telescriventi comunicati che è pressoché impossibile portare in vita chi non è mai nato (Pantabort), ma tant’è. Evidentemente son convinti che una grande fede può far smuovere la Montagna (e cementificare la campagna).

Il comunicato continua con una serie di asserzioni che si commentano da sé, tipo che il ricorso al Consiglio di Stato da parte del Comune di Galatina avrebbe “di fatto [dato] il colpo di grazia al progetto ed allontanato quegli investitori che ancora guardavano con interesse a detto progetto e che ora, stante 'ennesima controversia tra le parti, volgeranno i loro interessi su altri insediamenti già pronti ad accoglierli a braccia aperte”. Ma de che? Ma di quali “investitori” blaterano? E quali sarebbero gli “altri insediamenti già pronti ad accoglierli”? E di quali “braccia aperte” farfugliano?

Se c’è una cosa buona e giusta promossa in tutti questi ultimi anni dalla Giunta Montagna è proprio questo benedetto ricorso alla giustizia amministrativa, ora al Consiglio di Stato, volto a smascherare l’inconsistenza patrimoniale, economico-finanziaria nonché commerciale di un progetto e di un promotore, come la Pantacom srl, incapace di fornire alcuno straccio di garanzia a ente e cittadini. Garanzia che non è di “un miliardo” come erroneamente riportato da uno dei siti consultati, ma di un milione di euro (ma sì, se mega deve essere la minchiata lo sia fino in fondo, e possibilmente a braccetto con la moltiplicazione dei pani e dei posti di lavoro, arrivati ultimamente a 200 tondi tondi). Codesta incapacità, la dedurrebbe anche un bambino alle elementari se gli si sottoponesse il bilancio della società pubblicato in Cerved. 

In un altro brano del comunicato si legge ancora: “Il comitato cercherà di promuovere una raccolta di firme […]”. Un’altra volta? Ma non ne aveva già raccolte  800 e passa, quelle famose degli altrettanti beati martiri di Collemeto? Non sono più valide quelle firme? No, non ditemi che sono scadute o che non si trovano più.

E infine una curiosità. Volevo chiedere ai collemetesi, se tutti, ma proprio tutti, all’unisono, senza se e senza ma, sono d’accordo con la condanna a morte della loro terra e della loro economia. E’ un dubbio che m’assilla ormai da tempo. Davvero non c’è una, dico una voce dissonante, una stecca nel coro osannante il mega-porco?

*

Tuttavia su di una cosa concordo appieno con il suddetto Comitato pro-porco. Il fatto che se la prenda giustamente con l’amministrazione comunale rea di non dire una volta per tutte chiaro e tondo quanto segue: “Cari concittadini, scusateci tanto: abbiamo fatto una cazzata a suo tempo nel deliberare pressoché all’unanimità un mega-porco commerciale che non ha né capo né coda.

Ci erano sfuggiti tutti i report e tutta la letteratura sul declino della grande distribuzione, sui licenziamenti a catena nei grandi centri commerciali, i negozi vuoti, la saturazione del territorio e la sovrapposizione dei bacini d’utenza (in effetti a meno di 20 minuti di auto da contrada Cascioni esistono due o tre mega-parchi simili), sulla struttura dei costi non comprimibili; per non parlare del consumo di suolo e dell’irreversibile scempio ambientale. Pensavamo ingenuamente che si trattasse di una calamita per le attività commerciali, per i consumatori e per l’occupazione, invece abbiamo capito (tardi, ma l’abbiamo capito) che si trattava invece di una calamità, con l’accento finale. Sì, signori, del porco non si butta via niente. Del mega-porco, a questo punto, tutto”.

Nell’attesa di un’operazione verità di questo genere, uno spettro continuerà ad aggirarsi imperterrito tra Galatina e Collemeto. E sarà ancora quello della Fantacom.

*

P.S. Siete stanchi di leggere tutte queste cose? Pure io, di scriverle.

Antonio Mellone

 
Di Antonio Mellone (del 25/10/2017 @ 21:38:43, in NohaBlog, linkato 1435 volte)

Che tristezza. Premesso che davvero non saprei chi possa fare più ribrezzo tra: A) i sindaci che, con il cappello in mano, pensano di trattare con TAP, il famoso tubo di ‘sto gas, per l’ottenimento di un qualche ristoro o compensazione o come cavolo vogliano chiamare la promessa di una mancia in cambio della loro accondiscendenza, e B) i sindaci (come il mio, per dire) che si guardano bene dal proferire verbo in un senso o nell’altro.

Roba da canto XXI e XXII dell’inferno, dal lato dei barattieri; e da canto III, sempre dell’Inferno, dal lato B, quello degli ignavi.

Dante Alighieri colloca, dunque, nell’Antinferno le anime tristi degli ignavi. I quali non son nemmeno degni di menzione. Vissero da vigliacchi, “sanza infamia e sanza lodo”. Incapaci di schierarsi, non lasciarono di loro fama alcuna nel mondo. Non osarono avere un’idea propria neanche per una volta, e la lor cieca vita è tanto bassa che sono invidiosi di ogni altra sorte. “Mai non fur vivi”, dice il Poeta, e certamente “a Dio spiacenti e a’ nemici sui”: indegni di meritare sia le gioie dei cieli (che non li vogliono “per non esser men belli”) che le pene dell’inferno (“ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli”).

Anche noi, insieme a Dante e a Virgilio, conveniamo nel lasciarli nella loro insipienza, senza perder ulteriore tempo a “ragionar di loro”.

*

E poi - visto che non ci facciamo mancare nulla nella fauna sindacale - abbiamo i barattieri, tipici dannati per sfruttamento di carica pubblica con finalità affatto diverse dal concetto di bene comune.

Sul Quotidiano di Caltagirone, per dire, l’altro giorno si gongolava finalmente per la rottura “del fronte del no a Tap” e magari “sull’opportunità di continuare l’interlocuzione sacrificando la contrarietà al gasdotto” [sic]. Si blaterava inoltre di “ristori per il Salento” [ecco: dopo i ristoranti, i ristori, ndr.], di “compensazioni rilanciate dalla società” [i famosi rilanci del baro, ndr.], e si ripeteva a pappagallo la salmodiante manfrina della Bellanova sugli “accordi internazionali da rispettare” [vale a dire quelli con la dittatura corrotta dell’Azerbaijan, ndr.], e, ovviamente, sulla “strategicità dell’opera” [l’opera è “strategica” a prescindere, per assioma insomma, ndr.]; infine, sempre su quei fogli, si divideva idealmente il fronte tra “l’apertura al dialogo” [che carini, ndr.] e “la chiusura completa” [sottintesa da parte dei sindaci stronzi, ndr.], senza scordare di far ripetere ai Primi Cittadini aperti alla trattativa [indovinate di che tipo di Trattativa stiamo parlando, ndr.] che “Tap si farà ad ogni costo” e che “l’opera sarà fatta comunque” [non li sfiora per niente l’idea che se solo volessero avrebbero il potere di bloccare questo e ben altri agghiaccianti orrori, ndr.].

Peccato che ogni compensazione (ovvero obolo, ristoro, eccetera) altro non è che un palliativo, una foglia di fico, fumo negli occhi. TAP, infatti, non è una Onlus o un ente di carità o un bancomat, ma una multinazionale del profitto, sicché le esternalità negative (o diseconomie esterne, come l’inquinamento, lo scempio ambientale, la distruzione del paesaggio, il cancro) provocate dalla sua presenza non potranno mai essere risarcite da alcun indennizzo, pena il fallimento dell’azienda stessa. Oltretutto l’eventuale elemosina finirebbe per essere la classica goccia in un oceano di merda.

Chissà perché nessuno, diverso dai NO-TAP, ha capito che la bellezza, la salute, la cultura, la coscienza e la dignità di un popolo non si barattano, né si prostituiscono o mercanteggiano per nessun importo e per nessuna ragione al mondo.         

Se il tutto non fosse grottesco, che dico: tragico, ci sarebbe addirittura da morir dal ridere al solo pensiero che i sindaci barattieri rimarranno con un pugno di mosche in mano. Guardate un po’, invece, quali sono le forme di compensazione cui la multinazionale starebbe pensando di concerto con non si sa chi (sono enumerate dal “giornalista” a pagina 10 del Quotidiano del 23/10/2017  - cfr. immagine allegata):

1) Più metano per le auto - per ridurre l’inquinamento da benzina e diesel [ergo per aumentare quello da gas, ndr.]; 2) Navi senza carburanti - un altro aiuto all’ambiente [evidentemente reintrodurranno le galere spinte completamente dalla forza dei remi, ndr.]; 3) Cicloturismo e nuove piste – dettagli da definire [soprattutto sul concetto di pista, ndr.]; 4) Più aiuti alla ricerca – contro la peste della Xylella [TAP, alias Trattamento Anti Peste, ndr.]; 5) Infrastrutture e logistica – per ridurre il gap infrastrutturale del Salento con il resto del Paese e d’Europa [Mind the gap, anzi Mind the tap, ndr.]; e infine, 6) Sfruttamento del ciclo del freddo - legato al gasdotto nell’industria dei surgelati [con particolar riferimento ai cervelli crioconservati, ndr.].

Cari signori, va bene. Ma c’è un limite a tutto. E si chiama presa per il culo.

Antonio Mellone

 
Di Redazione (del 30/05/2021 @ 21:38:23, in Comunicato Stampa, linkato 907 volte)

Ancora una volta enti, politici, associazioni si trovano contrapposti su temi importanti come ambiente, salute e lavoro discutendo delle autorizzazioni ambientali di Colacem Galatina.

I molti che non hanno responsabilità istituzionali scrivono comunicati con buoni propositi fatti di “vuote parole” che tutti potremmo sottoscrivere: la salute non sia ostaggio del lavoro; tutelare il lavoro senza dover pagare un tributo all’ambiente e altre cose scontate buone per una serata di miss Italia.
Gli enti istituzionali non perdono occasione per contraddire quello che essi stessi sino a poco prima hanno dichiarato.
Nel mezzo i cittadini di Galatina ma anche dei comuni limitrofi che disorientati non hanno idea di quale sia la reale situazione.
In questo clima di confusione in qualità di consigliere comunale del m5s, insieme al collega Michele De Paolis, ho richiesto di convocare la commissione consigliare permanente Ambiente in modo che in una sede istituzionale aperta a tutto il consiglio comunale, l’amministrazione possa in modo trasparente comunicare qual è la posizione che il Comune intende far valere nella conferenza dei servizi.

La vicenda è lunga, complessa e non priva di passaggi tortuosi.
Un momento “trasparenza” è d’obbligo, la richiesta di riunire la commissione consigliare Ambiente ha proprio lo scopo di informare tutta la cittadinanza su quello che sta succedendo e su quello che potrebbe ancora succedere soprattutto se non verranno adottate le scelte più saggie.
Provo a presentare i punti salienti per dare un’idea della complessità della “faccenda”.
Nel 2018 viene rinnovata l’AIA alla Colacem di Galatina. L’iter autorizzativo ha visto coinvolto come parte attiva l’attuale sindaco di Galatina, dott. Amante, il quale ha avuto in quella sede l’opportunità di esprimere tutte le criticità e concordare le soluzioni più appropriate.
Successivamente all’autorizzazione la Regione Puglia muove rilievi al rinnovo dell’AIA. Questa è già la prima stranezza, il rinnovo è stato concesso anche dietro il parere favorevole dell’ARPA Puglia che della Regione è emanazione.
Di fronte a questa “novità” amministrativa alcuni sindaci della provincia, tra cui quello di Galatina, decidono di promuovere un ricorso amministrativo. Questa è la seconda stranezza, non era passato molto tempo dall’autorizzazione concessa anche con il contributo del comune di Galatina che lo stesso Comune decide di adire alle vie legali: quasi a disconoscere l’iter autorizzativo in cui è stato parte attiva.
Il Tar accoglie il ricorso, da quindi “ragione” alla Regione Puglia e ai sindaci “accodati”. Il giudice amministrativo però fa “ultra petita”, una volta chiamato in causa dai ricorrenti provvede alla nomina dei periti d’ufficio (alcuni di questi già noti per essere CTU nel giudizio contro ex ILVA). La relazione dei periti invalida l’intero rinnovo autorizzativo di Colacem Galatina. A questo punto senza l’opposizione dell’azienda decadrebbero le autorizzazioni ambientali compromettendo le attività produttive con gravi conseguenze sui livelli occupazionali. Durante tutto questo vorticare di procedure amministrative, gli abitanti nei dintorni dell’azienda vedono comparire strani cartelli monitori che invitano ad usare particolari cautele ambientali. Per non citare le notizie di stampa che periodicamente riportano una situazione epidemiologica del territorio provinciale soggetto ad una anomala incidenza di malattie respiratorie.

Mi scuso per la ricostruzione sintetica e necessariamente incompleta ma è doverosa per far comprendere quanto sia fondamentale in questa fase adottare la massima TRASPARENZA.
La richiesta di convocare entro brevissimo la commissione ambiente è il passaggio che garantisce che le posizioni del Comune siano chiare e nette.
La cittadinanza ha il diritto di essere costantemente informata perché sull’ambiente, il lavoro e la salute NON si può delegare in bianco il proprio futuro.

Paolo PULLI

 

Bicivetta, associazione culturale galatinese di promozione della mobilità lenta, inaugura il programma di escursioni ciclistiche “In bici tra paesaggio e tradizioni”. L'inizativa si articolerà in quattro appuntamenti, distribuiti nei mesi di maggio e giugno, dedicati all'esplorazione a pedali del patrimonio storico e naturalistico di Galatina.

Il programma, che è stato presentato alla comunità galatinese lo scorso 14 maggio presso la libreria Fiordilibro, iniziarà il prossimo 22 maggio con un ciclotour geo-­‐botanico lungo 20 km, che attraverserà il paesaggio rurale ad ovest della città di Galatina, nelle località Latronica, Specchia di Mosco e Lovita. Si tratta di un paesaggio che manifesta suggestivi elementi arcaici, costituito da pascoli erbosi, macchia mediterranea, boscaglie di querce e oliveti. L'escursione sarà guidata da tre esperti, un botanico, una geologa e una guida turistica, e consentirà di scoprire alcune delle entità floristiche più interessanti presenti nel territorio galatinese, come la quercia vallonea e il lino delle fate piumoso; consentirà inoltre e di soffermarsi su particolari elementi geomorfologici e idrogeologici, quali la dolina di Specchia di Mosco, che ha un diametro di oltre 100 m, e un tratto del Torrente dell'Asso, che è il più lungo corso d'acqua della Provincia di Lecce.

Appuntamento, quindi, domenica 22 maggio alle ore 9:00 a Galatina, in Via Roma, nei pressi del ristorante “I due trappeti”, vicino all'ospedale. La partecipazione è ristretta ad un numero massimo di 25 persone; per questa ragione è obbligatorio iscriversi entro la sera del giorno precedente l'escursione. Per info e prenotazioni: spaziobicivetta@gmail.com, tel. 3299837662. Gli aggiornamenti sull'iniziativa saranno pubblicati sulla pagina Facebook “Spazio Bicivetta -­‐ Ciclofficina sociale”.

Per info, costi e prenotazioni:

spaziobicivetta@gmail.com;

Tel. 3299837662

 

Siccome parlare di certi argomenti con i diciamo rappresentanti del municipio di Galatina è fiato sprecato, mi rivolgo a voi, egregi esponenti degli altri Comuni invitati alla Conferenza dei Servizi convocata a Bari presso la Regione Puglia, una prima volta il 20 ottobre 2017, poi rimandata al 23, e definitivamente, pare, al 3 novembre prossimo venturo [diciamo in piena atmosfera da festa dei morti, anzi, meglio, di Halloween, cioè delle zucche vuote, ndr.] avente ad oggetto “richiesta di proroga [l’ennesima, ndr.] all’autorizzazione per la realizzazione di un’area commerciale integrata in località Cascioni”, per alcune raccomandazioni.

Si tratta, in parole povere, del famigerato Mega-porco commerciale Pantacom, rara opera di archeologia economica ancor prima del suo impianto [scusate se utilizzo il lemma “porco”: ma “parco” mi pare un po’ esagerato, essendo, quest’ultimo, un concetto legato più ad un’area alberata che ad una cementificata, ndr.].

Gentili Rappresentanti dei Comuni intorno a Galatina, convocati alla suddetta conferenza dei servizi, vi prego, nell’esclusivo interesse dei vostri rispettivi territori, di prendere buona nota degli appunti che seguono in merito allo scempio economico-ambiental-razionale che si vuol perpetrare intorno a voi.

 

1°) Chiedetevi innanzitutto chi è l’interlocutore, nella fattispecie la Pantacom srl, che ha in progetto un centro commerciale (l’ennesimo nel Salento) di 25 ettari da impiantare in contrada Cascioni, nei dintorni di Collemeto. Dando un’occhiata ad un prospetto Cerved (documento pubblico della Camera di Commercio, che per sommi capi evidenzia le caratteristiche delle imprese) si evince che Pantacom è una SRL, società a responsabilità limitata, costituita nel 2001, con un capitale sociale pari ad euro 35.000, avente quale oggetto sociale: “la progettazione, la costruzione, l’acquisto, la vendita, la gestione e la locazione attiva e passiva di centri commerciali […]”). Codesta Pantacom srl risulterebbe “Inattiva”. Come mai? Dimenticanza? Si è forse in attesa di particolari autorizzazioni per la “dichiarazione di inizio di attività”? Non si direbbe mica che sia in (dolce) attesa: tutt'altro. Osservando la frenesia con la quale si muove l’amministratore unico, evidentemente in contatto continuo con gli enti pubblici e i suoi emissari, l’azienda appare invece attiva, attivissima. Perché non lo è anche di diritto, oltre che di fatto?

 

2°) Il capitale sociale, come detto, risulta essere pari a 35.000 euro (dico trentacinquemila, non trentacinquemilionidieuro). Bene. Mi dite, per favore, come fa una società con questo patrimonio a portare avanti un progetto con investimenti di svariati milioni di euro? Dove prenderebbe i fondi per iniziare a sbancare i venticinque ettari di campagna da trasformare poi in decine di capannoni da adibire a centro commerciale? Dai soci, forse? Vale a dire dai componenti della famiglia Perrone (quella dell’ex-sindaco di Lecce)? O magari da finanziamenti di terzi? E se anche fosse, “basta la parola” di codesti fantomatici capitali provenienti da chissà dove per garantire i portatori di interessi diffusi (e non particolari), come quelli degli enti pubblici territoriali, espressione della sovranità popolare che voi rappresentate? Non servirebbero forse dei documenti più concreti dei semplici proclami, dei sentito dire, delle promesse con la mano sul cuore?

 

3°) Oltre al risibile importo del capitale sociale (inadeguato a tutto, finanche al saldo della parcella di un progettista), osserviamo che la società “inattiva” presenta per più anni, proprio perché inattiva, un fatturato pari a zero. E questo ci può stare. Un’azienda può anche esistere sulla carta, può pure essere inattiva, e può anche per più anni consecutivi non aver venduto nulla. Ma in questo caso nell’attivo dello stato patrimoniale, sempre per più anni consecutivi, lo zero assoluto la fa da padrone anche tra le rimanenze, tra le immobilizzazioni materiali e, giacché ci siamo, anche tra le attività finanziarie. Di terreni, nello stato patrimoniale della Pantacom, nemmeno l’ombra. Né risulterebbe, al di là della linea di bilancio, diciamo tra i conti d’ordine, nessuna opzione all’acquisto dei terreni interessati. Che questi diritti/impegni siano registrati fuori bilancio? Cominciamo bene. Alla luce dei pochi dati a nostra (a vostra) disposizione, non riuscite anche voi a inferire agevolmente quanto si sia di fronte a un’entità astratta, uno spirito, un fantasma (Fantacom, appunto)? Vi stanno cioè facendo conferire, cari rappresentanti delle istituzioni comunali invitate, non con dati reali, incontrovertibili, garantiti, ma con delle congetture, con delle ipotesi, con delle promesse, con delle supposizioni (anzi, supposte).

In base ai basilari principi di buona amministrazione, di precauzione, di diligenza, di interesse collettivo, vi chiedo: è sufficiente che una società qualsiasi, oltretutto “inattiva”, presenti “istanze urgenti” perché si convochi in tutta fretta un consiglio comunale, magari ad hoc, o sia invitata a una conferenza dei servizi, o altro consesso pubblico, per cose tipo: delibere, proroghe, istanze, compensazioni, eccetera? E fino a quando continueremo a perder soldi, tempo e denaro pubblico dietro queste pantomime (etimologia non casuale)? Magari fino a quando non si troverà qualche cinese disposto a comprare il pacchetto (anzi il pacco) preconfezionato? E se non ci fosse nessuno disposto ad acquistare il diciamo progetto, cosa facciamo? Continuiamo a concedere proroghe su proroghe sine fine dicentes?

 

4°) Che garanzie occupazionali una società così eterea, labile ed evanescente da più punti di vista (commerciale, patrimoniale e finanziario) può dare alla collettività? Come mai un’azienda come questa, pronta “a combattere la disoccupazione dando lavoro a 200 persone” [sic] (all’inizio la promessa era di 300 posti di lavoro [ri-sic]), non ha nemmeno un dipendente, nemmeno un ragioniere, un portantino, un commesso? Possiamo noi consolarci con la promessa di 200 nuovi posti di lavoro prossimi venturi, scritti sulla carta con inchiostro simpatico?

 

5°) Andando ancor più nel dettaglio, ci si chiede: ha senso dal punto di vista della politica economica di un comune un altro centro commerciale di grandi dimensioni come questo, quando a meno di dieci minuti di auto si trovano agevolmente il complesso Bricoman (Lecce), e a meno di un quarto d’ora i centri commerciali di Cavallino (a Est) e di Surbo (a Nord), e chissà quante altre formule facilmente raggiungibili nei dintorni, tra supermercati, discount, megastore, ipermercati e cash & carry?

6°) Quali utilità potrebbero vantare i vostri Comuni, il loro Pil, la vitalità dei vostri centri abitati, il piccolo e medio commercio intramoenia, il vostro bilancio pubblico, il benessere economico delle vostre popolazioni, eccetera, da questo ennesimo centro commerciale fuori-porta? E quali benefici potrebbe portare un eco-mostro di 25 ettari (oltretutto su di un terreno a medio rischio idro-geologico, con annesse rotatorie, viadotti, traffico, inquinamento e stravolgimento del paesaggio) nei paraggi del vostro territorio?

 

7°) Se non ci fossero danni all’ambiente e all’economia locali con l’installazione di questo centro commerciale [ma il discorso è valido per ogni “grande opera” sul territorio, ndr. ] come mai si parla sempre di “ristori” e di “compensi” ai comuni che ospitano queste strutture [posto che nelle casse dei vostri enti non entrerà il becco di un quattrino a titolo, appunto di “ristori” e “compensi”, nonostante la svendita (anche) del vostro territorio, ndr.]? E, in base a banali considerazioni di Economia Aziendale, può mai un “ristoro” o un “compenso” bilanciare la “diseconomia esterna” (o “esternalità”) provocata da un siffatto investimento aziendale? Non credete che se così fosse, saremmo di fronte a un principio (antieconomico, dunque assurdo) per il quale un’azienda rinuncerebbe all’idea di profitto (trasformandosi di fatto in una Onlus)? Vi pare plausibile una sciocchezza del genere? Il discorso varrebbe anche per TAP (altra storia).

 

8°) Come già detto altrove, svariati comuni italiani hanno bandito i centri commerciali dal loro ambito. Ultimamente perfino un’intera provincia, quella di Trento, al fine di “salvaguardare l’ambiente, ridurre il traffico veicolare, e rinnovare il metodo degli insediamenti commerciali sul territorio all’insegna della qualità e della valorizzazione dei piccoli esercizi”. Orbene. Cosa vi sembra più anacronistico: una scelta come quella della provincia di Trento, o non piuttosto quella di continuare ad aver fede nella Beata Cementificazione?

 

9°) Negli Stati Uniti il mito del centro commerciale è crollato da un pezzo (gli Stati Uniti anticipano generalmente la nostra socio-economia di circa un decennio). Secondo molti analisti nei prossimi anni chiuderanno addirittura 400 dei 1.100 centri commerciali statunitensi. Esiste un’inchiesta del New York Times che attesta che svariati Malls (centri commerciali) sono ormai alla stessa stregua di vere e proprie città-fantasma, deserte, vuote, fallite.

Bene. Con questi chiari di luna (e con queste luci in fondo al tunnel), vorreste voi continuare a credere alle allucinazioni di marketing di una società a responsabilità modesta, che vale quel che vale, per giunta “inattiva”, e giacché dar retta anche ai suoi supporter politici più o meno local, vale a dire agli asini volteggianti nell’aere?

 

Antonio Mellone

 

Bagno di folla, per il candidato sindaco di Galatina, Giampiero De Pascalis, e per la sua coalizione battezzata, proprio ieri, “Obiettivo 2022”, al primo incontro pubblico con la città, al Teatro Tartaro. Un incontro segnato da due passaggi fondamentali: il discorso del candidato e la firma dei rappresentanti dei partiti e delle liste civiche su un documento di “Impegno per la città, con la città”.

«Se sarò il sindaco di questa città, le aziende della mia famiglia non parteciperanno alle gare bandite dal Comune». Questa la premessa di De Pascalis e poi, con tono deciso e sguardo fisso alla traboccante platea: «Quindi non ho alcun conflitto d’interesse e la scelta di candidarmi è stata difficile anche per questo. La situazione economica non è facile, e non si rinuncia a cuor leggero a partecipare a gare pubbliche, ma Galatina sta morendo e ognuno deve mettere le proprie conoscenze a disposizione degli altri per tentare di far crescere al meglio la propria collettività ». Prima del suo discorso ha voluto che fosse proiettato un frame tratto da “Quinto Potere” per riprendere poi il sentimento di rabbia che traspare nel monologo clou del film e farlo proprio. Una rabbia per l’ospedale declassato, per il buco da 12 milioni di euro delle casse comunali, per i beni messi all’asta  «per le incaute scelte   di    chi    ci   ha    preceduto   e    ha    determinato questo dissesto», per il degrado del centro storico, per gli sprechi, per gli stipendi e gli incentivi «da grandi manager», per le frazioni con le strade piene di buche e Santa Barbara «la più dimenticata».

Non solo rabbia, ma anche le leve che azionerà se Galatina lo vorrà primo cittadino.

«La casa comunale – ha affermato – non può reggere in assenza di  programmazione, 

serve una spending review seria e non di facciata, serve un serio controllo sui centri di costo, è necessaria una costante formazione del personale dipendente per  migliorare le loro competenze. Non possiamo permetterci un sistema informatico  obsoleto, non permetterò sprechi energetici». E poi la chiusa: «Se sarò il vostro sindaco, non lasciateci soli».

Ufficio stampa del candidato sindaco

 

Correva il lontano Giugno 2023, esattamente il primo del mese, e il sindaco di Galatina divulgava urbi et orbi una sua intervista rilasciata a Telerama, dove asseriva che dal prossimo luglio e per tutto l’anno Galatina sarebbe diventata più che uno Spazio Aperto, un   grande spazio chiuso, un “cantiere” a detta del Sindaco, per la realizzazione di infrastrutture comunali e la riqualificazione della Città e frazioni mediante opere [e omissioni, diremmo noi] di valorizzazione mai viste “dal dopoguerra ai nostri giorni”. Si chiedeva, infine, pazienza ai cittadini per i disagi che ne sarebbero derivati. Ebbene, i lavori elencati comprendevano la pista ciclopedonale in V.le Carlo Albero dalla Chiesa al fine di garantire l’accorciamento delle distanze delle frazioni alla Città, il passaggio pedonale in Via Aradeo, per una maggiore sicurezza dei pedoni che da Noha si recano a piedi al Cimitero e la tanto famigerata iniziativa “buca stop”. A tal proposito ci sentiremmo quasi legittimati a cambiare il nome e i connotati proprio di quest’ultima, definendola “balle stop” con la consapevolezza, che fortunatamente non è solo la nostra, che sia giunto il momento di porre fine all’autocelebrazione con conseguente idealizzazione di sé, ponendo le basi per una concreta e visibile azione amministrativa che dia quantomeno soddisfazione agli elettori che hanno creduto al progetto di questa Amministrazione e che ad oggi si sentono traditi da una prassi inadeguata sotto tutti i punti di vista. Siamo al 21 di luglio, mancano esattamente dieci giorni alla fine del mese e ad oggi non c’è traccia di una misera transenna che segnali un anch’esso misero intervento di riqualifica. Gli unici transennamenti che continuano a fare bella mostra di sé sono gli stessi che impediscono il transito da Piazza Alighieri, per cui le auto sono costrette a defluire in Via Mazzini e strade attigue in condizioni di precarietà; tutto ciò frutto di uno scelerato esperimento che non porta a nulla se non ad aumentare i disagi degli automobilisti. Ma non basta: dopo l’ennesimo comunicato a firma del PD di Noha e una successiva interrogazione della Consigliera Tundo mediante cui si chiedevano delucidazioni in merito alla situazione della riqualificazione della Torre dell’Orologio di Noha, i primi di marzo l’Assessore ai LL.PP. Perrone unitamente al Consigliere Delegato Mandorino spiegano testualmente che “[…] acquisito già il progetto definitivo siamo in attesa del progetto esecutivo che permetterà agli uffici di affidare i lavori. Progetto esecutivo che […] dovrà pervenire entro il mese di luglio di quest’anno, dal momento che la regione ha stabilito che il comune beneficiario delle risorse è tenuto ad affidare i lavori entro il termine di dodici mesi.” Anche in merito a ciò siamo costretti a ribadire ancora il fatto che ci separano dalla fine di luglio solo dieci, interrogando ancora una volta questa amministrazione sugli aggiornamenti in merito; il rischio (speriamo non una certezza) è che quei finanziamenti possano andare perduti definitivamente così come successo in passato. È inutile dire quanto in realtà siamo allarmati da questa situazione di stallo, stanchi di vivere (o sopravvivere) in un contesto vuoto, riempito soltanto da note autocelebrative di risultati ottenuti da terzi, venduti come propri. Basti pensare allo SCAP, per cui la Regione Puglia da tempo aveva previsto questo servizio anche nel nostro Ospedale tramite delibera regionale di cui l’iter di accreditamento si era concluso nel mese di Aprile, venduto però come successo di una commissione (non a caso in minuscolo). Oramai nemmeno le iniziative ricreative, vero ed unico vessillo di questa Amministrazione, sono attribuibili alla medesima, basti pensare al gran numero di eventi pubblicizzati in questi ultimi giorni dal Comune, che in realtà sono autonomamente gestiti dalle varie associazioni, o il concerto dei Negramaro di cui questa Amministrazione si è assunto la paternità impropriamente e per giunta “dimenticandosi” di scrivere il prezzo del biglietto. È passato più di un anno, quanto occorre attendere altro per vedere concretezza e non orchestre di fiati (ultimamente anche stonati)?

 

Michele Scalese

Segretario Circolo PD - Noha

 
Di Anita Rossetti (del 22/09/2014 @ 21:36:18, in NohaBlog, linkato 2235 volte)

Il Salento è una terra ricca sotto tanti aspetti, la natura è il patrimonio di inestimabile valore di cui abbiamo la fortuna di godere ma che non tutti sono in grado di considerare come tale.

Non di meno i nostri centri storici che abbagliano chiunque con le loro testimonianze di gloriosa storia, di eccellenza in ogni settore, di cultura che ha radici antichissime.

Ma ciò che ci differenzia e ci distingue da altri territori di altrettanta bellezza è l’attivismo che negli ultimi anni è cresciuto in difesa dell’ambiente.

Che i giovani sentano il dovere, trasformato in passione, di tutelare la terra e la natura che ci circonda è certamente sintomo di vera crescita della collettività. Perché si può evolvere solo se in armonia con la natura, altrimenti si è destinati a soccombere.

Manca qualcosa, però, all’impegno quotidiano su mille fronti, dalla gravissima minaccia di eradicare gli olivi con la scusa della xylella alla decisione di sventrare le nostre coste con il gasdotto Tap, per non parlare di inquinamento da biomasse, coincenerimento rifiuti, cave che continuano a demolire il territorio e di cui chissà quante già utilizzate per lo smaltimento illecito di rifiuti, ecc… Manca una conoscenza anche storica di come certi misfatti si siano potuti compiere sotto gli occhi di tutti e, se prima la gente era completamente indifferente, adesso che non ce la fa più schiacciata anche dall’essere primi nella classifica nazione per alcune tipologie di tumore, adesso dicevo la gente è più disposta ad indignarsi.

Fino a che non si comprende che certe logiche speculative sono direttamente collegate alla corruzione e la corruzione non è altro che una manifestazione, attualmente quella più in voga, degli interessi mafiosi, sarà inutile sbraitare, non ce la faremo a fermarli. Abbiamo già visto come tutto passi in maniera assolutamente regolare e a norma di legge. Già, perché, soprattutto quando si tratta di grossi capitali, la corruzione è ad alti livelli e di esempi ne abbiamo tantissimi, dalla ricostruzione in Abruzzo all’Expo di Milano, allo scempio dei rifiuti interrati in Campania, come pure nel Salento…

Come si possono affrontare quindi certe battaglie se non si studia e si affronta il metodo mafioso che funziona davvero a tutti i livelli?

Noi potremo fare milioni di manifestazioni, qualche volta ottenendo anche dei minimi risultati, ma non riusciremo a garantire davvero la tutela dell’ambiente e del territorio se trascuriamo la madre di tutti gli scempi che ci sono stati perpetrati e che è alla base di ogni tipo di speculazione: la trattativa stato-mafia.

In ogni situazione speculativa infatti c’è sempre un “do ut des”! E se oggi non abbiamo strumenti efficaci per combatterle in quanto sono tutte a norma di legge, evidentemente il problema è da risolvere prioritariamente nelle sedi in cui vengono promulgate le norme che le autorizzano!

E non basta certo fare accordi preelettorali con chi andrà a governare, tanto sappiamo bene che non servono a nulla! Chi comanda sono le lobby, i gruppi di potere, la massoneria e le mafie che hanno sempre usato la politica per i loro scopi e, quando il governo rischiava di non essere completamente asservito, puntualmente sono arrivate le stragi.

Ecco perché il processo sulla trattativa stato-mafia che si svolge a Palermo è fondamentale per scardinare un sistema basato su ricatti ed estorsioni di provvedimenti atti a favorire il potente di turno! Ecco perché quel processo è tabù per tutti! E se ancora oggi c’è chi parla di “presunta trattativa”, c’è anche chi non potendola più negare ha deciso di giustificarla!

Agli amici con cui mi ritrovo in trincea quotidianamente vorrei dire: non sprechiamo le nostre intelligenze e capacità precludendoci di entrare nel merito della questione che origina tutti i nostri problemi, dagli inutili megaparchi commerciali alle numerosissime megastrade, dalla cementificazione selvaggia alle discariche senza controllo, dai resort ai campi da golf con cui vorrebbero sostituire la nostra meravigliosa campagna e così via…

Se riuscissero a fermare quel processo, e i tentativi sono davvero numerosi: dalle minacce di morte ai Pm del Pool e al testimone chiave, alle vessazioni subite da quei rari esempi di lealtà alla Costituzione che hanno dimostrato i carabinieri che hanno denunciato le irregolarità di cui sono stati testimoni, alla delegittimazione degli stessi, alle aggressioni mediatiche cui sono continuamente sottoposti, dicevo che se riuscissero a fermarli noi non avremmo speranza di farcela in nessun campo.

Non ho mai chiesto a nessuno di partecipare ad ipocrite commemorazioni di chi viene sbandierato come eroe, ma di cui poi si dimentica di continuare l’opera, da un’antimafia celebrativa che, per questo, rimane funzionale al sistema.

Al contrario, io non mi stancherò di invitarvi a prendere posizione per Nino Di Matteo ed il Pool di Palermo, Roberto scarpinato PG di Palermo, Massimo Ciancimino, il testimone grazie al quale è stato avviato il processo trattativa stato-mafia, Saverio Masi il Mar. dei CC che, oltre ai rischi che corre come caposcorta di Nino Di Matteo, è anche coraggioso e prezioso testimone sia del processo Mori-Obinu  che sulla trattativa stato-mafia.

Se davvero vogliamo fare qualcosa di buono e coerente con il nostro desiderio di salvaguardare la nostra bellissima terra, non possiamo esimerci dal metterci al fianco di chi sta lottando e rischia quotidianamente la vita per restituirci la libertà di scelta.

 Quella libertà che abbiamo perso pezzo dopo pezzo, strage dopo strage.

 
Anita Rossetti

Mov. Agende Rosse di Salvatore Borsellino

Gruppo “Sognatori Resistenti R. Fonte e A. Montinaro”

Salento
 
Di Mariano Lino (del 04/02/2018 @ 21:34:22, in Comunicato Stampa, linkato 1781 volte)

Bellissima ed emozionante giornata a Noha, onorati della presenza della Vice Ministra Teresa Bellanova del consigliere regionale Sergio Blasi, del Segretario provinciale del Partito Democratico del Sindaco Marcello Amante, dell'assessora Loredana Tundo, delle tantissime autorità politiche, dei tantissimi iscritti e simpatizzanti del Partito Democratico, si è svolta la cerimonia di intitolazione del locale circolo PD di Noha al compianto amico e compagno Giovanni De Benedetto.

Sono stati grandi momenti di emozione per la famiglia e in particolare della figlia Alice che come per in un passaggio ideale prende il testimone dalle mani del padre a guida del Partito Democratico di Noha.

Da noi un grande abbraccio e l'augurio di buon lavoro ad Alice avendo la sicurezza di avere una Guida sicura da lassù e il nostro indubitabile sostegno.

Lino Mariano

 

Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto
Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto
Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto
Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto
Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto
Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto
Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto
Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto
Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto
Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto
Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto
Intitolazione del circolo PD di Noha a Giovanni De Benedetto
 
Di Marcello D'Acquarica (del 19/02/2014 @ 21:32:29, in NohaBlog, linkato 2624 volte)

Le nostre case sono sempre frutto di una vita di sacrifici, e vederseli sfasciare (i sacrifici) da mega opere volute da politici che le propongono senza consultare i diretti interessati fa venire l’orticaria nei loro confronti. Ma tant’è che a subire il danno è sempre il solito pantalone.

Il fatto è che a volte si supera proprio il confine del buon senso e un cittadino si stufa anche di soffocare nel silenzio la rabbia per aver dato fiducia al politico di turno che, sia nel locale che nel nazionale, spesso non ha nemmeno le competenze. Vedi per esempio lo scempio del traffico di attraversamento di Noha, specie in via Giotto, dove purtroppo contiamo già due incidenti mortali nel giro di poco più di un anno; consideriamo poi i marciapiedi inagibili, le strade principali che si allagano ad ogni batter di pioggerellina, le case lesionate da scavi programmati senza alcun criterio, le esalazioni fognarie, per non parlare delle dubbie fumate color arcobaleno che fuoriescono dai camini del vicino cementificio e che da qualche tempo inquietano le notti dei cittadini (cfr. sul tema il seguente articolo http://www.tagpress.it/ambiente-territorio/un-esposto-contro-il-cementificio-colacem-di-galatina-da-parte-di-forum-ambiente-e-salute/).

Ma veniamo al dunque.

In una comunità cosiddetta democratica, le opere straordinarie prima di essere anche solo immaginate, dovrebbero essere condivise dagli attori di questa comunità, cioè gli abitanti.

Invece no. Vige la cattiva abitudine di imporre e vergare dall’alto i progetti, come fossero la panacea di tutti i mali, e conditi dalle immancabili “ricadute occupazionali” e “volani per lo sviluppo”. Uno degli ultimi più scandalosi esempi è il mega-parco commerciale in mezzo agli ulivi. Un nuovo centro commerciale giusto appunto in un’epoca in cui i consumi sono sottoterra.

Da quando esiste il punto di raccolta della fognatura nera, a Noha, e più precisamente in tutta la zona circostante lo scarico in fondo a via Calvario, gli abitanti - compresi quelli, come il sottoscritto, che in questo paese ci tornano (ironia della sorte) proprio per cambiare aria - devono tapparsi in casa per non vomitare l’anima prima del tempo, sperando in qualche giornata di tramontana che, per suo declino naturale, spinge i miasmi fuori dall’abitato. Per non parlare del neonato impianto fognario delle acque bianche, che, appena il termometro climatico sale oltre i 20 gradi e le piogge calano, diventa un ottimo diffusore di inebriante eau de fogne gratuita per tutti. Tutto questo grazie ai politici nostrani ed ai faccendieri del fare male le cose (“malaffare” c’est plus facile) che di tutto si prendono cura men che del benessere dei cittadini.

*

Gentile Assessore Roberta Forte, sorprende anche me, come molti, assistere a questo tuo inaspettato cambiamento di rotta: da primo difensore dell’ambiente, scesa in piazza contro ingiustizie e inquinamento, ed in nome della democrazia partecipata a fautore dell’oligarchia decisionista. Sei certa di fare bene ad accollarti l’arbitraria decisione di un’opera straordinaria come quella dell’impianto di compostaggio? Non credi sia logico presentare ai cittadini, e soprattutto ai residenti di tutta la zona nord e nord-est di Galatina, dove a quanto pare qualcuno ha deciso di costruire l’impianto, una straccio di progetto preliminare? Non sarebbe il caso di informare prima le persone sulla ragione per cui il sito debba essere lì piuttosto che in altri posti, magari più lontani dall’abitato? A quanto ammonta il costo di questa nuova fabbrica di pseudo-utilità? E come funzionerebbe? Quanti disagi provocherebbe per la movimentazione di traffico camionistico di ben tre comuni a ridosso dell’abitato? Come fermerete le esalazioni derivanti dall’attività, dei costi aggiunti, delle diseconomie, e di quant’altro? A cosa dobbiamo tanta frenesia improvvisa?

Oppure tu, da saggia amministratrice, hai deciso a priori che non ci sono altre soluzioni manco a pensarci, come quella per esempio di ragionare sull’abbattimento della produzione di spazzatura a monte e a valle del ciclo dei consumi? I rifiuti di quale parte del mondo dovrebbero poi essere gestiti in questo fantomatico sito per garantire questi “utili”?

Inutile chiederti se è la residenza a Galatina che ti impedisce di “respirare” l’aria di Noha, ma non pensi che il progetto per il compostaggio dei rifiuti organici di Galatina, Soleto e Sogliano, se non condiviso e ragionato, possa stravolgere negativamente anche la vita di una buona parte della cittadinanza Galatinese?

Non so, davvero, cosa pensare. L’unica cosa che mi vien da fare è iniziare, sin d’ora, a turarmi il naso.  

Marcello D’Acquarica
 
Di Antonio Mellone (del 15/10/2012 @ 21:31:34, in Ex edificio scolastico, linkato 3176 volte)

C’è pure chi s’è scocciato di leggere questi fastidiosi articoli che hanno per tema un problema irrisolto (quello della vecchia scuola elementare di Noha, ristrutturata ma anche no), piuttosto che nausearsi del fatto che sono stati spesi (finora indarno) unmilionetrecentomilaeuro per risistemare un “contenitore” di aria fritta. Anzi di aria calda e fredda, rispettivamente d’estate e d’inverno, visto che non funzionando l’aria condizionata per mancanza di energia elettrica, la vecchia scuola elementare di Noha, riportata al suo antico splendore – si fa per dire – si trova nello stato adatto per godere di quello che si definisce clima continentale. Sì, siamo fatti così, noi altri. Ci dà fastidio il tono, o il semitono, utilizzato nel vergare un articolo, ma senza entrare nel merito; guardiamo alla pagliuzza ma ci scordiamo della trave, non cogliendo il senso del dramma, dell’isolamento, dello  scoramento, della sciatteria di cui siamo vittime sacrificali. 
Se questo qualcuno, preferendo la rinuncia piuttosto che la denuncia, s’è rotto le scatole, lasci perdere, non legga punto questi ghirigori di parole al vento, e pensi ad altro, si concentri sul suo orticello, guardi pure le corbellerie televisive, e pensi al mondo che lo circonda solo quando a questo dovesse capitare di passare per caso dal tinello di casa sua.
C’è pure chi ci dice che siamo (oltretutto) sarcastici, senza indicarci esattamente dove e come. Noi non crediamo che i nostri interventi siano sarcastici: non è mai stata nostra intenzione “demolire gli altri”, ci mancherebbe altro (e se qualcuno si fosse sentito offeso, sappia questo qualcuno che non è mai stata nostra intenzione). Noi siamo alla ricerca di pietre da lanciare nello stagno (per smuovere le acque) e non abbiamo mai mirato alla testa di alcuno.
Ora vorremmo invece chiederci sommessamente: perché mai la libertà di espressione dovrebbe diventare libertà di applauso? Perché non criticare (per provocarne una reazione: che non arriva) anche chi si è sostenuto e si vorrebbe continuare a sostenere?
Qualcun altro ci ha anche saggiamente consigliato di “lasciarli lavorare” (gli addetti ai lavori, s’intende). Ma noi ne saremmo ben lieti, ci mancherebbe altro, se questi “tecnici” (a volte soltanto teorici) s’impegnassero solo un po’ di più, dandocene possibilmente l’impressione, o il semplice sentore.
In questo caso però ci sorge il dubbio che dietro il silenzio degli indecenti il nulla nulleggi. E poi questo benedetto “lasciateli lavorare” l’abbiamo sentito molte altre volte, soprattutto nella prima parte degli ultimi diciassette anni, allorché un cavaliere “mascarato”, sì, l’uomo della provvidenza, l’uomo del fare (che non ha mai voluto rendere conto del “come”), quello con i capelli disegnati, s’aggrappò al potere (e ad un paio di cosette di forma più o meno sferica) per farsi i fatti suoi. E ora noi, dopo questa bella e pluriennale esperienza, dovremmo ancora una volta atterrare l’occhio ed il muso, tacendo, per “lasciar lavorare” chi probabilmente non sa nemmeno da dove partire?
Si mettano l’anima in pace, politici e codazzi nostrani: noi non cadremo nell’errore di chi per “lasciar lavorare” chi non ne ha né intenzione né idee né voglia, si munisce di auto-bavaglio.
C’è chi dice che non ce ne vada bene una. Noi non sappiamo se ce ne vada bene (o meno) una o due o mille cose. Sta di fatto che non ci va proprio giù il fatto che si buttino al vento i nostri soldi, i soldi pubblici scarsi per definizione. Ci piacerebbe sapere se c’è qualcuno che invece sia contento del fatto che la scuola sia restaurata da circa un anno, ma rimanga chiusa per ferie (di cervelli). C’è forse qualcuno che si sia già rassegnato all’idea che quella scuola elementare di Noha non entri in funzione né ora né mai? O che ci entri pure, ma a ranghi ridotti, come se fosse figlia di un dio minore? Perché a Noha, in nome del pragmatismo, dobbiamo sempre accontentarci del second best anziché dell’optimum? Perché accontentarci come al solito delle cose fatte “così e così” anziché di quelle fatte a regola d’arte? Perché ripiegare, rinunciare per forza di cose all’obiettivo massimo ricorrendo ad espedienti, come quello dei 10 kwh anziché dei 50 dovuti? Di chi è la responsabilità di questo stato di fatto?
Bè, noi siamo abituati a chieder ragione delle cose, e non ci rassegniamo facilmente accettando tutto passivamente.
In mancanza di una stampa degna di quest’alta funzione, in mancanza di giornalisti dalla schiena dritta (ed in presenza, invece, di pseudo-giornalisti cerimonieri), noi continueremo a fare i cani da guardia attraverso quello che viene chiamato citizen journalism: che è quello che non deve “lasciar lavorare nessuno”, nel senso che deve pungolare tutti, restando sempre e comunque all’opposizione (graduata, si capisce, sulle caratteristiche dei governi locali o nazionali di turno), cercando di avere sempre un atteggiamento fiducioso, certamente, e tuttavia pur sempre guardingo, critico, e diffidente caso per caso.
Noi non taceremo, e ci dichiariamo sin d’ora pronti a cambiare opinione di fronte a fatti nuovi e, ci si augura, risolutivi.
Nel frattempo ci dicano pure che siamo dalla parte del torto (ma senza dimostrare chi sarebbe dalla parte della ragione o del diritto, e perchè). E ci diano pure degli anti-politici. Ce ne faremo una ragione.

Antonio Mellone

 
Di Fabrizio Vincenti (del 28/12/2015 @ 21:31:22, in NohaBlog, linkato 1792 volte)

In occasione della sospensione dei corsi di Teologia per le vacanze natalizie, l’ISSR di Verona organizzò un semplicissimo spettacolo di marionette. Quella sera non sapevo se assistervi o tornare a casa. Fuori una nebbia tetra incuteva paura tanto da convincere chiunque a rintanare. Decisi di rimanere. Entrai nella Sala Conferenze e vidi proiettata sulla parete in fondo quest’immagine, quella che vedi qui a lato. Non capivo cos’era, chi fossero tutte quelle persone. Poi mi ricordai: quello lì era un presepe, il presepe di don Lorenzo Milani. Non sto a raccontarvi chi fosse questo sacerdote. Vi dico soltanto che, per alcuni screzi avuti con il vescovo, fu mandato a fare il parroco di Barbiana, una piccolissima frazione sperduta in montagna del comune di Vicchio, in Toscana. Questo è ciò che fece, un presepe che durava tutto l’anno: una scuola. Era la scuola per i meno fortunati, per chi un’istruzione non se la poteva permettere. Lo vedete quel bambino seduto davanti alla stufa, lì nel centro? Era un bambino con seri problemi. Don Lorenzo lo metteva a sedere lì affinché lui, il più indifeso di tutti, fosse d’insegnamento per gli altri. Diceva che bisognava imparare da quelli più sfortunati di noi. Questa era la sua scuola. Questo era il suo Natale. Il Creatore diede a tutti il dono della parola, ma alcuni prepotenti avevano depredato i deboli di questa facoltà. Egli non fece altro che ridare la parola agli ultimi che, per colpa degli arroganti, l’avevano perduta. Il motto di don Lorenzo Milani divenne famoso. Egli convinse tutti che la cosa migliore era “I care”, una verbo inglese che in italiano tradurremmo con “Mi interessa”, “Mi sta a cuore”. Diceva che era in contrapposizione al fascista “Me ne frego!”.

Ora che siamo alla fine dell’anno, verremo sommersi da fiumi in piena di parole, discorsi preparati col fine di insufflare speranza, ostentare buoni propositi di cui dimenticarsene già il primo dell’anno. Tutti i presidenti terranno i loro soliloqui, altri si autocomplimenteranno per i risultati conseguiti. Alcuni si batteranno le mani da soli mentre altri si autocommisereranno. Non cercate di far parte di una di queste categorie. In questo caso siate felici di esserne esclusi. Il mio augurio per il nuovo anno è che vi possiate riprendere la parola poiché da troppo tempo ormai non parlate, non parliamo. Parlare non vuol dire criticare, essere disfattisti e piangersi addosso. Parlare non è essere icone del pessimismo, canti funebri di qualche prefica. La parola è diritto di riconoscersi uomini, individui attivi costituenti una comunità.

Questa forma di agnosticismo morale, che rende quasi impossibile prendere una decisione, non sia la causa che ci spinga a vivere la nostra vita “alla giornata”, senza sogni e senza ideali. Tutti abbiamo il diritto ad una esistenza migliore, e questo diritto è radicato nel diritto stesso alla parola. Nessuno vi fa parlare perché molti hanno paura di ciò che possiate dire. Fanno parlare sempre lo stesso perché, solo così, non c’è il pericolo della vostra rivalsa. C’è il renzi di turno che parla per voi. Non importa se voi non lo abbiate votato. Riprendiamoci la facoltà di poter distinguere nettamente ciò che è giusto da ciò che non lo è poiché, questo svilupparsi di un radicale secolarismo, ci toglierà del tutto la possibilità di pronunciarsi, dicendo che su qualcosa potremmo anche non essere d’accordo. Questo definitivo crollo di un tessuto valoriale comune non ci tolga anche il buon senso di stare dalla parte dei meno fortunati, dalla parte di chi è stato privato di tutto, della casa, del lavoro, dei figli, del riposo, della dignità di uomo. Questa forma di autoreferenzialità narcisistica non sia la nostra tomba. Non imponiamoci il pregiudizio “Io non cambio: se vuoi mi accetti così come sono”. Questa è la formula dei cretini, di chi per non sentire le critiche altrui, si tappa le orecchie e canta il ritornello del bla bla bla. Ritroviamo il coraggio della parola per dire che le corporazioni, nate per difendere gli interessi di un gruppo, hanno soppiantato gli interessi di chi non fa parte di alcuna corporazione o, magari, è in una corporazione più debole rispetto a qualcun’altra. I medici o i notai non possono avere più spazio nella platea rispetto agli sfrattati o ai disabili. Il capitalismo selvaggio che disturba oramai anche il nostro sonno, non diventi l’unico scopo di vita, l’unica ambizione del riccone di turno che sciupa i diritti altrui per potersi ancora permettere il suo scellerato tenore di vita. Chi si ostina ad accusare una crisi del sacro e non vede che quella, cominci col guardare prima a ciò che sta affrontando lui: una crisi di senso o di fondamento stesso dell’essere umano. Quest’ultime, infatti, hanno effetti devastanti più del crollo della sensibilità spirituale. Lo stato di disagio esistenziale in cui viviamo oggi non è semplicemente la mancanza di morale o l’assenza di un’etica condivisa. Ciò che è in crisi è quello che da sempre ci ha contraddistinto nei periodi migliori della storia dell’umanità: il senso della carità. Non è semplicemente una questione di umanesimo, non siamo chiamati ad essere filantropi mandando un messaggino al 45… ,o a donare un pacco di pasta al banco alimentare a favore dei poveri. Il senso del nostro essere è riconoscere sempre e comunque in chi ci sta affianco il nostro prossimo, l’oggetto amorevole di tutta quanta la nostra attenzione. Questo è ciò che salva da una crisi economica ed esistenziale, l’amore incondizionato per l’altro. Se fosse questo l’ingranaggio a muovere la macchina della società per il nuovo anno, tu saresti a tua volta salvato proprio come il prossimo che tu aiuti poiché, a tua volta, verresti considerato prossimo anche tu. Non è la legge di stabilità che ci salverà dalla crisi o darà un senso alla nostra vita. Non ci salverà questo o quel governo, la no tax area, il bonus bebè, gli ottanta euro al mese o i cinquecento euro ai diciottenni per assistere ad uno spettacolo. Queste sono fandonie, fiabe raccontate prima di mandarci a dormire. L’unica cosa che salverà le nostre vite, oltre ad essere Dio (per chi crede), sarà il senso di carità per il prossimo che sapremo coltivare nel nostro cuore. Noha è il mio piccolo termometro per misurare la temperatura del mondo in cui viviamo. In fondo, in quel presepe di don Milani, potresti essere proprio tu quel bambino seduto lì al centro, davanti alla stufa.

Fabrizio Vincenti

 
Di Redazione (del 06/09/2017 @ 21:30:55, in Comunicato Stampa, linkato 1555 volte)

Si terrà a Galatina, nel Chiostro dei Domenicani, presso il  Palazzo della Cultura, il giorno venerdì 8 settembre, alle ore 20, la seconda tappa della Staffetta della Responsabilità. Incontro/dibattito di carattere storico e culturale per la comunità galatinese e salentina in generale, dal titolo: "Una donna, un uomo: un impegno comune".

L’iniziativa è incentrata sulla figura di Palmina De Maria ed il rapporto con il fratello Beniamino, entrambe figure fondamentali della politica galatinese e forse, primo storico e simbolico esempio di stretta collaborazione e vicendevole passaggio del testimone tra donna e uomo nei processi decisionali delle Istituzioni.

Tra gli esempi più importanti di tale collaborazione, la realizzazione e la direzione dell'Ospedale Santa Caterina Novella.

La serata sarà aperta dai saluti del Sindaco di Galatina, Marcello Amante, e da quelli del Vicesindaco e Assessore alle Pari Opportunità, Maria Rosaria Giaccari.

L’incontro proseguirà con l'intervento dell'Assessore all'industria turistica e culturale della Regione Puglia Loredana Capone e con i ricordi del Senatore Giorgio de Giuseppe, storico della prima repubblica ed amico fraterno della famiglia De Maria.

Leggerà alcune lettere di Beniamino De Maria alla sorella, la giovane attrice Sofia Palmieri. 

Coordinerà l'incontro, il giornalista Rossano Marra. 

Intermezzo musicale della violinista Katerina Maci. 

Partner dell'iniziativa: Inondazioni.it, Rete dei centri antiviolenza SanFra, Associazione Donne a Sud, Associazione Metoxè, Associazione Core De Villani.

 
Di Redazione (del 06/02/2014 @ 21:29:18, in Cronaca, linkato 2738 volte)

Se l'è cavata con un grande spavento ma l'incidente di cui, ieri, è stata vittima poteva costarle molto caro. Erano circa le ore 14:30 e B. C., nohana di 29 anni, stava percorrendo, a bordo della sua auto la ex-strada provinciale 362 in direzione di Lecce. I lavori in corso per il rifacimento della fognatura la costringevano ad avanzare su un vero e proprio percorso di guerra costituito dal manto stradale dissestato. L'unica striscia che ha ancora una parvenza di asfalto è sulla corsia opposta. La ragazza, a quanto sembra, all'altezza del km 13,7, non sarebbe riuscita ad evitare una buca più grande delle altre. Avrebbe, allora, perso il controllo dell'auto che si è capovolta, probabilmente almeno una volta, per poi fermarsi sul fianco sinistro.
Gli automobilisti di passaggio hanno chiamato immediatamente il 118 che è partito in codice rosso. Sono stati avvertiti anche i Vigili del Fuoco di Maglie perché sembrava che la giovane guidatrice fosse esanime e dovesse essere estratta dalle lamiere dell'auto. Per fortuna la ventinovenne si è ripresa dallo choc ed è riuscita ad uscire dal lunotto posteriore. I sanitari del 118 di Galatina l'hanno soccorsa e, per precauzione, l'hanno trasportata al 'Santa Caterina Novella'.
Le sue condizioni, comunque, non destavano preoccupazione. Sul posto sono intervenuti per i rilievi i Vigili Urbani e i Carabinieri di Soleto. Il traffico è rimasto bloccato solo per una mezzora per consentire al carro attrezzi di rimuovere dalla strada il mezzo incidentato.

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