Immaginiamoci turisti che visitano on line l’antica cittadina di Noha secondo un itinerario che ci permetta di conoscere le sue antichità e le sue bellezze artistiche.
1°- S.Totaru.
Arriviamo alla Noha di oggi da Galatina percorrendo Via Carlo Alberto Dalla Chiesa e poi Via Donatello. Anticamente questa era un tracciato di strada commerciale importante, chiamata “Strada Reale di Puglia” che per secoli, dai Messapi fino a tre secoli fa, ha svolto la sua funzione per il traffico e il commercio da Nord a Sud, unendo il mare Adriatico al mare Ionio, passando da Noha.
Già prima ancora di arrivare nell’abitato, guardando alla nostra destra, colpisce lo sguardo il fabbricato dell’antica masseria Colabaldi, o meglio ancora uno strano finestrino a forma di croce greca sulla parete destra. E’ il segno più visibile che siamo in presenza di un luogo sacro, per secoli utilizzato come stalla.
Si tratta della Chiesa di S.Teodoro, costruita dai Monaci Basiliani verso l’anno 840 della nostra era, e testimoniata sicuramente fino alla Visita Pastorale della Diocesi di Nardò del 1452.
Entriamo dentro. Notiamo subito la struttura dell’entrata con arco solenne che di certo non fa pensare ad una stalla. La facciata un tempo (prima della costruzione della Masseria: anno 1595) era rivolta verso Sud e cioè verso Noha. Entrati, ci rivoltiamo indietro per rivedere l’entrata che abbiamo varcato, e ancora di più appare la solennità dell’arcata della porta anche dall’interno. Il pavimento (almeno quel che resta del pavimento) è il segno evidente che nel suo passato è stato pavimento di una chiesa. Non ci sono affreschi o altri segni sacri, ed è comprensibile, perché i secoli trascorsi, la sua funzione di stalla e sicuramente anche l’invasione dei Turchi dopo il 1480, hanno cancellato tutto.
Accanto alla chiesetta vi è il Conventino dei Basiliani, il Convento di S.Teodoro appunto, con la facciata verso Sud, come la chiesetta.
Dentro si possono ancora vedere il residuo di ciò che erano state le due cellette per i monaci. In questo convento non vi era una grande comunità, ma come u-savano i Basiliani, la presenza di due frati era sufficiente per svolgere la loro missione religiosa e di civiltà.
La struttura architettonica di grandi arcate ci fa pensare al convento. Del resto anche la tradizione (quello che raccontano gli anziani del paese) conferma che qui c’era un convento basiliano, di Santu Totaru appunto. L’angolo più a nord dell’attuale masseria è costituito da mura spesse due metri: con molta probabilità prima del convento doveva essere una torre di presidio romano a controllo sulla famosa strada commerciale.
2° - La Masseria Colabaldi
La Masseria Colabaldi, come dice la data incisa sull’entrata principale, è del 1595.
Verso il 1500 in seguito alla fiorente crescita di Galatina, i Conti umbro toscani Nicola e Cosimo (o Geronimo) Baldi, di 60 e 65 anni, re-sidenti da circa un trentennio a Galatina, fecero costruire il Palazzo Baldi. Il loro ingente patrimonio era stimato in 8.000 ducati.
Sappiamo per certo che il conte Nicola Baldi acquistò quello che restava della proprietà dei Basiliani e fece co-struire la masseria inglobandovi quello che era rimasto dopo l’invasione turca del 1480 della chiesetta e il convento S.Totaru.
Sull’arcata del portone principale è ben evidente lo stemma del conte Nicola Baldi. Da quella data fino ai nostri giorni la struttura ha sempre avuto funzione di masseria.
Piccola sintesi
Dal mille a.c. fino al 300 a.c. Noha messapica chiamata Noe o Noje o Noie(si estende nella pianura in basso a sinistra della masseria per l’estensione di alcuni chilometri)
Dal 300 a.c. fino al 500 d.C. Noe romana (idem)
Tracciato di strada commerciale.
Punto di controllo da parte dei Romani (v. prima parte del fabbricato masseria)
410 - 500 invasione dei Vandali che distruggono tutto
Dopo il 500 d.c. Noha (chiamandosi Domus Novae) rinasce sul promontorio carsico attuale.
Nell’800 d.c. arrivano e si stabiliscono i Basiliani costruendo convento e chiesetta S.Totaru
Verso l’anno mille i Monaci basiliani se ne vanno perché nella Diocesi di Nardò avevano preso piede i Benedettini e anche perché Roma premeva che la liturgia fosse in latino e non in greco.
1480 I turchi invadono e distruggono. Noha rimane piccola e difesa solo dalla torre del Castello, perché passa la strada reale di Puglia
Nel 1595 il tutto diventa la Masseria Colabaldi.
I padroni della Masseria Colabaldi:
Dopo i Padri Basiliani la proprietà fu della Chiesa di Noha, poi divenne proprietaria:
Dal 1500-1600 la Famiglia Baldi
Dal 1600-1700 la Famiglia Gorgoni
Dal 1700-1800 la Famiglia Dolce
Dal 1800-1860 la Famiglia Galluccio
Famiglie contadine che hanno dimorato
nella Masseria:
1600-1700 Fam.Donno Paschale di Corigliano
1700-1720 Fam.Lattanzio di Corigliano
1730-1740 Fam.Marra Donato e Villani Giovanna di Corigliano
1740-1800 Fam.Melone Antonio e Mele Saveria di Galatina
1800-1810 Fam.Fonzeca Pasquale e Zazà Antonia di Corigliano
1810-2000 Fam.Bianco Ippazio
3° - Il Menhir di Noha
Scendiamo ora in basso nel campo a sinistra di fronte la masseria. Il terreno è pieno di cocci di terracotta lavorati, che fanno pensare ad un grosso centro abitato e poi distrutto o raso al suolo, oppure alla presenza di una fornace in loco per la lavorazione della ceramica. In questo campo è stata trovata una grossa pietra leccese. E’ di forma rettangolare lunga 1,70 x 0,20 x 0,40. La parte visibile presenta molti buchi misteriosi. A lato c’è anche una scritta in caratteri greci.
Le lettere leggibili sono ...EPQYA NNA, ma sono leggibili (e forse è più corretto) anche da destra a sinistra. Da una parte si possono leggere alcuni numeri, forse una data: 1146.
Che cosa significa quella scritta ? A che cosa si riferisce quella data ? Per il momento non si sa.
4° - Le tombe messapiche
Ora si possono vedere solo i residui dei loculi di quelle tombe scoperte per caso nel 1954 quando si stava asfaltando la strada Galatina-Noha.
Tra il 1954 e il 1957 a Noha furono eseguiti degli scavi casuali per asfaltare la strada Noha-Galatina e per costruire alcune abitazioni. In quella circostanza, esattamente al-l'entrata dell'attuale paese, venendo da Galatina a ridosso dello stabilimento di Galuccio detto una volta "La Salpa", furono scoperte alcune tombe poste alla profondità di m.0,40 di forma trapezoidale, orientate da Est a Ovest. Tuttora si possono vedere i residui dei loculi. Nell'interno di qualcuna furono rinvenuti oggetti in ceramica o terracotta.
5° - Le casiceddhre
Le Casiceddhre sono costruzioni in miniatura in pietra leccese di una certa importanza artistica che si trovano a Noha all’inizio di Via Castello a destra di chi guarda venendo da Galatina, sulla terrazza dell’immobile che una volta si chiamava la masseria della corte.
I piccoli edifici sembrano riprodurre dei palazzi seicenteschi. Ricchi di dettagli e particolari architettonici (capitelli, volte a stella, volte a cro-ce, scalinate perfette), sono stati ritenuti interessanti e di sorprendente rarità da quegli studiosi e tecnici che hanno a-vuto la possibilità di visionarli.
Pulendo la parete dai rami di pino che in parte nascondevano quel manufatto, è apparsa in chiare lettere la firma dell’autore, il “MAESTRO MARIANO COSIMO”: così si legge sull’architrave del primo edificio. Sicuramente “Maestro” sta per la traduzione italiana del volgare “Mesciu”.
Il nostro artista(1882-1924) era figlio di Mariano Antonio e Dolorosa Paglialunga e nasce a Noha nel 1882. Ma dopo alcuni anni, il padre, rimasto vedovo, si risposa con Palma Romano. In questa famiglia ricostituita Cosimo si ritroverà con altri due fratelli e una sorella: Salvatore, detto u Totu nato nel 1896 e morto durante la prima guerra mondiale, Tommaso, detto Masi, nato nel 1897, lui pure morto in guerra nel 1918 e la sorella Rosaria, detta la Saia, nata nel 1903.
I genitori di Cosimo erano “massari” presso la masseria della Corte e abitavano esattamente nei locali dell’edificio sotto le casiceddhre. Cosimo, di professione era agricoltore, come i genitori, ma era capace di fare di tutto e aveva le mani d’oro, come si suol dire. Sulle pareti della stanza dove abitava la famiglia Cosimo ha lasciato dei disegni geometrici che riproducono in maniera schematica i lineamenti delle casiceddhre, come se Cosimo avesse voluto fare dei provini. Sicuramente con l’esperienza e forse anche con un po’ di istruzione ebbe modo di perfezionare il suo talento di artista. Si dice che Cosimo sia stato anche il costruttore dell’altare maggiore della Chiesa di S.Michele, demolito nel 1970.
6° - Il frantoio ipogeo
Si trova proprio di fronte al palazzo baronale: è stato scoperto nel 1994 in occasione dello scavo per l’impianto di metanizzazione.
Al trappeto sotterraneo, al lavoro durissimo che vi si svolgeva in condizioni insostenibili, ai suoi operatori, i "trappitari", l' "ani-chirio", la "ciuccia", è legata gran parte della produzione poetica popolare in lingua dialettale del Salento. Un detto di Noha per esempio diceva: t’hai combinatu comu nu thrappitaru, per dire che uno si è veramente molto insudiciato.
I vecchi frantoi ipogei conservano, in modo estremamente distinto, i segni della forte e paziente mano dell'uomo e posseggono una "spazialità" propria degli edifici religiosi, fatta di penombre e di silenzio.
Il frantoio, durante il periodo in cui era in attività, rappresentava tutto per coloro che vi lavoravano: la casa, la famiglia, la chiesa. Da qui il detto "lu thrappitu è chiesa" (il trappeto è chiesa).
Questi uomini si recavano nelle loro dimore solo per la festa dell'Immacolata, per Natale e per Ca-podanno.
Il conferimento delle olive al trappeto, per la loro macinatura avveniva dalla strada, dove attraverso le "Sciave", sorta di ca-mini scavati nella pietra che collegavano la strada al frantoio, le olive venivano buttate nell'interno del frantoio stesso in attesa della loro lavorazione.
Illuminava l’oscurità la lucerna, simbolo della vita intima e familiare; sin da tempi antichissimi, con la sua tenue fiammella è stata la compagna degli spiriti solitari.
Si viveva sobriamente, senza troppe fantasie, si accudivano i poderi, si aspettava con santa pazienza la ricolta delle ulive. E quando questa era buona, con che letizia s'udiva, durante l'inverno, squillare la campanella della mula girante intorno alla macina, e risuonare il grido dei trappetari.
Sì, il frantoio ipogeo esi-ste ancora a Noha, anche se in stato di totale abbandono e chiuso al pubblico. Si potrebbe pensare di recuperarlo per farlo rientrare in un itinerario turistico reale che varrebbe la spesa creare oggi anche a Noha. E’ costituito da ampie sale, da un corridoio stretto e piccolo che fa da tratto di unione con un altro frantoio.
La sua origine potrebbe risalire ai tempi dei monaci basiliani, perché sono questi monaci che hanno introdotto la coltivazione dell’ulivo nel Salento. Sicuramente a Noha nasce con la costruzione del Castello, verso la fine del 1400, con i Baroni della famiglia De Noha.
Il lavoro nel trappeto iniziava nel mese di ottobre e terminava a fine aprile.
Nel frantoio vivevano insieme, per tutto il tempo della lavorazione delle ulive, uomini ed animali ed in esso erano presenti per questo, oltre agli ambienti destinati al deposito delle ulive ed alla loro lavora-zione, alla conservazione dell’olio, anche dormitori, tavoli in pietra per mangiare e stalla per gli animali.
L’accesso al trappeto era vietato a chiunque, anche agli stessi proprietari delle ulive. Agli stessi contadini che dovevano portare le olive per la macinatura era vietato l'ingresso nell'interno del trappeto per evitare il verificarsi di furti sia di olive che di olio.
Il personale addetto al trappeto era formato di tredici persone, suddiviso in due squadre, con un solo Capo:
Capo trappeto o Nachiro
Vice capo
Il personale lavorante o thrappitari
E qualche ragazzo di 12 o 13 anni.
Su una parete interna del trappeto si possono osservare una croce greca e una croce latina con sotto incisa nella pietra una data: 1771. Facilmente stanno a significare che nel nostro trappeto la-voravano e convivevano in santa pace persone di rito ortodosso e latino.
7° - Il Palazzo Baronale e il Castello
Esattamente di fronte al frantoio ipogeo oggi si vede la facciata di quello che resta del Castello e del Palazzo Baronale.
Un tempo era la residenza del Barone De Noha che nel nostro paese aveva messo la sede della sua grande baronia.
Il Castello Baronale dei Sig.ri De Noha era situato in Via Castello, dove oggi rimane solo qualche avanzo oltre che il nome alla Via.
Fra Leandro Alberti che vide il Castello, in una sua opera del 1525 Descrittione di tutta I'ltalia, lo ricorda come il fortissimo Castello di Noia posto in forte loco.
Il Castello era a pianta quadrangolare dotato di bastioni sui quattro angoli.
Questa struttura è stata il centro del potere feudale e certamente per quei tempi era una risposta valida per le esigenze difensive del paese, sia per la sua posizione strategica e sia per la costruzione della torre a ridosso del Castello che controllava la triplice entrata nel paese.
Nel 1700, dopo l’estinzione della Famiglia dei Baroni De Noha, subì delle modifiche sostanziali, perché, e, riparato alla meglio, diventò una masseria.
8° - La Torre Medioevale
La torre di Noha è situata nel giardino retrostante il "Castello baronale". Tuttora presenta tutti i requisiti della torre di avvistamento e di difesa. Con il prospetto principale rivolto verso Nord, quindi verso l'antica strada, la torre s'innalza su due piani a pianta quadrangolare di metri 7 x 5 e raggiunge circa 10 metri di altezza. Una scala risolta in un'unica rampa lievemente incurvata verso Est, è poggiata su un'arcata a sesto acuto ed è munita di ponte levatoio. Il piano di legno ribaltabile è stato sostituito da una lastra metallica, che certamente impediva in caso di pericolo l'accesso al vano, posto al piano superiore. Realizzata con conci di tufo sistemati per corsi orizzontali abbastanza regolari, la costruzione è coronata da un elegante motivo ad archetti. Situata a circa 80 metri sul livello del mare, permetteva forse un collegamento a vista con altre torri poste nel territorio circostante e realizzava il posto ideale di osservazione di un lungo tratto di strada.
A questo punto conviene anche tener presente che dietro al Castello, dove oggi, ogni lunedì, si svolge il mercato, verso gli anni ‘50 sono state scoperte delle “Neviere” o fosse granarie. Ne sono state trovate numerose, una accanto all'altra, scavate e incavate nella roccia, di forma ovale, profonde circa tre metri e larghe nel punto più ampio circa due metri, alcune ancora col coperchio di circa 60 centimetri. Purtroppo sono state tutte interrate e distrutte. E probabile che fossero del tempo dei Basiliani.
9° - Lo stemma di Noha
Procedendo nel nostro itinerario turistico ci spostiamo in piazza, che è il centro della cittadina. Vi arriviamo da Via Castello e alla nostra sinistra vediamo la facciata della chiesa attuale. In alto al centro della facciata domina lo stemma dell’antico Comune di Noha.
Dentro uno scudo a cartocci vi sono tre torri con una piccola finestra e una porta per ogni torre. Le torri sembrano sorvegliare sul mare su cui veleggiano due navi con la prua orientata verso est. La torre centrale è più larga e più alta delle altre. Le tre torri sono rappresentate così forse perché volevano evidenziare l’importanza di Noha come postazione di avvistamento che si collegava con le altre torri del territorio per comunicare eventuali pericoli.
Lo scudo termina con una corona o cerchia turrita con 8 punte, merlate alla ghibellina. A destra di chi guarda c’è un rametto di quercia e a sinistra uno di arancio tenuti assieme da un nastro che alla base del centro forma un fiocchetto.
Possiamo affermare che l’esistenza di questo stemma esiste ab immemorabili non potendone fissare una data di origine; ha avuto la sua funzione di rappresentare il Comune di Noha fino al 1811 quando perse la sua autonomia e Galatina inglobò la nostra cittadina e il suo territorio nel suo, facendone una sua frazione.
10° - La Chiesa Parrocchiale
La struttura attuale è del 1901. Ma nella sua storia sappiamo che ha avuto più rifacimenti.
Nel 1452 ci sono documenti che parlano della chiesa di Sant’Angelo definita come “Ecclesia maior”. E’ stata poi rifatta nel 1500, poi nel 1600,
nel 1857 e infine nel 1901.
Entriamo in chiesa e notiamo i due altari antichi e tre tele, pale di altare della vecchia chiesa del 1600. Per fortuna ora le tre tele sono state tutte restaurate come anche i due altari antichi.
Nel 1600 la chiesa era di dimensioni più piccole, con il tetto di tegole. Sulla facciata troneggiava una statua di S.Michele in pietra leccese, rimossa nel 1901. Ora si trova nel Museo di Galatina.
I due altari antichi sono in stile barocco. Uno dedicato al protettore S.Michele Arcangelo e l’altro alla Madonna Immacolata
L'Altare di San Michele
L’Alessandrelli, arciprete di Noha verso la metà del 1800 così lo descrive: E camminando più oltre verso la man destra vi sta l'Altare di S. Michele Arcangelo protettore di Noha, e Titolare della Chiesa, costruito di pietra leccese in scoltura in ordine Dorico indorato col suo nicchio in mezzo, sopra del quale vi è la statua del glorioso S. Michele Arcangelo in forma di guerriero, e tiene ai piedi il Dragone infernale in alto ferito, quale statua è di pietra leccese indorata e colorita nei lati del quale vi sono due colonne intagliate, e colorite colle loro basi e capitelli, in uno dei quali vi sono scolpiti Adamo ed Eva tentati dal serpente. E nell'altro lato gli stessi discacciati dal Paradiso terrestre dall'Angelo. Nelli lati di dette colonne vi sono due statue, una di S. Francesco d'Assisi, e l'altra di S. Antonio di Padoa colorite. Sopra li capitelli delle soprascritte colonne vi sono li corrispondenti cartocci coloriti, ed un baldacchino di tavola pitturato in oglio colli cornici corrispondenti fatto a spese del Rev.do Arciprete di detta Chiesa D. Nicola Soli.
In alto, sulla parete sopra l’altare, c’è una lapide con questa scritta:
D.O.M.
Orienti jubari Choripheo excipuo
novo Jovi signifero Michaeli Arcangelo,
munus, onos, omen, oere proprio
avicula suus Celicola
D.Donatus Antonius Palamà
Archipresbyter et cives Nohe D.D.D.
Anno Domini MDCLVIX.
(D.O.M. Allo splendore orientale, al principale capo dei Cori Angelici, Michele Arcangelo, vessillifero del nuovo Giove, la munificenza, l'onore, l'augurio, a spese proprie il suo predecessore ora in cielo. D.Donato Antonio Palamà Arciprete e i cittadini di Noha diedero, donarono, dedicarono nell'anno del Signore 1664.
Altare dell'Immacolata in stile dorico. In mezzo vi è il quadro dell'Immacolata Concezione con cornice dorata. Nel 2008 è stata lodevolmente restaurato: altare e tela dell’Immacolata.
Tela Madonna del Rosario
E' di dimensioni 3 metri per due. E' il più antico e di autore. L'artista che lo dipinse si chiamava Antonio Donato d'Orlando di Nardò: certamente è del primo decennio del 1600.
Si può con ragione pensare che fosse parte di un antico altare non più esistente nel 1621. Vi è l'immagine della SS. Vergine del Rosario che tiene il Bambino Gesù. Entrambi mostrano la corona del Rosario: il Bambino a S. Domenico e la Madonna a S.Caterina da Siena dipinti sotto. Sopra la Vergine ci sono due Angeli che con una mano reggono una corona sul capo della Madonna e con l'altra mostrano una corona del Rosario. Tutt'intorno in alto sono dipinti i quindici misteri del Rosario.
Questa tela è stata lodevolmente restaurata nel 2008.
Tela Madonna di Costantinopoli
Era la pala dell'Altare della Madonna di Costantinopoli.
E' di dimensioni 3 metri per due. Vi è dipinta la Madonna in alto con puttini intorno. S.Nicola di Bari e S.Francesco di Paola in basso. E' di autore ignoto.
L'Altare fu fatto nel 1717 per volontà del chierico selvatico Orazio Donno di Noha, come si può ve-dere dall'atto notarile del Notaio Marcantonio Ce-sari di Galatina. C'era l'obbligo di celebrare in questo altare quattro Messe l'anno: una nel giorno della sua festa che era il primo martedì di marzo, l'altra nel giorno di Pasqua, un'altra il giorno di S. Stefano e l'altra nel giorno del Corpus Domini.
Anche questa tela nel 2008 è stata restaurata. Anzi dopo il restauro sono apparse con grande evidenze le lettere iniziali (COD) del chierico selvatico Orazio Donno che aveva commissionato la tela.
Tela di S.Vito
Della dimensione di 3 metri per due. Vi è dipinto S. Vito con la palma del martirio in mano e S. Pasquale Baylon in atto di adorare il Santissimo che rifulge nell'ostensorio tra diversi angioletti. Questo quadro, di autore ignoto, fu fatto nel 1721 a spese del Sig. Ignazio Pandolfi di Noha per l’altare di S.Vito che oggi non c’è più. Nel 2008 la tela è stata magistralmente restaurata.
Le reliquie dei Santi
Si conservano le reliquie di alcuni santi con tanto di autentica. Questo è l’elenco:
S.Filippo Neri del 1726 autenticata da Antonio Sanfelice
S.Biagio Vescovo e Martire del 25/12/1713 autenticata da Antonio Sanfelice Vescovo di Nardò
S.Francesco di Paola del 28/10/1725 autenticata da Cesco De Vico, Vescovo Eleusino
S.Lorenzo Martire del 6/5/1726 autenticata da Francesco De Vico
S.Pasquale Baylon (data illegibile) autenticata da Francesco De Vico
S.Lucia Vergine e Martire del 1/4/1750 autenticata da Tommaso Mazza, Vescovo di Ugento
S.Liberata Vergine e Martire del 1/4/1759 autenticata da Tommaso Mazza, Vescovo di Ugento
S.Bonaventura, del 6/5/1726 autenticata da Francesco De Vico, Vescovo Eleusino
S.Camillo de Lellis, del 1/4/1750 autenticata da Tommaso Mazza, Vescovo Eleusino
S.Domenico, del 13/3/1776, autenticata da Lantini Vescovo Porph.
S.Albano Martire, del 7/3/1699, autenticata da Gaspare Card. De Carpineo
S.Quintino
S.Vincenzo Ferreri, del 12/2/1756, autenticata da Fr.Giovanni A.Vescovo Portuense
S.Nicola Vescovo, del 5/51713, autenticata da Gaspare Card. De Carpineo
Dall'abito della Madonna, del 1/4/1750, autenticata da Tommaso Mazza, Vescovo di Ugento
Dal velo della Madonna, del 3/1/1741, autenticata da Matteo Nicola Arciv.di Ravenna
S.Teresa del B.Gesù, del 2/1/1941, autenticata dal Postulatore P.Vincenzo
S.Gerardo Maiella, dell/8/9/1936, autenticata da P.Giovanni Toglia Rettore della Basilica.
11° - Cappellina S.Michele
Dietro la chiesa madre, svoltando a sinistra appena usciti dalla sagrestia, c’è una viuzza piccola, stretta, anzi ad un certo punto è larga solo 75 cm. Dopo questa strettoia si apre su una piazzola che limita l’accesso ad alcune abitazioni ora disabitate. Una di quelle abitazioni (al numero 9) probabilmente era una chiesetta dedicata a S. Michele Arcangelo: oggi è un semplice locale che funge da deposito degli attrezzi di un muratore.
L’interno ha una volta a botte, in un angolo un focolare (residuo delle famiglie che vi hanno abitato), qualche stipo incavato nel muro come si usava allora. Ma il più interessante è l’esterno. Sopra la porta c’è una piccola nicchia, anche carina dal punto di vista architettonico, su cui vi è un affresco che ormai è quasi scomparso. Ma si vede ancora bene che l’immagine è di S. Michele. Purtroppo in basso all’immagine è stato aperto un buco quadrato di circa 40 cm per 40 circa, per fare un finestrino che desse luce e aria all’interno, mutilando così l’affresco.
Sulla trave (in pietra leccese) che forma il sostegno per la porta, è scolpita una scritta in latino che nella prima parte è molta chiara a leggersi: Laus Deo - A.D. 1779. Il che significa: Lode a Dio. Anno del Signore 1779.
Poi subito sotto, la scritta continua con caratteri purtroppo non tutti leggibili, ma sembra di intuire che vi sia scolpito il nome di chi ha fatto questa chiesetta e l’affresco, e cioè mi pare di leggere “Mastro Francesco”.
Su questa chiesetta, in un secondo tempo, è stato elevato un altro piano, distruggendo probabilmente un piccolo campanile e una probabile croce che era situata sulla sommità della facciata. Infatti c’è ancora il passaggio di una scala che portava sopra il campanile, anche se oggi questo passaggio è stato murato.
Non si può ricavare notizie certe dall’archivio di Stato di Lecce, perché il catasto inizia nel 1869.
12° - La Chiesa Piccinna
La Chiesa Piccinna, intitolata alla Madonna delle Grazie, (demolita nel 1966) era di forma ottagonale con una sola porta verso il Nord: così dice Don Alessandrelli nella sua relazione del 1850. Ma io la ricordo con una seconda porta più piccola che dava l’accesso ad una specie di stanzina aggiunta, probabilmente costruita dopo. Distava pochi passi dalla chiesa madre. Da ogni lato vi era la via pubblica. Dalla parte di Ponente vi era appoggiato il Calvario. La chiesa aveva tre finestre con le relative vetrate e altre nella cupola che pure era di forma ottagonale.
Vi era un solo altare. In mezzo vi era il quadro della Madonna delle Grazie con Gesù Bambino in braccio. Ai lati vi erano dipinti S.Vincenzo Ferreri e S.Vito Martire.
Sopra il cornicione dell'altare vi era un quadro con su dipinto il Padre Eterno. Sulla parete destra vi era dipinta la presentazione di Maria al Tempio e a sinistra l'Assunzione della Madonna. All'entrata sulla porta vi era il quadro della natività di Gesù. In tre stiponi vi erano la statua della Madonna delle Grazie, di S.Francesco di Paola e dell'Immacolata Concezione. La statua di Cristo morto, che ancora oggi si usa nella settimana santa, era in questa chiesa fin dal 1850.
La Chiesa Piccinna era anche la sede della Con-fraternita della Madonna delle Grazie.
13° - Il Calvario
Il Calvario si trova vicino alla Cappella della Madonna di Costantinopoli. Un tempo era addossato alla Chiesa Piccinna. Poi è stato rimosso e rifatto nel luogo attuale. Vi sono dipinte in "affresco" alcune scene della passione di Gesù. L'affresco è opera di Michele D'Acquarica, (1886+1971).
Il Venerdì Santo tutto il popolo ci va in processione portando la statua del Cristo morto seguito dalla Madonna Addolorata per i riti della Passione. Sempre dello stesso autore si conserva dipinta in affresco in Via S. Rita, l'immagine di S. Michele.
14° - La trozza
La Trozza si trova a sud del paese andando verso Collepasso, ed è stata un pozzo di acqua sorgiva profondo 90 metri, molto utile alle esigenze del paese povero di acqua potabile, fino all’introduzione dell’acquedotto pugliese. Orazio Congedo lo fece fare nel 1878, come troviamo scolpito sul frontale del pozzo, proprio per venire incontro alla necessità urgente dell’acqua per gli abitanti di Noha. Per molti anni l’acqua è stata attinta a mano, pagando un tanto a “menza”. Anche se le iniziali del nome scolpite sul pozzo sono quelle di Orazio Congedo (H.C.), questo dono a Noha era dei fratelli Gaetano e Orazio, perché nel testamento del 1859 Gaetano aveva stabilito che 1000 ducati erano da destinarsi ai poveri di Galatina e di Noha e che il fratello Orazio ne fosse l’esecutore. Questo testamento divenne esecutivo dopo la morte di Gaetano, avvenuta probabilmente nel 1866.
15° - La casa e la torre dell'orologio
La casa e la torre dell'orologio che si trovano in piazza di fronte alla chiesa madre, sono state donate dai fratelli Congedo nel 1861.
La struttura è in stile classico con finizioni in pietra leccese.
La torre culmina con un chiostro di archetti in cui sono ubicate le due campane dell’orologio. E’ stata sede dell’anagrafe di Noha fino agli anni ’80 del 1900. Da allora è inutilizzata ed in stato di abbandono totale.
16° - Il monumento ai Caduti
Alla fine della guerra (agli inizi del 1920), accanto alla Chiesa Parrocchiale di Noha in Via Calvario fu edificato il monumento ai caduti. Una volta era ben tenuto e curato. Era una specie di colonna quadrangolare, con punta piramidale, una sorta di obelisco.
Oltre all’elenco dei soldati caduti in guerra, su un lato era scritto:
Chi per la patria muore,
vissuto è assai, la fronda dell’alloro
non langue mai !
Sull’altro lato:
… e qui verran le madri
ai pargoli mostrando….
Aveva tutt’intorno degli alberi ed era recintato da una robusta inferriata. Poi l’inferriata fu donata alla Patria durante l'ultima guerra, e così rimase a lungo dimenticato, quasi sperduto in quel piazzale tutto asfaltato creatosi dopo la demolizione della "chiesa piccinna" e senza nessuna protezione. Ora ha trovato una nuova sistemazione di fronte all'edificio delle vecchie Scuole Elementari. E' stato rifatto completamente (che peccato! nel senso che si poteva fare di meglio) con una struttura rinnovata.
17° - Via Reale di Puglia
La Strada Reale di Puglia, è un percorso antichissimo che risale al tempo dei Messapi.
I Romani terminando la via Appia a Brindisi, non ritennero opportuno prolungarla fino al Capo e utilizzarono anch’essi la nostra antica strada che da
Roca Vecchia portava sino a San Giovanni di Ugento attraversando in senso longitudinale tutto il basso Salento.
NOHA si incardina sul tracciato dell’antica strada orientata che ne produce l’asse portante del centro storico.
Via Trisciolo
Via Calvario
Piazza S. Michele
18° - La Casa Rossa
La Casa Rossa è una costruzione su due piani, che un tempo era parte del complesso del palazzo baronale di Noha (o Castello). E’ così chiamata a causa del color rosso mattone delle pareti del piano superiore. La Casa Rossa ha qualcosa che sa di magico: è un’opera originale e stravagante.
Da fuori e da lontano, dunque, si osserva questa specie di chalet, rosso, dal soffitto in canne e gesso, con tetto spiovente (cosa rara nel Salento), con due fumaioli, una tozza torre circolare, a mo’ di garitta a forma di fungo, con piccole finestre o vedute.
L’ingresso alla Casa Rossa si trova sulla pubblica strada, continuazione di Via Michelangelo, nel vico alle spalle della bella villa Greco (oggi Gabrieli).
Il piano terra invece pare ricavato nella roccia: all’interno si ha l’impressione di vivere in una grotta ipogea, scavata da una popolazione africana. Le pareti in pietra, prive di qualsiasi linearità, hanno la parvenza di tanti nidi di vespe, con superfici porose, spugnose, completamente ondulate, multicolori (celestino, rosa e verde), ma dall’aspetto pesante: somigliano quasi a degli organismi naturali che sorgono dal suolo.
In codesta miscela d’arte moderna e design fiabesco, ogni particolare sembra dare l’idea del movimento e della vita.
I vari ambienti sono illuminati dalla luce e dai colori che penetrano dalle finestre e dalle ampie aperture da cui si accede nel giardino d’aranci.
In una sala della Casa Rossa c’è un gran camino, e delle mensole in pietra.
In un’altra v’è pure una fonte ed una grande vasca da bagno sempre in pietra, servite da un sistema di pompaggio meccanico (incredibile) dell’acqua dalla cisterna (cosa impensabile in illo tempore in cui a Noha si attingeva con i secchi l’acqua del pozzo della Trozza o dalla Cisterneddhra, che sorgeva poco lontano dalla Casa Rossa, mentre le abluzioni o i bagni nella vasca da bagno, da parte della gente del popolo, erano ancora in mente Dei).
Le porte interne in legno, anch’esse, come le pareti, sembrano morbide, come pelle di vitello. Il cancello a scomparsa nella parete e le finestre che danno nel giardino sono grate in ferro battuto e vetro colorato. I vetri (quei pochi, purtroppo, superstiti) rossi, blu e gialli ricordano per le loro fantasie iridescenti le opere di Tiffany.
Al piano superiore si apre un ampio terrazzo, abbellito con sedili in pietra, che permetteva di godere del panorama del parco del Castello o del fresco nelle calde serate estive.
Ma cosa possa, di fatto, essere la Casa Rossa (o a cosa potesse servire) rimane un mistero.
Alcuni la ritengono come il luogo dove venivano accolti gli ospiti nel periodo estivo, del solleone; altri come la casa dei giochi e degli svaghi della principessina (proprio come era la Castelluccia che si trova nel parco della Reggia di Caserta); altri ancora ipotizzano che si tratti di un “casino” di caccia.
Qualcuno maliziosamente afferma che fosse adibita a casa di tolleranza.
Le leggende sul conto della Casa Rossa s’intrecciano numerose: storie di spiriti maligni e dispettosi, di persone che sparivano inspiegabilmente, di briganti che là avevano il loro quartier generale, di prigionieri detenuti che nella Casa scontavano, castighi, torture, o pene detentive.
Qualcuno azzarda anche l’idea che fosse abitata dalle streghe, o infestata dai fantasmi; qualcun altro dice addirittura che fosse occupata dal diavolo in persona (per cui un tempo la Casa Rossa di Noha era uno spauracchio per i bambini irrequieti)
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La grafica e le immagini sono già pubblicate sul catalogo dei Beni Culturali di Noha di Marcello D’Acquarica