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TRA SOGNO E REALTA’
Di Albino Campa (del 11/12/2006 @ 21:55:45, in Racconti, linkato 4669 volte)

Il nostro amico Marcello D'Acquarica che si trova a vivere nel grande freddo del Nord - stamane alle 8.00 a Torino, la sua città d'adozione, la temperatura era di 2 gradi sotto lo zero - ci ha inviato la bella leggenda che proponiamo ai nostri affezionati ospiti. Le leggende, si sa, sono parte essenziale della storia e dell'arte di una comunità. E Noha non è da meno! -Gigetto e Tonio-, i fratellini della novella che ha per titolo "Tra sogno e realtà", come capirete, sono i -Romolo e Remo- di Noha. D'altronde ognun sa che tutte le strade portano a Noha!

TRA SOGNO E REALTA’

(come e prima di Roma)

di
MARCELLO D’ACQUARICA

Sembrava uno dei soliti temporali di mezza estate. Quelli che all’improvviso inondano le vie scoscese di  NOHA (le scise) e, come torrenti in piena, apportano un “mare” d’acqua a valle, trasformando, a volte, la campagna in un grande lago.
Come ogni pomeriggio, dopo l’ora del pranzo (allu schiaccu), ai bambini, veniva “comandato” di mettersi a dormire (“cu dafriscanu nu pocu”).
 
D’estate, l’ora della “canicola” era ed è consigliabile trascorrerla riposando al fresco delle case.
Così, essendo tempo rubato al gioco, i due fratellini, Gigetto e Tonio sgattaiolavano in strada a divertirsi.
Il  temporale era finito ma l’acqua scorreva ancora veloce lungo gli angoli dei marciapiedi: agli occhi dei bambini,  sembravano i flutti di un mare in tempesta.

Costruirono delle barche di carta e delle zattere con  dei  pezzi di corteccia di pino.  Con queste simularono battaglie navali e gare di velieri.  Giocarono per molte ore rincorrendo i loro giochi  nell’acqua a  piedi nudi fino alla periferia del paese.
Così  stanchi e sazi di gioia sedettero a ridosso  dell’uscio  di una casa a riposare e ad  osservare  le loro barche che filavano lontano trascinate dalla corrente. Sempre più lontano…

Quando finalmente si svegliarono si accorsero di essere naufragati su di una spiaggia deserta e costellata  da dune verdi e rigogliose, profumate dall’incenso dei  cespugli di pini marittimi.
Alle loro  spalle, della piccola flotta, vi era l’unica barca rimasta integra, incagliata sul fondale sabbioso e trasparente come lo smeraldo.

Le dune risalivano dolcemente dalla  spiaggia  verso l’interno e sullo sfondo scuro si parava una grande foresta di  antiche querce.
Lo sciabordio del mare e lo stridio incessante dei gabbiani, creavano tutto intorno un’atmosfera quasi surreale, magica. Perfino il vento della tempesta si era ammutolito ed aveva trasformato l’aria tutto intorno in una soave e materna carezza.

Ripresisi dal torpore causato dal lungo sonno e dal naufragio, decisero di inoltrarsi verso l’interno di quell’incantevole angolo per scoprirne ogni possibile nuova meraviglia.
Attraversarono campi infiniti e dolci e basse colline, e quando il sole fu finalmente alto, giunsero in prossimità di un altura. Da qui, voltandosi indietro,  poterono scorgere le cime montuose di una terra lontana, e tutto intorno con lo sguardo, poterono spaziare verso l’infinito.
Desiderosi di vivere in quel posto scelto loro dal Destino, vi costruirono le case e, sul punto più alto delle mura eressero il loro vessillo: uno scudo con  tre torri.
Quando il loro tempo giunse al tramonto, vennero sepolti all’interno delle mura del villaggio che da allora si chiamò Noha (cioè semplicità e gioia).
Ed i Nohani delle nuove generazioni per millenni vissero il sogno dei loro antenati.