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Penna capitale (Seconda Fetta di Mellone – estate 2023)
Di Antonio Mellone (del 23/07/2023 @ 17:17:48, in Fetta di Mellone, linkato 661 volte)

Codesta seconda Fetta di Mellone 2023, complementare alla precedente, vuole trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l’ha. Si sta dunque riportando qualche brano trafugato dai verbali del famoso processo boomerang, altrimenti detto farsa, trasformatosi poi, senza il volere esplicito del denunciante, in un processo di canonizzazione (previa beatificazione) dei miei scritti corsari finiti sul banco degli imputati.

Siamo ora perlopiù alle prese con l’arringa del mio difensore. All’inizio, a sentirlo blaterare così a favore del mio (invero dilettante) aguzzino, mi sorgevano spontanee, benché represse, risolute imprecazioni da anatema pontificio contro i suoi meglio avi defunti oltremodo putrefatti. Da alcune asserzioni proferite al cospetto del tribunale, il mio avvocato di diciamo fiducia appariva così d’accordo con il bi-querelante che sembrava quasi averne controfirmato la richiesta di incriminazione. Ma vedi tu che vado a pensare.

Giudice: “Posto che i follower, pardon, i testimoni della parte offesa (categoria fedeli abbonati) non possono testimoniare per via del “rido abbreviato”, sentiamo ora il cosiddetto difensore dell’imputato. Mena meh, ché la prescrizione incombe”.

Avvocato dell’imputato, compulsando le carte: “Ehm, cioè, io non saprei cosa dire. È che tutte le volte che parlo peggioro la situazione del condannato, scusi, volevo dire indagato, anzi imputato… Ah ecco qua, signori della coorte, cosa preferite voi: le Fette di Mellone o il condizionatore acceso?”. Imputato afflitto: “Minchia, ho scelto proprio il Migliore”.

Avvocato dell’imputato imperterrito nella sua arringa sempre più aringa: “A noi non rimane che ringraziare la parte offesa per queste querele: se non le avesse sporte, il mio patrocinato non avrebbe mai saputo che quello che scrive è legittimo, e magari avrebbe continuato a usare gli stessi toni con il timore di esagerare un po’”. Imputato tachicardico: “Quasi quasi gli portiamo un presente per sdebitarci”.

Avvocato dell’imputato, imperturbabile: “Lo so che un tempo si parlava di ‘Spada di Damocle’, mentre oggi per antonomasia di ‘Penna di Mellone’ penzolante sulla testa di chi osi affacciarsi sulla scena pOLITICA locale: una penna capitale, dico, feroce e ruvida contro il digiuno di metafore, iperboli, noir e autoironia. È che talvolta il mio assistito crede che i suoi scritti possano competere con gli epigrammi di Marziale o le invettive di Pietro Aretino. Ma non ha intuito una beneamata, visto che oggi la satira non ha più bisogno nemmeno di un Aristofane o di un Giovenale (figurarsi dunque di un Mellone qualsiasi), e che i testi migliori sono quelli auto-prodotti dai bersagli stessi della caricatura, sicché l’unico reale rischio giudiziario è il copyright”. Imputato sorpreso: “Questa è così sottile che rischiamo una strage di analfabeti funzionali per ictus da sforzo. Però, però questo avvocato…”.

Avvocato d’arringa/aringa: “Certo, al mio cliente prudono le mani, e dovrebbe smetterla di rappresentare certi protagonisti delle sue Fette con questi toni fortemente (e palesemente) caricaturali, paradossali, surreali e pure grotteschi”. Giudice: “Ma in tal caso, cioè se interrompesse la scrittura delle sue catilinarie, Mellone incorrerebbe nel ben più grave delitto di occultamento di cadavere”. Imputato estasiato: “Allora non c’è un giudice soltanto a Berlino [B. Brecht, ndr.], ma anche a Cavallino. Signor giudice, me lo lasci dire: lei oltre che togato è proprio togo”.

Avvocato finalmente d’arringa: “Oltretutto, scongiurando che il Mellone appenda la penna al chiodo rischieremmo di precipitare financo nella democrazia”. Imputato trasognato: “Ma tu guarda”.

Avvocato d’arringa, ormai di ringhio: “Quali allora i reati del mio assistito? Associazione a delinquere o non piuttosto istigazione a distinguere? Circonvenzione d’incapace o ‘perculazione’ di capace (di tutto)? Abuso d’ufficio (che tra l’altro sta per essere depenalizzato per il sindaco di turno) o abuso d’auspicio (di un mondo diverso)? Turbativa d’asta o di casta? Lesioni personali o non più volentieri, per quanto vane, lezioni personali? Apologia di reato o non invece di creato? È indiziato di procurato allarme o viceversa di ritrovato charme? S’è macchiato di oltraggio a pubblico ufficiale o non invece di resistenza a pubblico manicomiale? A voi la scelta. Certo, spesso è recidivo e abusa dei mezzi di correzione (matite rosse e blu contro ogni nichilismo grammaticale), ed è sospettato dell’efferato crimine di detenzione di armi (penna a grappolo, arma nucleare e tattica). Mo’ ditemi voi se questa è diffamazione o non semplicemente informazione a mezzo stampa, oltre che favoreggiamento della costituzione”.

Giuria: “Non ci abbiamo capito una mazza. Quindi questo galeotto è reo di morte”.

Imputato rassegnato: “Questa mi sembrava di averla già sentita nei confronti di quell’Altro della via crucis. Dichiaro comunque di rinunciare sin da subito a ogni attenuante, grazia o amnistia: meglio un insulto che l’indulto”.

E così, mentre il ritratto di Piero Calamandrei, dopo aver sobbalzato più volte nel corso dell’udienza, rimane inclinato di undici gradi, il giudice togato, assunto un Maloox contro il reflusso gastroesofageo, si ritira in camera di consiglio per deliberare sul maxi processo de Nohantri.

Dopo 72 ore ininterrotte di riflessioni, ripensamenti, riscritture in sanscrito e castime in aramaico, il magistrato parzialmente stremato sputa la sua sentenza: “In nome del popolo italiano, il tribunale assolve l’imputato per non aver commesso il fatto [il che equivale a condanna del citante per non aver compreso il fatto, ndr.], ma al contempo lo sanziona al taglio delle sue fette di Mellone estive in saecula saeculorum. Così è deciso, l’udienza è tolta”.

Fine penna mai.

Antonio Mellone