
A  Noha siamo abituati ai semilavorati. I prodotti finiti evidentemente non fanno  per noi. Chi non ricorda la cappella comunale del cimitero, cattedrale nel  deserto anche quella (e in tutti i sensi)? 
Dopo  il pericolo crolli, circa un lustro fa, o forse più, il Comune si assunse  l’onere di restaurarla attraverso la ricostruzione del pericolante solaio. I  lavori furono poi effettivamente realizzati (salvo errori) dalla ditta Gianturco  di Noha. 
Ma,  anche in questo caso, ci troviamo al cospetto di un’opera mai ri-aperta al  pubblico in quanto incompiuta (manco fosse la Sagrada Famiglia di Barcellona,  inaugurata poco tempo fa da papa Benedetto XVI, dopo un paio di secoli  dall’inizio dei lavori). Mancherebbe, a detta dei tecnici di allora, soltanto  una mano di pittura e il solito impianto elettrico (ma in una chiesuola come  quella, utilizzata ad ogni morte di papa - mo’  siamo llà - l’energia e la luce potrebbero essere rifornite da un paio di  candele di cera o da due lumini con l’effigie di P. Pio). 
Invece,  nulla di nulla, né energia elettrica, né pittura, né candele, né lumini, né  agibilità (stavamo per dire “abitabilità”). Il cappellone del cimitero è vuoto  da anni e la sua campana in bronzo muta dalla stessa quantità di tempo. Sembra  non vi sia stato nemmeno il collaudo (come si collauderà mai una chiesa: con  una funzione solenne?), e dunque da tempo non vi mette piede anima viva,  nemmeno per sbaglio, nonostante siamo in una necropoli.
Cari  concittadini, se in questi giorni vi dovesse capitare di errare per i viali del  camposanto di Noha, toglietevi la solita benda dagli occhi e l’auto-bavaglio  impostovi dalle anestesie iniettatevi dal potere e dal perbenismo di facciata  che v’induce a sorvolare su tutto e a non indignarvi di nulla, date un’occhiata  a quest’ennesima cappellata nostrana, affacciatevi dalla porta d’ingresso e  mirate tra le inferriate (tanto i vetri sono ormai rotti da tempo) la  desolazione dell’interno, ammirate l’arte contemporanea prodotta dai piccioni e  da altri animali di passaggio, e mettendo in movimento qualche neurone  superstite chiedetevi che fine hanno fatto i vostri soldi (ormai cari estinti).   
Sono  trascorsi diversi anni da quei benedetti lavori socialmente inutili, e quella  chiesa è là a testimoniare che i morti, forse, non sono soltanto in quel  cimitero ma anche altrove, a Noha, a Galatina, in certi uffici tecnici, in  certi parlamenti e/o assessorati comunali. 
Ora  poniamo alcuni quesiti/proposte. 
Anziché  promuovere la costruzione di nuove cappelle cimiteriali (che non servono a  nulla se non a consumare suolo rovesciandovi altro cemento - in nome  dell’ostentazione di uno status che nel luogo dell’’a livella per eccellenza non ha proprio senso), e anziché  costruire nuovi loculi magari al posto dei pluriennali alberi di cipresso testé  troncati alla radice (aprite gli occhi e capirete dove fossero) non sarebbe il  caso a questo punto di utilizzare quel cappellone per la costruzione di urne,  alla stessa stregua della dirimpettaia cappella della Confraternita della Madonna  delle Grazie? Almeno a qualcosa quella chiesa, dopo anni di abbandono, potrebbe  iniziare a servire. 
Non  credete che in tal modo si eviterebbe, almeno per un po’ di anni, di prendere  ulteriori pugni nell’occhio rappresentati dai nuovi loculi in cemento a tre  livelli, come quelli già costruiti nella nuova area a sud e ad est nella zona  cimiteriale? 
Già  che ci siamo ci chiediamo ancora (e se ci fosse qualcuno in grado di  spiegarcelo gli saremmo grati), come mai le “nuove” cellette cementizie non sono  delle stesse dimensioni di quelle costruite anni prima sul lato ovest, più contenute,  più umane, più comode, e ugualmente funzionali, mentre appaiono molto più alte,  quasi sproporzionate, tanto che per raggiungere il terzo livello di tombe si è  costretti ad utilizzare una scala posticcia in ferro, oltretutto pericolosa? Forse  che, in tal modo, i nostri defunti godono di maggior comfort?     
Ecco,  questo volevamo dire a proposito del cappellone e della consueta sciatteria  nohana che sembra non interessare nessuno.
Non  sappiamo se qualche concittadino si sia ancora chiesto come mai il due di  novembre, solennità dei defunti, non si possa celebrare la messa all’interno di  quel sacro tempio - come invece avveniva anni fa - ma all’esterno (condizioni  meteo permettendo). 
Non  sappiamo se qualcuno abbia notato lo stato pietoso in cui versa quella chiesa  restaurata a metà. Non sappiamo se qualche avventore abbia notato i cipressi  troncati o i nuovi loculi a tre livelli scomodi perlopiù ai vivi…  
Di  certo - vista la prontezza di riflessi di molti fra loro – i nostri storici  rappresentanti locali ed i loro tecnici non si saranno mica posto il problema:  per costoro è già difficile che si occupino dei vivi, figuriamoci dei morti  loro.
Antonio Mellone