
La bellezza di un paesaggio o di un’opera d’arte o della storia di una comunità si può percepire anche da una analisi empirica basata sull’osservazione e sul sapere ascoltare il tempo. O anche dal sentirne la mancanza e al bisogno di appartenervi. Per notarla, la bellezza, a volte basta soltanto cambiare punto di vista.

Noha, Noje, Noe, un “alto” punto di vista. Da un antico dialetto greco: vedere lontano.
Noha si affaccia sulla valle dell’Asso a mo' di belvedere, come se fosse un osservatorio. Gode, per dirla in giurisprudenziale, del cosiddetto “diritto al panorama”, cosa ben diversa dal diritto di semplice veduta. Insomma, un posto prestigioso da cui godere della particolare amenità del paesaggio fino a immaginare di sfiorare con mano il mare di Gallipoli, che, allorquando la commistione quasi magica degli eventi atmosferici di alcune giornate particolari, si lascia scoprire leggermente lungo lo scosceso a destra del Monte Sant'Eleuterio, alto 195 s.l.m., uno dei più alti “monti” di tutto il Salento. Ma a noi non occorre andare tanto lontano, restiamo a Noha, scelta dai nostri antenati come avamposto a guardia dai pericoli che un tempo venivano dal mare, e crocevia di due importanti percorsi di comunicazione: la “Strada Reale di Puglia” e la trasversale medievale che in prossimità di Noha corrispondeva all’antica via di Soleto che, unendo alcune nostre masserie all’antico Casale Cristo delle Tabelle e a Fulcignano, lega la sponda di Otranto a quella di Gallipoli. Una posizione strategica. Unica nell’area centrale del Salento.

A Noha tutti sanno che, in quanto ad altitudine si passa dai 90m. s.l.m. del promontorio ai 60 m. s.l.m. della zona cosiddetta dei pozzi, dove insistono le tre principali “vore” di Noha: la cosiddetta “Paccia” e la più profonda cavità carsica del Salento, cioè la “vora” Bosco, fanno da finestra a un altro mondo, quello delle nostre acque di falda e del loro padrone di casa, un mini-dinosauro, una specie appartenente al genere “salentinella”, minuscola creatura lunga appena 8 mm, che regna indisturbata fra tunnel e caverne, e con la sua stessa presenza ci fa presente che il nostro sottosuolo non è ancora del tutto avvelenato. Invece continua ad esserlo il sito dell’altra “vora” sempre in zona, detta di Noha, stracolma di rifiuti che da alcuni decenni permettono il percolato di mille veleni nella falda sottostante, sempre la stessa, l’unica, quella che magicamente pare giunga potabile ai nostri rubinetti di casa. Abbiamo tentato più volte di responsabilizzare i nostri amministratori, compresa l’ARPA che demanda la necessità di bonifica al Sindaco di Galatina, attraverso il famigerato metodo del barile, famosissimo, che oggi si chiama anche protocollo. Ma queste sono altre storie.

Ritornando al tema delle torri, possiamo dire che le tre torri del nostro spettacolare stemma civico, scolpito in bella vista sul frontone della Chiesa di San Michele Arcangelo, protettore di Noha, non sono sole, ma si sono moltiplicate nel tempo. Quindi, oltre la torre del Castello dei Baroni De Noha e quella della masseria Colabaldi, a Noha esistono torri altrettanto interessanti per la loro stessa narrazione. Per godere di tale bellezza è sufficiente arrampicarsi su una qualsiasi delle tante terrazze di Noha. Magari con l’aiuto e la disponibilità di qualche amico residente, così come è capitato a me, nel visitare le tre torri: Giò Congedo; Guido e Arcipretura, di cui pubblicheremo in seguito le relative narrazioni.
Marcello D’Acquarica