
Ho già scritto e detto altrove che se non fosse per il nostro San Michele Arcangelo non ci sarebbe stata nemmeno la Divina Commedia. Ma m’è sempre sfuggito un dettaglio di non poco conto. Per fortuna quel genio di Dante continua a insegnare senza requie anche a settecento e passa anni di distanza.
Il tutto parte dal capitolo 12 del libro dell’Apocalisse di Giovanni, ai versi 7-10: “Scoppiò [quindi] una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli”. Insomma Lucifero, l’arcangelo più bello che però per orgoglio e vanità – e un pizzico di saccenteria – aveva osato mettersi al posto di Dio macchiandosi d’infamia per il “superbo strupo”, viene affrontato da Michele (“Quis ut Deus”) e alla fine di una grande lotta (ovviamente mistica: la vera guerra, quella auspicabile e salutare dev’essere dentro, mai fuori di noi, e si chiama scelta) viene scaraventato sulla terra insieme ai suoi angeli. In seguito a questa caduta il suolo, per spavento, orrore e ribrezzo, si ritira formando un’enorme voragine, un burrone a forma di imbuto il cui gambo termina al centro del globo terracqueo dove, nel lago di ghiaccio, è conficcato “l’imperador del doloroso regno”: così ebbe origine l’inferno. Questa grande “vora” viene collocata dal Poeta nei pressi di Gerusalemme.
Ed ecco la mia folgorazione: il particolare che mi era sfuggito era di natura geografica e si tratta della coincidenza della “città dolente, dell’eterno dolore e della perduta gente” con la striscia di Gaza. Oggi purtroppo molto più di ieri.
In quell’area invero non c’è più una guerra, ma uno sterminio incessante condotto da un esercito contro una popolazione inerme, ormai anche affamata e assetata, e deportata, e ammalata, e annichilita.
Solo gli ignavi s’ostinano a non volerlo capire. Chi sono costoro? Dante li chiama “sciaurati che mai non fur vivi”: si tratta dei gregari, chiamiamoli pure followers o anche fans, quelli che seguono un leader o una fazione o un giornale padrone, ma anche un influencer o una diceria o una moda o un’insegna (che inizia per esempio per Mc e finisce per Donald), sovente senza profonda convinzione, e men che meno partecipazione - sempre pronti peraltro a cambiare bandiera al primo refolo di un vento contrario. Si tratta di una moltitudine che non ha ancora compreso che la violenza o i conflitti permanenti (e le connesse spese per armarsi fino ai denti indotte ovviamente dal modello economico predatorio) sono dovute alla “mancanza di immaginazione”: che qui non sta a significare fantasticheria o vuota costruzione mentale, ma pensiero autonomo, creativo, profondo, e possibilmente anche critico.
Una festa patronale che si limiti allo struscio, alle zacareddhre, al vuoto pneumatico e allo stomaco da riempire, non servirà che a deprimere appunto codesta immaginazione, e dunque a incrementare le file dei gregari, dei tifosi, dei benpensanti o di chi vive (vive?) per concentrarsi esclusivamente sul proprio ombelico. Beato sarà invece chi riuscirà a cogliere finalmente “quella luce intellettual, piena d’amore” [Paradiso, XXX, 40]: l’unica energia pulita che consente di lottare per i grandi ideali, e dunque vedere, capire, amare.
Ed essere veramente liberi.
Antonio Mellone