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Auguri di cento passi
Di Antonio Mellone (del 31/12/2014 @ 15:20:00, in Presepe Vivente, linkato 2309 volte)

L’altra sera mi chiama Gianni De Ronzi, invero un po’ risentito, no, che dico, risentito è troppo, diciamo un po’ amareggiato: “Ma tu cosa pensi dei miei cento passi? Non hai ancora detto nulla. Perché non parli”.

Glielo dico ora con queste righe, forse perché vado meglio negli scritti che all’orale (o comunque – diciamo così - meno peggio).

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I cento passi rievocano la distanza che c’è o c’era tra la villa del boss Tano Badalamenti e la casa di Peppino Impastato, figlio di un mafioso, ma giornalista antimafia, assassinato il 9 maggio 1978, indovinate da chi.

Peppino Impastato nel film dal titolo “I cento passi” (appunto) di Marco Tullio Giordana così urla la sua rabbia: “Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!”.

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Sì, “prima di non accorgerci più di niente” abbiamo bisogno di fermarci, riflettere sui cento passi, dei nostri cento passi, e decidere di andare avanti percorrendoli, oppure di bloccarci, ritornare sui nostri passi, fare marcia indietro, o percorrerne altri cento in tutt’altra direzione.  

Cento passi è una distanza da mantenere, ampliare o colmare. Mi piace mantenere o ampliare certi intervalli; vorrei colmarne molti di più, compiendo i miei cento passi persino in salita, in strade strette, impervie, accidentate.   

I pellegrini del presepe di Noha hanno percorso con lentezza i cento passi per raggiungere la grotta della Ri-Nascita, ammirato volti impressi su fogli ed attaccati su di un muro (anch’esso da abbattere prima o poi), ricalcato orme bianche sull’asfalto, atteso il proprio turno al vento di tramontana.

Cento passi alla ricerca di un Dio-Salvatore, spero non un Dio vincente ma un Bambino dalla parte dei vinti; non un sommo sacerdote ma un pargolo adagiato nei bassifondi del mondo. Un Dio che ha il volto di una ragazza mai baciata o quello di un giovane senza amore; un Dio disoccupato, precario, a scadenza, uno schiavo moderno senza diritti, uno sventurato vittima del disinteresse (o interesse) degli altri, un emigrante considerato “clandestino” da una legge barbara, una prostituta sfruttata dai papponi di basso o alto bordo, un omosessuale discriminato dai perbenisti di facciata, un disabile senza assistenza, un morto sul lavoro sacrificato al profitto, un malato di cancro per via dei nostri disastri ambientali, uno studente senza sussidio, un ricercatore senza fondi, uno scioperante per il proprio contratto. Cento passi per questo Dio e per il riscatto di molti.

Conviene compiere cento passi giorno dopo giorno per scippare ai poteri costituiti dei pezzi di verità, per alimentare uno spirito critico sempre vigile, per avere il coraggio di indignarsi e dire quel che si pensa, per non respingere sogni e utopia in grado di cambiare il mondo, per metterci la faccia (come hanno fatto i protagonisti del presepe vivente di Noha). Cento passi si percorrono per la difesa del paesaggio, per il consumo frugale, per la crescita zero in fatto di sviluppo edilizio, per la tutela dei nostri beni culturali. Cento passi per incontrarsi, dar corso alla rivoluzione della sobrietà e della saggezza, non cessare mai di imparare dalle sconfitte, aver voglia di credere che si possa sempre ricominciare, garantire che nessun vantaggio venga da una prepotenza. Ancora cento passi per essere stecca nel coro belante, non smettere di combattere, e credere che la parola lotta sia voce del verbo amare.

Questi sono i miei cento passi. Spero che qualcun altro abbia voglia di percorrerli insieme a me.  

Auguri, e altri cento passi ad ognuno di voi.

Antonio Mellone