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Grazie a tutti a nome della famiglia Mellone
Di Antonio Mellone (del 22/02/2015 @ 21:26:07, in NohaBlog, linkato 3430 volte)

La “Via Crucis” di don Donato, mio zio, ha raggiunto lentamente il suo “Calvario” proprio ieri sera, verso le ventuno, allorché, con l’ultimo respiro, si è abbandonato nel bacio del Signore.

La “sosta” in quel di Casarano, all’Euro-Italia prima, e al reparto di Ortopedia dell’ospedale civile di quella città poi, è durata un paio di mesi all’incirca: tanti quanti bastano per dare l’ultimo tocco alla vita d’un uomo che ha vissuto la sua santità nel più semplice e schietto dei modi, nella più intima e sofferta unione con Cristo crocifisso. Lì, in quel reparto, in quella “terza parrocchia” (dopo quelle rispettivamente di Santa Maria al Bagno e poi di Noha) don Donato ha celebrato ogni giorno le sue messe più belle, quelle dove poneva sull’altare delle offerte la sua sofferenza, “a completamento delle sofferenze di Cristo, a pro del suo Corpo, che è la Chiesa” (cf. 1 Cor 1, 24).

Ma i malanni di don Donato partono da lontano.

Io davvero non ho mai capito come mio zio riuscisse ad essere sempre gioviale, sorridente e spiritoso con tutti, oltre che a partecipare, negli “anni ruggenti” della sua “arcipretura”, a tutte le celebrazioni liturgiche, ad organizzare il coro, a seguire i diversi gruppi parrocchiali, a dare una mano ai bisognosi, ad impelagarsi nella costruzione di una nuova chiesa, insomma a fare il prete (anzi, di più: il parroco), nonostante gli acciacchi che lo tormentavano da decenni, come ad esempio i gravi problemi alla vista (forte miopia da sempre, e poi distacco di retina - con l’aggravante di un intervento chirurgico mal riuscito che gli aveva fatto perdere la funzionalità dell’occhio destro già a partire dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso – e ancora glaucoma, e infine una cataratta non operabile, all’altro occhio, quello “buono” diciamo), le disfunzioni alla circolazione sanguigna a gambe e piedi, e successivamente l’“artrite reumatoide deformante” alle mani già a partire dai primissimi anni ’90, e la gotta che martoriava molte delle sue articolazioni (“sento come tante punture di spilli” diceva), tanto che le processioni solenni erano per lui un vero e proprio supplizio (al quale, non so come, si sottoponeva con gioia), l’abbassamento di udito…

La caduta con conseguente rottura del femore di qualche anno fa, e l’ischemia che gli aveva bloccato il braccio sinistro si può dire che sono storia dell’altro giorno, le classiche “ciliegine sulla torta”.

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Ma nonostante tutto don Donato appariva, sì, stanco, malato, vegliardo, ma mai vinto.

Pare che funzioni così: lì dove vengono meno le forze fisiche, sovrabbonda la forza, incredibilmente più potente della preghiera. Eh sì, come tutti sanno, non riusciva a fare a meno di questa portentosa medicina, prima durante e dopo i pasti.

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Ora che la “cronaca” deve lasciare il posto alla “memoria”, qualcuno m’ha chiesto quale sia il momento in cui la figura di mio zio mi si presenta alla mente nella sua interezza: in quella sua “umanità” così esemplare e ricca del sorriso incoraggiante di chi sta bene con se stesso e con gli altri, nonostante tutte le infermità o le indisposizioni. Bisogna, tuttavia, superare le risposte ovvie: quali sarebbero ad esempio l’inaugurazione della nuova chiesa Madonna delle Grazie, o i grandi festeggiamenti delle feste patronali, o le messe del fanciullo, o le suonate all’organo, o i grandi raduni, o le feste in famiglia…

Ciascuna e tutte queste risposte sarebbero valide e belle, da mettere insieme in altrettanti spazi d’una antologia, come dire, sacra ma anche profana.

Le diapositive, invece, che in questo momento conservo più care nella memoria sono quelle della domenica pomeriggio, quando dopo il pranzo, lo accompagnavo a casa sua, e dandogli il braccio, il bastone nell’altra mano, mi ringraziava e mi salutava  cordialmente prima di chiudere il portoncino, mentre io gli rispondevo: “buon riposo”.

Ecco, in quello stesso modo voglio salutarlo per l’ultima volta anche oggi: buon riposo, zio Donato.

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 P.S. Sento il dovere di ringraziare tutte le persone vicine e lontane che in un modo o nell’altro hanno partecipato al dolore mio e a quello dei miei famigliari.

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Non è possibile citare qui tutte le persone verso le quali mi sento debitore. Per alcune di esse, tuttavia, la citazione deve essere esplicita. Ringrazio innanzitutto il parroco di Noha, don Francesco Coluccia, per la delicatezza, la presenza e l’aiuto che non ha mai fatto mancare a mio zio e alla mia famiglia. Grazie all’arcivescovo di Otranto, Mons. Donato Negro, e a tutti i confratelli sacerdoti che hanno celebrato i funerali del “patriarca di Noha”. Grazie alla parrocchia di Noha, alle associazioni religiose, al Circolo Cittadino Juventus, al circolo culturale “Tre Torri”, alla parrocchia di Santa Maria al Bagno, alla Fidas Noha, al delegato della frazione di Noha, avv. Daniela Sindaco, all’arcidiocesi di Otranto, per i manifesti commemorativi di don Donato. Tanti ringraziamenti al coro parrocchiale e all’organista, Michele Scalese, per la partecipazione. Grazie ancora a Sergio, Silvana, Gerardino, Maria Luce, Biagino, comandante Tundo, ing. Vincenzo Paglialunga, don Emanuele, Patrizia, Antonietta, Antonella, Paola, Fabrizio, Angela, Marcello, P. Francesco D’Acquarica, Michele, Rinaldo Pignatelli, Antonella, Giusy, i seminaristi di Noha, Luigi e Giuseppe, e tanti altri partecipanti alle esequie. Grazie anche ad Albino Campa, al sito Noha.it, e ai suoi internauti. Grazie ancora per i tantissimi “mi piace” degli amici di Face-Book.

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Concludo, come concludeva don Donato, alla fine delle celebrazioni eucaristiche più importanti, allorché, trovandosi ad esprimere i suoi sentimenti di “lode e ringraziamento” nei confronti di interminabili liste di nominativi, diceva a mo’ di epilogo: “Penso di non aver dimenticato nessuno, ma se avessi dimenticato qualcuno, anche questo qualcuno si senta da noi ringraziato ed applaudito”.

Antonio Mellone