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Il mistero del cartello di Noha
Di Antonio Mellone (del 10/03/2024 @ 14:21:21, in NohaBlog, linkato 1150 volte)

Non ho mai visto un cartello per cantiere di lavori pubblici più esilarante di quello fissato con quattro robusti chiodi a vite direttamente sul frontespizio lapideo della torre civica di Noha giusto qualche giorno fa: farebbe più ridere di una barzelletta, un film di Totò, o un comizio del nostro Sindaco, se non avesse tutta l’aria di una presa in giro.

Si sa quanto il Big Ben nohano, ormai 163enne, si regga sulle proprie gambe quasi per quotidiano miracolo, mentre le stanze al primo piano del medesimo complesso edilizio non esiterebbero a mandarci all’inferno, o in qualche altro incavo indebito altrettanto tenebroso, se solo possedessero il dono della favella.  

Per venire al dunque, il suddetto avviso riporta alcune informazioni importanti, tipo il committente (vale a dire il Comune di Galatina, bontà sua), i progettisti e i direttori della fabbrica (che in questo caso sembrano coincidere), i responsabili rispettivamente del procedimento e della sicurezza, e soprattutto la durata dell’opera: “150 giorni” [sic], non uno in più, né uno di meno.

Mistero fitto, invece, sull’importo dell’appalto, benché in teoria la spesa dell’operazione sarebbe tutta a carico nostro, e non, chessò io, del solito sponsor privato (tipo il cavaliere eugubino che ci compra e soprattutto ci vende a bordo di un elicottero), mentre segretissima rimane la data della prima pietra che, s’intende, potrebbe essere anche domani stesso, e quindi il momento (o l’era) di fine attività. In pratica allo stato attuale non sappiamo quando potrà partire il contatore di quei famosi 150 giorni: dies certus an et incertus quando, direbbero i latini (Dies incertus an et incertus quando, mi suggerirebbe il mio inguaribile pessimismo cosmico tendente ormai all’eroico).  

E comunque, a ben pensarci, 150 giorni, vale a dire più o meno 5 mesi di lavori per il consolidamento strutturale e il ripristino di alcune parti franate (come per esempio la pietra in cima alla guglia), la sistemazione delle crepe e la riparazione di cornicioni, balcone e decorazioni, il rifacimento ex-novo del solaio pericolante e dei pavimenti delle due sale del vecchio “Municipio” un tempo nel medesimo stabile, la pulizia di tutta la facciata dell’edificio turrito, nonché il restauro delle arcate del campanile, oltre che della grande aquila dalla testa mozzata e dello stemma di famiglia del mecenate del tempo che fu, in uno con l’installazione del parafulmine, per non parlare del rifacimento delle banderuole segnavento in ferro battuto, e dunque della ri-messa in funzione dell’orologio e della ri-sonorizzazione delle due campane (quella delle ore e quella dei quarti) - magari con esclusione notturna e/o pomeridiana per la sacra siesta soprattutto estiva - e infine dell’illuminazione artistica di tutto il monumento in pietra leccese, se non altro per rendere un po’ più decorosa tutta la prospiciente piazza San Michele; dicevo: 150 giorni per tutte codeste incombenze paiono davvero un po’ pochini. E in effetti sarebbero pochi anche se gli operai venissero sottoposti ai lavori forzati, con turni diurni e notturni, giacché frustati a sangue, senza pause, ferie, malattie, e contratto collettivo nazionale di lavoro; ma esigui, quei giorni, pure se intervenissero simultaneamente l’esercito, le stampanti 3D, la meglio tecnologia automatica e l’intelligenza artificiale in persona.

Questo sempre che quel cartello non contempli l’istintiva subliminale locuzione “rronza e camìna”, o non contenga una buona dose di presaperilculismo (elemento imprescindibile di ogni manifesto elettorale); ovvero non funga da consueto specchietto per pollowers rincitrulliti plaudenti a ogni scemenza del loro Beniamimo. Che stavolta non è De Maria.   

Antonio Mellone