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Isa Palumbo Serafini (1920 – 2003), la pasionaria di Noha (di Antonio Mellone)
Di Antonio Mellone (del 10/09/2016 @ 14:30:23, in NohaBlog, linkato 3867 volte)

Conobbi Isa Palumbo in circostanze particolari.

Eravamo nel 1983. La mia come numerose altre famiglie salentine trovava sostentamento nell’agricoltura.

Nell’ambito di questo settore la coltivazione che assorbiva pensieri, energie e ore del giorno e della notte di tutti i membri della mia stirpe, incluso il sottoscritto, era il tabacco.

Ora devo confessare che non solo non ho mai amato, ma neanche provato la pur minima simpatia per questa coltura. Ne soffrivo, anzi. Eccome.

Le mie aspirazioni non collimavano punto con l’idea dell’agricoltura quale sbocco occupazionale, non dico come impiego, ma nemmeno come ripiego. Son dovuti trascorrere diversi decenni di sudate carte perché arrivassi a comprendere finalmente l’importanza fondamentale del settore primario, e non solo dal punto di vista dell’economia.

Ma ritorniamo un attimo a quei tempi.

I miei genitori ovviamente non mi avrebbero permesso di trascorrere l’estate nel dolce far nulla: era un lusso che solo alcuni dei miei amici più fortunati di me potevano permettersi. L’ozio non era contemplato né negli schemi mentali né nel vocabolario dei miei familiari e, a dire il vero, neanche nei miei.

Bisognava dunque trovare un’alternativa all’aborrito tabacco.

Il bisogno aguzza l’ingegno anche degli sbarbatelli. Il mio mi portò in quell’amena località di mare al nord di Gallipoli che risponde al nome di Lido Conchiglie, dove venni assunto per tutta l’estate in qualità di cameriere alle dipendenze della graziosa pensione denominata appunto “Le Conchiglie”, un alberghetto di proprietà proprio della signora Luisa Palumbo, nonna di Toni Serafini, mio compagno di classe alle medie.

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La proprietaria dell’hotel era dunque un’anziana signora, corpulenta anziché no; ma attivissima, soprattutto in cucina, e combattiva, come vidi, financo al mercato del pesce di Gallipoli dove, conosciuta da tutti, veniva rispettata anche dal più incallito e smaliziato pescivendolo all’ingrosso.

Questa donna dalla folta canizie all’inizio mi sembrò alquanto burbera. Compresi invece, in seguito alle nostre conversazioni (e ce ne furono molte), che la Isa aveva temprato il suo carattere coraggioso e agguerrito alla scuola dura delle battaglie e delle mobilitazioni, degli scioperi e delle persecuzioni degli anni cinquanta che avevano finalmente interessato anche la periferica provincia di Lecce: lotte senza le quali inesorabilmente si sarebbe rimasti ai tempi del feudalesimo dei servi della gleba.

La nostra concittadina, comunista fin nel midollo, non sopportava le prevaricazioni dei ben pasciuti borghesi a discapito dei poveri lavoratori, proprietari soltanto della forza delle loro braccia. Fu un’attivista politica soprattutto negli anni cruciali delle lotte per i diritti delle tabacchine e successivamente negli anni delle contestazioni sessantottine, a Lecce come a Roma. Sempre in prima fila (lei, casalinga) a fianco degli operai e degli studenti universitari, negli scioperi, nelle manifestazioni e nelle lotte che cambiarono il mondo sulle note di “Avanti popolo” e di “Bella ciao”, in mezzo allo  sventolio delle bandiere rosse con falce e martello, simboli del lavoro nei campi e nelle fabbriche: vessilli che garrivano con fierezza ad ogni vento, soprattutto se contrario.

Una volta le chiesi spiegazioni circa una sua cicatrice sulla fronte. Mi disse che si trattava del ricordo di un tumulto avvenuto nella capitale allorché nel ’68 ne racimolò una manganellata da parte di un poliziotto, il cui segno (una decina di punti di sutura) rimase quale marchio indelebile della sua indole che pare volesse dire agli interlocutori: “mi spezzo ma non mi piego”.

“Accorgiamoci dell’ingiustizia. – soleva dire - Se ci mettiamo insieme, se ci difendiamo, allora i padroni non possono far nulla. I diritti si ottengono con la lotta. Se non difendi tu il tuo pane, nessuno ti tutela”.

Ed ancora: “Noi cercavamo di parlare alle tabacchine, in riunioni di caseggiato, nelle fabbriche, nelle borgate, nei locali più svariati per renderle edotte della loro condizione e dei loro tabù. Ma non era facile. Chi per paura, chi per quieto vivere, chi per ignoranza, pur condividendo apparentemente quello che dicevamo, difficilmente si esponeva per rivendicare quello che gli spettava” [Queste parole sono estrapolate dall’intervista alla Isa tratta dal documentario di Luigi del Prete intitolato “Le tabacchine. Salento 1944 – 1954”, edizioni Easy Mañana, 2003].

La pasionaria di Noha non spingeva alla ribellione soltanto per la povertà, la paga misera, la fame, lo sfruttamento, la corruzione, il riconoscimento degli assegni di maternità, ma soprattutto per il peso insopportabile della dignità oltraggiata dal capitalismo, che allora aveva le fattezze del ricco proprietario terriero o dell’opulento concessionario del tabacco.

Divenne così un’agguerrita sindacalista, una capopopolo, sempre presente nelle piazze e sui palchi dei comizi, pronta a prendere la parola, che scandiva con risolutezza e con un italiano impeccabile.

La Isa non era affetta da timori reverenziali, nemmeno nei confronti del prefetto di Lecce, il terribile Grimaldi, che aveva tentato di sminuire il valore della sua rappresentanza.

Sentite direttamente dalle sue parole il racconto di quanto avvenne il 24 settembre 1944, giorno di grande sciopero a Lecce: “Quando incominciò la lotta per ottenere il sussidio straordinario di disoccupazione iniziammo a mobilitarle tutte. Mentre discutevamo con il Prefetto, questi se ne uscì dicendo con supponenza: ‘Ma sì, in fin dei conti rappresentate sì e no cinquanta tabacchine in tutta la provincia’. Io gli risposi: ‘Senta eccellenza, domani mattina le farò vedere quante tabacchine rappresento’.

La notte, a piedi, in bicicletta, con la macchina e con ogni mezzo, avvisammo tutta la provincia: ‘DOMANI MATTINA TABACCHINE E CONTADINI TUTTI A LECCE!!!’

All’indomani mi presentai dal Grimaldi perché ero di commissione e gli dissi: ‘Venga: le faccio vedere le tabacchine che rappresento!’

Affacciatosi alla finestra il prefetto non credeva ai propri occhi: circa 40.000 tra contadini, e soprattutto operaie e lavoratrici del tabacco, gremivano le strade e le piazze del centro di Lecce”.

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La fissità arcaica dei rapporti sociali fondati sull’abuso della vita non è poi così lontana dai nostri tempi. I ragazzi di colore che raccolgono angurie e angherie sono qui, a due passi da noi, nel neritino, non nel Polo Nord. Ma ad esser vessati non sono soltanto gli extracomunitari (che ci ostiniamo a chiamare “clandestini” e non invece profughi in fuga dalle nostre bombe), ma anche i nostri congiunti: gli schiavi moderni ce li abbiamo in casa, magari con tanto di laurea in tasca. Sono le giovani vittime del Jobs Act, i lavoratori flessibili, quelli con i voucher, i full-time con contratti part-time, gli esuberi, i licenziati, i disoccupati in aumento, e quelli che hanno smesso di cercare un lavoro. Sono gli sfruttati in nome della “competitività”.

E senza una presa di coscienza, cioè una nuova ‘coscienza di classe’, prima o poi saremo tutti vittime di questo capitalismo di rapina che ammazza diritti, ragione e ambiente.

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Così la Isa concludeva la sua intervista a Luigi del Prete: “Finché ci sarà il ricco che può comprare ed il povero che si fa comprare non ci sarà giustizia. E quei pochi che vogliono uscire da questa oppressione ci rimettono la pelle! […] L’emancipazione della donna non sta nelle calze di nailon, nel cappotto di pelliccia, o nella macchina. L’emancipazione non è questa. La vera emancipazione è chiedersi: chi sono io, che cosa posso dare alla vita, che cosa posso ricevere dalla vita”.

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La Isa ora riposa in pace nella cappella di famiglia nel cimitero di Noha.

Intorno alla sua tomba in primavera ho visto crescere spontanei gruppi di papaveri rossi.

Antonio Mellone