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L’addio al vescovo Antonio Rosario Mennonna (1983)
Di Antonio Mellone (del 02/07/2016 @ 11:59:52, in don Donato Mellone, linkato 3462 volte)

Il brano che segue è stato rinvenuto di recente fra le carte dell’archivio di don Donato Mellone (1925 - 2015).

Scritto nel 1983 alla sua inseparabile Olivetti Lettera 22, è il discorso di commiato da Antonio Rosario Mennonna, vescovo di Nardò (e quindi anche di Noha prima del passaggio della parrocchia all’archidiocesi di Otranto) sin dal 1962.

Anche questa è Storia locale. Che, come ribadito più volte, non è mai Storia di serie B, ma Storia tout court, e con tanto di maiuscola. Storia, che molto spesso è scritta su pezzi di carta rinvenuti per caso.

Mons. Mennonna era un mito per lo scrivente. Il vestito paonazzo, le insegne episcopali (mitria, anello, croce e pastorale), i pontificali, il portamento ieratico e la sua 131 Mirafiori blu lucidissima con tanto di autista e segretario, facevano evidentemente una certa impressione su quell’imberbe osservatore nohano ante-litteram che ero. Ne osservavo, dunque, tutti i dettagli: i suoi occhiali da miope molto spessi, i decori artistici degli uncini dei suoi vincastri, finanche le calze rosso-violacee perennemente indossate, come del resto il suo abito corale con mozzetta.

Del mio vescovo conoscevo il suo stemma (i monti, la stella a sei punte e la fortezza turrita) effigiato all’ingresso dell’episcopio e sul portale dell’adiacente cattedrale neritina, ma anche ricamato sulle infule delle preziose mitrie aurifrigiate, lavorato a filet con l’uncinetto sugli orli della cotta, marcato sugli altri paramenti sacri, e ovviamente stampato sui documenti ufficiali di curia e sulle lettere pastorali.

“Ut ascendam in montem Domini” era il suo motto. Certo di non commettere sacrilegio, lo utilizzai a mo’ di slogan del Numero Unico, il giornalino della Scuola Militare per gli Ufficiali di Amministrazione di Maddaloni, di cui nel ‘92-‘93 fui pure direttore responsabile. Ma, come posso dire, laicizzandolo preventivamente: togliendo cioè quel “Domini”, e lasciando semplicemente “Ut ascendam in montem”. Volevo trasmettere agli altri, tramite il contenuto di quella pubblicazione con tanto di espressione latina, l’urgenza di sentirsi invincibili piuttosto che vincenti, sottolineando l’importanza della lotta e della fatica della salita a prescindere dal raggiungimento dell’obiettivo-vetta. Ma questa è un’altra storia.  

Ricordo che nel corso di una delle feste del Ministrante che si celebravano annualmente a Nardò nel grande atrio polifunzionale del seminario diocesano (adibito a volte anche a campo di basket o di calcetto, quando non per convegni, cerimonie o sante messe all’aperto), ricevetti in dono dalle mani dell’eccellentissimo vescovo un libro premio che ancora conservo gelosamente. Era un libello delle Edizioni Paoline, scritto da Denise Barnard dal titolo “Sul tetto del mondo”: una storia sul Tibet e sul Dalai Lama (per dire l’ecumenismo, e soprattutto l’apertura mentale di quell’uomo di cultura, che ci spingeva proprio in quei ruggenti anni ‘70 ad andare oltre “questa siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”, e forse anche oltre la nostra stessa religione). Credo che fosse stata la signora Pata di Noha (al secolo Vituccia Specchiarelli), delegata all’iniziazione cristiana dei chierichetti, a fare il mio nome al “comitato-premi-libri-ai-chierichetti” per quella bella cerimonia.    

Quando il vescovo era in visita a Noha era quasi una festa di precetto, i riti sempre solenni, con la presenza costante di almeno quattro sacerdoti (i due immancabili nohani, cioè don Donato e don Gerardo, e poi ancora don Giovanni Cardinale di Aradeo e infine il segretario-cerimoniere vescovile, mons. Mancina, anzianissimo, e sovente altri “preti ospiti”). Tutti attendevamo l’arrivo dell’ordinario diocesano sul sagrato della chiesa madre, pronti, subito dopo il saluto del parroco, a riceverne l’aspersione “urbi et orbi” (a Noha e al mondo).

Una volta, alla fine di una celebrazione eucaristica, mi trovai ad aprire completamente la porta dell’ufficio parrocchiale (dove era stato preparato il solito rinfresco con delle bibite) solo dopo il passaggio di sua eccellenza, non prima. Ecco che monsignore, tra il serio e il faceto rivolto a me – tra le risate degli astanti - mi fa: “Non preoccuparti. Pensa che anche Santa Chiara chiuse i cancelli dopo che i buoi erano scappati.” Non sapendo cosa rispondere (andavo meglio agli scritti che all’orale anche allora), credo che mi mimetizzai diventando rosso porpora, più o meno come la veste color magenta del mio illustre interlocutore.

Non sto qui a dirvi che imitavo la voce e la cadenza di mons. Mennonna come nessun altro. A dire il vero ero un (inimitabile) imitatore di persone non famose che manco un concorrente di “Italia’s got talent”. Sicché arrivai a fare la parodia di personaggi più o meno locali, quali don Donato stesso, ovviamente don Gerardo, finanche la mia maestra delle elementari… Più tardi arrivai a fare il verso anche ai miei professori delle superiori e quindi dell’università, oltre ovviamente quello di molti miei amici e colleghi, e di altri personaggi vari ed eventuali.

*

Antonio Rosario Mennonna (sopravvissuto a due suoi successori avvicendatisi sulla cattedra neritina), si è spento nella sua casa di Muro Lucano nel 2008, all’età di 103 anni. Ipovedente, è stato lucidissimo fino alla fine: pare che allenasse le sue sinapsi recitando a memoria interi canti della Divina Commedia (ergo lo scrivente, da questo punto di vista può considerarsi in una botte di ferro).

Lascia un ottimo ricordo in quanti lo conobbero in vita, ed una serie infinita di pubblicazioni, fra le quali: libri di favole per grandi e bambini, trattati di filosofia e di teologia, volumi di glottologia (per esempio sui dialetti gallitalici della Lucania), un piccolo dizionario del cristianesimo, e i famosissimi e stupendi “Dialoghi con i personaggi dell’antica Roma” (da Romolo a Tarquinio il Superbo, da Cicerone a Socrate, da Augusto a Costantino, ecc.), incisi anche su Cd.

Il vescovo-professore fu insignito dal Presidente della Repubblica della medaglia al valore di benemerito della scuola, della cultura e dell’arte.

Nel 2008, pochi mesi prima della sua dipartita, scriveva una lettera di ringraziamento a don Donato per il dono del suo volume “Il sogno della mia vita” (curato dal sottoscritto, ed edito da Panìco). In quella lettera (che mio zio buonanima mi fece leggere, e che ora non riesco a rinvenire – datemi tempo), Mennonna fa riferimento al sottoscritto quale insuperabile imitatore della sua voce.

Antonio Mellone

*

Eccellenza Reverendissima,

sono passati ventuno anni e qualche mese da quando Ella fece il suo ingresso nella nostra Diocesi. E ora è giunto il momento di lasciarci per ritornare nella sua terra d’origine (Muro Lucano, ndr.). Sono convinto che Ella se ne sarebbe andata in punta di piedi, senza dar fastidio a nessuno, se non ci fosse stato un dovere elementare da compiere: quello di congedarsi da noi sacerdoti e dalle comunità parrocchiali che per tanti anni Ella ha guidato con saggezza, spirito di sacrificio e soprattutto con grande bontà d’animo.

Non è nel mio stile, Eccellenza, abbandonarmi ai complimenti, ma la verità bisogna pur dirla. E la verità è che noi sacerdoti, come pure tutti i fedeli, abbiamo visto in Lei non l’uomo di cultura, non il dottore in Sacra Teologia, quanto il Buon Pastore che ha amato questa Diocesi di Nardò, non con le parole, ma con i fatti e in verità.

Non è questa la sede più adatta, e non sono io la persona più indicata per illustrare l’opera da Lei svolta a vantaggio di tutta la Diocesi neritina nel corso del Suo ministero pastorale: ci saranno altri più qualificati di me che non mancheranno di assolvere a questo compito. E tuttavia a me spetta il dovere di fare solo un cenno a quanto bene ha compiuto nei confronti di questa Comunità Parrocchiale di Noha.

E ricordo le numerose visite pastorali, da Lei compiute. Ricordo quando nei primi anni del Suo (e mio) Ministero venne nella nostra Comunità a benedire i locali della nuova casa parrocchiale; ricordo quando fece un sopralluogo per i lavori di restauro della chiesa madre e per consacrare successivamente questo altare maggiore, così come voluto dal Concilio; ricordo la benedizione delle campane della chiesa parrocchiale e quella del cimitero, e anche quando venne a Noha a benedire il nuovo monumento ai Caduti; e ricordo, infine, quando, proprio in quest’anno è venuta a benedire il nuovo campo sportivo. E non posso non ricordare, durante l’anno mariano diocesano, l’accoglienza festosa che proprio questa comunità tributò alla Madonna della Pace nel pellegrinaggio che Ella ha voluto indire partendo da Roma.

Sono queste soltanto alcune delle opere che Ella ha compiuto a nostro vantaggio, e proprio a nome di questa Comunità, e a nome mio personale sento il dovere di esprimere all’Eccellenza Vostra Rev.ma i sentimenti della nostra gratitudine più sincera e più devota, e al tempo stesso Le chiedo che non ci dimentichi.

Per questo le Associazioni parrocchiali hanno pensato di offrirLe in dono una statuetta della Madonna. Quando Ella pregherà davanti a questa statua sono certo che si ricorderà di noi.

Noi, dal canto nostro, non mancheremo di ricordarLa nelle nostre preghiere.

Per l’intercessione di Maria, il Signore Le conceda Grazie su Grazie, e tanti anni ancora di vita e salute.

Sac. Donato Mellone

 

   [si ringrazia lo Studio Fotografico Pignatelli per la foto d’archivio]

 

Commenti

  1. # 1 Di  salvatore (inviato il 02/07/2016 @ 12:40:15)

    Persone,personaggi come il Monsignor suddetto da una forte personalita'e carattere riflessivo, e pacatissimo da cio'che,mi sembra d'intuire.
    Che,figure profonde e reali.....(consideravo) anche,il Monsignor D. Mellone

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