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Di Antonio Mellone (del 23/02/2020 @ 09:37:08, in don Donato Mellone, linkato 1448 volte)

Insomma, due giorni interi di messaggi a non finire sulla magnificenza del concerto, gente che ti ferma per strada, o ti chiama al telefono per complimentarsi (mica con te, che non c’entri niente, ma con il Maestro).

E così lo Scarcella Francesco di Andrano, maestro d’organo, dopo aver suonato all’estero e nel resto d’Italia, vinto concorsi, composto opere, registrato dischi, diretto orchestre, inventato festival (tipo l’Organistico del Salento), promosso restauro di organi antichi, architettato di moderni, tenuto seminari, e insegnato in conservatorio e in mille altre scuole di ogni ordine e grado, l’altra sera si è presentato a Noha in frac e dunque papillon bianco, abito d’uso dei direttori d’orchestra, per farci girare la testa.

L’ha fatto non solo dando fiato alle canne del nostro Continiello del 1971, che obbedienti gli han risposto per le rime, ma facendoci capire che un organo si deve suonare anche con i piedi (in senso letterale non letterario, eh), che per di più la musica, fosse anche quella di un’opera buffa come il Barbiere di Siviglia del Rossini, è pur sempre sacra, e che, benché sacra, o forse proprio perché sacra, non può non essere ribelle.

Per farla breve, l’Arte (in questo caso dei suoni) è sovvertimento di canoni: sì, certo, c’è quello di Pachelbel, di Canone dico, che si ripete costante, imperturbabile, ma siccome il cantus firmus rischia di essere monotono arriva finalmente la lotta di classe da parte di quella cosa sublime che è il Contrappunto, forma d’indipendenza, e  talvolta contrasto di melodie che è sale e pepe, ma sa diventare zucchero e crema pasticciera quando serve.

Händel, poi, sa il fatto suo, e tra il sei e il settecento suona a corte per re e regine, compone su pentagramma l’arrivo presso il saggio Salomone della Regina di Saba, e, come suole, fa musica aristocratica. Ma le canne tutte del Continiello di Noha, per mani e piedi del prof. Francesco, diventano spade da investitura al cavalierato, che dico, di proclamazione regale, con l’elevazione di ogni esponente del popolo in ascolto, al rango di re e regine, principesse e principi (rospi inclusi).

Del sovrano del Contrappunto, tal Johann Sebastian Bach, delle sue suite (da cui la celeberrima Aria sulla quarta corda, propedeutica a una seduta di Yoga) e della sua Toccata e Fuga ci sarebbe da dissertare a lungo, ma qui ci limitiamo a dire che a Noha diventano stoccata e foga (di applausi).

Il Te Deum, canto antico di ringraziamento, che si esegue in genere alla fine, si anticipa per anticonformismo all’inizio dell’esibizione (non erano forse i Nomadi che lo suonavano come brano di apertura di ogni loro concerto?). Quello di Charpentier, in particolare, scritto per soli coro e orchestra, comincia sempre con un rullo di timpani, ma stasera in questa terra non servono per l’ouverture strumenti a percussione con membrana tesa su bacino emisferico: bastano i cuori pulsanti in concerto dei suoi abitanti.

Si vola verso la conclusione con l’Improvvisazione Scarcelliana sul tema del Symbolum, simbolo cioè che la classe è finalmente acqua di colonia, profumo d’immenso, per giungere in men che non si dica ai saluti e alle congratulazioni finali. Non può mancare certo il fuoriprogramma: un bis soave con organo e popolo tutto che intona “È l’ora che pia”: uomini e donne astanti armonizzati come un sol corpo e una sola voce e, forse, una sola anima, in una lode giubilare maestosa e perfetta.

 

Venerdì 21 febbraio 2020, ricorre il quinto anniversario della morte di don Donato Mellone, prete, parroco di Noha, insegnante, e organista.

Per ricordare l’uomo e il sacerdote, alle ore 18.00 verrà celebrata la messa di suffragio nella chiesa di San Michele Arcangelo; per ricordare invece il musicista, a seguire, alle ore 18.45, nella stessa sede, verrà eseguito un concerto all’organo per l’arte del M° Francesco Scarcella.

Nel concerto in memoriam della durata di 45’ verranno proposte musiche di Bach, Charpentier, Morricone, Händel, Pachelbel e Sequeri.

L’invito è rivolto a tutti coloro che amano la bellezza.

Ingresso gratuito.

Noha.it

 
Di Antonio Mellone (del 21/02/2019 @ 21:48:19, in don Donato Mellone, linkato 1493 volte)

Quattro anni fa, esattamente il 21 febbraio 2015, alla soglia dei novant’anni, don Donato Mellone lasciava per sempre questa valle di lacrime diretto verso altre mete. Ma non è detto che tutte ‘ste lacrime fossero necessariamente di pianto: ché molto spesso erano di risate.

Come ormai tradizione vuole, vorrei ricordarlo con qualche aneddoto che lo riguarda.

***

Sì sa che con l’età l’udito è forse, dei cinque sensi, quello che più ne patisce. Don Donato non ne fu immune, tanto da diventare progressivamente sordo come una campana (quando si dice il caso). Questo per la gioia di molti tra i fedeli penitenti pronti, dopo il canonico esame di coscienza, al sacramento della Confessione.

Da lui c’era sempre la fila, sicuramente anche per via del fatto che l’assoluzione era assicurata nel breve volgere di qualche minuto e soprattutto per qualunque peccato.

Per. Qualunque. Peccato.

Eccovi l’esempio di un dialogo in confessionale che oseremmo definire Conversazione PD: vale a dire tra Penitente/Peccatore (P) e Don Donato (D):

D - Da quanto tempo non ti confessi, figliolo?

P – Eh, caro don Donato, hai presente la Prima Comunione? Be’, per me fu anche l’ultima.

D – Bene, bene: in effetti il bisogno di riconciliarsi con Dio è alla base della vita cristiana.

P - Poi, padre, volevo dirti che ho ammazzato cinque persone, in pratica una strage.

D - Molto bene, bravo, continua sempre così: l’umanità ha bisogno di persone come te, e soprattutto di azioni come le tue per diventare più giusta e civile.

***

Arrivò il tempo dei telefonini. In chiesa madre durante le funzioni religiose era un continuo echeggiare, al cui confronto i decibel di un organo a canne sarebbero stati quelli di una camera anecoica. Don Donato, che non ha mai posseduto un telefonino in vita sua, seppe da qualche fedele più esperto le modalità con le quali si poteva silenziare questo esigente padrone che ci portiamo a spasso.

Sicché una volta, nel corso di un’omelia, squilla d’un tratto il solito anonimo Smartphone. Udito l’ennesimo trillo molesto, interrompendo il fluire dei pensieri (stava giustappunto disquisendo di comandamenti) così parlò ex-cathedra: “Questi squilli continui sono smisuratamente importuni: la prossima volta siete pregati di utilizzare il vibratore”.

***

Siamo agli inizi degli anni ’60. Da giovane prete, insieme ad un altro sacerdote diocesano, don Donato si reca in pellegrinaggio a Roma. Nel corso di alcuni esercizi spirituali il nostro Don venne invitato a parlare alla Radio Vaticana della sua esperienza di professore di Latino, Italiano, Storia e Geografia presso il seminario vescovile di Nardò. Si era preparato il discorso ma, ovviamente, come al suo solito non volendo leggere nulla, decide di parlare a braccio. Gli passano la parola.

Sarà stato per l’emozione di discorrere per la prima volta in una radio, e soprattutto Urbi et Orbi, così esordì: “Sia lodata la Radio Vaticana, qui vi parla Gesù Cristo”.

***

Voi dovete sapere che don Donato ha sempre bevuto il vino fresco. Che dico fresco, gelato. Anche fuori dalla stagione del solleone. Per lui una delle penitenze più dure (difficili da sopportare perfino in Quaresima) era riuscire a mandar giù il vino – dico anche quello della messa - a temperatura ambiente, soprattutto d’estate: “Ma così il vino non scende e non scende” - diceva.

Trova dunque una soluzione. Chiede e ottiene dalla fedele Antonietta, dimorante dirimpetto alla sacrestia, l’impegno di procurargli un po’ di ghiaccio tritato, una granita insomma, da introdurre nelle ampolline dell’acqua e del vino qualche minuto prima della celebrazione.

“Ma come, zio: il sangue di Cristo in ghiaccio?” – gli faccio.

“Guarda: la morte sua”.

***

p.s. Alcuni degli episodi narrati sopra (tipo l’ultimo) sono veri: quanto è vero Iddio.

Antonio Mellone

 
Di Antonio Mellone (del 21/02/2018 @ 00:00:00, in don Donato Mellone, linkato 2052 volte)

Tre anni fa, come oggi, don Donato si congedava da questa vita quando mancava qualche mese al compimento del suo novantesimo genetliaco.

Non voglio mancare all’ormai tradizionale appuntamento nel proporvi, per l’occasione, qualche ricordo, l’immancabile aneddoto (vero), e dunque qualche flash su stile e taglio della sua personalità.

Orbene, trovandoci ora nel bel mezzo dell’ennesima campagna elettorale, mi sembra d’uopo trattare il tema dei rapporti tra l’antico parroco di Noha e la cosiddetta politica.

E qui non posso tacere un dato incontrovertibile: e cioè il fatto che nel corso degli anni cinquanta, sessanta e anche settanta del secolo scorso (e, a pensarci bene, anche degli anni ottanta e novanta) il nemico politico numero uno da battere era il Comunismo. Alla Falce e Martello bisognava contrapporre la Croce. Possibilmente quella della Democrazia Cristiana (il cui slogan era appunto: Metti croce su croce).

Nei paesi rurali del Salento la voce del parroco era la più ascoltata. L’arciprete era il consigliere, l’informatore, il tramite attraverso il quale passava tutto quanto vi fosse di “cose buone e giuste” da far sapere ai fedeli.

Tuttavia, i politici, specialmente di centro e di destra, che prima delle votazioni facevano anticamera in sagrestia nella speranza di ottenere l’appoggio del curato di Noha, spesso andavano via a mani vuote. E questo non tanto perché il prevosto nohano fosse di sinistra (figurarsi), ma perché don Donato, discreto com’era e soprattutto rispettoso del libero pensiero di tutti, fu sempre consapevole del fatto che il parroco dovesse fare solo il parroco, senza deformazioni o straripamenti nelle beghe partitocratiche o nei fatti dello Stato.

 
Di Antonio Mellone (del 07/08/2017 @ 00:00:00, in don Donato Mellone, linkato 2135 volte)

Fino al 2015, anno della sua scomparsa, il 7 agosto, solennità di san Donato, si festeggiava a Noha l’onomastico del parroco don Donato Mellone, classe 1925.

Quest’anno - per non venire meno alla tradizione della pubblicazione di qualche brano che lo riguarda - vorrei ricordarlo con le parole di una lettera giuntami tempo fa da Nazareth da un suo alunno, poi sacerdote: don Salvatore Grandioso.

Avendola molto apprezzata, non solo per lo stile e per l’episodio che vi si racconta (davvero bello) ma anche per l’insegnamento che se ne trae, vorrei sottoporne la sua trascrizione alla vostra cortese attenzione (in particolar modo a quella di chiunque ricopra ruoli di responsabilità: direttori, capiarea, manager, imprenditori, insegnanti, genitori, consorti, rappresentanti politici...).

In questo scritto c’è la narrazione di alcuni episodi (veri) e la lezione si di un metodo infallibile per il famoso cambiamento (possibilmente in meglio) del corso della vita di ognuno e della storia di tutti.

Buona lettura.

Mel

 *

«Carissimo Antonio,

sono già a Nazareth per il mio lavoro di Confessore Ausiliario nel Santuario dell’Annunciazione e, con gioiosa gratitudine eccomi alla tua gentile richiesta di ricordare tuo zio: don Donato Mellone.

 

Tra i miei ricordi più lontani nel tempo, uno, per me tra i più significativi, è legato proprio alla figura di don Donato.

 

 
Di Antonio Mellone (del 21/02/2017 @ 13:22:28, in don Donato Mellone, linkato 2559 volte)

Due anni fa, come oggi, si spegneva mio zio Don Donato Mellone, parroco di Noha. Gli mancava qualche mese per raggiungere le novanta primavere.

Non è qui d’uopo dare dei colpi di scalpello nell’abbozzo di un suo profilo: l’ho già fatto altrove, in altri testi.

Qui mi limito soltanto a ribadire che questo prete non ha vissuto 67 anni di sacerdozio per se stesso, ma per gli altri. Sicché il suo referente è sempre stato il suo Dio.

Non credo abbia mai avuto rimpianti. E sono certo che se con lui avessi fatto il gioco “se tornassi indietro cosa faresti?”, senza esitazione mi avrebbe risposto ancora il prete, e allo stesso modo. Magari cambiando due o tre piccole cose, ma la scelta sarebbe stata sempre la stessa.

Don Donato era nato per fare il prete e sapeva di esserlo fino in fondo, come il primo giorno.

Non è mai stato un grande condottiero, né mai ha avuto l’indole o l’estro del manager o del pubblicitario (ma forse non è nemmeno questo che vien richiesto a un sacerdote).

La sua fede era fermissima ma discreta e rispettosa, e certamente proprio per questo non l’ha mai imposta, semmai solo proposta agli altri, con onestà e senza fanatismi. La sua religiosità non è mai stata senza sorriso, né mai si è trasformata in arroganza dello spirito.

 
Di Antonio Mellone (del 06/08/2016 @ 17:09:24, in don Donato Mellone, linkato 3167 volte)

Nel corso del solleone estivo, precisamente il 7 di agosto, ricorre la solennità di San Donato. E quindi l’onomastico del fu don Donato Mellone (1925 -2015). Quella che segue è una delle sue (inedite)“omelie di San Donato” trovate di recente nell’archivio dell’antico parroco di Noha. Non vi è riportato l’anno al quale lo scritto si riferisce: dalle prime battute si arguisce soltanto che quell’anno il 7 agosto cadeva di domenica.

*

I chierichetti, salvo quelli che “si ritiravano” in campagna, continuavano a frequentare la parrocchia anche d’estate (don Donato soleva ripetere che la chiesa è come la scuola: “se ti la ‘nnargi’, perdi tutto”).

In compenso, dopo la celebrazione della messa mattutina s’andava tutti al mare.

Alla guida della sua Fiat 128 verde, carica di chierichetti, l’arciprete partiva da Noha verso le otto del mattino e si dirigeva per una breve sosta nella campagna denominata Petrì, sulla via per Collepasso, per “caricare” anche il colà dimorante sottoscritto.

 
Di Antonio Mellone (del 02/07/2016 @ 11:59:52, in don Donato Mellone, linkato 3653 volte)

Il brano che segue è stato rinvenuto di recente fra le carte dell’archivio di don Donato Mellone (1925 - 2015).

Scritto nel 1983 alla sua inseparabile Olivetti Lettera 22, è il discorso di commiato da Antonio Rosario Mennonna, vescovo di Nardò (e quindi anche di Noha prima del passaggio della parrocchia all’archidiocesi di Otranto) sin dal 1962.

Anche questa è Storia locale. Che, come ribadito più volte, non è mai Storia di serie B, ma Storia tout court, e con tanto di maiuscola. Storia, che molto spesso è scritta su pezzi di carta rinvenuti per caso.

Mons. Mennonna era un mito per lo scrivente. Il vestito paonazzo, le insegne episcopali (mitria, anello, croce e pastorale), i pontificali, il portamento ieratico e la sua 131 Mirafiori blu lucidissima con tanto di autista e segretario, facevano evidentemente una certa impressione su quell’imberbe osservatore nohano ante-litteram che ero. Ne osservavo, dunque, tutti i dettagli: i suoi occhiali da miope molto spessi, i decori artistici degli uncini dei suoi vincastri, finanche le calze rosso-violacee perennemente indossate, come del resto il suo abito corale con mozzetta.

Del mio vescovo conoscevo il suo stemma (i monti, la stella a sei punte e la fortezza turrita) effigiato all’ingresso dell’episcopio e sul portale dell’adiacente cattedrale neritina, ma anche ricamato sulle infule delle preziose mitrie aurifrigiate, lavorato a filet con l’uncinetto sugli orli della cotta, marcato sugli altri paramenti sacri, e ovviamente stampato sui documenti ufficiali di curia e sulle lettere pastorali.

 
Di Antonio Mellone (del 06/05/2016 @ 22:22:52, in don Donato Mellone, linkato 2775 volte)

La Casa Canonica di Noha alla luce del Concilio. 1967

Ecco, di seguito, un altro brano rinvenuto di recente tra le carte di don Donato Mellone (1923 -2015). Si tratta del discorso tenuto dal defunto patriarca di Noha nel mese di ottobre 1967, in occasione dell’inaugurazione della nuova Casa Canonica, il palazzo che domina piazza San Michele e che oggi ospita Casa Betania.

Il discorso è inedito, mentre alcune delle foto qui riprodotte (grazie allo studio Fotografico Pignatelli di Noha) furono pubblicate ne “Il sogno della mia vita”, il volume da me curato sugli scritti di don Donato e uscito nel 2008 per i tipi di Panìco Editore di Galatina.

In quel volume - ricordo agli interessati - pubblicai all’insaputa dell’autore (vale a dire dello stesso don Donato) alcuni suoi elaborati manoscritti rinvenuti per caso in dei quaderni (quaderni-cimeli) che stavano per essere gettati nella spazzatura. La grafia di quei fogli è chiara e precisa, e in fondo facilmente leggibile da chiunque vi si assuefaccia dopo tre o quattro pagine di lettura.

Fu una scoperta, non un’invenzione letteraria; non un ritrovamento per aggiungere un’aureola intrigante ad una persona che non ha mai ricercato il clamore, né pensato di ergersi su piedistalli più o meno alti.

 

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