Di Marcello D'Acquarica (del 19/08/2024 @ 13:28:40, in NohaBlog, linkato 535 volte)

Parchi eolici, fotovoltaici e altro ancora. Il loro prodotto non è l'ossigeno e gli scarti non sono legna, foglie, frutti, fiori, humus e boschi. No.
Quindi vanno chiamati col nome giusto, e cioè industrie produttrici anche di energia ma soprattutto di profitti a terzi.

È così evidente l'inganno insito nel nome, che sicuramente i fautori di questa roba sono convinti che noi altri del popolo siamo una massa di cretini.

A detta del MASE (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica - https://va.mite.gov.it/it-IT/Procedure/ViaElenco/27/14) in mezza Italia stanno per essere impiantati migliaia, ma che dico: milioni di parchi.
Secondo il GSE (Gestore dei Servizi Energetici https://atla.gse.it/atlaimpianti/project/Atlaimpianti_Internet.html),  la provincia di Lecce si è aggiudicata il secondo posto dopo Brescia come area con il maggior numero di impianti fotovoltaici, e ora a quanto pare vogliono primeggiare  altrettanto con l'eolico e i rifiuti pericolosi.

Infatti, il nostro territorio, dico soprattutto le campagne di Galatina in cui risiede una delle molteplici teste del mostro, sarà straziato dalle “linee di congiunzione” di cavi che partiranno (o arriveranno) alla centrale Terna, per un “Parco Eolico off-shore Odra” a 12 km dalla costa. Il parco eolico interessa un’area pari a circa 162 kmq (1KM PARI A 100 Ha) e sarà composto da 90 aerogeneratori. Così dopo la terra potremo dire addio anche al mare.

E così la nostra bella Gggalatina, primeggerà nel groviglio disarticolato di recinti e reticolati senza l'ombra di uno sputo verde che sia un cespuglio, una scrascia, una finta siepe di plastica, come vorrebbe il regolamento comunale, per nascondere alla vista dei malcapitati abitanti avvezzi al villeggiar nei campi, la devastazione che si trova all'interno dei sopradetti “parchi”.

 

Mentre il delegato alla frazione di Collemeto dichiara che pensa a feste e festini, i cittadini di Collemeto hanno problemi più seri da risolvere.

Dal 15 luglio scorso sono, infatti, senza medico, perché a causa del pensionamento del dottore è stato disattivato l'ambulatorio.

La politica dovrebbe pensare a risolvere questi problemi, almeno per come intendo il significato di politica.

Invece i nostri amministratori sono inadeguati al ruolo, come ho sempre sostenuto.

 
Di Redazione (del 19/08/2024 @ 13:22:43, in Comunicato Stampa, linkato 264 volte)

Dopo un periodo di meritato riposo a seguito di una stagione complicata che non è terminata come ci si aspettava con la retrocessione in serie B2, il Circolo Tennis “Giovani Stasi” di Galatina scalda i motori per partire con le attività della scuola tennis e del nuovo campionato.

La sconfitta a luglio nello spareggio dei play-out contro il Perugia fa ancora male, ma servirà certamente da sprone per far meglio nella prossima stagione.

«C’è ancora molta delusione e rammarico – afferma Donato Marrocco, capitano e direttore tecnico della squadra – non possiamo negarlo. Abbiamo avuto anche un po' di sfortuna, però sappiamo bene di aver dato il massimo fino alla fine. Ce l’abbiamo messa tutta per rimanere in serie B1 ma purtroppo non è accaduto».

Non nasconde l’amarezza per l’inspiegabile forfait ad inizio campionato di Antonio Montinaro, la cui presenza avrebbe potuto dare un volto diverso alla squadra, ma fortunatamente il vivaio del circolo di contrada Guidano ha risposto bene e ci sono tutte le premesse per disputare un’ottima stagione.

«Con questa squadra e qualche inserimento per rafforzarci un po’ - prosegue Marrocco - disputeremo un campionato diverso, proprio perché nella B2 avremo l’opportunità di schierare un solo vivaio ed avendo un giocatore come Cardinale potremo competere a livelli più alti e provare a risalire in B1. Siamo molto fiduciosi anche perché nel nostro vivaio ci sono già dei tennisti molto bravi, che stanno crescendo e che nei prossimi anni potremmo schierare in serie B. Questo è possibile grazie al grande lavoro della scuola tennis».

Donato Marrocco, oltre a parlare di futuro, ci tiene a ricordare la figura di Marco Ottaviano, scomparso prematuramente il mese scorso, figura di riferimento per la sua grande passione ed il suo amore nei confronti del tennis, del circolo e dei giovani. «La perdita di Marco Ottaviano ha sconvolto tutti noi. Eravamo grandi amici, lo conoscevo da quando avevo otto anni. Una persona con cui riuscivo sempre a confidarmi ed alla quale chiedevo consigli perché Marco era una colonna portante del nostro circolo. Lo ricordo affettuosamente per la sua pazienza, per la sua premura e per la sua attenzione soprattutto verso il circolo tennis che tanto amava e nel quale desiderava trascorrere sempre il suo tempo libero».

 
Di Redazione (del 19/08/2024 @ 13:18:49, in Comunicato Stampa, linkato 260 volte)

Cambio di passo per l’Olimpia Sbv Galatina che è pronta a tuffarsi nel campionato regionale di 2° livello di serie D, dopo la vittoriosa cavalcata della passata stagione.

Assolti gli obblighi d’iscrizione federali la Salento Best Volley s’inserisce con pieno diritto tra le 24 società che per vicinanza geografica comporranno i due gironi, come nelle passate stagioni.

Una novità riguarda l’inserimento nell’organico dei gironi di una rappresentativa regionale giovanile che parteciperà al Campionato di serie D.

Assumerà la denominazione di Club Puglia, andando ad aggiungersi alle 24 squadre aventi titolo tra conferme, promozioni e retrocessioni dalla serie C.

In buona sostanza dovrebbero essere generati 2 gironi da comporre con un numero dispari di squadre per consentire appunto al Club Puglia di competere fuori classifica.

Il progetto federale, al fine di incentivare l’utilizzo di atleti giovani nel campionato di serie D, prevede anche l’istituzione di un obbligo ancor più ferreo della passata stagione.

Per ogni gara sarà obbligatorio iscrivere a referto almeno 3 atleti Under 19 (nati negli anni 2006 e successivi) e l’inosservanza sarà sanzionata con ammende pecuniarie prima, sconfitta a tavolino poi, fino all’esclusione dal campionato se l’infrazione sarà reiterata per la quarta volta.

Per facilità di riconoscimento tutti gli atleti Under presenti alla gara dovranno avere sulla maglia un nastro, posto sotto il numero sul petto, di colore contrastante rispetto alla maglia e di colore diverso dal nastro del capitano.

Le 24 società aventi diritto, fatte salve rinunce non ancora ufficializzate e i conseguenti ripescaggi, esprimono una realtà sportiva baricentrica con ben 10 società appartenenti alla provincia di Bari.

 
Di Russo Piero Luigi (del 18/08/2024 @ 16:17:17, in Comunicato Stampa, linkato 259 volte)

Se agosto è per antonomasia il mese che incarna l’estate, la festa che rappresenta, più di ogni altra, la movida salentina è, certamente, “I Love '80 & '90 Party – A parità di genere… musicale”, inserita all’interno del prestigioso contenitore culturale “Cibo & Sound” e che quest’anno si caratterizzerà per una “novità” sostanziale: il mattatore della serata sarà MOLELLA, produttore e conduttore radiofonico, che da oltre trent’anni è ai vertici del panorama musicale come uno dei DJ più apprezzati e noti che con la sua musica fa ballare diverse generazioni.

Tra i fantastici ospiti avremo EDOARDO VIANELLO, il re mida della canzone italiana, un vero e proprio canzoniere con le hit che hanno segnato un'intera stagione del cantautorato italiano, ma soprattutto che hanno fatto ballare almeno tre generazioni di italiani, da “Abbronzatissima” a “I watussi”, da “Guarda come dondolo” a “Sul cucuzzolo”, fino a “Pinne, Fucile Ed Occhiali”, “Se stasera sono qui” e “Stessa spiaggia, stesso mare”, pezzi intramontabili contenuti in oltre 60 milioni di dischi venduti.

Avremo inoltre DJ Osso che nasce e cresce radiofonicamente con il Trio Medusa. Dopo tanti anni di radio locali romane approda a Radio m2o nel 2006, dove ha condotto ben tre programmi per 13 anni. Dal 2020 fonda la Web Radio Dj Osso Radio.

Il Vocalist sarà Luigi Abaterusso, non un vocalist convenzionale! La sua voce è un ruggito e il suo modo di intrattenere il pubblico è coinvolgente, intimo, personale. Tutto ciò che dice diventa citabile ed ogni performance è un racconto avvincente. Il suo esordio è nelle emittenti radiofoniche private Salentine. Dopo decenni di Beach Party al Samsara Beach di Gallipoli, sarà il faro, insieme a Dino Brown, che guiderà questo magico evento.

Ancora Dino Brown, Dj, intrattenitore, conduttore e autore radiofonico. Appassionato della musica da sempre, è attivo come dj da più di 20 anni e ha girato i locali di tutta Italia. Ha condotto con successo a Radio m2o per 10 anni, creando format popolari come "La Storia Della Dance". È stato direttore artistico di One Dance dal 2019 e ha lanciato il progetto social PILLOLE DI STORIA nel 2023, ampliando la sua fanbase a oltre 250 mila seguaci. Come dj e producer, ha suonato nei principali locali italiani e collaborato con artisti come ICE MC e Jeffrey Jey degli Eiffel 65, producendo vari brani di successo.

 
Di Antonio Mellone (del 16/08/2024 @ 08:10:50, in Fetta di Mellone, linkato 501 volte)

Non vorrei urtare la suscettibilità del sindaco di Galatina e soprattutto dei suoi vassalli, assessori e valvassini, e senza tralasciare i selfie della gleba, se oso evidenziare due o tre cosette che m’appaiono di una certa rilevanza. Avverto però a mo’ di premessa che, salvo clamorosi accadimenti degni di minzione, ogni eventuale successiva fetta di Mellone 2024 proverà a discettare di ben altri temi magari più terra terra, provando a mantenersi pur sempre Vergine di servo encomio.

A proposito di terra, un cenno va all’erba voglio ai bordi delle strade e delle piazze comunali ribattezzata dai supporters ante-elezioni “erba non voglio”. Ebbene, mi permetto di far notare che in molti casi il prato inglese, tedesco e italiano (come nelle barzellette) adorna ancora imperterrito e rigoglioso cospicui lembi dello stradario urbano e inurbano nohano, probabilmente per concretizzare l’antico motto vernacolare che suona così: “Tienimi la samente [semenza] ”. Ora, in base al nuovo verbo incarnito scodellato nel classico comunicato stampa, l’erba incriminata verrebbe tagliata ogni mese e mezzo, e va bene. Ma a noi altri sarebbe bastato un pizzico di onestà in più se non politica perlomeno intellettuale espressa verosimilmente nei seguenti termini: << Cari Nohani, la lotta è impari, non riusciamo davvero a star dietro a tutto: l’erba non è un prodotto finito ma un processo continuo, e non si può vivere una vita intera con il decespugliatore spianato. Certamente noi faremo del nostro meglio, ma voi altri, e non vi sia per comando, dateci una mano, e cercate là dove possibile di fare la vostra parte per il decoro cittadino, tentando di mettere in pratica il celebre adagio secondo il quale se tutti pulissero davanti alla propria porta, il mondo intero sarebbe più pulito >>. Questo avrebbe oltretutto reso giustizia a chi, poveretto, durante la campagna elettorale ha battuto il marciapiede alla ricerca dei ciuffi di verdure ribelli un tempo definiti “erbacce” - oggi invece diventati oggetto di culto, sicché alla loro vista in tanti si scappellano ed esclamano in estasi: evviva la Maria!

 
Di Antonio Mellone (del 09/08/2024 @ 08:51:45, in Necrologi, linkato 1304 volte)

Una decina d’anni fa, in uno dei miei numerosi trasferimenti di sede lavorativa, una cliente, di professione imprenditrice, si presenta davanti a me per “conoscere il nuovo responsabile di filiale”. Nell’udire il mio cognome, la signora si blocca, sgrana gli occhi e mi fa: “Ma per caso lei è di Noha?”. Alla mia risposta affermativa, di rincalzo, aggiunge: “Allora conosce la maestra Bruna Mellone?”. “Certo, – replico – è mia cugina”. E mi racconta che Bruna fu la sua indimenticabile insegnante delle elementari di Supersano, che è stata fondamentale per la sua formazione umana e anche professionale (“dacché le scuole primarie sono forse più importanti di qualsiasi corso di laurea o addirittura master postuniversitario”, mi disse), e che al di là di tutto, della preparazione, dei metodi educativi all’avanguardia per il periodo (siamo a cavallo tra gli anni ’70 e gli ’80 del Novecento) “la Maestra Mellone è una Grande Donna”, parole testuali.

Qualche giorno dopo, compiaciuto, portai a mia cugina i saluti e il giudizio postumo della sua alunna del tempo che fu. Non ci crederete: Bruna, schermendosi da ogni lusinga, ricordava non soltanto i tratti di quella bambina (ormai cinquantenne), ma mi raccontò per filo e per segno alcuni aneddoti riferibili a quella allieva, le particolarità della sua classe bisognosa oltretutto di dedizione straordinaria, nonché i susseguenti tentativi della direttrice della scuola di trattenere Bruna in quell’istituto il più a lungo possibile, rifiutandone ogni richiesta di trasferimento verso altri collegi più vicini al paese di residenza della sua collaboratrice. Cambiamento di sede che comunque avvenne qualche tempo dopo, prima a Collemeto, poi a Galatina e finalmente a Noha. Cambia la geografia, ma la valutazione da parte di colleghi e discenti sul conto di Bruna rimane sempre quello.

Certamente non c’era bisogno di quell’ex-studentessa perché io venissi a sapere che Bruna era una Grande Donna: per me lo è sempre stata. Le mie prime Costruzioni (che oggi si chiamano Lego), il libri di favole, l’esortazione a lasciar perdere la volgare insolenza del quotidiano, i consigli su come scrivere (e soprattutto non scrivere) sono tutti suoi. Veramente ho ricevuto correzioni su grammatica e sintassi dei miei elaborati si può dire fino all’altro giorno, tipo quelle relative alle storie rilegate a libro (il mio “Don Paolo”, per esempio, fu revisionato da lei da cima a fondo), e incluse quelle altre cucite a mo’ di mensile cartaceo, dico de “L’Osservatore Nohano”, del quale Bruna fu generosa collaboratrice.

 
Di Marcello D'Acquarica (del 08/08/2024 @ 00:50:38, in NohaBlog, linkato 1390 volte)

Finita la guerra, l’Italia era in macerie e la popolazione in estrema sofferenza. Era prevedibile che i nuovi governanti dovessero chiedere ulteriori sacrifici agli italiani per avviare la cosiddetta “ricostruzione”, questo c’era da aspettarselo, ma non certo con l’inganno. Non lo meritava nessuno, tantomeno la povera gente che aveva già vissuto cinque anni di tragedie.

Il 2 Giugno 1946, gli italiani furono chiamati al voto, e per la prima volta nella storia l’Italia divenne una Repubblica.

Il 25 giugno 1946, pochi giorni dopo, fra le macerie lasciate dalla guerra, si riuniva a Montecitorio l’Assemblea costituente, composta da 556 deputati, e per la prima volta in Parlamento vennero elette 21 donne. Con la Costituzione saranno garantiti i principi che affermeranno i valori fondamentali di Libertà, Uguaglianza, Solidarietà che sono ancora oggi vitali.

La Costituzione entrò in vigore il primo gennaio del 1948, ma occorrevano ancora molti anni prima che tutti gli articoli trovassero applicazione nella vita reale degli italiani.

A pochi giorni dalla nascita dell’Assemblea costituente, il 20 giugno del 1946, il governo italiano e quello belga, siglarono un accordo cosiddetto “uomo-carbone”. Esattamente 2 mila e 500 tonnellate di carbone ogni mille minatori. Il carbone doveva servire ad avviare la macchina industriale, che avrebbe portato lavoro e benessere alla nazione. Invece si rivelò un vero raggiro.

La propaganda avviata dai due governi per attirare l’attenzione di chi cercava un lavoro fu subdola, faceva leva su promesse di grossi salari, di una sanità gratuita e di case per tutti. Invece il lavoro si rivelò in tutta la sua pericolosità, in quanto alle case i nostri emigranti, una volta in Belgio, trovarono baracche di lamiera o di legno, residui dei campi di concentramento adoperati durante la guerra. E non per ultimo, ci fu l’obbligo perentorio di non poter fare altri lavori se non dopo almeno 5 anni di miniera. “La mina” la chiamavano nel gergo popolare.

Cinque anni era il tempo previsto da uno studio sanitario eseguito dal governo belga, in cui veniva appurato che il rischio di ammalarsi di silicosi per i minatori sarebbe avvenuto quasi con assoluta certezza, appunto entro un massimo di 5 anni, il tempo necessario quindi per sfruttare la manodopera fino all’ultimo respiro. Un lavoro sporco in tutti i sensi.

Per chi si rifiutava c’era la prigione per almeno un anno, in attesa di essere rispedito indietro con il divieto incondizionato di ritornare. Tra questi “imprevisti” dissimulati dalla propaganda dal “manifesto rosa”, così era chiamato il comunicato affisso in tutti i Comuni d’Italia, il peggiore inganno è stato il mancato riconoscimento della silicosi come malattia professionale, una malattia che si sapeva essere mortale. Esistono sul tema decine di libri e articoli che hanno sviscerato quasi ogni aspetto della vicenda dei circa 300mila italiani che dal 20 giugno del 1946 presero la via del Belgio, al ritmo di duemila a settimana, per gettare i propri corpi nelle miniere di carbone. Oggi nessuno di noi si sognerebbe di mandare i propri figli a fare un lavoro così gravoso, tanto meno a mille metri sottoterra, a sputare carbone senza l’ausilio di protezioni, con pochissime norme di sicurezza e con la certezza di morire prematuramente.

All’ombra di quel trattato, quindi, si aprirà il dramma di migliaia di lavoratori, che si troveranno ad affrontare durissime condizioni di vita e di lavoro, e queste saliranno drammaticamente alla ribalta alcuni anni dopo, quando la mattina dell'8 agosto del 1956, in un incendio scoppiato nella miniera del Bois du Cazier di Marcinelle, a mille metri sottoterra, perderanno la vita 262 persone, tra cui 136 immigrati italiani, di cui ben 16 salentini. Nessuno di quei 16 era di Noha, ma alcuni dei nostri concittadini ci andarono molto vicini.

Le testimonianze di tante sofferenze e dei sacrifici che hanno dovuto fare anche le famiglie dei nostri compaesani, sono tantissime. Ne abbiamo raccolte alcune di Noha. Il valore che può scaturire dalla lettura di quei vissuti, seppur velato dal tempo, è talmente prezioso per il nostro quotidiano e per il futuro delle nuove generazioni che vale la pena considerare con impegno. Un insegnamento quello del sacrificio e del dono della propria vita pari ad un martirio. E con mia grande sorpresa scopro che dall’altra parte, dalla parte di chi è custode di quei preziosissimi segreti, c’è un forte desiderio di condivisione, quasi una liberazione.

Angelo Chezzi

E’ grazie al mio amico Roberto, che incontro Angelo in uno dei miei tanti andirivieni a Noha. Lo incontriamo nella sua casa di campagna, verso Sirgole. Dove, dopo 27 anni di miniera, va a godersi il suo giardino. E’ in questa occasione che ritrovo Aldo, figlio di Angelo e mio vecchio compagno di scuola.

Non vedevo Aldo Chezzi dai primi anni delle elementari, quasi una sessantina di anni fa, eppure è viva l’immagine di quei due bambini che uscendo da scuola si lanciavano in una corsa folle giù per la discesa di via Fabio Filzi con attorno al collo il grembiule a mo’ di mantello da super eroi, sognavano di librarsi in volo nel cielo. E Siamo volati

davvero, lui in un cielo un po’ diverso dal mio, e me lo racconta.

Suo papà Angelo si “arruola” per il Belgio nel 1946. Dopo appena un paio di anni, ritorna a Noha per sposare Lucia Congedo.

Beringen è a nord est, verso il confine con l’Olanda. La destinazione della miniera in cui andare a  lavorare la sceglieva il Governo belga al momento della selezione. Questa di fatto era una visita molto approfondita, così raccontava Angelo: “ci visitavano anche nella bocca, come se fossimo dei cavalli”. Sotto la stazione di Milano avevano organizzato un grande centro per le selezioni, dove due medici italiani e due belga, si occupavano delle visite che erano talmente meticolose da durare anche tre giorni.  Per essere considerati idonei occorreva essere in perfetta

salute, alcuni li rispedivano indietro solo perché avevano lievi difetti fisici, bastava anche solo una venuzza più evidente, e venivano respinti. Angelo nella miniera di Beringen fa il carpentiere, in pratica è addetto alle armature delle gallerie che i suoi compagni di lavoro scavano man mano. Dopo solo 5 anni compra casa a Noha. La sua vita procede in minera con una breve pausa per malattia che trascorre al paese, fino al 1974 anno in cui va finalmente in pensione.

Aldo invece, fa parte della generazione che ha vissuto la miniera con molti meno rischi degli anni ’50 e ’60, si scavava ancora, certo, ma con l’ausilio di mezzi meccanici e asserviti dalla tecnologia più moderna. Ha studiato nelle scuole belga ed è diventato un tecnico di impianti elettrici. Dopo 26 anni di lavoro e di vita in Belgio, non dimentica Noha, ma deve restare in Belgio dove crescono i suoi figli, e appena può vola giù a Noha anche per pochi giorni, a continuare il sogno di Angelo, rifugiandosi nel suo meraviglioso giardino di Sirgole, fra la vigna e gli alberi da frutta e gli ortaggi ed ogni ben di Dio che la nostra Terra se trattata bene sa dare.

Raffaele Rizzo, nasce a Noha il 22 gennaio 1919 in Vico Congedo, la sua è l’ultima casa del vico, dopo ci sono solo prati e fichi d’India. Raffaele è uno dei tanti braccianti senza terra. Insieme ad altri si raccolgono la mattina presto in piazza dove il possidente di turno seleziona la forza lavoro, a giornata.

Noha in quel tempo contava poco più di mille abitanti e offriva pochissime possibilità di lavoro, i braccianti erano numerosi e venivano sfruttati senza un adeguato salario.

Raffaele ha un sogno, quello di costruire un forno per continuare l’attività di sua mamma Maria, che al paese era conosciuta come “a Maria Furnara”.

Nel 1948 si sposa con Maria Annunziata Congedo, una bella ragazza di Aradeo. Intanto di nascosto da Maria, con la complicità di suo fratello Narduccio che lavorava già a Marcinelle insieme al cognato Mario Mangia di Galatina, organizza il suo trasferimento in Belgio. Vuole andarci solo per lavorare qualche anno e realizzare il suo sogno. Maria quando viene a saperlo non è contenta, ma sapendo che sarebbe stato in compagnia del fratello e della sorella Donata, stringe i denti e dopo appena due anni, nel 1950 acquistano la casa davanti  all’edificio  scolastico,  oggi piazza Ciro Menotti. Ma il sogno di Raffaele è sempre quello di comprare la zona attigua alla nuova casa per costruire il forno.

La vita in miniera è dura, soprattutto quella di Bois du Cazier di Marcinelle, è una delle miniere più vecchie, risale alla fine del 1800. Vi sono già accaduti molti incidenti gravi. Una volta morirono 40 persone a causa di una esplosione di gas. La proprietà non intende investire denaro per la ristrutturazione di quella miniera già così sfruttata e bisognosa di alti costi di ammodernamento. I pozzi sono profondi oltre mille metri e le sue gallerie sono lunghe anche decine di chilometri. Lì sotto scarseggia l’aria, e la bocca si impasta di carbone, ma la cosa peggiore è la polvere di silicio, quella è talmente sottile che penetra nei polmoni fino a farli indurire e ahimè, scoppiare.

Poi vi era anche il pericolo del grisù, il gas inodore e incolore che a volte si sprigionava sotto i colpi dei picconi, e faceva addormentare gli sfortunati che, se non se ne accorgevano in tempo per fuggire via, ci lasciavano la pelle.

Intanto sta per nascere Antonio, il terzo figlio di Raffaele, è il mese di maggio del 1953. Raffaele purtroppo non riuscirà a vedere il suo piccolo. Manca solo un mese al rientro a casa ma durante gli scavi in galleria, viene travolto da un crollo ed un masso lo colpisce in testa ferendolo mortalmente. Stranamente in quel momento è solo e nessuno gli presta soccorso. Raffaele muore così, solitario, in una galleria profonda e buia in un incidente mortale a Marcinelle nel 1953. I suoi resti saranno trasferiti nel cimitero di Noha, all’incirca un anno dopo, accompagnati dal fratello Narduccio, che dopo la tragedia in famiglia, non ne vuole più sapere di miniere in Belgio, tant’è che dopo qualche anno va a lavorare in Germania. Ma siamo già negli anni ’60, e le cose non sono più come nel 1946.

Torquato Carallo

Ho avuto l’onore di incontrare una persona davvero esemplare, d’altri tempi: Carmelina Patera, moglie di Torquato Carallo morto nel '96. Carmelina ha un carattere meraviglioso,  nonostante  le sue sofferenze, mi accoglie con un sorriso dolcissimo, mi aspettava e tra una frase e l’altra non finisce mai di dire: “…bei figli, belle persone, molto educate”. Si ricorda dei D’Acquarica  che  abitavano  in via Aradeo all’angolo con via Messina. Lei stava con la sua famiglia nella casa in via Benevento, a due passi dalla casa di Raffaele Rizzo e di Cesare Lisi, in fondo Noha è tutta lì. Sembrava che li unisse il destino.

Si ricorda di tutti i suoi vicini, e me li elenca uno per uno, di ogni casa e di ogni famiglia, nome per nome perfino in ordine di età. Carmelina ha una memoria di ferro.

Canta, mentre racconta canta canzoni dei suoi tempi. E piange, si, ogni tanto piange per i dolori che ha ai piedi. È sofferente Carmelina, dobbiamo fare presto perché la sua resistenza richiede sostentamento e riposo.

Carmelina nasce nella casa di via Benevento nel 1928, a 20 anni lei dice di essere “donna da marito” e mi racconta che sapeva cucire perché era andata alla scuola di taglio da Toma a Galatina. Grazie ad un suo cugino incontrò Torquato che veniva da Aradeo, se ne innamorò subito. Torquato aveva già un lavoro in Belgio, anche lui è stato uno dei primi a rispondere alla seconda chiamata della Patria. Torquato e Carmelina si sposarono nel 1954 senza tanti preamboli, una “fuitina”. Racconta Carmelina che a portarla via da casa fu suo cugino, con la macchina andarono in una campagna, e subito dopo il matrimonio in chiesa, a Noha ovviamente.

Don Paolo che conosceva bene i suoi parrocchiani e sapeva a cosa sarebbero andati incontro quelli che partivano per il Belgio, come forma di incoraggiamento, diede loro la benedizione dicendo testuali parole: “ …e così finalmente vedremo i soldi del Belgio”.  Il viaggio, racconta Carmelina, cominciò in corriera fino a Lecce, si partiva presto, alle 4 del mattino. Il treno era brutto, duro, di legno. Ma nella valigia oltre alla farina, c’era una bottiglia di vino, e il pane e pomodoro e le sarde, e pure una bottiglia di olio. Il viaggio durava quasi tre giorni. Tre lunghissimi giorni. Era il mese di maggio e per fortuna non faceva freddo.

Giunti a destinazione, a Beringen, nel cantone Fiammingo, lo stesso posto dove stavano i Chezzi, il treno si fermò in una stazione di scarico merci, la stessa dove insisteva il campo di lavoro, lontano dal paese. Ai nuovi arrivati non era concesso scendere in stazione, per evitare di farli incontrare con gli altri operai belga. Gli immigrati non erano ben visti dai cittadini belga, perché a causa loro, il costo del lavoro diminuiva. La solita lotta fra poveri, insomma. Una volta arrivati al campo, “la femme”, così la chiama Carmelina, la signora addetta all’accoglienza, li accompagnò ognuno nella sua baracca. Case di legno e di lamiera, le stesse adoperate per i campi di concentramento durante la guerra. In pratica si ritrovarono in un campo di concentramento. Case normali, quelle fatte con i mattoni, in Belgio non c’erano ancora per i minatori stranieri.

Fra i suoi ricordi, Carmelina lamenta le frequenti visite dietro la porta della baracca di ragazzi marocchini e turchi che la corteggiavano, operai della loro stessa miniera, ma senza famiglia. Aveva paura Carmelina, perché lei era bella e allora lo diceva alla Femme che aveva paura. Poi finalmente, i datori di lavoro gli diedero una casa di mattoni. Da quel momento in poi nella vita di Carmelina e di Torquato c’è un solo desiderio: tornare a casa. A Noha, dove l’accoglienza ha un solo calore, quello del nostro sole e della nostra aria mite.

Sembrava tutto calcolato, il 24 maggio di quest’anno, dopo poche settimane dal nostro incontro, Carmelina decide di non soffrire più e sicuramente torna dal suo Torquato a riprendere quell’altro viaggio che li renderà entrambi felici per sempre.

E’ stato un grande onore per me incontrarti e salutarti. Grazie Carmelina.

Antonio Martella, classe 1923.

Nasce a Monteroni il 2 marzo.

A Monteroni lavora insieme al padre in una cava di pietre di proprietà della famiglia. Ma si guadagna poco e come la maggior parte dei salentini si muove per cercare fortuna altrove. Anche lui, terminata la guerra, a poco più di vent’anni aderisce alla chiamata per le miniere del Belgio. Il primo libretto di lavoro lo ottiene a Chatelineau, un villaggio belga situato nella provincia dell'Hainaut. Lavora in miniera dal 17 luglio 1946 fino al 6 giugno 1950, allorquando si trasferisce a JUMET. Città del Belgio nella provincia del Hainaut, circondario di Charleroi. Forma, con altri centri, quasi un solo abitato con Charleroi, sita 5 km. più a sud in piena zona carbonifera, è un centro estrattivo, e possiede

varie industrie metallurgiche, soprattutto fabbriche di caldaie.

Antonio, dopo aver soddisfatto i 5 anni obbligatori di miniera può finalmente  lavorare in una fabbrica di bottiglie. È il 5 settembre del 1950. Da qui esce per l’ultima volta il

16 dicembre del 1955. Entra nella S.A. des charbonnages du Nord de Gilly. E’ una vecchia miniera e quindi pericolosa quanto quella di Marcinelle. Dopo l’incidente di Marcinelle, spaventati per l’accaduto, non riuscendo a vivere con quell’incubo terribile che incombeva su di loro, insieme alla moglie Brigida Bolognese di Noha, e la figlia Ada che era nata in Belgio nel loro primo anno di matrimonio, fanno finalmente ritorno a Noha.

Cesare Lisi, classe 1930,  vive  con  la sua famiglia nella vecchia casa paterna di via Benevento, angolo con vico Scotti.

Nel 1953 si sposa con Maria Concetta Bray di Neviano. Nel 1964, consigliato da alcuni suoi parenti che sono già in Belgio, nelle miniere di Corso, sempre dalle parti di Beringen, per guadagnare qualche soldo in più, anche Cesare parte per andare a fare il minatore e per stare insieme alla famiglia porta tutti con sé.

Ma sentono fortemente il distacco della terra natia, la casa è piccola e mancano i servizi necessari. Così decide di far tornare al paese la moglie e le due bambine. Si sacrifica restando solo in Belgio a lavorare nelle miniere. Il viaggio è lungo e costoso; quindi, torna a casa una volta l’anno a passare qualche giorno con la sua famigliola.

Anche Cesare, dopo qualche anno di sacrifici, riesce a comprare una casa più grande a Noha, la nuova casa ha tre camere ed un garage. Qui fa crescere tutta la sua famiglia che con il passare degli anni diventa numerosa. Cesare è una persona determinata, va avanti così fino al 1980, quando finalmente in pensione, ritorna a Noha definitivamente. Purtroppo, i sacrifici fatti durante tutta la vita incidono gravemente sulla sua salute. Muore fra le braccia del figlio Gianni a soli 53 anni di vita.

Per concludere possiamo dire che è vero che per la salvezza del Paese, nel 1945 a fine guerra, ci son voluti grandi uomini, ma chi ha realizzato i fatti invece, chi ci ha rimesso del suo, anche la vita, è stata la gente comune, e sono loro i veri grandi uomini.

Oggi noi dobbiamo molto a questi partigiani del lavoro che, pur avendolo fatto perché costretti dalla necessità, è anche vero che con il loro sacrificio si sono prestati al gioco di quel drammatico momento storico e hanno concesso all’Italia il tempo di consegnare ai posteri la Costituzione, quella carta gloriosa che è nostro dovere difendere a denti stretti, oggi più che mai, dalle malversazioni di politici senza scrupoli. Un motivo in più per continuare a difendere i nostri diritti, gli stessi per cui i nostri concittadini hanno sacrificato la loro giovinezza in un paese straniero, affrontando enormi sacrifici, a volte rischiando la vita, e altre rimettendocela. Per lasciare a noi una condizione sociale più dignitosa.

Ringrazio gli amici, figli dei protagonisti di questa importante storia, per avermi aiutato a ricordare:

Aldo e Manola, Gina, Salvatore, Luigina, Gianni e Vito.

Marcello D’Acquarica

 

Martedì 30.07.2024 si è concluso il primo ciclo di tre incontri dei cinque previsti dal Piano Locale degli Interventi del progetto “Galattica” nodo di Galatina, la nuova iniziativa della Regione Puglia dal grande valore sociale e che punta a soddisfare la richiesta di partecipazione dei giovani e delle giovani pugliesi.

Gli incontri hanno riscosso un notevole successo in termini di gradimento e presenze, come dimostrano le foto pubblicate sui social. Sono stati numerosi i ragazzi che, spinti dalla curiosità di conoscere le esperienze dei giovani imprenditori galatinesi, hanno partecipato attivamente al dibattito, proponendo domande e concedendo riflessioni. 

Il primo incontro, presentato dalla dott.ssa Concetta Strafella e dal dott. Giampaolo Bernardi, ha visto ospite l’imprenditore Dario Perrone, AD di Eurofood Service, il quale, attraverso una storia di grande coraggio, è riuscito a coltivare la sua passione fino a realizzare il suo sogno: diventare leader nel settore della distribuzione di prodotti alimentari all'ingrosso per bar, pub, pizzerie e ristoranti, sia a livello nazionale che internazionale. Eurofood nasce, infatti, vent'anni fa con la distribuzione a livello locale e pian piano ha ampliato gli orizzonti imprenditoriali e territoriali, offrendo una ampia gamma di prodotti. L'azienda è dotata di sistemi informatici avanzati, i quali consentono di mantenere un alto livello di scorte e tempi ridotti di evasione degli ordini.

Il secondo incontro ha visto ospite Gloria Colazzo, laureata in Interior Design con specializzazione in scenografia degli eventi presso lo IED di Roma e ideatrice del progetto CanUdis, (contrazione di “Can you do this”) uno spazio dove arte, design e sostenibilità si fondono in un'armoniosa sinergia. Appassionata di viaggi e di nuovi orizzonti, ha ampliato la sua formazione a Madrid, con corsi di specializzazione e master in design del paesaggio e in design per hotel, ristoranti, vetrine, esposizioni effimere ed aziende. I suoi racconti hanno catturato l’attenzione del pubblico che ha viaggiato, insieme alla protagonista, tra luoghi lontani e pieni di fascino.

Il terzo incontro, che chiude il laboratorio prima della pausa estiva, ha visto protagonista Piero Surdo, architetto nell’azienda familiare Kubico srl, azienda leader nel settore delle installazioni “chiavi in mano” di arredamenti su misura, dalle residenze private agli uffici, fino ai ristoranti e alle attività ricettive e commerciali.

 

Canto notturno di un pastore ...

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