ott182010
Marcello D’Acquarica
set102010
NOI SIAMO PER IL FOTOVOLTAICO RAGIONATO, PER L’AUTOPRODUZIONE DI ENERGIA SUI TETTI DELLE NOSTRE CASE E PER UN VERO RISPARMIO DEI COSTI DELL’ENERGIA!
IL FOTOVOLTAICO E’ NATO PER DIFENDERE IL TERRITORIO NON PER DISTRUGGERLO, COME INVECE STANNO FACENDO NELLA NOSTRA CAMPAGNA.
NOHA dovrà sorbirsi un impianto di circa
che porterà un impoverimento del nostro territorio
E’ stata svenduta la “TERRA” di Noha, l’unica vera fonte di ricchezza per la popolazione.
COSA LASCEREMO AI NOSTRI FIGLI? Cosa mostreremo ai turisti?
I nostri padri con tanto sacrificio ci hanno tramandato fertili terre, uliveti secolari, beni culturali, vigneti, prelibatezza di prodotti, ed ora le grosse multinazionali trasformeranno tutto ciò in distese enormi di pannelli argentati!
ECCO 10 MOTIVI PER RESPINGERE L’ INVASIONE DELLA SPECULAZIONE DEL FOTOVOLTAICO AGRICOLO CHE STA PER CIRCONDARE NOHA:
1) Gli incentivi statali che incassano le società del fotovoltaico li paghiamo noi sulle bollette bimestrali della luce, senza avere alcuna riduzione dei costi dell’energia;
2) Nessuno ha il coraggio di dichiarare che estensioni così grandi e concentrate non sono dannose per la salute umana.
3) I cavi che accumulano e trasportano l’energia accumulata dai pannelli vengono interrati lungo strade e sentieri che i cittadini hanno la necessità di percorrere e sono la fonte di campi magnetici;
4) Grandi estensioni concentrate di pannelli di silicio sovvertono il microclima, disturbano la fauna e le migrazioni.
5) I costi per lo smaltimento dei materiali scaduti (gli impianti si esauriscono dopo 10-15 anni) e per il ripristino della terra sono altissimi, molto ma molto superiore all’introito economico ricavato dagli affitti.
6) Per impedire alla vegetazione di crescere avvelenano la terra inquinando le falde acquifere, l’acqua che è il nostro bene più prezioso insieme alla terra ed all’aria!
7) Grandi estensioni di pannelli di silicio concentrate in una stessa area desertificano (TIPO DESERTO DEL SHARA) le campagne un tempo rigogliose;
8) Le grandi estensioni di campi di fotovoltaico impoveriscono economicamente il territorio in quanto sottraggono terra all’agricoltura;
9) Non danno diretti posti di lavoro, ma accrescono il precariato;
10) I miseri benefici che ne derivano alle amministrazioni non sono minimamente comparabili con il sacrificio che subisce la terra e la popolazione.
Il Comitato
gen052011
nov032011
giu142016
Lunedì 13 maggio 2016 in contrada Magnarè si è svolta la seconda festa organizzata dalle associazioni Fidas, Acli, Gruppo Masseria Colabaldi, L’Altro Salento, CNA di Galatina e I dialoghi di Noha in collaborazione con Noha.it in onore di Sant’Antonio di Padova
mag312015
L’ultima volta è stata a metà aprile di quest’anno, eravamo a casa di Marcello a festeggiare insieme ad altri amici il sessantesimo genetliaco del padrone di casa (compagno di classe di Roberto).
“Ehi, Roberto comu sciamu?”. “Tocca dicimu sempre boni, Antonio” - mentre mi stringeva forte, come al solito, la sua mano.
Ma sapevamo entrambi che era molto duro resistere contro quel male che sembra non voglia più risparmiare nessuna famiglia di Noha, anzi salentina. Eppure era incredibile l’energia che Roberto metteva in ogni cosa, nonostante tutto.
Io, a dire il vero, ho sperato fino in fondo e fino all’ultimo che ce la facesse: ero, come dire, fiducioso più che nelle cure degli oncologi nel coraggio, nella forza d’animo di quest’uomo e nei “metodi naturali” adottati con determinazione.
Sì, perché Roberto aveva una sua teoria sulla cura del male: “Devi essere più forte tu. Nun hai fare cu te cumanda iddhru. E poi devi mangiare molta verdura, i legumi e gli altri cibi naturali, devi stare sempre in movimento”. E questa, a ben vedere, non è mica una politica strampalata: è risaputo, infatti, che il sistema immunitario risente eccome dell’amore per la vita, e si comporta di conseguenza.
Io penso che se Roberto non avesse lottato così strenuamente, non avesse continuato a coltivare il suo orto, a dare una mano a Pietro in quella che è sempre stata la sua autocarrozzeria, e se non avesse avuto voglia di girare senza sosta alla scoperta delle piccole cose di cui meravigliarsi ancora, di godere delle amicizie, dell’amore di Lucia e dei suoi ragazzi, di partecipare alle manifestazioni organizzate da “I dialoghi di Noha” (l’ultima delle quali al centro Polifunzionale di piazza Menotti non più tardi di giovedì 8 gennaio 2015 avente per tema, guarda un po’, “Le radici del nostro benessere o malessere”, raccontandoci, con la sua presenza, la sua storia) probabilmente ci saremmo dovuti salutare qualche anno fa. Ma ci saremmo persi i suoi insegnamenti, anzi le ultime “lezioni” impartiteci da quest’uomo dalla cattedra più importante che esiste: l’esperienza.
I ricordi ora si accavallano, si rincorrono, s’intrecciano, e io in questo momento non ho la lucidità di descriverli con ordine in queste righe. Ma come si fa a non ricordare qui il suo entusiasmo da bambino mentre con l’aiuto del suo Gianpiero issa con orgoglio il pesante menhir di Noha scoperto da P. Francesco D’Acquarica nel terreno di Santu Totaru? E come non ringraziare Roberto per aver collaborato con Marcello “prestandogli” la sua officina, oltre che la sua consulenza e le sue mani esperte, per la pulizia e la messa a nuovo del marchingegno dell’orologio della torre pubblica di Noha (ora conservato presso le scuole di via degli Astronauti)? E come dimenticare la sua partecipazione attiva alla giornata ecologica di domenica 23 novembre 2014, lui in prima fila in contrada Scorpio insieme agli altri volontari armati di sacchi e di buona volontà pronti a ripulire i bordi delle strade dai rifiuti abbandonati dalla stupidità umana?
Questo era Roberto, una miscela di passione e generosità, attenzione e delicatezza per il suo paese: un vero monumento umano, un novello menhir di Noha.
Pensavo che bel paese è Noha che, nonostante tutto, non si sa bene da dove né come, riesce ancora a partorire degli angeli laici, anzi dei Serafini come il nostro beneamato Roberto.
Dai Roberto, appena arrivi in paradiso organizza un bel convegno, così gli altri ti guardano e imparano come si fa: lì sicuramente saranno più attenti di noi ai beni culturali e alla tutela di madre natura (ché quaggiù, su queste cose, spesso facciamo orecchio da mercante).
Però, per favore, insisti anche con noi. E continua ad insegnarci, anche da lassù, che non importa essere vincenti, ma invincibili. Come lo sei sempre stato tu.
Antonio Mellone
Condoglianze da parte della redazione di questo sito a Lucia, Gianpiero e Graziana, agli altri parenti, agli amici e alla comunità tutta di Noha.
giu092016
Lunedì 13 giugno le associazioni del territorio (tra le quali: la FIDAS Noha, il Gruppo Masseria Colabaldi, I dialoghi di Noha in collaborazione con Noha.it, le ACLI, L'Altro Salento, la CNA di Galatina e molti altri cittadini liberi e pensanti) sono liete di organizzare la FESTA DI SANT'ANTONIO.
Una festa semplice e genuina nelle immediate adiacenze dello storico sito in C/da Magnarè, meglio noto “sotta a Santantoni". Troverete bella musica, Pittule, Pucce con le olive, Carne alla griglia, Vino buono e tanto altro ancora, (il ricavato della manifestazione sarà devoluto in beneficenza alla Fidas, la benemerita associazione dei donatori di sangue di Noha).
I festeggiamenti inizieranno con la Celebrazione eucaristica alle ore 9:30 nell’antica cappella gentilizia nohana della famiglia Bianco, ubicata in Contrada Magnarè - Noha si riprenderà alle ore 20:00 con la benedizione dei pani e continuerà fino a tarda notte.
Siete tutti invitati a questa bella manifestazione di solidarietà e fraternità e in particolare tutti quelli che portano il nome del Santo:
Antonio Mariano
feb162011
L'unica vera infrastruttura di cui ha urgentemente bisogno il Grande Salento sono i Grandi Boschi !!!
No ad altro asfalto e cemento:
le infrastrutture vere che più mancano al Grande Salento sono i "Grandi Boschi"!
Mentre alcuni politici parlano nel Grande Salento di altre infrastrutture ridondanti che rischiano di compromettere ancora altro territorio pugliese si leva l'appello preventivo dal mondo ambientalista del Grande Salento per indicare la strada della pacificazione e della crescita vera e virtuosa del territorio!
Contro anche le devastazioni intollerabili degli impianti industriali speculativi d'energia rinnovabile nelle campagne pugliesi: la richiesta perentoria per una mobilitazione e risposta forte dello Stato a repressione e bonifica degli scempi in corso e per la ricostruzione del vitale tessuto connettivo forestale e di naturalità oggi compromesso all’inverosimile e portato al livello massimo storico di degrado, ad un livello tale da costituire un’emergenza nazionale abbisognante del massimo e più urgente intervento risolutore dello Stato!
L'Onu proclama il 2011 Anno internazionale delle foreste: si RIFORESTI LA PUGLIA!
Il Ministro salentino Raffaele Fitto e il presidente Antonio Gabellone della Provincia di Lecce, e quelli delle Province di Brindisi, Massimo Ferrarese, e di Taranto, Gianni Florido, insieme al Presidente Nichi Vendola della Regione Puglia, si preoccupino dei problemi più gravosi e seri, delle vere infrastrutture vitali che mancano da decenni e decenni al Salento: I GRANDI BOSCHI !
Non altre strade e strade in territori vergini o che consumano altro suolo!
Sì, solo ad interventi infrastrutturali che migliorano infrastrutture esistenti!
Ma non si accetterà mai più il consumo di altro suolo integro, naturale e rurale, per nessuna altra infrastruttura fotocopia e ridondante in tutto il Grande Salento!
E' il Grande Salento l’area con la maggiore percentuale di suolo cementificato ed asfaltato d'Italia, la zona dello Stivale, dell'intera Nazione isole incluse, con la minore percentuale di superficie boschiva.
Un territorio, peraltro, a grave rischio di desertificazione naturale, come segnalato dall'ONU, cui si aggiunge oggi quella artificiale, spaventosa, terrificante, del flagello da fotovoltaico nei campi!
Ed il Grande Salento era invece, fino a non molti decenti or sono, terra di boschi e foreste immense e pittoresche, nel leccese, nel tarantino e nel brindisino!
Se oggi ciò non è più così, se il vitale tessuto connettivo forestale di questa terra è stato depauperato all'inverosimile, non si deve ai cosiddetti "cambiamenti climatici" o a qualche altro effetto naturale, ma solo e soltanto all'azione devastatrice dell'uomo, alla barbarie del fuoco doloso e della scure indiscriminata, all' iper-infrastrutturazione, all'iper-sfruttamento del territorio, alle esigenze voraci dell'industria e dell'industrializzazione selvaggia, alla mala politica, alla speculazione, all'avidità di denaro facile, alla colonizzazione e svendita del Salento!
Questa è un EMERGENZA, e deve essere la priorità politico-amministrativa delle tre province! Del Grande Salento!
La vera prioritaria infrastruttura veramente vitale che manca a noi salentini è quella dei vasti boschi pubblici e privati, della riforestazione del Grande Salento!
L'unica sulla quale nessun cittadino in buona fede o sano di mente avrà mai nulla da eccepirvi contro! Un’infrastruttura la cui ricostruzione, attraverso un massiccio intervento statale, costituisce un fattore strategico di sviluppo e di benessere autentico per il sud della Puglia, nonché una notevole occasione di impiego e lavoro per numerosissimi giovani ed imprese locali.
L'assenza dei naturali boschi nel Grande Salento è causa di dissesto idrogeologico, di cambiamenti microclimatici locali, di diminuzione della fertilità dei suoli, di interruzione di una naturale rigenerazione-purificazione dell'aria dall'inquinamento, di diminuzione della piovosità, di impoverimento della biodiversità (cui l' ONU ha dedicato il trascorso anno 2010!), di crisi del settore zootecnico d’eccellenza e qualità, di scomparsa delle produzioni silvicole, ecc. ecc. E' un danno al paesaggio, all'economia e alla salubrità del territorio salentino inimmaginabile ed inquantificato!
Un “imperativo categorico” irrinunciabile e non più procrastinabile del nostro territorio e della sua gestione ed amministrazione, è quello della "Riforestazione" e "Rinaturalizzazione" con essenze autoctone e reintroduzione delle specie botaniche recentemente scomparse, a seconda dei casi previa “Bonifica” dei luoghi! Un imperativo che, come, con stupore, ognuno di noi può notare, è scomparso dall'agenda politica da decenni, mentre in passato era tra le principali priorità politiche della nostra terra; scomparso dall'agenda di tutti i partiti, scomparso dal mondo dell'informazione; scomparso dalla nostra memoria ... ma gli ambientalisti del Grande Salento non se ne sono dimenticati, ed oggi, contro la famelica antropofaga foga speculativa che domina quasi ogni atto amministrativo e ogni trama partitica, vogliono e chiedono, con forza e determinazione, di riportare nella prima pagina dell'agenda di ogni istituzione territoriale e di ogni partito, che voglia ancora sperare nella “credibilità” agli occhi dei cittadini, il più grande dei bisogni di questa terra: i Grandi Boschi pubblici e l'incentivazione massima dei rimboschimenti dei suoli dei privati!
Oreste Caroppo
Hanno già dato loro adesione:
- Forum Ambiente Salute del Salento- Gruppo apartitico d’azione locale a difesa dell’ambiente - sede centrale in Lecce
- Coordinamento Civico per la Tutela del Territorio, della Salute e dei Diritti del Cittadini - sede centrale in Maglie (Le)
- Save Salento - Salviamo il Salento
- Nuova Messapia - sede in Soleto (Le)
- Movimento per La Rinascita del Salento
- Associazione Arneotrek - trekking & outdoor - Salento
- Biomasseria Santa Lucia - Macurano (Lecce)
- I dialoghi DI NOHA
nov072016
Ho posto questa domanda a un po’ di persone di mia conoscenza. Ecco cosa mi hanno risposto.
Albino Campa (titolare di Nohaweb Sito): “No, nonostante i tuoi articoli a tema su Noha.it”. Antonio Congedo (ingegnere e fisico): “Io voto no per rallentare l’entropia, ovvero gli effetti del secondo principio della termodinamica”. Lory Calò (maestro di musica): “Do”. Padre Francesco D'Acquarica (missionario, esperto di storia del mio paese): “No, come Noha”. Marcello D'Acquarica (artista – autore della vignetta a corredo di questo post - e osservatore critico): “La massa degli idioti vota sì. Dunque no”. Don Donato Mellone (buonanima): “Avrei votato no”. Paola Rizzo (pittrice e truccatrice): “I veri artisti, non a libro paga, votano no. Quindi no.”. Elisabetta Congedo (specialista in anestesia e rianimazione): “Urgono tanti no, da alternare a compressioni di massaggio cardiaco per scongiurare il coma irreversibile della Repubblica”. Stefania Tundo (amica dall’animo poetico): “Ti mando un no con il vento, e so che tu lo sentirai”. Anita Rossetti (sognatrice resistente): “CondanNO ManniNO e NapolitaNO, e osanNO CiancimiNO e BorselliNO”. Don Emanuele Vincenti (nohano, parroco di Sanarica): “Voto no al reverendum”. Michele D'Acquarica (osservatore resistente): “Ovviamente no; ma vince il sì”. Giuseppe Marco D'Acquarica (dipendente Acquedotto Pugliese): “Io non me la bevo: no, e condivido”. Daniele Pignatelli (fotografo e film-maker): “Sorrentino è indeciso, io no”. Fra’ Ettore Marangi (francescano, missionario in Kenya): “Voto no per evitare che l’Italia diventi una repubblica delle banane”. Crocifisso Aloisi (portavoce del popolo degli ulivi): “No, alla riforma fastidiosa”. Pina Marzo (salentina a Roma per studi post lauream): “Questa è l’n-esima riforma Roma-centrica. Allora decisamente no”. Gianluca Maggiore (antagonista del gasdotto): “No: Tap (Troppo Autoritarismo Partitico)”. Tiziana Cicolella: “Io non sto con ni, ma con no”. Piero Colaci (linguista e cultore del vernacolo locale): “None = no”. M Rosaria Paglialonga (difensore civico): “La Costituzione è un monumento da adottare: difendiamola votando no”. Francesca Stefanelli (collega dalla schiena dritta): “Signornò”. Alessandro Romano (cameraman e scrittore): “Voto no, perché anche il difensore della costituzione possa vedere l’alba”. Ivano Gioffreda (Popolo degli Ulivi): “Voto no perché vorrei ampliare gli spazi popolari”. Pasquale Marannino (compagno d’università e di dialoghi sulla costituzione): “Voto no, nonostante Michele Serra e Massimo Gramellini”. Samantha Pozzi (ex-collega del profondo nord): “Oh signùr, varda: no”. Daniela Sindaco (politico locale PDiota): “Voterei no se saprei leggere e scrivere”. Eleonora Ciminiello (giornalista di leccecronaca.it): “Per la cronaca, voto no. E tu?”. Claudia Schinzari (addetta marketing nel settore ceramiche/pavimenti): “Questa riforma è un po’ come un mosaico da bagno venuto decisamente male”. Carlo Martignano (ecologista): “Col cavolo che voto sì”. Rita Luceri (prof. di francese): “Je vote non au référendum”. Chiara Petracca (prof. di lettere): “La nuova costituzione (in minuscolo) andrebbe bocciata senza appello non fosse altro che per i suoi innumerevoli solecismi e idiotismi. Ergo, no”. Angelo Nocco (informatore Bayer): "Aspiri no". Paola Ronchi (attivista del no): “Ti sembro una dal sì facile?”. Pasquino Galatino: “Trovi la risposta nel morfema grammaticale, altrimenti detto desinenza (coincidente con l’ultima sillaba), rispettivamente dei miei nome e cognome”. Anna Carluccio (insegnante elementare): “Ovvio che no. I miei alunni di seconda avrebbero saputo scriverla meglio”. Enrico Giuranno (attivista 5 stelle): “CasaraNO”. Anna Primiceri (abiti da sposa): "Il sì solo sull'altare". Petra Reski (giornalista e scrittrice): “Nein”. Tonino Baldari (il guerriero nascostosi sulle nuvole): “Noooooo”. Lorenza Gioviale (attivista e sognatrice): “No, a dispetto della stampa, anzi della stampella tutta a favore del sì”. Andrea Rizzo (collega alle prese con l’inglese da viaggio): “Dairector: Ai uont tu vot no bicos de riform is not gud”.
Excellent, Andrea.
p.s. Cosa voto io? Che domanda. Ma scusate, vi sembro forse uno yes-man?
Antonio Mellone
dic082014
Al Sindaco del Comune di Galatina dr. Cosimo Montagna,
Giovedì 8 Gennaio 2015 – Convegno dal titolo: La causa radice del nostro benessere o malessere.
A seguito della giornata ecologica svoltasi a Noha il giorno 23 di novembre scorso, noi sottoscritti cittadini dei dialoghi di Noha per l’Ambiente, intendiamo proseguire nel progetto di formazione/informazione sui temi che riguardano l’ambiente.
Nuove iniziative indirizzate alla qualità della vita e alla salvaguardia dell’Ambiente sono nella nostra agenda e nei nostri progetti.
Con tali promesse, siamo lieti di invitarvi al convegno in oggetto perché crediamo fermamente nella collaborazione e nell’unione di tutte le forze sociali presenti sul territorio, per il bene comune.
Vi chiediamo pertanto l’autorizzazione per l’uso del Centro Polivalente di Noha, ex scuole elementari, di piazza C. Menotti ed il patrocinio del Comune di Galatina.
Restiamo in attesa di un Vs. riscontro.
I cittadini:
apr282022
Le denunce di infortunio sul lavoro acquisite dall’Inail nel primo bimestre del 2022 sono state 121.994, + 47,6% rispetto allo stesso periodo del 2021, 114 delle quali con esito mortale (+9,6%). In aumento le patologie di origine professionale denunciate, che sono state 8.080 (+3,6%). È ciò che emerge dall’ultimo dal report mensile dello scorso marzo dell’Istituto. “Se il trend fosse confermato – ha dichiarato il Presidente del Patronato Acli, Paolo Ricotti - anche nei prossimi mesi ci troveremmo davanti ad una situazione di estrema gravità e complessità, per la quale anche le politiche di prevenzione fin qui adottate evidenziano la propria inefficacia a contenere il fenomeno degli infortuni e delle tecnopatie nel nostro paese.” Le cause sono sicuramente molteplici e anche conseguenza della riapertura totale delle attività, a partire da quelle produttive, ma probabilmente con condizioni differenti rispetto al pre-pandemia. “Da quanto rileviamo dagli sportelli territoriali del Patronato Acli, - ha continuato Ricotti - i numeri reali sono più alti a causa delle mancate segnalazioni. L’assenza delle denunce e segnalazioni diventano una mancata tutela dei diritti. Lo ribadiamo: la tutela della salute nell’ambito del lavoro è un diritto che va esercitato senza alcuna remora.” I dati Inail non sono solo numeri ma persone e famiglie coinvolte che impongono scelte e azioni concrete perché ogni evento rappresenta una sconfitta per l’intera società. “Occorre strutturare in modo organico e costante il coinvolgimento di tutta la rete di soggetti possibili, - ha ribadito il Presidente del Patronato Acli - per la diffusione costante dei principi della cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro, al fine di raggiungere una maggior consapevolezza, sia tra i datori di lavoro che tra i lavoratori: la sicurezza di tutti è responsabilità di ognuno.” La proposta del Patronato Acli è quella di creare una nuova cultura della prevenzione, che deve accompagnare le aziende in un percorso virtuoso anche con incentivi economici in particolar modo verso quelle imprese che investono in sicurezza. L’investimento nel processo di sicurezza significa anche maggiore produttività aziendale, mentre il fenomeno degli infortuni e delle malattie sul lavoro sono un costo diretto e indiretto per tutta la società e di ostacolo alla crescita del PIL. La forza di una ricorrenza può dare vita ad un’azione collettiva per far crescere una maggior consapevolezza per un cambio di passo, ecco perché il Patronato Acli coglie l’occasione della Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, il 28 aprile prossimo, per lanciare un‘azione diffusa di sensibilizzazione verso la cultura della cura sul lavoro, promuovendo dialoghi fra le diverse sedi, nei luoghi del lavoro, nei canali social, raccontando e condividendo i buoni comportamenti e anche le cattive abitudini e le azioni da abbandonare E poi diffondendo la cultura della prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro, attraverso campagne specifiche di informazione e svolgendo presso gli sportelli tutti i servizi di assistenza per la tutela dei lavoratori necessari per ottenere ciò che spetta loro di diritto. Non c’è più da aspettare per il #lavoroinsalute.
Dott.ssa Loredana Tundo
nov022018
Ebbene sì, m’è scappato un libro. Oddio, Libro è una parola grossa: pamphlet, libercolo, libello o libretto sarebbero denominazioni molto più azzeccate.
Confesso di aver trattenuto il tutto finché m’è stato possibile, ma poi non ho più potuto farne a meno. I libri son fatti così: dopo un po’ sgattaiolano dalle tue mani per andare a finire in quelle degli altri. Il diritto di proprietà privata o d’autore funziona indubbiamente, ma fino a un certo punto. Poi le parole hanno bisogno di altri occhi, oltre ai tuoi, e di libertà di stampa: quella che talvolta il digiuno di satira e di sorrisi prova a obliterare. Per fortuna invano.
In questo fascicolo sono rilegati alcuni dei miei brani editi, altri inediti. I primi, però, non furono su carta, ma on-line, vale a dire sull’acqua, nell’aria, ovunque nell’inesorabile dimenticatoio. E certo, perché Internet e poi i CD, le chiavette Usb, la memoria Ram o altre diavolerie simili non hanno chissà quale durata; la tecnologia Libro-di-Carta, invece, come già dimostrato abbondantemente, arriva a superare addirittura i secoli. E la cosa pare funzioni anche se l’autore di questa benedetta tecnologia tradizionale dovesse per caso rispondere al nome di un Carneade qualsiasi, come quello di Antonio Mellone.
Il curioso del genere commedia (stavolta tutt’altro che Divina) o chi avesse voglia di ridere (soprattutto di se stesso) si tuffi tranquillamente nelle acque di questo libretto, con la consapevolezza di non aver bisogno di caricarsi in spalla bombole d’ossigeno per poter arrivare fino in fondo: vista la brevità, o se vogliamo il livello sufficientemente basso della marea, riemergerà dall’apnea poco dopo senza alcun rischio di ipossia.
In questo tomo, dove il vero e il verosimile si fondono creando le storie, si parla di banca, di clienti e di colleghi, e quindi di dialettiche (ma soprattutto dialetti) fuori dal comune, di decibel in grado di trasformare la filiale di un istituto di credito in uno scorcio di mercato ittico (onde il concetto di volume non è quasi mai strettamente correlato a quello di libro), di lamentele per l’aria condizionata che non va (roba da tutto il caldo minuto per minuto), di confidenze su nomi e cognomi di chi usa farla fuori dal vaso (in senso letterario e giacché anche letterale).
Nulla sfugge all’occhio e all’orecchio del sottoscritto Osservatore Nohano. Ma molto di quel che accade durante il lavoro è giusto e pio che rimanga nella penna, testimone muta di molte cose che essa stessa consiglia, per segreto bancario, di non scrivere.
Non posso star qui a ringraziare uno per uno chi ha permesso la stampa e la diffusione di questo pamphlet, se no non la finirei più.
Per ora mi basti dire che ancora una volta ho avuto la fortuna di non essere un APS, vale a dire un autore a proprie spese: infatti, a meno della mia tesi di laurea, per le mie (modeste) pubblicazioni ho sempre trovato finanziatori, ma chiamiamoli pure editori, ancorché non sempre attaccati al proprio conto economico, sicché talvolta, come anche in questo caso, la motivazione risponde più alle leggi del cuore che a quelle della vecchia economia aziendale.
La copertina (con le caricature dei direttori in prima, e dei miei colleghi di Taviano e di Alliste in quarta) nonché le vignette sparpagliate nel testo sono tutte sgorgate dall’incredibile matita a colori di Marcello D’Acquarica (e di chi altri sennò), sempre pronto a darmi retta piuttosto che a mandarmi in un indicato paese.
Signore e signori, buona lettura. Ma vi dico subito che se pensate di trovare in “Sceneggiate Banconapoletane” i dialoghi di Platone probabilmente avete sbagliato libro: se a Platone sostituite Mellone, no.
Antonio Mellone
giu232015
Uomini e donne che si occupano di attività diverse tra loro, ma con un comune denominatore: la solidarietà. Succede nella nostra piccola comunità, dove un gruppo di associazioni si sono preoccupate delle difficoltà economiche della FIDAS-Noha, la quale negli ultimi tempi ha dovuto impegnare tutte le sue (già scarse) risorse per mettere a norma, secondo le nuove disposizioni di legge, la casa del Donatore di Sangue, “patrimonio comune”.
La somma spesa per ottenere i requisiti necessari all’accreditamento della nostra Casa alla raccolta delle donazioni di sangue ammonta a quasi 14.000 euro. Ma ne è valsa la pena: la nostra associazione ha ottenuto l’“idoneità”, fra le pochissime in Puglia, proprio qualche settimana fa.
Per quanto ovvio, la nostra Fidas non aveva questa somma a disposizione ed è dovuta ricorrere al credito di fornitura per circa 10.000 euro, grazie alla fiducia accordataci dagli artigiani locali, molti dei quali hanno pure prestato la loro opera gratuitamente - a meno, ovviamente, delle spese vive. Spese vive che, come detto, sono tante e a cui bisogna far fronte entro tempi ragionevoli.
Ecco allora che alcune Associazioni locali come ACLI, Gruppo Masseria Colabaldi, L’altro Salento, CNA Galatina, Noha.it e i dialoghi di Noha in pochi giorni hanno organizzato una festa semplice ma bellissima (o forse bellissima proprio perché semplice) che si è svolta il 13 giugno, solennità di San Antonio, in contrada Magnarè, all’ombra dello stupendo tempietto nohano con cupola maiolicata e campanile.
Scopo della festa, onorare prima di tutto il Santo taumaturgo di Padova, anche attraverso la benedizione e la distribuzione del “pane di Sant’Antonio”, avvenute sul sagrato della chiesetta, e il successivo piccolo spettacolo pirotecnico in Suo onore. Dopo il suono a festa dell’antica campana sono iniziati, diciamo così, i festeggiamenti civili (“civili” in tutti i sensi), con la distribuzione dei panini e della birra e la connessa raccolta fondi. I dolci sono stati gentilmente offerti da alcuni soci organizzatori e da più di un invitato, ospite di buona volontà.
Al netto delle spese è stata raccolta una somma pari a 615,99 Euro, somma interamente devoluta in beneficenza alla FIDAS di Noha.
A prima vista potrebbe sembrare un piccola somma di denaro, ma, visto lo sforzo di tutti, il brevissimo lasso temporale impiegato per la programmazione della serata (e senza nemmeno un manifesto pubblicitario), potremmo definirla un piccolo miracolo di Sant’Antonio.
Approfitto dell’occasione per ricordare che nella storia della nostra associazione abbiamo registrato altri eventi di solidarietà straordinari come questo. Qualche anno fa, per esempio, presso i Parrucchieri Mimì di via Collepasso (ma vi partecipò anche il Parrucchiere Maurizio di via Aradeo), ha avuto luogo la “giornata pro-Fidas”, una giornata intera nella quale titolari e dipendenti di questi saloni nohani decisero di lavorare gratis devolvendo, insieme alle offerte volontarie dei clienti, tutto il ricavato all’associazione dei donatori di sangue di Noha.
Orbene, il 13 Giugno scorso questa magia si è ripetuta. E la cosa più bella di tutto questo è che associazioni con scopi e obiettivi tra i più disparati hanno dimostrato (e dimostrano quotidianamente) di avere un corposo comune denominatore: fare del bene agli altri in maniera disinteressata, essere solidali, contribuire alla crescita della comunità, valorizzare i “nostri gioielli” (frase presa in prestito).
Ecco, in questa occasione la Fidas di Noha si è sentita come un gioiello da custodire con cura, perché a sua volta svolga il suo compito più importante: quello di donare la speranza agli altri.
In questi giorni e fino a gennaio prossimo i volontari della Fidas saranno impegnati nella vendita dei biglietti di una lotteria: necessaria, anche questa, per portare un po’ di ossigeno alle nostre casse. Siamo fiduciosi nei nostri concittadini e negli amici che hanno sempre sostenuto la nostra associazione. Chiediamo a tutti costoro un ulteriore aiuto con l’acquisto di qualche biglietto del costo di 1 Euro, e con 500 Euro di premi in buoni-acquisto in palio.
Grazie a nome di tutta la FIDAS alle Associazioni locali che hanno organizzato questa gara di solidarietà, e a tutte le persone che ci hanno aiutato anche in questa particolare occasione. E grazie a tutti coloro che continueranno ad aiutarci. Ovviamente per permetterci di aiutare gli altri.
Antonio Mariano
set142016
Sono sempre restio alla creazione di nuove associazioni. Credo che il miglior associazionismo sia la coscienza di ogni cittadino, fin dal momento in cui viene al mondo, frequenta la scuola, entra nel mondo del lavoro e vive in comunità, sia essa composta da un piccolo gruppo di persone, da una città, da una nazione o da un intero pianeta. Premesso ciò, sposto la questione della presenza delle associazioni nel nostro magnifico luogo di vita che risponde al nome di Noha.
Non entro nel merito dello storico di quelle “vive” o trapassate, ma vengo al sodo puntando l’obiettivo sul principale motivo\ragione per cui chiunque, associato e non, dovrebbe essere sempre vigilante: l’Ambiente. Non bastano le parole per descrivere lo stato di degrado ambientale che ci circonda, è sufficiente guardarsi intorno con la coscienza appiccicata agli occhi. Perché senza il suo contributo sarebbe come guardare con il cervello spento.
Quest’anno, merito della nuova condizione di lavoro che mi porta a Noha tutti i fine settimana, ho potuto “godere” dello scenario ambientale nohano, non solo durante le famigerate tre o quattro settimane d’agosto, bensì di quasi tutto l’anno. Dove sta la differenza, penserete voi?
Limitando la mia permanenza a Noha per il solo mese estivo e vedendo il nero fumo ovunque, mi consolavo pensando ai bellissimi prati in fiore e verdeggianti che avrei visto nel periodo delle feste natalizie, tempo in cui sarei ritornato, come sempre, al paese. Così lo scenario di campi neri devastati dagli incendi, zombie di tronchi superstiti e semi bruciacchiati e desolate distese di rifiuti di ogni genere, mi venivano risparmiati, illudendomi che quello del “tutto bruciato” fosse solo un fenomeno agostano.
Siamo alle solite, direte voi, stiamo sempre qui a lamentarci e non facciamo niente per cambiare. Ecco, questo è il punto. Le nostre domeniche ecologiche (poche, lo ammetto), finalizzate più a un atto simbolico che ad una vera e propria bonifica delle zone prescelte per il risanamento, continueranno ad essere una delle tante attività de “I dialoghi di Noha”, con la differenza che d’ora in poi saranno supportate dalle competenze legali e amministrative di FAREAMBIENTE, un movimento ecologista specializzato che opera in campo europeo. Al laboratorio FareAmbiente di Lecce hanno già aderito, oltre ad alcuni volontari di Noha, volontari di Soleto, di Galatina, di Sannicola, di Sternatia e di Corigliano. Ci aspettiamo che il movimento contagi al più presto tanti altri comuni e cittadini del Salento.
Quindi non una nuova Associazione per Noha, ma semplicemente un importante strumento di lavoro per raggiungere con maggiore efficacia i nostri obiettivi, che sono: le denunce di discariche abusive, i roghi di materiali plastici (DIOSSINA PURA), gli sversamenti di liquidi tossici, gli incendi dolosi, i maltrattamenti di animali e qualsiasi atto doloso ricadente sulla salubrità della Terra, dell’Aria e dell’Acqua.
Saremo lieti se ad aiutarci a migliorare il nostro Ambiente saranno tanti e magari tutti i cittadini di Noha, più alto sarà il numero dei sorveglianti, minori saranno gli atti vandalici.
Seguiranno al più presto i dettagli riguardanti le attività specifiche.
Potete dare la vostra adesione, chiedendo l’iscrizione a FareAmbiente-Noha, attraverso il sito Noha.it; lasciando un vostro recapito sarete contattati per i dettagli relativi.
Marcello D’Acquarica
apr112011
Eccovi di seguito alcuni brani della bella manifestazione antimafia "PRIMAVERA LIBERA TUTTI" - presso l'uliveto confiscato alla mafia in contrada Roncella a Noha - patrocinata dal Comune di Galatina (era presente il sindaco Giancarlo Coluccia, il vice-sindaco, l'assessore De Paolis, e finalmente tanti altri pubblici amministratori).
Questo pellegrinaggio dell'impegno civile è stato organizzato dall'associazione LIBERA (rappresentata da don Raffaele Bruno), e da una rete di associazioni e comitati come CGIL, Arci, Antigone, Cittadinanza Attiva, Unione degli Studenti, UDU, Città Nostra, I dialoghi di Noha, CSI di Terra d'Otranto, Città Fertile, Agesci Scout Galatina Gruppo 1, e poi ancora la parrocchia della Chiesa Madre di Galatina (rappresentata da don Antonio Santoro), la parrocchia di San Sebastiano in Galatina (rappresentata dal vice-parroco), la parrocchia della Basilica di Santa Caterina d'Alessandria (rappresentata da Fra' Ettore), e tanti altri cittadini.
Si è notata l'assenza dell'"attivissima" parrocchia di Noha. Davvero un bel peccato di omissione. Ma siamo certi che non mancheranno occasioni di pensieri, parole ed opere antimafia anche da parte di quest'importante fetta della nostra comunità.
gen202009
set132015
Grazie alla collaborazione di alcuni Cittadini nohani, di alcune telecamere nascoste e del Corpo di Polizia Municipale, sono stati colti con le mani nel sacco, o, il che è uguale, con il sacco nelle mani, degli apparenti benpensanti, dunque degli stupidi nonché sporcaccioni residenti a Noha, quindi con la possibilità di usufruire del servizio della raccolta differenziata, che gettavano la propria spazzatura in strada, precisamente in contrada Scorpio, verso le Tre Masserie, dove lo scorso anno il gruppo della “Domenica Ecologica” effettuò la sua prima manifestazione.
Quindi stiano attenti quelli che credono di sporcare la nostra terra senza essere visti: saranno sicuramente scoperti e denunciati alle forze dell’ordine.
Un sentito grazie alla Polizia Municipale di Galatina per aver sanzionato i malfattori.
Cogliamo l’occasione per annunciare la prossima “Giornata Ecologica” che si terrà una domenica del mese di Ottobre.
Il gruppo “I dialoghi di Noha per l’Ambiente”
set162010
La nostra richiesta di partecipazione non è caduta nel vuoto. Le adesioni sono pervenute da diversi fronti: l'account aperto su facebook "Comitato Cambiamo Aria Galatina" ha raccolto centinaia di contatti in poche ore; singoli, associazioni e forze politiche hanno condiviso le nostre preoccupazioni e la nostra mobilitazione. Diverse sono le attività del comitato messe in cantiere atte a portare a conoscenza della collettività le nefaste conseguenze che deriverebbero dal coincenerimento del CDR nell'impianto della Colacem S.p.A., in aggiunta alle già inquinanti attività industriali presenti nella zona. La prima azione ci ha visti presenti presso la Commissione Ambiente tenutasi mercoledì 15 c.m., alla quale hanno partecipato tutte le realtà istituzionali del territorio maggiormente interessato, le quali hanno confermato la propria posizione contraria alla co-combustione di CDR. Una nostra delegazione ha protocollato e consegnato al Presidente Gabellone la proposta di delibera presentata dalle minoranze nel consiglio comunale di Galatina del 13 c.m., corredata da una lettera di presentazione che sintetizzava tutte le nostre posizioni. Abbiamo con soddisfazione preso atto della determinazione del Presidente Gabellone di tutelare come interesse primario la salute dei cittadini, andando a valutare con attenzione e rigore le conseguenze sul territorio del co-incenerimento del CDR, coinvolgendo ARPA e ASL quali enti accreditati alla rilevazione e studio degli effetti sull'ambiente. Al comitato "Cambiamo Aria" sino ad oggi hanno aderito:
I Consiglieri Comunali: Piero Lagna, Antonio Pepe, Daniela Sindaco, Daniela Vantaggiato, Azione Giovani, Azzurro Popolare, La Destra, Federazione della Sinistra, Galatina Tricolore, Generazione Italia, I Giovani Democratici, Italia dei Valori, Partito Democratico, Il Popolo di Galatina, Sinistra Ecologia Libertà, Adusbef, ARCI Kilometro 0, Azione Universitaria, Boys Arte e Cultura, Città Nostra, Comitato per la difesa dell'ospedale e dei cittadini, I dialoghi Nohani, Lega Italiana Lotta Tumori, Unione degli Studenti. Le adesioni sono aperte a chiunque condivida il nostro progetto e a chiunque voglia informarsi sulle nostre posizioni. Il comitato si riunisce quotidianamente presso la sede UDS -Unione degli Studenti- in Via Scalfo 46 a Galatina dalle 21 in poi.
Il Comitato Cittadino "Cambiamo Aria"
set072010
set062010
Tira una brutta aria eolica, per le ninfe e i fanciulli che da millenni vivono tra gli ulivi secolari del meraviglioso colle San Giovanni a Giuggianello: non hanno i timbri in regola. C' è chi dirà: ma se ne hanno scritto Nicandro e Ovidio e probabilmente pure Aristotele! Fa niente: non hanno i timbri in regola. Lo dice una sentenza del Consiglio di Stato. Secondo il quale un posto può anche essere la culla della memoria magica di un popolo ma se non ha le carte in regola, cioè un timbro della sovrintendenza che dice che effettivamente è la culla della memoria magica di un popolo, non ha diritto a tutele. Testuale: «A prescindere dal fatto che tali miti e leggende non risultano essere stati individuati da un provvedimento legislativo, non si vede come l' impianto degli aerogeneratori possa interferire su tale patrimonio culturale». Appunto: «non si vede». Nel senso che i giudici non hanno «visto» l' area in cui dovrebbero sorgere le immense pale eoliche se non sulla carta. Perché certo non avrebbero mai potuto scrivere una cosa simile se fossero saliti su queste colline dolci che hanno incantato nei secoli i viaggiatori. Se avessero visto, scavata nella viva roccia, l' antica e commovente chiesetta rupestre di San Giovanni. Se si fossero fermati davanti a questi massi enormi dalle forme incredibili che scatenarono le fantasie e la devozione dei nostri avi. Se avessero camminato all' ombra di questi ulivi grandiosi. Come può un paradiso bucolico come questo non essere devastato da 12 pale eoliche alte 80 metri cioè quanto 12 palazzine di 25 piani? Eppure questo, salvo miracoli, è il destino della Collina dei Fanciulli e delle Ninfe a Giuggianello, pochi chilometri a sud della strada che da Maglie porta a Otranto, nel Salento. Non è un punto qualunque sulla carta geografica, questa collina. Come spiega l' ambientalista Oreste Caroppo in un delizioso saggio, è conosciuto «l' Acropoli della civiltà messapico-salentina antica». Qui sono ambientate da migliaia di anni leggende riprese da Nicandro di Colofone: «Si favoleggia dunque che nel paese dei Messapi presso le cosiddette "Rocce Sacre" fossero apparse un giorno delle ninfe che danzavano, e che i figli dei Messapi, abbandonate le loro greggi per andare a guardare, avessero detto che essi sapevano danzare meglio. Queste parole punsero sul vivo le ninfe e si fece una gara per stabilire chi sapesse meglio danzare. I fanciulli, non rendendosi conto di gareggiare con esseri divini, danzarono come se stessero misurandosi con delle coetanee di stirpe mortale; e il loro modo di danzare era quello, rozzo, proprio dei pastori; quello delle ninfe, invece, fu di una bellezza suprema. Esse trionfarono dunque sui fanciulli nella danza e rivolte ad essi dissero: "Giovani dissennati, avete voluto gareggiare con le ninfe e ora che siete stati vinti ne pagherete il fio". E i fanciulli si trasformarono in alberi, nel luogo stesso in cui stavano, presso il santuario delle ninfe. E ancora oggi, la notte, si sente uscire dai tronchi una voce, come di gente che geme; e il luogo viene chiamato "Delle Ninfe e dei Fanciulli"». Un mito rilanciato, come dicevamo, da Publio Ovidio Nasone. E trattato anche nel Corpus Aristotelico dove si accenna al salentino Sasso di Eracle: «Presso il Capo Iapigio vi è anche una pietra enorme, che dicono venne da Eracle sollevata e spostata, addirittura con un sol dito». E coltivato dai contadini della zona che raccomandavano ai figlioletti di non andare a giocare alle rocce del «Letto della vecchia», del «Sasso di Eracle» e del «Piede di Ercole», spiega Caroppo, perché potevano «apparire loro le fate» e chissà quale incantesimo erano capaci di fare. Leggende. Ma nessuno, un tempo, avrebbe osato profanare un sacrario della memoria antica come questo. Così come nessuno avrebbe osato abbattere migliaia di ulivi stuprando quella che da secoli è l' immagine stessa del Salento. Marcello Seclì, presidente della sezione salentina di Italia Nostra, non si dà pace mentre ci trascina tra i viottoli delle campagne tra Parabita e Gallipoli e poi a Scorrano e a sud di Maglie e mostra come intere colline siano state tappezzate da quell' altra forma di violenza alla natura che possono essere le distese sterminate di pannelli fotovoltaici. Pannelli bruttissimi. Giganteschi. Tirati su senza rispetto per la natura. Per la fatica dei nostri nonni che piantarono gli ulivi sradicati. Per la vocazione turistica dell' area. Fa impressione rileggere oggi quel che mezzo secolo fa scriveva sul «Corriere» Alberto Cavallari parlando del Salento come del «più bel paesaggio d' Italia»: «Sorgono nel leccese i paesi più affascinanti del Sud, come Nardò, o la città morta di Otranto. Restano infatti i borghi civili, asciugati dal mare e dal vento, nitidi come la loro povertà. Le coste, spesso frastagliate nello scoglio, non sono ancora deturpate: sono piene di grotte, leggendarie e favolose, mentre lontano si vedono le "pagliare" dei pastori, e i riverberi, i luccichii dei due mari (come una volta scrisse Piovene) "sembrano quasi incontrarsi a mezz' aria" nel punto in cui l' Italia finisce, o meglio sfinisce, dentro l' atmosfera di un miraggio». Non aveva dubbi, Cavallari: «Difendere questa provincia e conservarla è così certo l' unico modo di fare della buona economia». Questo doveva fare, il Salento: puntare su «un turismo di classe, come quello che si svolge in Grecia, redditizio e ricco, e certo meglio di un' industrializzazione assurda e asfittica». I dati di questi giorni dicono che il turismo è davvero la chiave della ricchezza salentina. L' Apt gongola sventolando un aumento del 5%, che in questi tempi di magra vale doppio. E contribuisce a «collocare il Salento ai vertici della classifica nazionale». Italiani, soprattutto. Ma anche tanti stranieri. In testa tedeschi, francesi e inglesi. Vengono per vedere la cattedrale di Otranto e inginocchiarsi davanti alle reliquie dei morti nella strage del 1480 ed emozionarsi nel leggere che il corpo senza testa di Antonio Pezzulla detto il Primaldo, il primo degli ottocento martiri di Otranto a venire decapitato per ordine del Gran Visir Achmet «lo Sdentato», «si alzò e restò in piedi fino al termine della strage e non ci fu forza che valesse ad atterrarlo». E poi vengono per le orecchiette e i turcinieddhri e le ' ncarteddhrate e tutte le altre leccornie della formidabile cucina salentina e il suo olio e il suo vino. E vengono per la notte della Taranta, quando a fine agosto accorrono in decine di migliaia a Melpignano per ballare e ballare fino a uscir di senno con la «pizzica pizzica». Ma verrebbero ancora, se il Salento fosse definitivamente stravolto da una edilizia aggressiva che ha già deturpato parte delle sue coste come a Porto Cesareo, San Cataldo o Ugento? Se le distese di ulivi che costituiscono la sua essenza fossero sistematicamente rase al suolo? Se questo panorama che trae la sua bellezza non dalla vertigine delle vette dolomitiche ma dalla dolcezza delle distese appena ondulate venisse trafitto da centinaia e centinaia di pale eoliche? «Lecce, città dell' arte, / se ne infischia / di chi arriva e di chi parte», dice un vecchio ritornello usato dagli antifascisti il giorno in cui Achille Starace, il braccio destro di Mussolini che era nato a Sannicola, tornò in pompa magna della terra natia. E per certi versi la città è rimasta così come la vide Cavallari. Una città «aristocratica, spagnolesca, narcisista». In qualche modo «tagliata fuori dalla Puglia dinamica». Dove, nonostante l' orrore di certi quartieri residenziali e la bruttura della ragnatela di cavi neri che dovrebbe servire la metropolitana di superficie incompiuta da un mucchio di anni, è ancora emozionante camminare tra pietre e chiese di rara eleganza. Il problema di chi arriverà ancora e di chi se ne andrà, però, esiste. E dipende dal rischio di un' accentuazione del degrado paesaggistico. Cinquantuno anni dopo, il reportage a puntate lungo le coste scritto da Pier Paolo Pasolini per la rivista «Successo» e riproposto nella versione integrale con il titolo «La lunga strada di sabbia» da Contrasto, va riletto: «In quello slanciato ammasso di case bianche, inanellato da lungomari e da moli, la gente vive una vita autonoma, quasi ricca, si direbbe, quasi non ci fosse soluzione di continuità con qualche periodo della storia antica, che io non so, né faccio in tempo a capire: il demone del viaggio mi sospinge giù, verso la punta estrema. Ci si arriva lentamente, mentre intorno la regione si trasforma, si muove in piccole ondulazioni, si ricopre d' ulivi. Santa Maria di Leuca si stende lungo il mare con una fila di villini liberty, lussuosi, rosei e bianchi, incrostati d' ornamenti, circondati da giardinetti...» Fece una gran fatica, PPP, «nel sole feroce» ad arrivare fino alla punta estrema del tacco d' Italia, fino a questo splendido promontorio dove, come ha scritto Giuseppe Salvaggiulo nel libro collettivo «La colata» scritto con Andrea Garibaldi, Antonio Massari, Marco Preve e Ferruccio Sansa, «sei ancora sulla terra, ma ti senti già in mare». E forse proprio per questo tanti viaggiatori ci vengono ancora: perché non è alla portata di tutti, appena fuori da uno svincolo autostradale come tanti vacanzifici traboccanti di discoteche, bazar e McDonald. Perché arrivarci costa fatica. E questa fatica appare loro in qualche modo obbligata per assaporare il gran premio finale: la vista su un mare di una bellezza che ti mozza il fiato. Diceva il poeta e saggista Franco Antonicelli, in occasione di un lontano viaggio con Italo Calvino: «Anche Reggio Calabria è alla fine della penisola, ma subito dopo c' è l' isola e subito dopo l' Africa; non c' e tempo di perdersi. Ma a Leuca sì...» Di là del promontorio c' è il mare. Solo il mare. «Uffa!», sbottano gli «sviluppisti». E dicono che no, anche il luogo più lontano d' Italia, quello che partecipò al processo unitario solo con Liborio Romano, di cui parla Nico Perrone, deve essere collegato al resto del mondo con una superstrada. Un' arteria che dovrebbe partire da Maglie e scendere giù per 40 chilometri, con le sue 4 corsie per 22 metri complessivi e un viadotto di 500 metri su 26 piloni di cemento fino a una mastodontica rotonda del diametro di 450 metri, lunga un chilometro e mezzo, che intrappola un' area estesa quanto 23 campi di calcio. Una mostruosità, dicono gli ambientalisti. Che stanno dando battaglia a colpi di ricorsi un po' a tutto. Alla superstrada voluta da Raffaele Fitto, il giovane ministro amatissimo da Berlusconi e figlio di quella Maglie che in passato aveva dato all' Italia uomini della statura di Aldo Moro. A ulteriori cementificazioni di coste già abbruttite da lottizzazioni selvagge. Al progetto spropositato di quadruplicare il santuario di Santa Maria de Finibus Terrae svettante su Santa Maria di Leuca e farne un edificio (citiamo ancora «La colata») di «ventiduemila metri cubi eretti su una superficie grande la metà di un campo di calcio per ospitare otto celebrazioni giornaliere, presbiterio con annesso palco per quaranta sacerdoti concelebranti, penitenzieria con almeno dieci postazioni confessionali, aule per catechesi e attività connesse».. Battaglie difficili. Segnate a volte da sconfitte sconcertanti. Come quella della sentenza sulla Collina delle ninfe che ribaltava il verdetto del Tar che aveva accolto in pieno la tesi dell' avvocato Valeria Pellegrino spiegando che l' impianto eolico andava bloccato perché quei miti e quelle leggende millenarie avevano determinato «un legame tra le popolazioni che ruotano attorno all' area de qua che va ben oltre la percezione visiva e dunque fisica dei luoghi». O come un altro verdetto del Consiglio di Stato che, anche qui ribaltando il precedente giudizio del Tar che dava ragione all' avvocato di Italia Nostra Donato Saracino, ha accolto le tesi della società tedesca Schuco International. La quale aveva comprato terreni a Scorrano per metterci un mare di pannelli fotovoltaici per un totale di una quindicina di megawatt. Un impianto enorme. Frazionato in quattro pezzi diversi, con una furbizia «all' italiana», per stare al di sotto di certi limiti ed evitare la grana della Via, la valutazione dell' impatto ambientale. Vi chiederete: come mai anche i tedeschi vengono a investire nel Salento? Perché nel nostro Paese del Sole, dove fino al 2006 si produceva con i pannelli 70 volte meno che nella «grigia» Germania, è stata fatta una scoperta: il «solare» può essere una manna. I dati dicono che nel 2009 l' elettricità da fonti rinnovabili è aumentata del 13%. Ma se l' eolico ha avuto una crescita del 35%, il fotovoltaico ha registrato in dodici mesi un boom: + 418%. Tredici volte di più. Sia chiaro: come per le pale eoliche, anche per il fotovoltaico vale lo stesso discorso. C' è modo e modo, c' è luogo e luogo. Gli incentivi, qui, sono faraonici. Come in nessun Paese al mondo. In base alle regole introdotte nel 2007, per esempio, si prendono i soldi per l' elettricità prodotta anche per impianti microscopici. E tutto si scarica sulle tariffe: più energia rinnovabile viene prodotta, più le bollette sono care. La progressione è geometrica. Nel 2008 gli incentivi fotovoltaici hanno pesato sugli utenti per 110 milioni di euro? L' anno seguente sono triplicati: 344. Ovvero un sesto di quanto abbiamo speso per incentivare le fonti rinnovabili: oltre 2 miliardi di euro. Conto salito nel 2010 a 3 miliardi. «Quasi il 10% - ha detto il presidente dell' Autorità per l' Energia Alessandro Ortis -, dell' intero costo del sistema elettrico» nazionale perché «l' incentivo medio risulta pari a circa il doppio del valore dell' energia prodotta. Così paghiamo l' energia incentivata 3 volte quella convenzionale». E questo in un Paese dove già prima dell' esplosione di questo business le bollette erano le più care d' Europa. Ma è niente, rispetto alle previsioni dell' authority. La quale ipotizza, nel caso di raggiungimento degli obiettivi assegnati per il 2020 da Bruxelles ai vari Stati europei, una spesa aggiuntiva astronomica a carico di chi paga la bolletta: cinque miliardi l' anno per il 2015, sette per il 2020. Dei quali metà per i soli pannelli fotovoltaici. E questo, dice l' Autorità per l' energia, anche nel caso in cui gli incentivi vengano ridotti via via al 50%. Il guaio supplementare è che in un territorio urbanizzato come quello italiano, i pannelli finiscono per rubare terreni all' agricoltura. Alla faccia dei dubbi che già negli anni Novanta aveva manifestato Carlo Rubbia secondo il quale «per soddisfare la metà del nostro futuro fabbisogno elettrico con l' energia solare servirebbero circa 22.000 chilometri quadrati di pannelli, un' area grande più o meno quanto tutta la Sardegna». Ma sapete com' è fatta l' Italia: o tutto o niente. Così, dal totale disinteresse per le fonti rinnovabili, si è passati a un eccesso di incentivi. Mettetevi nei panni di un agricoltore: perché dovrebbe arare, seminare e trebbiare quando è molto meno faticoso e più redditizio riempire un campo di pannelli? E rieccoci in Puglia e nel Salento. Dove a chi installa meno d' un megawatt è sufficiente presentare, come abbiamo visto, una semplice Dia. Se la regione con più impianti fotovoltaici è la Lombardia (13.617), seguita da Emilia Romagna, Veneto e Piemonte, la Puglia è quella che produce di più: 295 megawatt, dei quali 239 prodotti da 497 impianti collocati su terreni agricoli, per una superficie di 358 ettari. Viene dalla Puglia il 20% circa di tutta l' energia solare italiana, pari a 1.509 megawatt: potenza che richiede oltre 2.250 ettari di pannelli. Il Salento contribuisce alla produzione pugliese col 30%: vale a dire 87,6 megawatt, dei quali ben 76,6 su 115 ettari «rubati» all' agricoltura. Ma sono dati ufficiali che per Marcello Seclì sono già sfigurati dai nuovi impianti: «Il boom è nella seconda metà del 2009. In provincia di Lecce, secondo noi, sono già stati impegnati 2000 ettari, per la maggior parte non ancora collegati». E potete scommettere che la corsa non cesserà molto presto. I nuovi incentivi stabiliti dal ministero per lo Sviluppo economico da mesi occupato ad interim da Berlusconi, variano da un minimo di 28 a un massimo di 44 centesimi di euro al chilovattora. Da quattro a sei volte più del prezzo medio (7 centesimi) dell' energia elettrica prodotta con sistemi tradizionali. Avanti così, perché un contadino dovrebbe piegare la schiena sulla terra?
fonte: http://archiviostorico.corriere.it/2010/agosto/28/
Pannelli_solari_pale_tra_gli_co_9_100828006.shtml
RIZZO SERGIO, STELLA GIAN ANTONIO
ott232014
Fare Politica non vuol dire, come molti pensano, essere iscritti a un partito o al massimo candidarsi per diventare un “politico”. Fare Politica vuol dire, indossare sopra la maglia del partito – cosa non indispensabile - quella del bene comune. Sul significato di “fare Politica” c’è tutto un mondo di informazioni a cui chiunque può accedere, basta averne la voglia. Noi abbiamo pensato di fare Politica aiutando la Natura a lottare contro l’inciviltà di chi non solo non rispetta le regole, ma vive remando contro (Natura).
Di seguito la richiesta di autorizzazione per una “Giornata Ecologica” da effettuarsi a Noha, nel giorno 23 Novembre c.a.
Vi terremo informati sull’evolversi dell’evento.
-La Redazione del sito www.Noha.it-
ott312022
Ne avevo appena iniziato la lettura, ma poi me l’ha sequestrato la regina madre, 87, (riporto l’età di chi mi è vicino come usano fare le riviste del gossip vipparo), per riconsegnarmelo un paio di settimane dopo, vale a dire tre giorni fa, “ché mo’ lo leggo prima io, tanto tu tieni sempre qualche cosa sotto gli occhi”.
In effetti ero alle prese con l’ultimo centinaio di pagine del terzo tomo di quattro, dico di “M – Gli ultimi giorni dell’Europa” di Antonio Scurati (Bompiani, Milano, 2022, 425 pagg.): bello, non c’è che dire, e ben scritto, come del resto i primi due. Peccato soltanto per quel peana in stile “resta con noi signore la sera” vergato su Repubblica dal medesimo autore in onore di quell’altro figlio del secolo, non meno bellicista rispetto all’originale, ovverosia il Migliore fra i Migliori (a proposito di M), promosso e pluripremiato sul campo dai camerati del panfilo Britannia e giacché pure blandito da quasi tutta la stampa apologetica, ma venuto a mancare (momentaneamente) all’affetto dei suoi cari per essersela svignata dal suo stesso governo alla prima occasione utile. Ma non era di Scurati o della sua opera o dei fuggitivi ministeriali che avevo in mente di discettare questa volta, ma del volume scritto dalla dottoressa Enrica Mariano, nohana, 47, dal tutt’altro che ermetico titolo “La malattia è solo la punta dell’iceberg”, con sottotitolo “La cura inizia dall’ascolto” (Mind, Milano, 2022), recapitatomi in dono dal di lei padre, il geometra Biagio, 81.
Avevo già avuto modo di vergare parole sul conto dell’Enrica Mariano esattamente quindici anni fa, e precisamente sull’Osservatore Nohano (n.7, anno I, 7 ottobre 2007, pag. 13), nella rubrica denominata C.V., condensando in poche battute il curriculum vitae della mia concittadina, sin da allora di un certo spessore, fatto di diploma al Classico e poi di laurea in Medicina con il massimo dei voti e la lode, e successivamente di pubblicazioni, di assegnazioni di non so più quanti premi di laurea, e dunque del conseguimento di abilitazioni nell’arte medica, fino alla specializzazione in Cardiologia (anche questa ovviamente con voti stratosferici). A quel curriculum iniziale bisognerebbe aggiungere ora tre lustri abbondanti di Ricerca, e centinaia, ma che dico, migliaia di interventi chirurgici (un tempo a cuore aperto, ora non più), nonché la docenza di Cardiologia all’Università di Tor Vergata di Roma. Ultimamente, grazie anche a questo coso che sto sfogliando, vi sarebbe altresì da includere l’attività di scrittrice (nella dedica al sottoscritto – che non riporto in quanto non meritata – la Mariano parla di “prima opera letteraria”: ergo non siamo che all’inizio dell’n-esima sua avventura), e più di un Master, tipo il MICAP, acronimo con lemmi o locuzioni in rigoroso idioma anglosassone, visto oltretutto che quella I sta per internazionale. Ma a ogni titolo, gallone o pennacchio l’Enrica sembra preferire l’attestato di “idraulico delle coronarie”, di quelli d’urgenza, e ci conferma che sì, è importante il corpo, ma forse anche (e soprattutto) qualcosa d’altro.
Tu all’inizio ti aspettavi un sostanziale predicozzo da parte del professorone di turno che, dall’alto della sua cattedra, pontifica sulle magnifiche sorti e progressive della Medicina tutta fatta di regole e dogmi imposti dalla esimia società scientifica (mentre i profitti delle società del farmaco sarebbero soltanto trascurabili dettagli), e invece qui si narra di un’esperienza personale e un destino a tratti burlone con la provvida sventura dell’inversione di ruoli: una cardiologa che si ammala di pericardite in tempi non sospetti, costretta a dismettere temporaneamente il camice del medico per indossare il pigiama del paziente: “Un dolore che mi trapassava il petto. Avevo l’affanno, non riuscivo neanche a portare una busta della spesa senza avvertirlo. […] E quella fastidiosa sensazione del cuore in gola”, scrive.
Una pagina via l’altra e il rafforzamento di alcuni dubbi, suoi e nostri, invero covati da sempre, e di alcuni punti di vista che il tifoso di turno oserebbe considerare tutt’altro che “ortodossi” se non addirittura “antiscientifici”, ma che ormai non si possono più tacere, dacché esiste in natura un punto oltre il quale la verità, volenti o nolenti, comincia a brillare della sua stessa perspicuità. E qui la Mariano ti apre tutto un mondo fatto di spirito e non solo di corpo, di cervelli (ne abbiamo tre, lo sapevate?) e di un cuore che ha una memoria ed è la sede dell’anima (lo scrive nero su bianco un medico, eh), di dialoghi interiori e di autoascolto, di colloqui tra mente e intestino (chi l’avrebbe mai detto), e di meditazione e preghiera, di tango argentino e musicoterapia, insomma di punti di incontro mai di scontro tra medicina orientale e medicina tradizionale, tra olismo e separatismo.
Mi piace infine che uno specialista, come l’Enrica nostra, si compiaccia nell’autodefinirsi una Curandera [“Ebbene sì, non lo sapevo, eppure ero già una moderna curandera”, così a pag. 95].
Però, Enrica, per favore, la prossima volta tu e i tuoi colleghi cercate un sinonimo meno ostico e più immediato al lemma che vorrebbe sintetizzare tutte queste cose qua, vale a dire Psiconeuroimmunoendocrinologia: nel provare a pronunciarlo con una sola emissione di voce, per ipossia, caddi come morto corpo cade.
Antonio Mellone
mag082015
Martedì 12 maggio 2015, alle ore 18.45, "I dialoghi di Noha" organizzano presso la misteriosa Casa Rossa di Noha la declamazione pubblica del Canto V dell'Inferno di Dante a cura di Antonio Mellone, con la straordinaria partecipazione del musicista Pierluigi Balena al flauto traverso.
nov152006
Antonio Mellone
set142010
feb122010
Lunedi 15 febbraio 2010, alle ore 18, a Galatina, nell'ambito delle lezioni per l'anno accademico 2009/2010 dell'Università Popolare "A. Vallone", in collaborazione con "I dialoghi di Noha", nell'aula magna del primo circolo didattico, in piazza F. Cesari (Villa San Francesco), Antonio Mellone terrà la lezione dal titolo:
"Lectura Dantis, quinto canto, Paolo e Francesca"
Canto quinto, nel quale mostra del secondo cerchio de l'inferno, e tratta de la pena del vizio de la lussuria ne la persona di più famosi gentili uomini.
Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia
e tanto più dolor, che punge a guaio. 3
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia. 6
Dico che quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata 9
vede qual loco d'inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa. 12
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giù volte. 15
"O tu che vieni al doloroso ospizio",
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto offizio, 18
"guarda com'entri e di cui tu ti fide;
non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!".
E 'l duca mio a lui: "Perché pur gride? 21
Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare". 24
Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote. 27
Io venni in loco d'ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto. 30
La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta. 33
Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina. 36
Intesi ch'a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento. 39
E come li stornei ne portan l'ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali 42
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena. 45
E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid'io venir, traendo guai, 48
ombre portate da la detta briga;
per ch'i' dissi: "Maestro, chi son quelle
genti che l'aura nera sì gastiga?". 51
"La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper", mi disse quelli allotta,
"fu imperadrice di molte favelle. 54
A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta. 57
Ell'è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge. 60
L'altra è colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussurïosa. 63
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
che con amore al fine combatteo. 66
Vedi Parìs, Tristano"; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch'amor di nostra vita dipartille. 69
Poscia ch'io ebbi 'l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. 72
I' cominciai: "Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggeri". 75
Ed elli a me: "Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno". 78
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: "O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega!". 81
Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere, dal voler portate; 84
cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettüoso grido. 87
"O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 90
se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c' hai pietà del nostro mal perverso. 93
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace. 96
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui. 99
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. 102
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona. 105
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense".
Queste parole da lor ci fuor porte. 108
Quand'io intesi quell'anime offense,
china' il viso, e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: "Che pense?". 111
Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!". 114
Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio. 117
Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?". 120
E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. 123
Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice. 126
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto. 129
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse. 132
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso, 135
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante". 138
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com'io morisse. 141
E caddi come corpo morto cade.
mar062016
Conosco un anziano signore del mio paese, un contadino, un tipo di poche parole. Un giorno quest’uomo mi raccontò la sua personale tragedia. Lo fece nel suo stile laconico, tacitiano anzichenò, con le sue frasi lapidarie. Ne parlava con commozione mentre più di una lacrima imperlava i suoi occhi, ma senza rancore né ferocia.
Nel 1943, durante la seconda grande guerra, era stato soldato prima a Chiavari (Genova), poi in Grecia da aprile a settembre. Aveva da poco compiuto 20 anni.
Con l’armistizio dell’8 settembre dello stesso anno, gli ormai ex-alleati tedeschi “invitarono” la sua guarnigione a deporre le armi. Subito dopo il disarmo, soldati e ufficiali vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle schiere dell'esercito tedesco o, in caso contrario, essere inviati in campi di detenzione in Germania. Solo il dieci per cento della truppa accettò l'arruolamento. Gli altri vennero considerati “prigionieri di guerra”.
*
Fu così che questo uomo, insieme alla maggior parte dei suoi compagni, fu costretto a salire su di un treno merci, o meglio su dei sovraccarichi vagoni-bestiame adattatati alla bisogna.
Il convoglio dopo oltre un mese di viaggio attraverso i Balcani giunse finalmente a Berlino. Berlino-Spandau per la precisione, un quartiere della zona occidentale della città, sulle rive del fiume Havel presso le foci della Strea. Lì era stato allestito un campo di concentramento nazista, o lager, come si diceva in tedesco.
Per quest’uomo non fu valida nemmeno la Convenzione di Ginevra, quella che prevedeva le tutele da parte della Croce Rossa Internazionale. Le SS, infatti, nella loro viltà, decisero arbitrariamente di non rispettarla, derubricando il suo status da “prigioniero” a “internato” (IMI = Internato Militare Italiano), azzerando in tal modo ogni straccio di diritto umano. Stessa sorte per i suoi commilitoni.
Per due anni il suo mondo fu un enorme campo di lavori forzati, di torture, polizia ed esecuzioni capitali; la sua dimora, una baracca di legno con brande di tre piani per una ottantina di posti letto non sufficienti per tutti. Si dovevano fare i turni anche per dormire.
Per tutto il tempo della prigionia, il suo abbigliamento fu la divisa estiva con la quale era stato catturato in Grecia, insufficiente e del tutto inadatta ai duri inverni berlinesi. Molti suoi compagni non sopravvissero al freddo, alla tubercolosi, alle polmoniti. Ma soprattutto agli stenti, alle vessazioni, agli abusi. E alle esecuzioni.
Il suo lavoro forzato fu la produzione del carbone dal legname, in una specie di altoforno. Il suo rancio quotidiano, le “rapeste” bollite. “Ogni giorno la stessa razione di rapeste” – mi dice. Ma sovente anche alcuni scarti di refettorio delle truppe del terzo Reich racimolate nelle immondizie, bucce di altri tuberi, qualche patata cruda rinvenuta chissà dove, e talvolta lumache cacciate in giro. Il pane era nero, quando c’era, ed era solo un tozzo da mettere sotto i denti tra i fumi dell’altoforno.
I suoi dialoghi interiori erano con i ricordi e con i suoi sogni di ventenne.
*
La liberazione arrivò l’8 maggio del 1945. Gli dissero di correre nella direzione indicata, verso l’esercito alleato. Si mise a correre, per quel che poteva, aiutandosi con un carrello con due ruote, come quelli porta-spesa, nella cui borsa, non ricorda come, aveva salvato un po’ di riso. Nel sua corsa sulle rive del fiume Havel - mi racconta – fu raggiunto e agguantato da un soldato nazista. Il tedesco gli saltò addosso. Caddero entrambi nel fiume, e con loro anche il carrellino e “quella francata di riso”.
Impiegò quattro mesi per rientrare finalmente a casa. Giunse a Noha il 7 settembre dello stesso anno, vigilia della solennità della Madonna delle Grazie, compatrona di Noha. Lo ricorda benissimo, quest’uomo, non fosse altro per il fatto che, all’indomani, la sua famiglia aveva programmato la vendemmia, alla quale, ancorché neo-liberato, il “figliol prodigo” non poteva sottrarsi.
*
Aveva sofferto molto, quest’uomo, e tuttavia non ha mai inveito contro il suo aguzzino. Emaciato a tal punto che al ritorno in patria pesava appena quarantacinque chili, quest’uomo aveva riottenuto la libertà ma portava ancora i segni di quell’esperienza chiusa in fondo al cuore. Aveva perso chili, la parola e il sorriso. Ma non la dignità.
Oggi nessuno può fargli prepotenza più di quanto è già stato offeso dal nazi-fascismo.
E nulla di tutto ciò che accade all’uomo, per quanto terribile sia, può essere detto inumano. Purtroppo.
*
Pur sempre di poche parole, questo signore è l’uomo più buono del mondo, non farebbe male nemmeno ad una mosca, si accontenta di quello che ha, non lascia mai nel piatto nemmeno una briciola, non ha mai voluto la pensione integrativa, che pure gli sarebbe spettata per la prigionia nel lager: dice che gli basta e gli avanza quella della previdenza sociale di 540 euro mensili.
*
Oggi ha sempre il volto sorridente, legge i libri che gli passo, tiene il suo orto in campagna, ma più per gli altri che per sé, va ogni sera al circolo cittadino, è innamorato come il primo giorno di una donna bellissima, compagna di vita e madre dei suoi figli.
Molti suoi pari più sfortunati, soprattutto quelli allora massacrati nei campi di sterminio dalla pazzia del nazi-fascismo in quanto ebrei, rom, omosessuali o minorati non hanno mai potuto raccontare le loro storie ai propri figli. Lui, il suo dì tardo traendo, è riuscito a raccontarmela tutta, questa storia, anche se a tratti.
Io mi reputo molto fortunato di aver raccolto questi fatti dalla sua viva voce. Sì, perché questo uomo taciturno è il mio orgoglio: si chiama Giovanni, e a maggio compie 93 primavere.
Quest’uomo è mio padre.
Antonio Mellone
P.S. 1
Ringrazio il collega Adolfo Cavallo per avermi presentato e quindi prestato il volume “I deportati Salentini Leccesi nei lager nazifascisti” di Pati Luceri (Grafiche Giorgiani, Castiglione d’Otranto, 2015). Si tratta di un monumentale lavoro di studio e catalogazione di 7368 schede biografiche, la maggior parte tratte dai 35.000 fogli matricolari consultati dall’autore per la sua ricerca. In questa Bibbia sulla sofferenza inferta ai salentini dai regimi nazifascisti ho rinvenuto la scheda di mio padre, dnl - deportato nel lager.
P.S. 2
I regimi fascista e nazista si sono tradotti in sofferenze e in migliaia, milioni di morti per fame, gasificazioni, forni crematori, deportazioni, esperimenti medici.
La responsabilità di tutta questa violenza sta nel potere del capitalismo che ha sottomesso vieppiù le classi subalterne, servendosi degli autoritarismi e dei totalitarismi di Mussolini e Hitler, due dittatori che hanno governato con olio di ricino, manganelli, carri armati, omicidi ed eccidi, sottomettendo l’uguaglianza e innalzando a costituzione la discriminazione, l’odio razziale, l’intolleranza, la soverchieria, la barbarie.
Io non mi spiego l’esistenza dei cosiddetti “revisionisti” che negano l’esistenza dei campi di concentramento, di lavoro e sterminio, nonostante la copiosa documentazione e le innumerevoli testimonianze dirette (non ultima, quella di mio padre). Né riesco a capire i sedicenti “nostalgici”. Non capisco cioè come si possa aver nostalgia di chi ammirava incondizionatamente il cosiddetto ordine nuovo: la mistificazione dei treni in perfetto orario, l’unisono dei giornali e della radio, l’autorità rispettata, la religione tutelata, gli oceanici raduni nel corso dei quali tutti applaudivano le stesse parole e la stessa persona, i tanti personaggi dai cervelli vuoti in vestito d’orbace, i cortigiani (di cui ancor oggi c’è sovrabbondanza). Non riesco a capire come mai oggi possano esistere ancora dei servi sciocchi dispensati dal pensiero. Oltre che della convinzione che il fascismo sarebbe stato grottesco, una vera buffonata, se non fosse stato tragico.
P.S. 3
Vi invitiamo a segnalarci altri nominativi di Noha deportati nei lager nazifascisti. Mentre veniva pubblicato questo articolo, ne abbiamo rinvenuto un altro di Gabrieli Pasquale, liberato dai partigiani e poi combattente per la liberazione nella divisione partigiana Garibaldi.
P.S. 4
Scheda di Barrazzo Paolo, Noha 23/12/1912
gen162012
Nell’ambito delle lezioni dell’Università Popolare “Aldo Vallone” di Galatina per l’anno accademico 2011-2012, venerdì 20 gennaio 2012 alle ore 18.00 presso il Museo “Pietro Cavoti” nel Palazzo della Cultura (1° piano) avrà luogo la lezione dal titolo “Medicalizzazione della vita e della società: un approccio critico al mondo del farmaco” a cura di Michele Stursi.
Tutti sono invitati a questo evento culturale.
mar102011
Eccovi un scorcio della serata in un video girato a più mani da improvvisati cameramen.
apr052014
Venerdì 11 Aprile p.v. alle ore 18,30, presso la Sala Conferenze dell'Istituto Immacolata ASP (ex-IPAB) a Galatina in Via Ottavio Scalfo n.5, nell'ambito della Rassegna "Dialogoi sto Monastiri" (dialoghi nel Chiostro), "Notizie storiche e culturali intorno alla Basilica di Santa Caterina d'Alessandria", avrà luogo il 6° Incontro dal titolo:
"Il volgare ai tempi degli Orsini del Balzo" a cura del Prof. Rosario Coluccia, Accademico della Crusca, Ordinario di Linguistica Italiana e Preside della facoltà di Lettere e Filosofia, Lingue, Beni culturali dell'Università di Lecce.
apr132019
Arci Levèra, in collaborazione con Arci Lecce, presentano domenica 14 aprile, ore 20.30, "Cenere. Corale per le Tabacchine", spettacolo teatrale a cura di Workin' Label.
In scena voci e ombre di uomini e donne, tessere di un puzzle che si aggregano, una dopo l’altra, per restituire le vicende di lavoro e di vita delle operaie tabacchine del Salento.
Il cast dello spettacolo è composto da Caterina Cosmai, Angela Elia, Beppe Fusillo, Maria Grazia Gioffrè, Leila Polimeno, Luigi Pontrelli, Antonella Sabetta, Irene Scardia, Guido Scopece, Carmen Ines Tarantino. Partendo dalla ricerca e dalla raccolta di testimonianze scritte e orali, portano in scena le dure condizioni lavorative, le lotte e in particolare lo sciopero generale tenuto per 28 giorni, tra gennaio e febbraio, nel 1961 a Tiggiano, un piccolo centro del Sud Salento, contro i licenziamenti e la chiusura del Magazzino, la locale fabbrica di tabacco.
La lotta delle tabacchine di Tiggiano, che vide la mobilitazione dell’intera popolazione a sostegno delle 250 operaie, rappresentò un importante avvenimento storico, senza precedenti nella storia del paese.
A seguire proiezione del video-documentario
“TRACCE. dialoghi sulle strade del lavoro”
realizzato con i ragazzi e le ragazze richiedenti asilo ospiti nei progetti Sprar gestiti da Arci Lecce.
Videomaker Christian Manno
Ideazione Carmen Ines Tarantino
Organizzazione Irene Scardia
L'evento di domenica è inserito nell'ambito del percorso interculturale avviato da Arci Lecce in collaborazione con Workin' Label, che ha coinvolto ragazze e ragazzi richiedenti asilo ospiti nei progetti Sprar di Campi Salentina, Caprarica, Cavallino, Castrignano dei Greci, Castrignano del Capo, Lequile, Novoli, Patù, Galatina, Sogliano, Squinzano, Surbo, Trepuzzi.
Seguiti dall'attore e pedagogo teatrale Fabrizio Saccomanno, le loro testimonianze si sono incrociate con quelle radicate nel territorio sulla lotta e l'emancipazione delle condizioni di vita e di lavoro.
Un esperimento di interazione e di dialogo interculturale e intergenerazionale, nella convinzione che l’esperienza e la storia delle persone residenti e quella dei migranti possano essere risorse importanti per la crescita della coscienza civica e solidale nelle persone di ogni età che vivono nel nostro Paese.
Appuntamento domenica 14 aprile alle 20.30 nel Circolo Arci Levèra a Noha-Galatina, via Bellini, 24.
mag222021
Ho sfidato, e più volte, la zona rossa per recarmi da Fiordilibro, la libreria della Emilia Frassanito. Voglio dire che ho azzardato l’allontanamento da Noha per quasi tre chilometri diretto alla volta di Galatina al numero 31 di corso Vittorio Emanuele, meglio conosciuta come via dell’Orologio, a dispetto delle norme che se non imponevano la clausura cenobitica ti concedevano al massimo un giretto attorno alla tua abitazione purché munito di scarpette da ginnastica. A meno, s’intende, di rigorose motivazioni da riportare su foglio ministeriale prestampato altrimenti detto autocertificazione (mica semplicemente certificazione o dichiarazione), motivi, dicevo, legati a salute, lavoro, o a casi di improcrastinabili urgenze. E io ho sempre avuto con me tutte e tre le giustificazioni: le questioni sanitarie legate alla mens sana, quelle lavorative (non puoi occuparti di economia senza l’aiuto di altri autori non economisti), e infine quelle dei bisogni primari: per alcuni i libri sono infatti aria, acqua, generi alimentari di prima necessità e non c’è Rider che possa sostituirsi al destinatario per il loro trasporto.
Se poi mi avessero fermato i vigili urbani, dirimpettai della Fiordilibro, credo che mi avrebbero graziato: non perché dotato di pass acquisito sul campo dopo un articoletto a loro dedicato poco tempo fa (e credo valido per almeno un semestre), ma per il fatto che sono certo che persino per gli uomini in divisa è sempre cosa buona e giusta fare un salto nelle botteghe di parole.
Fiordilibro dunque è una delle tre benemerite librerie di Galatina “Città che legge” [si spera, ndr.], essendo le altre due Fabula e Viva (per me quest’ultima rimane sempre Viva, al di là di altri più magniloquenti posticci loghi).
Incastonata in un palazzo antico, all’ombra del campanile civico, la Fiordilibro è animata dall’Emilia, la quale, laureata in archeologia con il prof. Francesco D’Andria, dopo i suoi bravi scavi archeologici anche e soprattutto nel Salento, nel 2004 decide di lasciare in cantina trowel, piccone e pennello per dedicarsi ad altre stratigrafie, quelle che ti si sedimentano dentro pagina dopo pagina.
E così il ventre di codesto aedificium seicentesco si riempie di scaffali, e quindi di libri, ma poi anche di tavoli, sedie sgabelli e pedane, diventando all’occasione scriptorium e talvolta pure theatrum. Le pareti della Fiordilibro sono piene zeppe di manifesti (ne ha appesi solo alcuni, l’Emilia) a testimonianza di questo fervore, che dico, di questo fuoco che arde inesauribile, benché ultimamente sotto la cenere. Pensate, in una di codeste locandine nelle quali si parlava di tabacco e di un libro che ne racconta la storia locale c’è perfino il nome del sottoscritto (per dire quanto le mie siano braccia strappate alla cultura oppure all’agricoltura, a seconda dei punti di vista).
Quindi dialoghi con gli autori, cene letterarie, feste dei lettori, corsi di scrittura creativa (per esempio con la Luisa Ruggio nostra), musiche e parole: tutto questo certamente, ma Fiordilibro prima che una ruddhra (vivaio) di iniziative è innanzitutto una libreria, luogo sacro dove i libri ti guardano dai ripiani fino a quando non decidono di sceglierti. Qui riesci a beccare oltre a tutto il resto cose sfornate dall’editoria locale, perfino fuori catalogo (sembra esista ancora addirittura un monumentale “Noha, storia arte e leggenda” del 2006 scritto a due mani e due piedi: le mani sono quelle di Francesco D’Acquarica, i piedi, invece, i miei), le famose guide verdi di Congedo Editore, i cataloghi sulla poesia dialettale, quelli sulle torri costiere, le masserie, le ville, le campagne e gli ulivi di queste parti; e ho pescato di recente pure un “Dante e i misteri di Otranto” a proposito del settecentesimo della morte del Poeta, e poi ancora Bodini, Maria Corti, Carmelo Bene, Antonio Antonaci e Donato Moro, “e più di mille ombre [Emilia] mostrommi e nominommi a dito”.
La libraia all’occasione diventa pure una tua confidente, e a richiesta ti procura sotto banco pure i “libri proibiti” (“Non lo dico a nessuno, tranquillo”, ti rassicura), tipo quelli molto commerciali, o quelli di qualche scrittore di destra come un Marcello Veneziani (ché tu, comunista, mica puoi confessare al mondo di aver letto nemmeno per isbaglio).
Che pesi che deve portarsi dentro la povera Emilia. Ebbene sì, purtroppo la vita non è sempre tutta rose e Fiordilibro.
Antonio Mellone
ott172015
Eccome se ci dispiacerà quando, tra un paio d’anni (posto che non lo facciano fuori prima), questo papa si dimetterà per tornarsene nella sua Argentina a vivere da povero. A maggior ragione se i cardinaloni, scottati dal ciclone Francesco, nomineranno un papa pompiere, buono a spegnere i bollenti spiriti (anzi lo Spirito tout court), facendo evaporare l’ebbrezza delle novità bergogliane e riportando le lancette dell’orologio ecclesiastico indietro nel tempo, possibilmente ad una data antecedente all’apertura del Concilio Vaticano II (insabbiato di fatto da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI).
Però non siamo così ingenui da pensare che un papa faccia primavera (come la rondine del famoso adagio), o che Francesco sia un pontefice rivoluzionario, e che dunque da un giorno all’altro preti o monsignori potranno sposarsi (con un uomo o magari con una donna), oppure che le donne potranno accedere all’ordinazione sacerdotale o episcopale, o che la gerarchia venga abolita insieme a titoli onorifici, appellativi, e ordinariati militari (e con essi, dunque, quegli ossimori vergognosi rappresentati dai preti militari o dai vescovi generali di corpo d’armata con tanto di stipendio da parte del ministero della difesa), o che si accetti il testamento biologico, o che dal sinodo sulla famiglia esca fuori chissà cosa [cfr. a questo proposito il nostro “Un questionario papale” apparso su Noha.it del 10/12/2013]; né si può pretendere che in tutte le parrocchie sia chiara la portata di certe aperture (figurarsi: molti preti con pecorelle di complemento al seguito vivono come se Francesco non ci fosse. O nonostante la sua presenza). E poi, detto tra noi, una rivoluzione per definizione non può mai partire dall’alto.
E’ che non possiamo non rallegrarci quando le parole della sua enciclica infastidiscono gli ambienti clericali e conservatori e innervosiscono i poteri economici internazionali, o quando, come il 21 giugno 2014, in Calabria, Francesco scomunica la mafia con parole pesantissime mai pronunciate da alcuno dei suoi predecessori (che avevano solo blaterato qualcosa in merito, ma mai “scomunicato” come parresìa comanda) o quando il papa stigmatizza il lusso e gli onori di alcuni ecclesiastici (parlammo di codesti teatrini clericali in un nostro articolo dal titolo “Nunzio vobis”, apparso su questo sito non più tardi dell’11 settembre 2014, rischiando la scomunica), o quando vengono finalmente riabilitati degli eccellenti teologi allontanati dall’insegnamento (qualche anno fa, non secoli fa) e dunque perseguitati per le loro idee “progressiste”, o quando scopriamo che le parole del nostro amico Fra’ Ettore Marangi, profeta e prete scomodo, sono più “moderate” di quelle dell’attuale romano pontefice…
*
Ma torniamo alle battute conclusive della “Laudato sì” e dunque all’epilogo di questa nostra recensione a puntate.
“Il principio della massimizzazione del profitto che tende a isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione concettuale dell’economia: se aumenta la produzione, interessa poco che si produca a spese delle risorse future o della salute dell’ambiente; se il taglio di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o aumentare l’inquinamento” (tratto dal punto 195, pag. 160, “Laudato sì” di papa Francesco, Ancora, Milano, 2015). Invece oggi si parla ancora di Pil, di crescita, di aumento della produzione, e altre scemenze del genere, come la panacea di tutti i guai (nel nostro piccolo ne parlammo anche noi, non in qualche nostra enciclica – non ne avremmo le carte per scriverne – ma più modestamente sull’Osservatore Nohano. Cfr. i nostri “Mamma li turchi”, editoriale L’O. N., n. 6, anno III, 9 ottobre 2009, e anche “Frugalità Nohana”, editoriale L’O. N., n. 10, anno II, 9 gennaio 2009).
“Se una persona, benché le proprie condizioni economiche le permettano di consumare e spendere di più, abitualmente si copre un po’ invece di accendere il riscaldamento, ciò suppone che abbia acquisito convinzioni e modi di sentire favorevoli alla cura dell’ambiente. E’ molto nobile assumere il compito di avere cura del creato con piccole azioni quotidiane, ed è meraviglioso che l’educazione sia capace di motivarle fino a dar forma ad uno stile di vita. L’educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via.” (tratto dal punto 211, pag. 173, ibidem, la sottolineatura è nostra). Ecco come si potrebbe passare dalle virtù teologiche alle virtù ecologiche, dalla teoria alla pratica.
*
“La crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore. Tuttavia dobbiamo anche riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera, con il pretesto del realismo e del pragmatismo, spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti. Manca loro dunque una conversione ecologica” (tratto dal punto 217, pag. 177 - 178, ibidem, la sottolineatura è nostra). Toh, guarda, che anche papa Francesco se la prende con il pragmatismo e contro chi si fa beffe delle (nostre) preoccupazioni per l’ambiente.
*
“Non tutti sono chiamati a lavorare in maniera diretta nella politica, ma in seno alla società fiorisce un’innumerevole varietà di associazioni che intervengono a favore del bene comune, difendendo l’ambiente naturale e urbano. [che combinazione: cfr. anche il nostro “Politica e democrazia” pubblicato su Noha.it il 20/04/2012]. Per esempio si preoccupano di un luogo pubblico (un edificio, una fontana, un monumento abbandonato, un paesaggio, una piazza), per proteggere, risanare, migliorare o abbellire qualcosa che è di tutti. Intorno a loro si sviluppano o si recuperano legami e sorge un nuovo tessuto sociale locale. Così una comunità si libera dall’indifferenza consumistica. Questo vuol dire anche coltivare un’identità comune, una storia che si conserva e si trasmette” (tratto dal punto 232, pag. 187 – 188, ibidem). Ah, ecco: non era archeologismo, il nostro, ma cura disinteressata dei nostri beni culturali, che dovrebbero essere beni comuni tout court. Per dire, anche i nostri “dialoghi di Noha x l’Ambiente” stanno cercando nel loro piccolo di fare il loro mestiere in tal senso.
*
Non c’è molto altro da aggiungere alle parole di papa Francesco, se non che la vera fede favorisce e incoraggia la laicità e che sarebbe troppo bella una chiesa fatta da un popolo plurale e non allineato; una chiesa libera, liberatrice, non clericale, più donna e democratica, aperta alle differenze, e meno vendicativa; una chiesa con pochi pizzi e merletti e pregiudizi ridotti al minimo, e magari con sacerdoti ministeriali più umani, umili e laici, e possibilmente anche con un nome femminile, e, perché no, con dei figli, da amare ed educare (e casomai da lasciare a casa con la babysitter nelle serate di ritrovo con la comunità).
*
Cos’altro aggiungere? Ah, sì, che non si è buoni credenti se si è troppo sicuri di credere.
Antonio Mellone
ago072010
La sera appena trascorsa del 6 Agosto, a Noha in piazza San Michele, un gruppo di cittadini ha partecipato con grande interesse all’incontro informativo sulle problematiche create dal nuovo fenomeno degli impianti di pannelli fotovoltaici. L’incontro è stato organizzato dall’associazione Nohana, “I dialoghi di Noha”.
Siamo di fronte all’ennesimo raggiro di accordi coperti dalla legalità ed a favore del bene terra, che invece, pochi spregiudicati faccendieri, a servizio delle grandi società produttrici di energia, “combinando” affari con proprietari terrieri ignari e male informati e amministratori locali sprovveduti, trasformano in distruzione irreversibile il più indispensabile bene della vita: la terra!
Hanno partecipato alla serata, oltre agli organizzatori dei dialoghi di Noha, alcuni illustri ospiti di Nuova Messapia, Italia Nostra Sud e Forum Ambiente e Sviluppo di Lecce.
I tecnici di Italia Nostra, hanno dimostrato alle persone presenti all’incontro, con dati e conti alla mano, che dalla promozione della cosiddetta “energia pulita” trapela molto chiaramente l’inesistenza di alcun beneficio per la popolazione ma solo danni irreparabili per il territorio.
I rappresentanti di Nuova Messapia e Forum Ambiente, hanno insistito molto sulla scarsa informazione e conoscenza dell’argomento sia da parte dei tecnici delle amministrazioni pubbliche che dei politici eletti dal popolo. Insomma siamo nelle mani di pochi “arraffa distruggi e fuggi”. Un chiaro esempio dello stile fallimentare di questo esasperante consumismo, rovina per le nuove generazioni.
La serata, iniziata alle 19,30 si è conclusa intorno alle 22,00 con grande soddisfazione da parte dei cittadini che ignoravano quasi del tutto i rovesci della medaglia di questo nuovo fenomeno che sta devastando gran parte del nostro Salento.
I cittadini, sorpresi dalle notizie avute e allarmati per la totale mancanza di informazione, hanno richiesto con sollecitudine nuovi incontri informativi.
Marcello D’Acquarica
Vedi la photogallery
(Servizio fotografico di Paola Rizzo)
mar212011
Ecco alcune testimonianze della manifestazione contro il voltafaccia del Consiglio Provinciale che ha riaperto uno spiraglio perchè la Colacem possa bruciare C.D.R.
Antonio Mellone (I dialoghi di Noha)
Roberta Forte (Comitato Cambiamo Aria)
Antonio Congedo (Comitato Cambiamo Aria)
Sammarco Pasquale (Assessore del Comune di Soleto)
Giovanni De Benedetto (ex consigliere comunale)
Marcello Seclì (presidente della sezione Sud Salento di Italia Nostra)
set272011
Venerdi 30 settembre alle ore 17, nei locali adiacenti il Bar Settebello in piazza San Michele, verrà presentato il nuovissimo libro di P. Francesco D'Acquarica dal titolo "Curiosità sugli arcipreti e persone di chiesa a Noha" (edizioni L'Osservatore Nohano).
Interverranno: l'Autore, Marcello D'Acquarica, Antonio Mellone e altri ospiti.
Sarà un pomeriggio di festa.
Tutta la popolazione è invitata a questo evento culturale.
apr232009
Presentazione del libro: “Una vita non basta”
(Mario Congedo Editore, Galatina, 2008)
Noha, sabato 4 aprile 2009
Presso la sala del Circolo Culturale Tre Torri
Buonasera a tutti voi e buonasera al senatore Giorgio De Giuseppe. Benvenuti a questo quarto “dialogo di Noha”.
Il primo fu presso la Scuola Elementare, nello scorso dicembre 2008 nell’occasione della presentazione dell’antico orologio della torre civica di Noha, ripulito e rimesso a nuovo ed in bella mostra dal nostro amico Marcello D’Acquarica; il secondo ha avuto luogo in questa stessa sala ed ha visto quale protagonista il prof. Giuseppe Taurino, presidente del Consiglio Comunale di Galatina, che ci ha raccontato la sua storia umana e politica ed il suo pensiero, rispondendo anche a numerose nostre domande; il terzo dialogo - indegnamente curato dal sottoscritto - ha avuto luogo nello studio d’Arte della pittrice Paola Rizzo, ed ha avuto quale protagonista Dante Alighieri e la sua Comedia, con il V canto dell’Inferno…
Questo quale doveroso riassunto delle puntate precedenti.
Ma cosa sono “I dialoghi di Noha”?
Per chi non lo sapesse ancora, i dialoghi sono dei momenti di incontro, di crescita culturale, e ove possibile di confronto: se non altro tra le nostre idee e quelle del relatore di turno. I dialoghi di Noha non sono qualcosa di preconfezionato, ma una modalità tutta ancora da inventare, e da scoprire vivendo. I dialoghi sono un’idea, un marchio se vogliamo, per esempio per una conferenza, un concerto, la visione di un film in comune, un’opera teatrale, il racconto dei fatti di una volta, la degustazione di un prodotto, un corso di storia o di matematica o di diritto, la declamazione di alcuni versi poetici…
L’unico obiettivo è sempre quello di far dialogare, discutere, pensare.
In una lettera di risposta ad alcune richieste di delucidazioni sui dialoghi nohani inoltratemi da Biagio Mariano, così scrivevo: “… noi siamo alla ricerca di qualcuno che abbia qualcosa da raccontare al fine di edificare meglio la nostra comunità. Se avessimo dei buoni motivi (e se ci credessimo davvero) noi potremmo invitare a Noha (perché no?) finanche un premio Nobel, o un Premio Oscar, ma anche il Presidente della Repubblica o il Papa in persona.”
Ecco questa sera, in mezzo a noi, non c’è il Presidente della Repubblica. Ma quasi!
Non sto dicendo delle corbellerie. Insomma nel 1992 al primo scrutinio per l’elezione del Presidente della Repubblica, De Giuseppe ottenne 296 voti (non sufficienti però per la massima magistratura).
* * *
Questa sera avremo l’onore di dialogare dunque con il qui presente senatore Giorgio De Giuseppe, che presenterà il suo recente libro: “Una vita non basta”, sottotitolo: “Ricordi politici dell’Italia Repubblicana (1953 – 1994)”, Mario Congedo Editore, Galatina 2008, 424 pagine.
Ma vediamo un po’ chi è Giorgio De Giuseppe.
Classe 1930, magliese purosangue, De Giuseppe è politico e avvocato. E’ stato Provveditore agli studi di Lecce e professore di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università di Lecce (oggi si chiama Università del Salento).
Per sei legislature è stato Senatore, eletto nelle liste della Democrazia Cristiana nel collegio Gallipoli-Galatina (e quindi anche di Noha).
Ha ricoperto svariati compiti negli organismi istituzionali dello Stato come per esempio Presidente del gruppo parlamentare dei senatori della DC, Vicepresidente Vicario del Senato per tre legislature dal 1983 al 1994.
E’ cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica Italiana, onorificenza concessa dal Presidente della Repubblica.
E’ stato insignito di molti altri attestati, lauree ad honorem e benemerenze, ma non ci dilunghiamo oltre nell’elencarli tutti, per lasciare spazio e tempo alla sua parola.
* * *
Diciamo subito che abbiamo molte domande da porgli. Io ne ho appuntata qualcuna. Qualcun'altra arriverà strada facendo. Le domande, si sa, sono come le ciliegie: una tira l’altra.
Gli argomenti trattati nel libro sono così ricchi di accadimenti, personaggi, storie, curiosità, pensieri, riflessioni, che non si saprebbe da dove incominciare per prima (magari partiremo dalla fine, come vedremo). Una cosa l’abbiamo capita leggendo questo ponderoso tomo: la storia si studia, non si giudica.
Qui abbiamo a che fare con chi ha vissuto da vicino eventi, visti con un’ottica particolare quella del politico protagonista; eventi che hanno inciso ed hanno influito su ciò che oggi siamo. Nel bene e nel male.
Ci piacerebbe allora che questa sala si trasformasse per un po’ (si parva licet componere magnis) in un aula del Parlamento, diciamo del Senato, in cui si dà corso a quella cosa definita question time: botta e risposta. Magari in maniera lapidaria e granitica da parte di noi altri. E soprattutto evitando il politichese, quello che Ella, caro Senatore, a pag. 73 del suo tomo definisce: “…linguaggio poco chiaro, ambivalente, contorto, che contribuì a disorientare i cittadini e ad attenuare l’interesse da parte loro per la politica”.
* * *
E veniamo al libro: “Una vita non basta” ed alle nostre curiosità. Scorrevole, ben scritto, ne ho sottolineato diversi punti. E gli argomenti sono tantissimi. I temi sono incredibilmente interessanti. Vi dicono niente alcuni accadimenti come il terrorismo ed il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, la strage dell’Italicus o l’omicidio di Ezio Tarantelli; il compromesso storico o il pentapartito; l’attentato al Papa Giovanni Paolo II o la caduta del muro di Berlino; la questione morale o tangentopoli? O personaggi come (cito a casaccio e senza consecutio temporum) Carlo Alberto dalla Chiesa o Oscar Luigi Scalfaro o Gorbaciev o Fanfani e Forlani o i giudici Falcone e Borsellino o Giovanni Leone, Sandro Pertini, Ciriaco De Mita o Giovanni Spadolini o Francesco Cossiga, o Enrico Berlinguer e mille altri, riportati, tra l’altro, nel fitto indice dei nomi riportato nelle ultime pagine, tutti visti da vicino e conosciuti dall’autore che con loro ha avuto in qualche modo commercio di pensieri e parole?
Ma mi fermo qui. E parto senza indugio con una raffica di domande, alcune appuntate su questo foglio.
* * *
Ecco alcune delle domande poste al senatore Giorgio De Giuseppe
(le risposte purtroppo non sono state registrate su supporto magnetico, e quindi non stato possibile riportarle).La prima domanda ovviamente non può che partire dalla fine del libro. Ma mi permetta un prologo di geografia più che di storia:
* Noha: che cosa le rievoca questo nome, questo luogo, magari nelle sue battaglie politiche?
* A pag. 371 così scrive Giorgio De Giuseppe: “A Maglie si dice: una buona casa va costruita due volte. Ricostruire, per me, non era più possibile. Si vive una sola volta, anche se una vita non basta a completare l’opera e rimediare agli errori”.
Caro senatore, quali potrebbero essere questi errori, se ci sono stati?
* Cosa ha lasciato in eredità la Democrazia Cristiana? E chi l’ha raccolta questa eredità? Sono anche scomparse realmente le correnti?
* Lei ha fatto di persona, a bordo della sua auto e con l’aiuto di tanti amici le sue campagne elettorali. Ci ha messo del suo, s’è guadagnato i voti. Le piace la nuova legge elettorale, quella, per intenderci, che non ci permette di scegliere il candidato, non c’è il voto di preferenza, sicché il candidato di fatto è scelto dalle segreterie dei partiti?
* Senatore De Giuseppe, che cosa è per lei e come si combatte la mafia?
* Lei propose un massimo di tre mandati onde evitare il professionismo politico. Pensa ancora oggi che quindici, ma anche dieci anni, siano un periodo sufficiente per offrire il proprio contributo al bene comune, in modo tale da lasciare all’elettore la scelta del destino del candidato, scoraggiando, così, tentazioni clientelari? C’è in Italia la cosiddetta gerontocrazia?
* Si chiede Gianluca Virgilio nell’articolo di recensione del suo libro su “il Galatino” (30/01/2009): La logica dei blocchi contrapposti, la guerra fredda, l’inaffidabilità del PCI alle dipendenze dell’Unione Sovietica spiegano tante cose, ma l’immobilismo politico dei partiti di governo, in primis la DC, in che misura deve essere attribuito ai suoi dirigenti?
* E ancora: se la politica estera filo-atlantica della DC ha garantito all’Italia un regime di libertà e la prosperità economica per un quarantennio, quale costo l’Italia ha dovuto pagare per tutto questo?
* Cosa ci dice della Lega Nord?
* Un breve ricordo dell’onorevole Beniamino De Maria.
* Cosa intende per secolarizzazione della società? Cosa pensa del motto: libera chiesa in libero stato (laico)?
* Caro senatore, siamo un paese moderno? La democrazia è compiuta? Ritiene che la cosiddetta informazione stia facendo il suo dovere oppure o c’è qualcosa che deliberatamente non ci viene riferito? Mi spiego meglio facendo un esempio: è vero secondo lei che la televisione un tempo insegnava a parlare, oggi invece insegna a tacere?
* Il dramma Aldo Moro.
Antonio Mellone
mar162011
DODDIAMO ESSERE IN TANTI IN PIAZZA ALIGHIERI A GALATINA DOMENICA 20 ALLE 10
Dobbiamo travolgere l'arroganza di una ottica affarista e miope che ci sta condannando a morte.
Difendiamo il nostro diritto di vivere sani, di abitare un territorio non saccheggiato per favorire l'attività d'impresa, di respirare aria pulita.
Non possiamo rimanere in silenzio e consentire che quattro politici senza scrupoli nè coscienza decidano per migliaia di persone.
E' arrivata l'ora di far sentire forte la nostra voce ed il nostro dissenso.
Sfatiamo il cumulo di bugie che ci prospettano per farci ingoiare una pillola al cianuro:
Usciamo dall'isolamento, uniti possiamo farcela!
Domenica partecipa con noi, facciamo di questa manifestazione un evento che non possano scordare, aiutaci a portare in piazza quante più persone possibili, RIPRENDIAMOCI IL NOSTRO FUTURO.
I dialoghi DI NOHA
mag132024
L’evento promosso dall’Associazione Galatina al Centro è andato in scena mercoledì 08 maggio nella sala dell’ex convento delle Clarisse a Galatina, riproponendo il contenuto emblematico del dualismo mafia- giustizia.
La trama del romanzo della Gip-scrittrice Maria Francesca Mariano, La Scialletta Rossa- Una donna di mafia, ordita su una miscela di materiale giudiziario proveniente da esperienze personali e di una forte inventiva narratrice, ha intrigato il numeroso uditorio presente.
E’ stato il Procuratore della Repubblica Antonio De Donno a calarsi con competenza nell’intreccio dello scritto, dialogando con la Gip Maria Francesca Romano e con la sostituta procuratrice della DDA di Lecce Carmen Ruggiero.
Ha preso corpo così tra la declamazione di alcuni passi del testo da parte del bravo attore Marco Antonio Romano, l’intreccio dei due mondi descritti nel romanzo.
Quello mafioso della SCU, fatto di soprusi, che prolifera sul silenzio e sulla paura e quello romanzato capace però di configurare situazioni e soluzioni, dal rimorso al pentimento, fino alla redenzione della protagonista.
“Il fenomeno del pentitismo, ha osservato la giudice Mariano, con tutti i suoi rischi e le sue incognite, resta il solo che scardina l’omertà del sistema mafioso e permette di svelare delitti che sarebbero destinati all’impunità. Non ci sono altre strade per i delitti mafiosi altrettanto efficaci.”
Serata un po’ movimentata nell’antefatto dell’evento, accesa da un consistente spiegamento di agenti di scorta a tutela dei magistrati interessati da diversi episodi intimidatori e dalla recente escalation di minacce.
La corposa e vigile presenza delle forze di sicurezza non ha però distolto l’attenzione dell’assemblea dalla lezione morale che il racconto ci ha offerto per bocca della P.M. Carmen Ruggiero:
“Il contrasto alle organizzazioni mafiose non si limita alle azioni repressive delle forze di polizia e dei magistrati, ha affermato la sostituta procuratrice. Bisogna smantellare quella zona grigia spesso rappresentata da personaggi insospettabili in affari con la criminalità, alimentando nella società il senso dello Stato che noi serviamo con spirito di servizio”.
Ha sorpreso nel mezzo dei dialoghi espositivi dei relatori, il taglio teatrale che l’autrice ha voluto dare prelevando dal suo lavoro letterario gli elementi connettori alla terra salentina: paesaggi, tradizioni, canti e danze di cui ha impregnato la figura di Ramona, la donna del clan.
E proprio nel ballo musicato si è esibita la giudice Mariano offrendo una performance di rilievo, guidata da un esperto maestro, in un tango ricco di pathos e dalle figure eleganti, riscuotendo un vivo consenso da parte del pubblico.
La diffusione dell’etica del coraggio che con il suo lavoro letterario la giudice Mariano intende diffondere, rivendicandola come colonna portante di una società sana, è stata apprezzata dal Sindaco dottor Fabio Vergine e dal Presidente di Galatina al Centro, professor Michele De Benedetto, che hanno ossequiato le due giudici con un omaggio floreale.
Il plauso ai tre magistrati per l’instancabile lavoro di contrasto alla mafia è stato reso da tutto il pubblico e dalle autorità civili, militari e religiose presenti.
Segnalate in sala le presenze del Questore di Lecce dott. Modeo, del Comandante Provinciale della Guardia di Finanza di Lecce Colonnello Ciotti, del Comandante della Guardia di Finanza di Gallipoli Capitano Gugliandolo, del Comandante il Commissariato di PS di Galatina vice Questore Toraldo e del Comandante Provinciale dell’Arma dei Carabinieri, Colonnello D’Amato.
Tra le autorità civili in rappresentanza dell’Amministrazione Comunale, erano presenti il sindaco dottor Vergine, gli assessori ingegnere Stasi e avvocato Perrone, la consigliera avvocato Anna Maria Congedo, il capo di gabinetto del sindaco avvocato Specchia e per le autorità religiose l’arcivescovo di Otranto, padre Francesco Neri.
Il video della manifestazione trasmesso indiretta Facebook sul sito di Galatina al Centro con la regia di Davide Tommasi, è già in rete su YouTube con la denominazione “Incontro con l’autrice Maria Francesca Mariano”.
Direttivo Galatina al Centro
dic282015
Il collaudato miracolo del presepe vivente di Noha che si rinnova annualmente in occasione del Natale è da ascriversi alla collaborazione, anzi all'unione che fa la forza dei seguenti gruppi associativi:
Mel
apr072011
Eccovi di seguito una bella intervista di Dino Valente del sito galatina.it sulla manifestazione antimafia di domenica 10 aprile 2011. Seguiamo l'invito di don Raffaele dell'associazione LIBERA: cerchiamo di parteciparvi numerosi, come segno del nostro riscatto.
Dopo le allarmanti segnalazioni del mondo giudiziario leccese e della Prefettura di Lecce sul rischio infiltrazioni mafiose nel tessuto economico e sociale galatinese, la cooperativa sociale Terre di Puglia - Libera Terra di Mesagne, che ha in gestione l’uliveto confiscato alla mafia in contrada Roncella a Noha, insieme ad una rete di associazioni quali: Libera Lecce, CGIL, Arci, Antigone, UDS, UDU, Città Nostra, I dialoghi di Noha, CSI Terra d'Otranto, Città Fertile, Agesci Scout Galatina Gruppo 1, e a tanti singoli cittadini, ha deciso di mobilitarsi per dimostrare che a Galatina c’è anche un tessuto sociale sano che rifiuta ogni tipo di connivenza e che vuole rompere il muro dell’indifferenza.
Da questo obiettivo nasce l’iniziativa, che sarà patrocinata dal Comune di Galatina, che si terrà domenica 10 aprile a partire dalle ore 15 “Primavera LIBERA tutti”. La carovana di Libera, aperta a tutti coloro che vogliono partecipare partirà alle 15 in bicicletta da Piazza San Pietro in Galatina ed arriverà in Contrada Roncella, dopo essersi fermata a Noha in Piazza San Michele, dove raccoglierà gli ulteriori partecipanti.
Giunti sull’uliveto si procederà al taglio simbolico di una fronda degli ulivi presenti, da cui quest’anno si ricaveranno le palme da benedire e distribuire la domenica successiva in occasione della celebrazione della Domenica delle Palme. Un gesto simbolico per legare il tradizionale messaggio di pace trasmesso dall’ulivo a quello di legalità in un connubio indissolubile.
Durante il pomeriggio, dedicato a grandi e piccini, si costruirà il muro della legalità con le scatole di scarpe colorate che ogni partecipante porterà con sé su cui verrà scritta una frase per la legalità contro le mafie, e i più piccoli saranno inseriti nei laboratori organizzati dal Salento Buskers sull’arte degli antichi madonnari.
Parteciperà all'iniziativa, in cui si intervalleranno momenti di riflessione e di musica, Raffaele Casarano, Nabil Bay dei Radio Dervish e il Salento Busker, ai quali speriamo si aggiungano altri artisti di cui stiamo in queste ore chiedendo l’adesione.
Tutti uniti contro tutte le mafie, contro la corruzione e gli intrecci clientelari che alimentano gli affari delle organizzazioni criminali e il malcostume, per costruire, percorsi di libertà, cittadinanza, legalità, giustizia, solidarietà che, a partire dal valore fondamentale della dignità di ogni essere umano, siano il più valido antidoto al proliferare della violenza e della sopraffazione mafiosa.
Terre di Puglia – Libera Terra
Alessandro Leo (legale rappresentante)
giu102017
Ragazzi, è dura e io vi capisco. Non è mica facile di questi tempi decidere il candidato sul cui nome segnare una bella croce il giorno delle elezioni.
Vero è che il concetto espresso dalla locuzione “metterci una croce sopra” assume accezioni affatto contrastanti a seconda dei casi:
Apparentemente il caso sub a) sarebbe più semplice, visto che in senso letterale le croci da apporre sono numericamente inferiori (un paio al massimo) rispetto a quelle che sarebbe d’uopo listare in senso letterario. Tuttavia la scelta di quell’uno è di gran lunga più ostica rispetto alla bocciatura degli incommensurabili scarti politici, altrimenti detti riempilista (da moltiplicare per il numero delle innumerevoli liste). Non fosse altro che per il tempo che si perderebbe nel farne l’appello uninominale.
Se a questo si aggiunge il fatto che certa politica non è più di sinistra (forse mai stata), né di destra, ma solo ego-centrica, riusciamo a cogliere meglio le motivazioni per le quali spesso arriviamo alla vigilia del voto (quasi) tutti parzialmente stremati.
A proposito di selezione naturale del primo cittadino, collegandomi al mio precedente pezzo dal titolo “Sindaco chi?” [chiedo venia: l’autocitazione non è mai elegante ma questo scritto è la logica prosecuzione di quello, ndr.], provo ad aggiungere un altro tassello alla metodologia da utilizzare per la cernita del sindaco. Ed è il vocabolo “Cultura”.
Orbene: è empiricamente dimostrato quanto tra i sei personaggi in cerca di elettore se ne annoverino alcuni che hanno un rapporto, come dire, idiosincratico, di più, conflittuale con codesto lemma.
Ce n’è qualcuno che, emulando il ministro del nefasto e innominabile governo di qualche anno fa, pensa tuttora che “con la cultura non si mangia [sic]” . Tanto che al solo sentirne il suono, in default, è pronto a metter mano alla pistola (delle cazzate).
Ci sta poi il candidato che non riesce proprio a proferire questa parola che trova così inedita, così eteroclita e così bisbetica da diventare paonazzo e dislessico a un tempo. E pensare che s’è cimentato più volte nella sua pronuncia, ma niente. Hanno pure provato a scrivergliela (come i discorsi a effetto vergati dal solito ghostwriter, letti dal pulpito con la stessa scioltezza di un alunno di quarta elementare), ma al massimo ne vien fuori un luculliano “Cottura” [visti certi girovita, sarà la fissa per il solito cibo che bolle in pentola, ndr.].
C’è poi l’altro concorrente di grido che oltre a non saper scrivere non sa neanche leggere (in compenso crede di saper parlare), che pensa che il termine Cultura sia una parola composta da “cul” e “tura”, con maggiore enfasi soprattutto alla prima parte [la quale tanto somiglia alla faccia che ci mette su manifesti e slogan, ndr.], mentre la seconda potrebbe essere una voce del verbo strettamente connessa alla prima.
E’ che certi portatori sani di promesse, i famosi guardiani del farò - il cui ultimo libro sfogliato fu probabilmente il sussidiario delle elementari (ma sol perché costretti dalla maestra o da chi ne faceva le veci) - pensano che Cultura sia svegliarsi la mattina e decidere senza chiedere il permesso a nessuno di installare un bel faro di luci a led bianche e accecanti da puntare direttamente sugli affreschi del Calvario di Noha, rendendo di fatto inguardabile tutto il complesso artistico. Son fatti così, signora mia: trattano certi monumenti come fossero il garage di casa propria. E’ la famosa politica del fare (quello che gli pare).
Per esigenze di completezza, e sempre a proposito di Cultura, diciamo che v’è anche il candidato che si “informa” leggendo solo il Quotidiano [la cui carta è ormai buona solo per l’indifferenziata, anzi per l’umido visto il livello di bava di cui è inzuppato e/o le scemenze che il superstite suo lettore è costretto a leggere, ndr.]; c’è anche quello che ce la sta mettendo tutta a svuotare il centro città per riempire in compenso il centro commerciale di Collemeto [così finalmente ci sarà più Pil per tutti, ndr.]; c’è il contendente che pensa che il borgo antico debba diventare il luna park di un turismo di massa, possibilmente grasso, sudato e inebetito in slalom perenne tra i tavolini sparpagliati qua e là sullo storico basolato [magari alla disperata ricerca di un Mc Donald’s, ndr.]; c’è chi arringa i suoi plaudenti gregari con il fare tipico dello “spiritual coach” e con il carisma di un animatore di villaggio vacanze in cerca spasmodica di una citazione da hard discount della Cultura [roba davvero da morir dal ridere, ndr.]; v’è anche chi schiuma di rabbia dal palco sparando minacce, avvertimenti e provocazioni con un linguaggio da trivio così scurrile che, al confronto, uno scaricatore di porto sarebbe un raffinato nobiluomo d’altri tempi [ci mancherebbe giusto una bestemmia da scomunica papale per farla completa, ndr.].
Il bello (o il brutto) di questa storia tragicomica è che alcuni fra questi candidati coesistono nella stessa persona.
*
Permettetemi infine una carezza affettuosa ai folkloristici cettoqualunquisti. Ce ne stanno a bizzeffe. E son quelli dall’endorsement facile, anzi commovente. Son quelli per i quali le sguaiataggini del proprio beniamino sono “passionalità”, il clientelismo e il favoritismo insito nelle sue fibre più intime sono “spirito di servizio”, la collezione di fiaschi che manco la cantina Valle dell’Asso sono “conoscenza amministrativa”, l’attivismo onde tutto quel che tocca muore è “caparbietà con cui [Cetto o Cetta] risolve i problemi” [risolve?, ndr.], le figure di merda che ci fa accatastare in maniera diuturna sono “l’amore che nutre per tutto il comprensorio di Galatina” [insomma un amore così grande, viscerale, urbi et orbi, ma soprattutto orbi, ndr.].
Poi uno rivede “Qualunquemente” del 2011 - il film di Giulio Manfredonia con Antonio Albanese -, ne riascolta dialoghi e comizi e inizia a capire che il “Truman show” de noantri non è poi così lungi dalla fiction.
Infatti.
[Un comizio] <<Cari amici elettori, e sdraiabilmente amiche elettrici, mi è stato chiesto, se vengo eletto, cosa intendo fare per i poveri e i bisognosi: 'na beata minchia! È ora di finirla: 'sta cosa dei bisognosi è una mania! Poi sono bisognoso anche io di voti, affettivamente mi servono più dell'ossigeno: qui siamo in guerra, e io non faccio prigionieri. Tu mi voti, ti trovo un lavoro e ti sistemo. Tu non mi voti, 'ntu culu a ttìa e a tutta 'a famighia! Applauso! Io amo lo scontro, e soprattutamente non amo i pacifisti […]>>
E ancora.
Ecco. Se ci riuscite, provate a cogliere le differenze.
Antonio Mellone
lug022016
Il brano che segue è stato rinvenuto di recente fra le carte dell’archivio di don Donato Mellone (1925 - 2015).
Scritto nel 1983 alla sua inseparabile Olivetti Lettera 22, è il discorso di commiato da Antonio Rosario Mennonna, vescovo di Nardò (e quindi anche di Noha prima del passaggio della parrocchia all’archidiocesi di Otranto) sin dal 1962.
Anche questa è Storia locale. Che, come ribadito più volte, non è mai Storia di serie B, ma Storia tout court, e con tanto di maiuscola. Storia, che molto spesso è scritta su pezzi di carta rinvenuti per caso.
Mons. Mennonna era un mito per lo scrivente. Il vestito paonazzo, le insegne episcopali (mitria, anello, croce e pastorale), i pontificali, il portamento ieratico e la sua 131 Mirafiori blu lucidissima con tanto di autista e segretario, facevano evidentemente una certa impressione su quell’imberbe osservatore nohano ante-litteram che ero. Ne osservavo, dunque, tutti i dettagli: i suoi occhiali da miope molto spessi, i decori artistici degli uncini dei suoi vincastri, finanche le calze rosso-violacee perennemente indossate, come del resto il suo abito corale con mozzetta.
Del mio vescovo conoscevo il suo stemma (i monti, la stella a sei punte e la fortezza turrita) effigiato all’ingresso dell’episcopio e sul portale dell’adiacente cattedrale neritina, ma anche ricamato sulle infule delle preziose mitrie aurifrigiate, lavorato a filet con l’uncinetto sugli orli della cotta, marcato sugli altri paramenti sacri, e ovviamente stampato sui documenti ufficiali di curia e sulle lettere pastorali.
“Ut ascendam in montem Domini” era il suo motto. Certo di non commettere sacrilegio, lo utilizzai a mo’ di slogan del Numero Unico, il giornalino della Scuola Militare per gli Ufficiali di Amministrazione di Maddaloni, di cui nel ‘92-‘93 fui pure direttore responsabile. Ma, come posso dire, laicizzandolo preventivamente: togliendo cioè quel “Domini”, e lasciando semplicemente “Ut ascendam in montem”. Volevo trasmettere agli altri, tramite il contenuto di quella pubblicazione con tanto di espressione latina, l’urgenza di sentirsi invincibili piuttosto che vincenti, sottolineando l’importanza della lotta e della fatica della salita a prescindere dal raggiungimento dell’obiettivo-vetta. Ma questa è un’altra storia.
Ricordo che nel corso di una delle feste del Ministrante che si celebravano annualmente a Nardò nel grande atrio polifunzionale del seminario diocesano (adibito a volte anche a campo di basket o di calcetto, quando non per convegni, cerimonie o sante messe all’aperto), ricevetti in dono dalle mani dell’eccellentissimo vescovo un libro premio che ancora conservo gelosamente. Era un libello delle Edizioni Paoline, scritto da Denise Barnard dal titolo “Sul tetto del mondo”: una storia sul Tibet e sul Dalai Lama (per dire l’ecumenismo, e soprattutto l’apertura mentale di quell’uomo di cultura, che ci spingeva proprio in quei ruggenti anni ‘70 ad andare oltre “questa siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”, e forse anche oltre la nostra stessa religione). Credo che fosse stata la signora Pata di Noha (al secolo Vituccia Specchiarelli), delegata all’iniziazione cristiana dei chierichetti, a fare il mio nome al “comitato-premi-libri-ai-chierichetti” per quella bella cerimonia.
Quando il vescovo era in visita a Noha era quasi una festa di precetto, i riti sempre solenni, con la presenza costante di almeno quattro sacerdoti (i due immancabili nohani, cioè don Donato e don Gerardo, e poi ancora don Giovanni Cardinale di Aradeo e infine il segretario-cerimoniere vescovile, mons. Mancina, anzianissimo, e sovente altri “preti ospiti”). Tutti attendevamo l’arrivo dell’ordinario diocesano sul sagrato della chiesa madre, pronti, subito dopo il saluto del parroco, a riceverne l’aspersione “urbi et orbi” (a Noha e al mondo).
Una volta, alla fine di una celebrazione eucaristica, mi trovai ad aprire completamente la porta dell’ufficio parrocchiale (dove era stato preparato il solito rinfresco con delle bibite) solo dopo il passaggio di sua eccellenza, non prima. Ecco che monsignore, tra il serio e il faceto rivolto a me – tra le risate degli astanti - mi fa: “Non preoccuparti. Pensa che anche Santa Chiara chiuse i cancelli dopo che i buoi erano scappati.” Non sapendo cosa rispondere (andavo meglio agli scritti che all’orale anche allora), credo che mi mimetizzai diventando rosso porpora, più o meno come la veste color magenta del mio illustre interlocutore.
Non sto qui a dirvi che imitavo la voce e la cadenza di mons. Mennonna come nessun altro. A dire il vero ero un (inimitabile) imitatore di persone non famose che manco un concorrente di “Italia’s got talent”. Sicché arrivai a fare la parodia di personaggi più o meno locali, quali don Donato stesso, ovviamente don Gerardo, finanche la mia maestra delle elementari… Più tardi arrivai a fare il verso anche ai miei professori delle superiori e quindi dell’università, oltre ovviamente quello di molti miei amici e colleghi, e di altri personaggi vari ed eventuali.
*
Antonio Rosario Mennonna (sopravvissuto a due suoi successori avvicendatisi sulla cattedra neritina), si è spento nella sua casa di Muro Lucano nel 2008, all’età di 103 anni. Ipovedente, è stato lucidissimo fino alla fine: pare che allenasse le sue sinapsi recitando a memoria interi canti della Divina Commedia (ergo lo scrivente, da questo punto di vista può considerarsi in una botte di ferro).
Lascia un ottimo ricordo in quanti lo conobbero in vita, ed una serie infinita di pubblicazioni, fra le quali: libri di favole per grandi e bambini, trattati di filosofia e di teologia, volumi di glottologia (per esempio sui dialetti gallitalici della Lucania), un piccolo dizionario del cristianesimo, e i famosissimi e stupendi “dialoghi con i personaggi dell’antica Roma” (da Romolo a Tarquinio il Superbo, da Cicerone a Socrate, da Augusto a Costantino, ecc.), incisi anche su Cd.
Il vescovo-professore fu insignito dal Presidente della Repubblica della medaglia al valore di benemerito della scuola, della cultura e dell’arte.
Nel 2008, pochi mesi prima della sua dipartita, scriveva una lettera di ringraziamento a don Donato per il dono del suo volume “Il sogno della mia vita” (curato dal sottoscritto, ed edito da Panìco). In quella lettera (che mio zio buonanima mi fece leggere, e che ora non riesco a rinvenire – datemi tempo), Mennonna fa riferimento al sottoscritto quale insuperabile imitatore della sua voce.
Antonio Mellone
*
Eccellenza Reverendissima,
sono passati ventuno anni e qualche mese da quando Ella fece il suo ingresso nella nostra Diocesi. E ora è giunto il momento di lasciarci per ritornare nella sua terra d’origine (Muro Lucano, ndr.). Sono convinto che Ella se ne sarebbe andata in punta di piedi, senza dar fastidio a nessuno, se non ci fosse stato un dovere elementare da compiere: quello di congedarsi da noi sacerdoti e dalle comunità parrocchiali che per tanti anni Ella ha guidato con saggezza, spirito di sacrificio e soprattutto con grande bontà d’animo.
Non è nel mio stile, Eccellenza, abbandonarmi ai complimenti, ma la verità bisogna pur dirla. E la verità è che noi sacerdoti, come pure tutti i fedeli, abbiamo visto in Lei non l’uomo di cultura, non il dottore in Sacra Teologia, quanto il Buon Pastore che ha amato questa Diocesi di Nardò, non con le parole, ma con i fatti e in verità.
Non è questa la sede più adatta, e non sono io la persona più indicata per illustrare l’opera da Lei svolta a vantaggio di tutta la Diocesi neritina nel corso del Suo ministero pastorale: ci saranno altri più qualificati di me che non mancheranno di assolvere a questo compito. E tuttavia a me spetta il dovere di fare solo un cenno a quanto bene ha compiuto nei confronti di questa Comunità Parrocchiale di Noha.
E ricordo le numerose visite pastorali, da Lei compiute. Ricordo quando nei primi anni del Suo (e mio) Ministero venne nella nostra Comunità a benedire i locali della nuova casa parrocchiale; ricordo quando fece un sopralluogo per i lavori di restauro della chiesa madre e per consacrare successivamente questo altare maggiore, così come voluto dal Concilio; ricordo la benedizione delle campane della chiesa parrocchiale e quella del cimitero, e anche quando venne a Noha a benedire il nuovo monumento ai Caduti; e ricordo, infine, quando, proprio in quest’anno è venuta a benedire il nuovo campo sportivo. E non posso non ricordare, durante l’anno mariano diocesano, l’accoglienza festosa che proprio questa comunità tributò alla Madonna della Pace nel pellegrinaggio che Ella ha voluto indire partendo da Roma.
Sono queste soltanto alcune delle opere che Ella ha compiuto a nostro vantaggio, e proprio a nome di questa Comunità, e a nome mio personale sento il dovere di esprimere all’Eccellenza Vostra Rev.ma i sentimenti della nostra gratitudine più sincera e più devota, e al tempo stesso Le chiedo che non ci dimentichi.
Per questo le Associazioni parrocchiali hanno pensato di offrirLe in dono una statuetta della Madonna. Quando Ella pregherà davanti a questa statua sono certo che si ricorderà di noi.
Noi, dal canto nostro, non mancheremo di ricordarLa nelle nostre preghiere.
Per l’intercessione di Maria, il Signore Le conceda Grazie su Grazie, e tanti anni ancora di vita e salute.
Sac. Donato Mellone
[si ringrazia lo Studio Fotografico Pignatelli per la foto d’archivio]
mar212009
I dialoghi di Noha vanno avanti. Eccovi il testo e le immagini del commento e della recita del canto V dell'Inferno di Dante Alighieri che ha avuto luogo il 28 febbraio 2009 a cura di Antonio Mellone nello stupendo scenario dello studio d'Arte di Paola Rizzo.
I dialoghi DI NOHA
DANTE ALIGHIERI: IL CANTO V DELL’INFERNO
Vi dico subito come è strutturata questa lectura Dantis.
Cercheremo brevemente d’inquadrare il canto V nel girone dell’Inferno. Il secondo per la precisione. Spiegherò chi sono i personaggi. E poi prima del vero e proprio canto V (che proverò a recitare a memoria) commenteremo le singole terzine. Come saprete, i livelli di lettura della Comedia sono molteplici. Noi cercheremo una chiave di lettura: la più semplice possibile.
* * *
Adesso farò girare delle fotocopie sulla struttura dell’oltretomba dantesco. Ed in particolare sull’Inferno.
* * *
L’Inferno è come una grande vora, diciamo una voragine a forma di imbuto il cui termine, o il cui punto di minimo, si trova al centro della terra. Dunque un imbuto o un cono rovesciato enorme (come potete vedere dalle fotocopie). Un burrone che si apre sotto Gerusalemme causato dalla caduta di Lucifero (l’angelo, il più bello fra tutti, che si era ribellato a Dio) quando fu scaraventato dal Paradiso sulla Terra in seguito alla battaglia condotta e vinta dal nostro Arcangelo San Michele e dai suoi angeli.
La terra dunque in seguito a questa caduta si ritira, per paura, per ripugnanza, per schifo… per ricomparire dall’altra parte dell’emisfero terracqueo come una enorme montagna: la montagna del Purgatorio.
L’Inferno è diviso in nove cerchi concentrici che si rimpiccioliscono man mano che si scende, man mano che si va al centro della terra, per terminare nel lago di Cocito, lago ghiacciato a causa del vento (un vento freddissimo, diremmo di tramontana) prodotto dalle ali (enormi e senza piume, come quelle dei pipistrelli), ali di Lucifero, a sua volta immerso nel ghiaccio. Lucifero ha tre teste ed in ogni bocca sgranocchia anzi maciulla coi denti un peccatore. I tre traditori rosi dal diavolo sono Bruto, Cassio (entrambi responsabili della congiura contro Cesare) ed ovviamente Giuda (traditore di Gesù).
Vediamo ancora un attimo insieme la struttura dell’Inferno per vedere dove ci troviamo con questo canto quinto. Siamo nel II cerchio. Vedete? Subito dopo il primo cerchio che contiene il Limbo, che è quello in cui si trovano le anime di coloro che non furono battezzati. Ma prima ancora c’è la famosa porta dell’Inferno sulla quale c’è scritto (recito): Per me si va nella città dolente/ per me si va nell’eterno dolore / per me si va tra la perduta gente./Giustizia mosse il mio alto fattore/fecemi la divina potestate/la somma sapienza e il primo amore./ Dinanzi a me non fuor cose create/se non etterne ed io etterno duro/ lasciate ogni speranza voi ch’intrate.
Poi c’è l’Antinferno, dove ci sono gli Ignavi, quelli che non si schierarono mai, quelli che vissero sanza infamia e sanza lode, di cui lo stesso Virgilio dice a Dante: non ti curar di lor ma guarda e passa. Fanno così ribrezzo che non li vuole manco l’Inferno! Dunque c’è la necessità di schierarci.
Il terzo cerchio è quello dei Golosi, il IV quello degli Avari e Prodighi, nel V troviamo gli Iracondi e gli Accidiosi; il sesto cerchio è quello dove sono puniti gli Eresiarchi (o Eretici).
Il settimo cerchio è quello dei Violenti. Questo cerchio a sua volta è diviso in tre gironi: il primo dei violenti contro il prossimo e le sue cose; il secondo dei violenti contro se stessi e le proprie opere; il terzo dei violenti contro Dio e le sue cose.
Dopo una ripa scoscesa si va all’ottavo cerchio: quello dei violenti contro chi non si fida. L’ottavo cerchio è diviso in dieci bolge: 1) Seduttori; 2) Adulatori; 3) Simoniaci; 4) Indovini; 5) Barattieri; 6) Ipocriti; 7) Ladri; 8) Consiglieri Fraudolenti; 9) Seminatori di discordia; 10) Falsari.
Dopo c’è il pozzo dei giganti. Ed infine si arriva al nono cerchio (dove sono puniti i violenti contro chi si fida: cioè i traditori). Il nono cerchio è diviso in quattro zone: la prima dei traditori dei parenti (la cosiddetta Caina. Nel canto di questa sera vedremo che Francesca farà riferimento a questa zona del nono cerchio), la seconda dei traditori della patria, la terza dei traditori degli amici, la quarta dei traditori dei benefattori. In fondo c’è Lucifero, come detto sopra.
Ora ritorniamo sopra, al secondo cerchio e vediamo un po’ di focalizzarci su alcuni personaggi che Dante incontra nel suo viaggio.
* * *
La storiella dei due amanti che Dante incontra è questa.
Per sedare antichi rancori, due potenti famiglie di Romagna (i Polenta da Ravenna e i Malatesta da Rimini) pensano di pacificarsi combinando un matrimonio. Gli sposi sono Francesca da Polenta, bellissima, e Giovanni Malatesta detto Gianciotto, brutto e sciancato.
Per evitare un rifiuto secco da parte della giovane, le famiglie decidono di celebrare il matrimonio per procura. Questo fatto rappresenterà un altro raggiro, in quanto Francesca per un attimo pensa che lo sposo promesso sia l’ambasciatore o meglio il procuratore: Paolo Malatesta, uomo bellissimo, fratello di Giovanni, lo zoppo.
Ma così non è.
Francesca capirà subito chi sarà il vero marito e, sottomessa com’è, si sottopone al vincolo coniugale.
Però la scintilla era scoppiata. A sua volta a Paolo piacque subito Francesca, così come a Francesca piacque subito Paolo. Vedremo anche questo concetto: amor che a nullo amato amar perdona.
Ed una sera di maggio, in una loggia panoramica del castello di Gradara (che è bellissimo: v’invito a visitarlo come ho fatto io tempo fa) basterà la lettura a due della pagina di un famoso romanzo cavalleresco, in cui si raccontano gli inizi di una vicenda extraconiugale, perché i due cognati si bacino finalmente non riuscendo più ad andare avanti. Qui pare che irrompesse il marito (Gianciotto, cioè Giovanni Malatesta, lo zoppo) sorprendendo i due in flagranza di adulterio (un bacio!) e infilzandoli con una spada o una lancia in un’unica stoccata.
Tra l’altro a quanto pare questo duplice omicidio non sembra aver sciupato la vantaggiosa alleanza per le due famiglie che anzi viene rinsaldata con questa specie di patto di sangue.
* * *
Ora iniziamo a commentare il canto (prima di cercare di recitarlo tutto intero a memoria). Il canto è quello in cui Dante incontra i due amanti appunto in questo secondo girone dell’Inferno.
Dante con Virgilio discendono dal primo cerchio giù nel secondo, che ha una circonferenza più piccola, ma che contiene più dolore che spinge al lamento (che punge a guaio).
Piantato nell’entrata sta Minosse, giudice dell’inferno, che giudica e manda secondo ch’avvinghia. Ovviamente il giudizio è sempre inappellabile e soprattutto qui si parla di ergastolo. Qui la pena ed il carcere è vita. O meglio a vita eterna.
Dunque, quando l’anima mal nata (nata alla propria dannazione) gli capita davanti, confessa tutti i suoi peccati. E Minosse individua il comparto dell’Inferno che fa per lei e glielo comunica o glielo notifica secondo ch’avvinghia: cioè avvolgendosi nella coda un numero di volte pari all’ordine del grado o cerchio in cui l’anima deve precipitare. Per esempio quattro giri di coda, quarto cerchio; otto giri di coda, ottavo cerchio, e così via.
Il flusso delle anime è incessante: a turno vanno al giudizio, si confessano, ascoltano la sentenza, e poi sono scaraventate di sotto a capofitto.
Come vede Dante, Minosse s’accorge che non si tratta di un’anima ma di un uomo in carne ed ossa (in quanto Dante proietta un’ombra) e subito interrompendo l’atto di cotanto uffizio, gli urla: Tu che vieni in questo ospizio di dannati, stai attendo a dove ti stai cacciando. Non t’inganni l’ampiezza dell’entrata.
E Virgilio (compagno di viaggio di Dante) gli ribatte: Perché pur gride? Non tagliargli la strada. Vuolsi così colà dove si può (puote) ciò che si vuole e più non chiedere (dimandare).
Poi Dante viene al nocciolo del racconto. Or incomincian le dolenti note (il suono del dolore) a farmisi sentire, or son venuto là dove molto pianto mi percuote (mi investe e mi turba).
Io venni in loco d’ogne luce muto, cioè nel buio, silenzioso di luce, che mugghia come fa mare in tempesta quando è schiaffeggiato dai venti.
La bufera infernale che mai non s’arresta, e tormenta le anime dei dannati nella sua rapina sbattendole di qua, di là, di su, di giù.
Quando giungono davanti alla ruina si scatena un coro stonato di strida, singhiozzi, lamenti e bestemmie.
A questo punto Virgilio dice a Dante che i dannati sottoposti a quella pena sono i peccator carnali che la ragion sommettono al talento, cioè che subordinano l’ordine della ragione ai disordini del desiderio. Cioè sottomettono la ragione alla passione: sono in una parola i lussuriosi.
Ecco la legge del contrappasso: sbattuti dal vento delle passioni da vivi, questi peccator carnali saranno allora strapazzati dalla bufera infernale nei secoli dei secoli, amen.
Ecco allora due similitudini (ce ne stanno molte nella Divina Commedia).
La prima. Gli spiriti di questo cerchio, la massa dei lussuriosi, sono paragonati allo stormo largo e pieno degli storni (un tipo di uccelli) che in massa turbinano alla rinfusa.
La seconda. Le ombre travolte dalla medesima tormenta (de la detta briga) striano gemendo, come gru che disposte in lunga riga van cantando lor lai (cioè si lamentano). Dunque sono gru lamentose queste anime selezionate, ch’amor di nostra vita dipartille, cioè che han perso la vita a causa dell’amore.
Dante domanda: chi sono queste anime-gru?
Risponde Virgilio. La prima è Semiramide, la leggendaria imperatrice, che succeduta al marito Nino, regnò sulla terra che il Soldan corregge, cioè la città che oggi è retta dal sultano d’Egitto. Questa Semiramis, Semiramide, fu donna talmente depravata che per abrogare l’ignominia a cui s’era ridotta, decretò la liceità di ogni sfrenatezza: libito fe’ licito in sua legge. Insomma si fece una legge ad personam. Le leggi ad personam evidentemente non sono un’invenzione di questi nostri giorni!
La seconda delle anime in riga è colei che s’uccise per amore, dopo aver rotto il patto di fedeltà giurato sulle ceneri del marito Sicheo: si tratta della vedova Didone, regina di Cartagine: la quale folle di Enea (quando questi partì) si lanciò tra le fiamme.
Segue Cleopatra lussuriosa: Cleopatra amante di Cesare e Antonio e di molti altri (si suicidò morsa da un aspide).
Segue ancora Elena, per cui tanto reo tempo si volse, (dieci anni della guerra greco-troiana)
Vedi Parìs: vedi Paride, amante di Elena, e vedi Tristano (quello che preleva la bella Isotta in Irlanda per tradurla sposa a suo zio Marco, re di Cornovaglia: poi i due bevono una pozione, un filtro d’amore. Ma poi Marco mette a morte il nipote… Ma questa è un’altra storia).
L’elenco dei sette morti lussuriosi, completato da mille altri nomi di donne antiche e cavalieri, sgomenta Dante e pietà lo coglie.
Quando ecco che qualcosa, sconvolgendolo ancor di più, cattura la sua attenzione. E si rivolge a Virgilio e gli dice: poeta, mi piacerebbe parlare con quei due che volano insieme e sembrano essere così leggeri al vento. Ed il maestro gli risponde: non ti preoccupare, quando saranno più vicini a noi, pregali in nome dell’amore che li sbatte a destra e a manca e vedrai che verranno.
E così Dante, non appena il vento sembra rallentare un attimo, si rivolge a loro dicendo: oh anime affannate, venite a parlare a noi, se altri (se Dio, cioè) non lo vieta.
Dalla riga di gru, come due colombi, si staccano due anime, tratte dalla forza dell’appello affettuoso. Ma inizia a parlare solo lei. Lui (Paolo) non parlerà mai in questo canto. Piange in silenzio.
Francesca si dice allora disposta a dire tutto quello che Dante, quella creatura vivente vorrà sapere. Mentre che il vento come fa ci tace.
Francesca per designare la sua città, si dichiara nata sulla marina dove sfocia il Po per aver pace con i suoi affluenti. Ed aggiunge che se qualche udienza lei e Paolo potessero ottenere (ma mai l’otterranno) nei cieli, pace pregherebbero per il pellegrino commosso dalla loro pena. Pace e niente altro: pace che altro non è che la disperata aspirazione di questa signora che, con l’amante, tinse il mondo di sanguigno, e ora gira e rigira furiosamente nell’aere perso del secondo cerchio dell’Inferno.
Amor, che in un cuore nobile attecchisce subito, prese questo Paolo del bel corpo di cui sono stata privata, ed il modo ancor m’offende. Può significare: la smodatezza della passione di Paolo mi tiene ancora in sua balìa; oppure: il modo dell’omicidio continua ad offendermi.
Amor gentile. Amor cortese. Dolce stil novo: quello che sublima la donna, vista come un angelo. Non vi posso a questo punto non recitare la bella poesia di Dante: Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia…[recita].
Tanto gentile e tanta onesta pare
La donna mia quand’ella altrui saluta
Ch’ogne lingua devien tremando muta,
E gli occhi no l’ardiscono di guardare
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per gli occhi una dolcezza al core
che ‘ntender no lo può chi non la pruova
e par che de la sua labbia si mova
uno spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: sospira.
* * *
Amor che a nullo amato amar perdona.
Amore che non esonera nessuna persona amata dall’amare a sua volta, prese me della bellezza di quest’uomo, e con tanta forza che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amore ci coinvolse in un’unica morte. La Caina, cioè quel cerchio dei traditori dei parenti (che abbiamo visto anche sulle fotocopie) che è la zona del lago di ghiaccio che chiude il cratere infernale, la Caina – dicevo – attende chi a vita ci spense: cioè mio marito che ci uccise.
* * *
Ora apro una breve parentesi su quel verso 103 ormai famosissimo: Amor, ch’a nullo amato amar perdona.
Secondo questa specie di teorema si può affermare che sempre, fulmineamente, senza appello, chiunque s’innamori di una persona automaticamente non può che esserne corrisposto. Dunque c’è reciprocità d’amore. Istantanea e perfetta.
C’è chi dice invece che questo funziona solo con l’amore di Dio per cui amare Dio ed essere amati è un’unica cosa. Ma senza approfondire questi concetti ché si sconfinerebbe in altri campi (teologici, morali, psicologici, filosofici…) diciamo che nel tempo altri poeti pensarono invece che non esiste questa corrispondenza d’amorosi sensi.
Per esempio nel seicento ci fu una suora di lingua spagnola, Suor Juana Ines de la Crux, di Città del Messico che scrisse questa poesia molto bella che ora vi recito: “L’ingrato che mi lascia cerco amante”… [recita].
Chiusa la parentesi.
L’ingrato che mi lascia, cerco amante
L’amante che mi segue, lascio ingrata;
costante adoro chi il mio amor maltratta
maltratto chi il mio amor cerca costante.
Chi tratto con amor, per me è diamante,
e son diamante a chi in amor mi tratta;
voglio veder trionfante chi mi ammazza,
e ammazzo chi mi vuol veder trionfante.
Soffre il mio desiderio, se ad uno cedo;
se l’altro imploro, il mio puntiglio oltraggio:
in ambi i modi infelice io mi vedo.
Ma per mio buon profitto ognor m’ingaggio
A esser, di chi non amo, schivo arredo
E mai, di chi non mi ama, vile ostaggio.
Ecco: in questa poesia si evidenzia molto bene non la simmetria ma la asimmetria degli amorosi sensi…
* * *
Ma torniamo al nostro canto V.
Dopo aver ascoltato quelle anime offense, Dante abbassa gli occhi e tanto li tiene bassi, finché Virgilio gli chiede: che pensi? Cosa ti passa per la testa?
E Dante risponde dopo un po’: Ahimè, quanti dolci pensier, quanto desìo menò costoro al doloroso passo.
Poi si rivolge a Francesca dicendole: Francesca, le tue pene, il tuo dolore mi impietosiscono fino alle lacrime. E poi le chiede, quasi morbosamente curioso: ma dimmi, per quali indizi ed in quali circostanze vi ha consentito Amore di conoscere i vostri titubanti e mutui desideri?
E Francesca: Nessun maggior dolor …premesso che nulla fa più male che ricordarsi del tempo felice nella miseria, dirò come colui che piange e dice: dirò come direbbe chi piangendo dicesse.
E continua: un giorno, per svago, senza essere insospettiti da alcun presentimento, lei e Paolo leggevano insieme un romanzo francese, dove era raccontata la storia d’amore di Lancillotto e Ginevra, moglie di re Artù (qualcuno ricorda il film con Richard Gere e Sean Connery, su questa storia. ecc.).
Più di una volta la lettura costrinse i loro sguardi ad incrociarsi, ed i loro visi a sbiancare. Ma a sopraffarli fu una pagina: proprio quella. Quando lessero il desiderato sorriso di donna Ginevra essere baciato da cosiffatto amante, questi che mai da me non fia, non sia, diviso la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse, quel giorno più non vi leggemmo avanti.
Il Galeotto di cui si parla è il siniscalco Galehaut, che nel romanzo francese istiga il leale Lancillotto a dichiarare il suo amore a Ginevra; e sotto i suoi occhi, Ginevra prende Lancillotto e lo bacia.
Dunque: Galeotto fu il libro: il libro o meglio il suo autore, ci ha fatto da mezzano.
Quel giorno più non vi leggemmo avante…
Questa frase di Francesca ha dato luogo a diverse interpretazioni. Può significare che la lettura, interrotta dal bacio, sarebbe stata immediatamente e definitivamente troncata dall’irruzione del marito zoppo e quindi dal doppio omicidio.
L’altra interpretazione forse più plausibile, benché più piccante, è quella per cui da quel giorno, i due abbiano accantonano le perlustrazioni letterarie sul tema dell’amor cortese, per abbandonarsi alla passione.
Il canto finisce con Dante che sviene cadendo come corpo morto cade.
Eccovi dunque la recita integrale del canto V dell’Inferno.
Così discesi del cerchio primaio
giù nel secondo, che men loco cinghia
e tanto più dolor, che punge a guaio.
Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia.
Dico che quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata
vede qual loco d'inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giù volte.
«O tu che vieni al doloroso ospizio»,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto offizio,
«guarda com' entri e di cui tu ti fide;
non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!».
E 'l duca mio a lui: «Perché pur gride?
Non impedir lo suo fatale andare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare».
Or incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.
Io venni in loco d'ogne luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.
La bufera infernal, che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltando e percotendo li molesta.
Quando giungon davanti a la ruina,
quivi le strida, il compianto, il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.
Intesi ch'a così fatto tormento
enno dannati i peccator carnali,
che la ragion sommettono al talento.
E come li stornei ne portan l'ali
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.
E come i gru van cantando lor lai,
faccendo in aere di sé lunga riga,
così vid' io venir, traendo guai,
ombre portate da la detta briga;
per ch'i' dissi: «Maestro, chi son quelle
genti che l'aura nera sì gastiga?».
«La prima di color di cui novelle
tu vuo' saper», mi disse quelli allotta,
«fu imperadrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.
Ell' è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge.
L'altra è colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussurïosa.
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.
Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch'amor di nostra vita dipartille.
Poscia ch'io ebbi 'l mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
I' cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggieri».
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno».
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s'altri nol niega!».
Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere, dal voler portate;
cotali uscir de la schiera ov' è Dido,
a noi venendo per l'aere maligno,
sì forte fu l'affettüoso grido.
«O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
se fosse amico il re de l'universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso.
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace.
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove 'l Po discende
per aver pace co' seguaci sui.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte.
Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand' io intesi quell' anime offense,
china' il viso, e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?».
Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!».
Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?».
E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma s'a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fïate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disïato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».
Mentre che l'uno spirto questo disse,
l'altro piangëa; sì che di pietade
io venni men così com' io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
dic102010
Con una lettera raccomandata inviata in data 30 novembre 2010 che aveva come oggetto ” istanza di intervento tecnico per il controllo dei progetti denominati "Gamascia1- Società Fotowatio Italia Galatina S.r.l. " e "Galatina – Società SunRay Italy S.r.l." indirizzata al sindaco e per conoscenza all’assessore al ramo Carmine Spoti, ed inoltre a Maria Grazia Sederino Consigliere Comunale con delega all'Energia da fonti rinnovabili, il comitato ” I dialoghi di Noha ” a contestato la scelta di invadere il territorio con campi sterminati di silicio. Ma ecco il testo della missiva ” Gentilissimo Signor Sindaco e gentilissimi arch.tto Maria Grazia Sederino e avv. Carmine Spoti, con la presente, il Comitato "I dialoghi di Noha", con i suoi degni rappresentanti Marcello D'Acquarica, Antonio Mellone, che supportati da oltre 350 cittadini che ne hanno condiviso le battaglie, lottando contro le facili concessioni volte a distruggere centinaia di ettari di campagna ( come per esempio le ben 11 concessioni "furbescamente" attigue in Contrada Roncella ), si appellano alle Vostre Autorità affinché vengano autorizzati ed eseguiti in tempi brevi, da parte degli enti tecnici competenti, come già avvenuto per la concessione in area Duca, i controlli dei progetti in oggetto, come prescritto nelle norme di sicurezza delle Autorizzazioni Uniche pubblicate sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 90 del 20.05.2010 di SunRay S.r.l. e n. 148 del 23.09.2010 di Fotowatio S.r.l. Fra le condizioni poste sui Bollettini indicati, è spesso presente il diniego dell'uso del cemento (vedi per es. al punto 15 di pag. 14665 del B.U.R.P. n. 90), cosa che contrasta fortemente con la probabile costruzione di una mega centrale elettrica su piattaforma in cemento armato volturata dalle due società suddette in favore di TERNA – Rete Elettrica Nazionale S.p.A. Sono tante le potenziali incongruenze da verificarsi in corso d'opera.
A titolo esemplificativo si citano alcune: i possibili ritrovamenti archeologici; la corrispondenza ai dettami che riguardano il divieto dell'uso di prodotti chimici; l'autorizzazione allo scavo di pozzi per l'utilizzazione delle acque sotterranee; il controllo delle piantumazioni perimetrali; le distanze dal ciglio strada e dalle abitazioni; la recinzione, che deve essere realizzata lasciando ogni 10 metri varchi delle dimensioni di 40×40 cm, o in alternativa la rete deve essere posta ad un'altezza di 30 cm dal suolo, al fine di consentire il passaggio di animali selvatici; la costruzione delle piste provvisorie all'interno dell'area, che invece sembrano essere state fatte in modo definitivo; i termini di inizio, completamento e collaudi; le eventuali depressioni morfologiche soggette a fenomeni alluvionali; gli scavi dei cavi-dotti di attraversamento delle S.P. 41 e 47; l'autorizzazione per gli eventuali tagli di piante di origine naturale e non, e la salvaguardia dei muretti a secco presenti sul confine delle aree delle società interessate. In riferimento all'articolo 9 del Bollettino n. 90, che dice:
…il controllo e le verifiche sono demandate al Comune, la Regione Puglia Servizio Energia, Reti e Infrastrutture materiali per lo sviluppo si riserva ogni successivo ulteriore accertamento…, chiediamo, quindi, che siano monitorate, mediante l'Ufficio Tecnico e la vigilanza edilizia, le attività degli impianti relativi alle Autorizzazioni Uniche rilasciate alle Società SunRay Italy S.r.l. ed alla Società Fotowatio Italia Galatina S.r.l. “.
Pare che in risposta alla lettera proprio oggi a detta del consigliere comunale Pepe si svolgeranno i controlli, da parte delle autorità comunali preposte, calendarizzati e programmati per venerdì 10 dicembre. Vi terremo sicuramente informati sui risvolti e controlli e sopratutto sulle scelte finali dell’amministrazione comunale Coluccia riguardo l’impianti in questione, ricordando, come già l’attuale amministrazione si sia spesa in favore di questi progetti, in cambio di ammodernamenti e costruzioni di nuovi canili comunali, oppure la manuntenzione delle villette cittadine S. Francesco in centro e Giovanni Fedele nel rione Italia.
Raimondo Rodia
http://galatina.blogolandia.it/
ago232016
Camminiamo e osserviamo. Non abbiamo paraocchi come quelli che i nostri avi mettevano ai cavalli perché non dovevano essere distratti dai serpenti. Noi i serpenti vogliamo guardarli negli occhi. Non ne abbiamo paura perché siamo sicuri di avere ragione. E per fortuna non siamo soli. A camminare, passeggiare o correre siamo in tanti su viale Dalla Chiesa. Un nome che dovrebbe essere rispettato per il suo profondo significato di martirio e di patriottismo contro la mafia e invece è oltraggiato da tutti, pubblico e privati. Ce lo dobbiamo mettere bene nella testa che mafia non è solo la cosca organizzata che delinque, ma lo è chi inquina la terra, chi non paga le tasse, chi rompe la trozza, chi spacca i giochi dei giardini, chi sparge le deiezioni del suo cane sul suolo pubblico e non le raccoglie, chi è eletto a fare il sindaco o vicesindaco o semplice consigliere e non applica la legge. La mafia germoglia dove inizia la tua indifferenza. Non abbiamo la presunzione di voler insegnare a nessuno cosa voglia dire la parola civiltà, ce ne guardiamo bene. Ma siamo sicuri che molti nostri concittadini sono stufi di questo atteggiamento di menefreghismo che sta dilagando come un cancro nel malcostume generale. Che genera veleni e uccide la Madre Terra. Quindi abbiamo deciso che continueremo a ripulire la vostra e nostra Terra dalla merda che qualche indomabile imbecille privo di intelligenza, sporca senza ritegno. Lo abbiamo fatto altre volte nelle domeniche ecologiche dei dialoghi di Noha, lo abbiamo fatto anche oggi raccogliendo un migliaio circa di bottiglie lungo il tratto di strada della Masseria Colabaldi. Puliremo e sorveglieremo sperando che altri cittadini si uniscano al nostro pensiero e che Noha e dintorni tornino ad essere un posto dove non occorrano paraocchi che nascondano l'indecenza.
Il gruppo: FareAmbiente di Noha
nov032009
Venerdi 13 novembre 2009 alle ore 18.30 a Noha presso la sala convegni del Circolo Culturare Tre Torri avrà luogo il simposio dal titolo “FINANZIAMENTI E PROFESSIONALITA’ – Possibilità di sviluppo nel territorio”.
Al convegno, organizzato dal dott. Luca Luceri e dal presidente del circolo culturale Raffaele Lagna interverranno il sen. Rosario Giorgio Costa, presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Lecce, la dott.ssa Giorgia Corsano, dottore commercialista esperta in agevolazioni finanziarie. A seguire la rag. Loredana Tundo, direttrice provinciale patronato ACLI di Lecce, il dott. Vito Barbieri, responsabile ACLI Terra di Lecce, il dott. Luidi Tundo, esperto in finanziamenti locali, il dott. Giuseppe Mele, dottore commercialista e revisore contabile e la dott.ssa Alma Fanelli, dottore commercialista e revisore contabile.
Modera il dott. Antonio Mellone. L’iniziativa rientra nel sistema de “I dialoghi di Noha”. Tutta la popolazione è invitata a questo interessante meeting.
lug132013
“Viva soddisfazione”, dice il Sindaco alla seconda inaugurazione della ex-struttura delle vecchie scuole elementari di Noha.
“Occorrono tanti contenitori culturali” dice l’Assessore alla Cultura, pensando, forse, di far crescere il senso civico nelle persone. Certo un po’ di informazione sul significato di senso civico non guasterebbe, anche se la gente fa già del suo meglio per vivere dignitosamente. Da un certo punto di vista, le intenzioni dei nostri rappresentanti, potrebbero sembrare perfino una svolta per un insperato atteggiamento di fiducia, e lo sarebbe se non fosse che, per esempio, nel caso delle vecchie scuole elementari appena re-inaugurate come Centro Polifunzionale, si è realizzata un’opera da “tre soldi" ad alta risonanza sì, ma in un contesto privo di ogni elementare servizio collaterale. Un po’ come dire, abbiamo il volante in radica, ma lo usiamo per guidare uno sciarabà.
La faccenda è talmente seria che viene spontaneo chiedersi se prima di spendere un milione e trecentomila euro per un’opera, fra l’altro incompiuta, non sarebbe stato necessario dare al paese un minimo di decoro, del tipo: piste ciclabili, aree verdi attrezzate seriamente, marciapiedi meritevoli di tale definizione, una piazza degna della sua funzione, un area per il parcheggio di potenziali ospiti, di un centro (se pur modesto) chiuso al traffico, protetto cioè dall’invasione di veicoli a motore che sono sinonimo di fetore e rumore. Insomma di ciò che un paese cosiddetto civile ha bisogno. Questo è l’atteso “atteggiamento di fiducia” dei cittadini nohani.
Ma perché spendere dei soldi per fare delle piste ciclabili, visto che la sicurezza a casa nostra è improntata solamente nel costruire pseudo tangenziali intramoenia, aree mercatali e centri commerciali fuori dall’abitato, giusto appunto per motivare spostamenti in massa di autoveicoli. Dietro questi slogan da piazzisti sfegatati e di buonismo impeccabile si nasconde, sovente, un disinteresse puro per il bene comune e bramosia per il proprio. La storia, specialmente locale, insegna.
Cresce sempre di più la moda dell’annunciare, e ora anche del denunciare, cori osannanti a moralità auree e contraddizioni altrui, di sinistra o di destra. Di negligenze degli imprenditori che dovrebbero impegnarsi nel cambiamento, dei lavoratori che devono rinunciare ai diritti acquisiti, dei giovani che sono troppo selettivi e mammoni e degli anziani che invece di costare meno esigono di più ricorrendo a cure sanitarie che il pubblico non riesce più a offrire. Di disattenzione dei cittadini alla cosa pubblica e di veri valori. Come se ci potessero essere valori falsi, un valore è un valore. Punto.
Falso è invece il perbenismo di facciata, le prediche vuote di concretezza, di pensieri a cui non seguono azioni. Falsi sono gli slogan da campagna elettorale, o i monologhi alla ricerca di carrierismo o di banale notorietà.
Non servono più nemmeno i dialoghi, compresi i dialoghi di Noha, tanto che avvengono fra sordi. Fra persone, cioè, che pur avendo un ottimo udito, non sentono perché non riescono a togliersi l’appanno che gli intorbidisce i 4 neuroni rimasti vuoti.
Allora ci chiediamo a che servono i decantati “contenitori culturali” sognati dal nostro Assessore alla Cultura, se l’immagine di Noha, giusto per partire dalla periferia di Galatina, è da qualche tempo quella di un dormitorio, semmai di un centro di attraversamento, nonostante il consumo del territorio perpetrato a danno della campagna circostante, con infinite strade, mega rotonde e superstrade. A proposito di danni, abbiamo seppellito ettari di terra fertile sotto il catrame.
A cosa serve la cultura se parlando per esempio di raccolta dei rifiuti, nessuno dice che sarebbe bene smettere di produrli, i rifiuti, se nessuno ci racconta (con un contenitore culturale, per esempio) dove e come vengono fatti scomparire, o quale sarebbe invece il circuito migliore per ridurre inquinamento e costi. Invece il “leitmotiv” (motivo conduttore) della stampa locale e di buona parte della politica, è l’aumento delle bollette e voler convertire la Colacem in inceneritore. A che serve la cultura se annoveriamo virtù da buona condotta ogni giorno del calendario, come per esempio la storia del “pedibus” in cui si chiede agli studenti di recarsi a scuola a piedi, se il giorno dopo assaliamo gli ingressi con auto sempre più grandi, se camminando a piedi rischiamo di essere travolti da automobilisti insensati e se la bicicletta è di fatto un mezzo di trasporto pericoloso, per i ciclisti ovviamente. A cosa servono presentazioni di libri, elargizioni di glorie e onori se poi per far giocare i nostri bambini dobbiamo portarli nei parchi-gioco dei paesi limitrofi.
A che cosa serve fare indigestione teorica di cultura se viviamo in centri abitati dove non regna né decoro né senso civico, ma soltanto l’idea che basta parlare, senza fare. Riempiamoli pure i contenitori culturali, ma per favore, caro sindaco Montagna e cara Assessore Vantaggiato, siamo stanchi dell'ipocrisia.
dic082024
Non c’è mai un’ultima volta per chi come noi ama condividere le idee, qualsiasi esse siano, purché riguardino il bene e la ricerca del giusto. È bastato incontrarsi un po’ di volte, e senza il bisogno di tante parole, bastava uno sguardo, e l’idea, il pensiero, la lotta, il sogno, tutto prendeva una sola piega.
Continueremo così, incontrandoci per le vie di Noha, e per quelle delle campagne, quanto meno le tue che hai coltivato con amore, come si fa con la vita. Senza fare rumore, per continuare all’infinito quello che è stato, e che sarà.
Tante sono state le nostre presenze collegate fra loro dal tempo, almeno quel poco o tanto, tant’è relativo, che mi ha visto qui in questo nostro paese, e per citarne alcune fra le ultime condivise ma non meno importanti, gli incontri nella piazza di Noha, davanti al Bar Settebello, nell’estate del 2010 per l’inizio di quel calvario che sta diventando sempre più grave, che ci vide insieme nella lotta contro il fotovoltaico selvaggio, quello che aggredisce la terra in modo irreversibile e senza tener conto della giusta misura.
E poi ancora, l’incontro del 2013 con “I dialoghi di Noha”, un gruppo di amici e concittadini che io stesso in quel momento mi onoravo di rappresentare, nel tuo negozio di alimentari per la consegna del titolo onorario di socio della nostra associazione.
E non per ultimo, nel 2015, durante la festa di chiusura dell’anno scolastico presso il Polivalente di Noha con tantissima comunità, a parlare di rispetto per il prossimo, di impegno nel fare ognuno il proprio dovere, per rendere migliore questo mondo in civiltà.
Grazie Michele per tutto quanto è stato possibile fare.
Marcello D'Acquarica
giu112015
Le Associazioni Organizzatrici
Noha, 13 giugno 1988: alcuni flash della benedizione della Cappella del Santo di Padova da parte dell'allora Vescovo di Nardò - Gallipoli, mons. Aldo Garzia (1927 - 1994)
gen072011
Di nuovo i dialoghi di Noha, ancora una volta ci si ritrova tutti insieme a discutere e confrontarsi su temi di grande attualità; cosa che accade, ahimè, sempre più di rado.
È il 2 gennaio e nella stupenda sala settecentesca adiacente al Bar Settebello, da poco ristrutturata e valorizzata in ogni suo dettaglio architettonico, è data l’opportunità, a chiunque ne abbia voglia, di partecipare ad un incontro-dibattito che intende analizzare, sotto l’attenta lente del cittadino, niente meno che l’Unità d’Italia, proprio nell’anno della ricorrenza del 150° anniversario. Ma nell’accogliente sala riecheggia anche un’altra data, oltre a quella famosa, il 1861: qualcuno infatti parla di bicentenario, di 1811, di unità del feudo di Noha con quello di Galatina, di appropriazione non autorizzata di un territorio di 1000 anime, ovviamente con annessi culturali, storici e architettonici.
Due date quindi, quella del 1811 e del 1861, che dovrebbero sancire un’unità politica e culturale, ma che in realtà dimostrano essere due sipari dietro ai quali si nascondono gli interessi di alcuni, a discapito dei molti. Attenzione, qui si raccontano i fatti, questa è storia, e dovrebbe far da maestra, come sostiene Cicerone. Ecco, quindi, che per l’occasione, di fronte a un attento e partecipe uditorio, si susseguono gli interventi di Antonio Mellone, Marcello D’Acquarica e del prof. Egidio Zacheo, scrittore, giornalista e docente di Politica Comparata e Storia delle Istituzioni presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università del Salento.
Ognuno dice la propria liberamente, sentendosi tutelato in ciò dalla Costituzione Italiana (che non poteva non essere ricordata con la lettura di alcuni suoi articoli), senza ergersi a detentore di chissà quale verità, senza imporre alcunché, arricchendo il discorso con eventi e date storiche, dandogli valore con citazioni e riferimenti bibliografici, riportando documenti e video. Un contributo enorme al dibattito è offerto dal prof. Zacheo, che ha ricordato quanto sia importante continuare a perseguire, senza mai stancarsi, quell’unità politica che è sempre venuta meno in Italia, e allo stesso tempo ha invitato i cittadini a essere attivi, a dare un seguito nel loro piccolo all’unità culturale dell’Italia, che ha anticipato di secoli quella politica, a valorizzare la res pubblica e abbattere i muri dell’egoismo, che siamo abituati a costruirci intorno.
Un approfondimento culturale indispensabile è offerto anche da un video, preparato da Marcello D’Acquarica e disponibile sul sito noha.it, che oltre a fare da introduzione all’incontro, ha cercato anche di trovare alcuni termini di paragone tra la situazione nazionale e quella locale.
La serata si è conclusa con un elenco di motivi per cui valga la pena restare oppure andar via da questo paese. Non abbiamo ancora preso una decisione, intanto però ci uniamo di buon grado al motto finale: “siamo qui con voi, perché l’unione fa la forza”.
ago272015
Continuando nelle note a margine della bella recente enciclica di papa Francesco, intitolata “Laudato sì”, che, come detto altrove, in molti non toccheranno nemmeno con una canna (l’enciclica, s’intende, mica le nostre considerazioni: figurarsi), riprendiamo di buona lena con questo brano molto significativo: “La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata […] Su ogni proprietà privata grava sempre un’ipoteca sociale” (tratto dal punto 93, pag. 80 - 81, “Laudato sì’” di papa Francesco, Ancora, Milano, 2015). E su questo ormai non ci piove più: ne abbiamo già parlato nella terza parte di questa recensione, invero un po’ lunga, che, viste alcune reazioni piccate, sembra stia dando l’orticaria a qualche cosiddetto politico e a qualche cosiddetto giornalista.
Ancora: “La cultura ecologica dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico […] La liberazione dal paradigma tecnocratico imperante avviene di fatto in alcune occasioni. Per esempio, quando comunità di piccoli produttori optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo un modello di vita, di felicità e di convivialità non consumistico.” (punto 111, pag. 96 – 97, ibidem, la sottolineatura è nostra). Ma come ci piace ‘sto papa. Siamo convinti che anche su codesta cultura ecologica per cambiare, appunto, il volto di una comunità basterebbe che i parroci pro-loco e pro-tempore facessero proprie le parole del capo della loro chiesa, e non facessero orecchio da mercante (ovvero, in certi casi, i mercanti nel tempio) di fronte a certe istanze non più oltre differibili. Basterebbe davvero poco.
“In molte zone si constata una concentrazione di terre produttive nelle mani di pochi, dovuta alla progressiva scomparsa dei piccoli produttori, che, in conseguenza della perdita delle terre coltivate, si sono visti obbligati a ritirarsi dalla produzione diretta. I più fragili tra questi diventano lavoratori precari e molti salariati agricoli finiscono per migrare in miserabili insediamenti urbani. L’estendersi di queste coltivazioni [transgeniche, ndr.] distrugge la complessa trama di ecosistemi, diminuisce la diversità nella produzione e colpisce il presente o il futuro delle economie regionali. In diversi paesi si riscontra una tendenza allo sviluppo di oligopoli nella produzione di sementi e di altri prodotti necessari per la coltivazione, e la dipendenza aggrava se si considera la produzione di semi sterili, che finirebbe per obbligare i contadini a comprarne dalle imprese produttrici. (punto 134, pag. 114 -115, ibidem). Forse il papa si riferisce alla multinazionale Monsanto, che di santo ha solo il nome.
Per favore, leggete anche questo pezzo: “C’è bisogno di un’attenzione costante, che porti a considerare tutti gli aspetti etici implicati. A tal fine occorre assicurare un dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e ampio, in grado di considerare tutta l’informazione disponibile e di chiamare le cose con il loro nome. A volte non si mette sul tavolo l’informazione completa, ma la si seleziona secondo i propri interessi, siano essi politici, economici o ideologici. […] E’ necessario disporre di luoghi di dibattito in cui tutti quelli che in qualche modo si potrebbero vedere direttamente o indirettamente coinvolti (agricoltori, consumatori, autorità, scienziati, produttori di sementi, popolazioni vicine ai campi trattati e altri) possano esporre le loro problematiche o accedere ad un’informazione estesa e affidabile per adottare decisioni orientate al bene comune presente e futuro. (punto 135, pag. 115, ibidem, la sottolineatura è nostra).
Come non essere d’accordo? Nel nostro piccolo abbiamo avuto modo di parlare anche di questo, denunciato quasi in solitudine, scritto articoli, stampato volantini, partecipato a manifestazioni, e, con “I dialoghi di Noha”, organizzato convegni, e raccolto firme, fatto controinformazione. Invero con diversi sognatori ma con pochissimi “fedeli” al seguito (alcuni pragmaticamente in tutt’altre faccende affaccendati).
Sarebbe bello, invece, avere a che fare con tanti sognatori resistenti piuttosto che con tanti, troppi resistenti al sogno. Ma siamo fiduciosi nel cambiamento, tanto che nutriamo la certezza del fatto che “un giorno questa terra sarà bellissima”. Ah dimenticavamo: i veri sognatori dormono poco o niente
“Insieme al patrimonio naturale, vi è un patrimonio storico, artistico e culturale, ugualmente minacciato. E’ parte dell’identità comune di un luogo e base per costruire una città abitabile. […] Bisogna integrare la storia, la cultura e l’architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l’identità originale. Perciò l’ecologia richiede anche la cura delle ricchezze culturali dell’umanità nel loro significato più ampio. (punto 143, pag. 122, ibidem). Toh, guarda. E noi, con i nostri libri e con i nostri articoli, con le nostre battaglie di sensibilizzazione sul tema dei beni culturali, che pensavamo di essere affetti dal peccato mortale dell’archeologismo: quando si dice “corsi e ricorsi e storici”.
“Nelle città circolano molte automobili utilizzate da una o due persone, per cui il traffico diventa intenso, si alza il livello di inquinamento, si consumano enormi quantità di energia non rinnovabile e diventa necessaria la costruzione di più strade e parcheggi, che danneggiano il tessuto urbano. (tratto dal punto 153, pag. 129, ibidem). Pare scritto per Galatina (o per Noha), dove si vogliono costruire ancora parcheggi e circonvallazioni, e, ove fosse stato possibile, un po’ di rotonde in contrada Cascioni prima di inaugurare un bel Mega-porco commerciale.
Quanto a Noha, ne scrivemmo su questi stessi schermi. Si trattò dell’ennesimo articolo passato sottogamba, o appunto messo sotto i piedi, non preso in considerazione nemmeno di striscio (cfr. il nostro Piedibus, del 30/5/2012, pubblicato su questo stesso sito). Secondo voi, ora, i devoti di Noha daranno retta almeno un pochino al papa di Roma e lasceranno finalmente in garage la loro auto o continueranno nelle loro abitudini in saecula saeculorum? Mistero annoso.
Nell’attesa che si compia la beata speranza, temiamo che, per indole e formazione, faranno finta di non aver sentito, e, come al solito, nelle feste comandate, riempiranno di lamiere su quattro ruote tutte le strade perimetrali dei luoghi di culto, trasformando i centri parrocchiali in novelli centri commerciali. In tutti i sensi. E così sia.
Antonio Mellone
ott242010
ott232010
Convegno Energia a perdere.
Basta con la ¡°corsa all¡¯oro¡± delle energie rinnovabili incompatibili con l¡¯ambiente, il paesaggio e il patrimonio storico-culturale del Salento
Melpignano, 23 ottobre 2010
ore 9.00 ¨C 19.00
Mediateca Comunale 'Peppino Impastato'
Con il patrocinio del comune di Melpignano
Con il patrocinio del Consiglio degli Studenti dell'Universit¨¤ del Salento
Mattina: ore 9.00 ¨C 12.30
Saluti
Interventi di:
moderano: Elisabetta Zamparutti ¨C Sergio D'Elia
Rinfresco ¨C ore 12.30
Pomeriggio ¨C ore 14.00 ¨C 19.00
Interventi di:
moderano: Antonio Bonatesta, Giuseppe Napoli, Angela Curcio
In occasione del Convegno, il Coordinamento Civico per la Tutela del Territorio e della Salute dei Cittadini consegner¨¤ a Vittorio Sgarbi il ¡°PREMIO PER L¡¯IMPEGNO CIVICO 2010¡å per l¡¯azione profusa contro la devastazione del territorio della Sicilia occidentale da parte dell¡¯installazione selvaggia di pale eoliche, rischio che attualmente corre il Salento con la desertificazione eolico-fotovoltaica.
mag202016
Ricordo benissimo quell’attimo. Un’emozione indescrivibile, una fra le più belle della mia vita (e sì che ce ne sono state parecchie, grazie al cielo). E fu quello in cui la lama del taglierino fendeva il nastro adesivo col quale era sigillata la scatola di cartone contenente i libri. I miei libri.
*
Potevano essere le nove di una splendida mattinata di metà maggio. Erano appena arrivati da Milano i due ragazzi che per tutta la notte si erano alternati alla guida del furgone carico di non so più quanti scatoloni di pezzi di storia, arte e leggenda del mio paese. Si trattava di decine, che dico, centinaia di volumi di pagine rilegate e racchiuse con copertina in tela rosso fuoco, e sistemati in numero di dieci per ogni pacco.
Non so come, in pochi minuti arrivò anche il muletto di un compaesano per scaricare dal cassone dell’automezzo tutti quei colli (a Noha funziona così, non c’è manco il bisogno di chiedere le cose). Se avessimo dovuto usare mani e braccia, oltre alla fatica, avremmo impiegato tutta la mattinata, e forse anche un pezzo del pomeriggio.
Erano due estranei, quei corrieri, ma per la contentezza li invitai a pranzo a casa mia. E non volli sentir ragioni. Mangiarono con gusto le specialità salentine preparate da mia madre, e subito dopo il convivio, prima del loro rientro nella città meneghina, decisi di far loro il regalo del panorama, o meglio, dello spettacolo del nostro litorale.
Li accompagnai a Santa Maria al Bagno, offrii loro un affogato al caffè, mentre il mare ai nostri piedi sembrava il contenuto di uno scrigno immenso di zaffiri e smeraldi. Ho avuto sempre il dubbio che quella più che una gentilezza fosse uno sgarbo, anzi un dispetto (non voluto, per carità) nei loro confronti, costretti a ritornare di lì a poco sui loro passi, diretti alla volta del loro porto d’imbarco, quello delle nebbie.
Sembra ieri, ma son passati dieci anni esatti da allora. Il libro che mi si materializzò fra le mani, espulso da quell’utero a forma di scatola di cartone, era proprio come l’avevo immaginato io, voluto, desiderato. Quel formato, quelle pagine, i colori, l’immagine della sovra-copertina, le scritte, le fotografie, i caratteri, le didascalie, perfino il profumo: tutto come sognato, progettato, predisposto.
E sì che non è stato per niente facile raggiungere questo risultato.
Certo, non ero alla mia prima esperienza quanto alla redazione di libri. Oltre a quello della mia tesi di laurea (il classico mattone dal titolo interminabile), nel 2003 avevo consegnato alle stampe un altro dei delicta iuventutis meae, il “Don Paolo” (frutto di una ricerca tra le carte, le foto e le cronache del tempo sul conto di un mio prozio arciprete e monsignore, scomparso un lustro prima del mio arrivo).
Ma questo terzo mio libro era tutt’altra cosa. Intanto era opera di due autori: il sottoscritto (che ne è stato anche il curatore) e quel grand’uomo, maestro e amico che risponde al nome di P. Francesco D’Acquarica, storico, ricercatore, scrittore, nonché - come il sottoscritto - affetto da un’incurabile mal d’amore per Noha. E si sa che un’opera a due mani costa sempre il doppio, non la metà della fatica.
*
Guardate che scrivere un libro è la cosa più semplice di questo mondo: il difficile è ciò che viene dopo. Nella stragrande maggioranza delle volte quel “difficile” diventa “impossibile”. Non fu così nel mio caso. Sulla mia strada incontrai dei facilitatori incredibili. Il primo fu quell’esaurito di mio cugino Matteo (è questione di geni), il quale m’introdusse al cospetto di un altro pazzo scatenato: Michele Tarantino, nohano trapiantato a Milano.
Il colloquio con Michele, nel corso dell’estate 2005, fu, come dire, surreale. Ancora oggi stento a crederci. Gli parlai del libro per sommi capi. Mi disse soltanto di sbrigarmi a finire l’opera. Lui avrebbe pensato a tutto il resto. “E’ così – mi venne di pensare - che la dimensione onirica delle cose diventa realtà concreta”.
C’è chi dice che Michele se ne sia andato nel mese di febbraio del 2012. Io non ci credo. Non può essere. Michele è ancora qui con noi. Sarà in giro da qualche parte, quel mattacchione. No, non gli permetterò mai di sparire dalla circolazione.
*
Dalla data di quel colloquio, il film da slow passò in fast motion.
Sbrigati a scrivere e a collegare il tutto, fai riprodurre le foto da quei santi martiri che sono Daniele, Michele e Rinaldo Pignatelli, chiedi una mano a Giuseppe Rizzo per le foto dall’alto (scattate poi da un Tucano, aereo ultraleggero levatosi in volo grazie ad Antonio Salamina. Sì, un tempo non c’erano i droni o le diavolerie di google), chiedi uno stradario di Noha al geometra Michele Maiorano, fai leggere le bozze al (compianto) prof. Zeffirino Rizzelli (che poi ne scrisse pure la prefazione), sentiti più volte con la stupenda Gabriella Zanobini Ravazzolo di Genova per l’impaginazione, ricevi e inviale per ogni paragrafo le relative pesantissime e lentissime mail, senza Adsl e con un pc del ciclo carolingio e bretone costantemente impallato), vai e vieni da Milano dall’Istituto Grafico Basile, dove il tomo doveva prender forma…
E firma finalmente il menabò per l’imprimatur.
*
Dopo l’arrivo del mio libro portatomi in dono dai due re magi di cui all’inizio di questo pezzo, trascorre giusto il tempo di una settimana, non di più, per la sua presentazione. Che a detta di molti fu un vero show, grazie al talent dei diversi ospiti-artisti intervenuti in quella sala convegni dell’Oratorio, gremita come non mai.
Per la cronaca, alla “prima”, furono venduti 115 volumi. Un record assoluto. Anche d’incassi, considerato oltretutto il costo non proprio popolare del tomo.
Ne seguirono delle altre, di presentazioni, dico: alla Festa dei Lettori nell’atrio del Castello di Noha riaperto per l’occasione, all’Università Popolare di Galatina, e poi presso le scuole, e addirittura al centro Polivalente-senza-cabina-elettrica.
*
Oggi, a distanza di dieci anni, posso dire che lo rifarei. Rifarei tutto. Dalla A alla Zeta. Dove c’è gusto c’è sempre guadagno. E poi credo che in fondo, e nonostante tutto, Noha, la sua storia, la sua arte e le sue leggende meritino questo e molto altro ancora.
Potrei parlarvi ora del sito dell’Albino (Noha.it), del nostro mensile (L’Osservatore Nohano), dei convegni (I dialoghi di Noha), eccetera. Ma ora conviene che mi fermi qua.
Solo su questo tema e per queste note, s’intende. Rischierei seriamente di scriverne un altro libro. Il mio sesto.
Antonio Mellone
set222011
Quando parliamo di “bene comune” e ci proponiamo di fare qualcosa affinché lo scopo venga raggiunto non dovremmo preoccuparci di appropriarci di meriti di alcun tipo, tantomeno se non ci competono. Non dovremmo annunciare il “nostro fare”, che fra l’altro scopriamo poi essere fatica espressa e documentata da altri, per essere le primedonne. Noi del “L’Osservatore Nohano” spesso ci siamo sorbiti prediche e contraddittori per il semplice fatto di aver difeso coerentemente i nostri principi sacrosanti di salvaguardia del bene comune, sia che si tratti di terreni da difendere dalle speculazioni più disparate sia che si tratti di beni architettonici che storicamente appartengono ai nohani. E’ doveroso ricordare, per escludere eventuali dubbi, che quando si è trattato di informare i cittadini di Noha della iniqua ripartizione dell’area agricola da adibire a terreno per il fotovoltaico, la notizia è emersa soltanto grazie ad almeno due dialoghi di Noha a cui hanno partecipato tanti cittadini. Ovviamente non vogliamo avere la prerogativa di aver fatto qualcosa per il bene comune (molti lo hanno fatto prima di noi), tanto i fatti, i documenti ed i libri lo testimoniano, ma siamo felici che finalmente, per la seconda volta a Noha, dopo l’evento del Natale alla Masseria Colabaldi, che ci auguriamo continui alla grande, sia emerso un nuovo gruppo di volenterosi cittadini nohani, che hanno scoperto (parole precise di Giampiero De Ronzi, Mimì) la propria responsabilità nei confronti di tali beni. Cogliamo l’occasione per abbracciare la causa profusa mediante web che riguarda l’attenzione posta alla nostra antichissima e storica torre. Grazie all’energica forza passionale del Gruppo Mimì, noi oggi finalmente possiamo ammirare in tutta la sua storicità la struttura residua dell’antichissimo castello di Noha, documentato in molti testi storici. Saremo orgogliosi di partecipare anche alla visita guidata organizzata dal Gruppo Mimì e diffusa sia su web che sul programma della Festa di San Michele. Ci auguriamo che siano tantissimi i cittadini di Noha che insieme a Giampiero, scoprano la propria responsabilità sulla rivalutazione di beni culturali di grande rilevanza come: le casiceddhre, la masseria Colabaldi, il frantoio ipogeo, la casa baronale, la casa rossa, la trozza, la torre dell’orologio, la Chiesa di San Michele, il calvario, e tutti gli altri, che sono tantissimi, descritti nel catalogo dei Beni Culturali di Noha, che oltre tutto è anche fruibile dal sito Noha.it.
Marcello D’Acquarica
Antonio Mellone
Martina Chittani
P. Francesco D’Acquarica
Michele Stursi
Paola Rizzo
Antonella Marrocco
Albino Campa
Fabrizio Vincenti.