Di Antonio Mellone (del 27/05/2025 @ 13:28:04, in NohaBlog, linkato 346 volte)

Qualche nohano, libero per un attimo dal tradizionale paraocchi, si sarà accorto che da qualche tempo a questa parte sono in corso dei lavori (ormai non si sa più bene se pubblici o privati) per le strade della cittadina.

Pare che si stiano stendendo dei fili - mo’ non chiedetemi se per la fibra ottica o per il 5G (o per il punto G) – che insomma secondo il pensiero comune ci renderanno la vita più facile. Solo che non saprei dire se la ditta incaricata stia seguendo un capitolato, come dire, un po’ abborracciato o se sia invece l’applicazione delle norme (soprattutto di buona creanza) a essere, diciamo così, un tantino elastica.

Ebbene sì, come nella fiaba di Pollicino del Perrault, le maestranze stanno lasciando sul loro sentiero - anche stavolta evidentemente per segnarne il passaggio - non qualche sassolino o delle molliche di pane bensì un bel po’ di fascette di plastica nera, clips di nylon, pezzi di filo tranciato di netto e altra robetta che a essere ottimisti potrebbe impiegare dai 100 ai 1000 anni per degradarsi in natura. Qualcuno, chissà, sta ancora sperando in un bell’acquazzone primaverile in grado di sciacquare lo stradario comunale: purtroppo per lui (e per noi) nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto va a finire nelle vore di Noha. 

 
Di P. Francesco D’Acquarica (del 27/05/2025 @ 08:22:03, in NohaBlog, linkato 585 volte)

Non è che io abbia avuto l’onore di frequentare quell’opera monumentale dell’asilo di Noha. Sono nato molti anni prima. Anzi nei miei primi anni di vita ho frequentato quello che a quei tempi si diceva “la mescia”; e la mia mescia si chiamava Culumbrina.

Ma il grande arciprete dei miei tempi, don Paolo Tundo, “grande” per la sua vocione potente, ma anche per la statura fisica, morale e politica (durante il periodo fascista era il podestà di Noha, oggi si direbbe il Sindaco, anche se era solo il delegato del Podestà di Galatina: carica religiosa e politica dunque), era giustamente convinto dell’importanza dell’educazione morale dei suoi parrocchiani, anche quando erano ancora in tenera età.

Verso il 1939 fece arrivare una comunità di Suore, le “Oblate di S. Antonio di Padova”, perché si occupassero dell'Asilo Infantile, del doposcuola e all'insegnamento del catechismo e dell’arte del ricamo.

Io feci in tempo a frequentare quella scuola materna solo per l’anno scolastico 1940/41 per due motivi: il primo perché nel mese di ottobre 1941 cominciavo la scuola elementare; il secondo perché le Suore molto presto se ne andarono via da Noha.

Eh sì! Una notte i ladri violarono l'abitazione delle Suore, situata all’inizio di Via Cadorna, per derubarle. Le Suore, nonostante l’offerta di Lire 100 (siamo nel 1941) della Confraternita della Madonna delle Grazie, tremendamente spaventate da quella vicenda, decisero di abbandonare definitivamente il nostro paese.

Per questo motivo alcuni anni più tardi (nel 1955, appunto 70 anni fa), l’Arciprete, che tanto ci teneva all’educazione dei bambini("il domani del paese" - diceva) volle assolutamente che il suo popolo avesse la garanzia di un futuro migliore, preparando i bambini con la prima alfabetizzazione e socializzazione. Tra infinite difficoltà, spendendo i suoi risparmi e bussando alle porte di “chi poteva” riuscì a costruire su un terreno di sua proprietà l’opera monumentale che donò alla Congregazione “Discepole di Gesù Eucaristico” con l’impegno che questa Istituzione restasse per sempre a Noha.

La convenzione tra don Paolo e le Suore “Discepole di Gesù Eucaristico” fu firmata il 29 settembre 1957. Dal 1955 al 1957 l’asilo di Noha fu gestito da alcune donne volontarie.

Erano gli anni della mia formazione nel seminario missionario in provincia di Vercelli; ma quando tornavo a Noha per le vacanze in famiglia, don Paolo chiedeva la mia collaborazione (frequentavo ormai il liceo classico) per preparare le lettere che lui inviava a quelle persone (anche all’estero) che avrebbero potuto aiutarlo per completare la costruzione della scuola materna.

Io ho potuto godere dell’ospitalità e dell’amicizia delle Suore Discepole di Gesù Eucaristico quando già ero lanciato nel mondo per vivere la mia vocazione missionaria.

La prima volta fu in occasione della festa per la celebrazione della mia prima Messa a Noha: 64 anni fa.

3 aprile 1961: fu un giorno di grande emozioni per me, e sono convinto anche per don Paolo. Chiesa parrocchiale gremitissima: concelebranti il mio arciprete don Paolo e poi don Donato Mellone, don Gerardo Rizzo, il Padre Predicatore quaresimale di quell'anno, e poi tanti fedeli, oltre ai miei parenti. Mi onorarono della loro presenza  anche l’on. Beniamino De Maria e il Prof. Donato Moro. Dopo la celebrazione in chiesa fummo ospiti nella scuola materna di Noha per il ricevimento e per il pranzo.

 
Di Antonio Mellone (del 22/05/2025 @ 08:46:03, in NohaBlog, linkato 1363 volte)

Ora si chiama “Scuola dell’infanzia”, prima ancora “Scuola materna”, ai miei tempi (anni ‘70/’80 del secolo scorso) semplicemente “Asilo” - e in siffatto modo continuerò ad appellarlo in queste righe.

Insomma poco tempo fa insieme ad Albino (lo facciamo periodicamente immortalando scorci, personaggi o momenti significativi del nostro paesello) pubblicammo quale immagine di copertina di Nohaweb l’ingresso principale dell’Asilo di Noha, quello di via Carso numero 34. Iniziarono immediatamente a fioccare i “mi piace”, e contemporaneamente i commenti di alcuni internauti. E così Maurizio: “Quanti bei ricordi”, Nunzia: “La nostra infanzia, la nostra fanciullezza”, Claudia: “Le recite”, Patrizia (evidentemente un’insegnante del tempo che fu): “Che bei ricordi, preparare tutti quei bimbi per una meravigliosa festa. Sono stati il mio orgoglio. Sono passati 30 anni”, Francesco: “Sono trascorsi cinquant’anni da quando ci andavo”, Stefania: “Cresciuta dalle suore, suor Serafina e suor Giovina”, Fernando: “Per me sono passati 60 anni”, Gianna: “Scuola dell’infanzia e Azione Cattolica”, Carmine: “50 anni fa. Quante ne ho combinate insieme ai miei coetanei, con suor Ginesia la superiora, e la piccola suor Evangelina che ci preparava la mensa”, Simona: “Passati 37 anni, suor Felicina e maestra Maria Rosaria”, Sofia: “Sono passati 22 anni, caro ricordo della mia infanzia con suor Lucia, suor Pierangela, suor Croficissa, maestra Bernardetta”, Rossana: “Scuola Materna e poi Catechismo […] però che ricordi belli”. Tra gli emoticon non si contano i cuori di ogni dimensione: in effetti l’etimologia del vocabolo “ricordo” è proprio cor cordis, vale a dire cuore, ritenuto dagli antichi anche la sede della memoria.

Sono certo che se si interpellassero le ormai migliaia di “studenti” passati dall’Asilo nohano, tutti (tranne la solita eccezione che dunque conferma la regola) avrebbero qualcosa da raccontare, foto da postare, innocenti segreti da confessare, e sarebbero concordi nel considerare il periodo delle prime “alfabetizzazione e socializzazione” vissuto in quegli ambienti sani e genuini come il più sereno di tutta la propria vita, privo di drammi e ansie, ricco di profumi e sapori, fecondo di prove individuali e collettive, dalla scrittura al canto, dalla recitazione al disegno, dal gioco di squadra all’abilità manuale (chi non ricorda la plastilina o l’argilla che poi divenne il Das con cui scolpivamo pezzi d’“arte contemporanea” che non sfigurerebbero al Maxxi).

La permanenza in quella scuola che in tanti considerano idilliaca, a tratti fiabesca, al presente viepiù onirica, era arricchita dal carisma delle suore “Discepole di Gesù Eucaristico”, pedagogiste notoriamente tra le più preparate, a volte con specializzazione nei campi più svariati, dalle lettere alla musica, dalla matematica alla teologia, e anche nelle lingue straniere (ultimamente provenendo dai cinque continenti son quasi tutte poliglotte), nonché dalla professionalità dei precettori laici che da qualche decennio le affiancano.  

D’altronde, checché se ne possa dire, la scuola più importante per la formazione di una persona non è affatto l’università (o il dottorato di ricerca o il master post-laurea o il corso di perfezionamento), ma appunto l’Asilo infantile: istituzione che accoglie fanciulli dai tre ai sei anni, età molto delicata (ma quale in fondo non lo è) della crescita.

A Noha abbiamo dunque codesto Asilo da 70 anni suonati proprio nel corso di quest’anno giubilare 2025: ci aveva pensato monsignor Paolo Tundo, arciprete dal 1933 al 1962 [mio prozio, fratello di nonna Maria Scala, ndr.] a costruirlo su un suolo di sua proprietà, affrontando mille difficoltà, spendendo i suoi risparmi, e bussando alle porte di “chi poteva”, più che a quelle dei suoi poveri concittadini che comunque non lo lasciarono mai solo. Il risultato fu ed è ancor oggi un’opera monumentale, dotata di aule scolastiche, servizi, cappella, teatro, uffici, sala mensa, appartamenti per le suore al primo piano, ampie terrazze panoramiche, e un bel giardino che dà su via Vittorio Veneto, ingresso dal civico 29.

Quell’Asilo ha sfornato ometti (nel senso di bambini giudiziosi, di ambo i sessi) che hanno successivamente intrapreso le carriere più disparate: dal contadino al professore universitario, dal medico all’artigiano, dal sacerdote (o dalla monaca) all’imprenditore, dal musicista al militare, dal manager al libero professionista, dall’ingegnere allo scienziato, dallo stilista all’operaio, dal filosofo all’impiegato…

E giacché pure quell’inqualificabile scavezzacollo che risponde al nome del sottoscritto.

Antonio Mellone

 
Di Raimondo Rodia (del 21/05/2025 @ 08:54:57, in NohaBlog, linkato 1526 volte)
Una volta vi era una villetta liberty a Galatina, nata durante il ventennio fascista con tante palme, un gelso secolare, un orto, un giardino con le rose che fiorivano anche in inverno ed un giardino retrostante con gli agrumi con i colori e gli odori fragranti delle zagare. 
I muri alti preservavano questo paradiso dagli occhi. Un giorno la speculazione decise di tagliare il viale di accesso, decidendo di far soffrire il secolare gelso costruendo una strada e soffocando le radici, costringendo il gelso a coricarsi da un lato. Ma con grande fatica il patriarca verde resisteva, finchè un brutto giorno fu tagliato e fatto a pezzi per una nuova strada e nuovi comparti edilizi. 
Dopo qualche anno e siamo ad oggi, fu la villetta, i giardini e gli orti ad essere spazzati via dalle ruspe per far strada al progresso. Il luogo ci racconta di viaggi, di storie che si intrecciano.
 
Di P. Francesco D’Acquarica (del 19/05/2025 @ 08:35:57, in NohaBlog, linkato 472 volte)

Ore 18.08 dell’8 maggio quando dal comignolo della Cappella Sistina arriva la fumata bianca, anch’io sto guardando la TV.

Noto subito fibrillazione, urla di gioia, espressioni di  grande attesa. I giornalisti rimasti in Sala Stampa si precipitano fuori, verso la piazza. Via della Conciliazione è un fiume di gente che arriva trafelata, quasi di corsa. Giovanni, 34 anni, manager romano, dice che è “incredibile. Questo è un momento storico”. Quando la Chiesa sembra nascosta, soprattutto in Europa, è bello vedere tutta questa gente che arriva a Roma. Sì, è proprio così: il cristianesimo è stato dichiarato morto tante volte e invece è più vivo che mai, perché fondato sulla fede di un Dio che sa come uscire dal sepolcro.

Un gruppo di pellegrini spagnoli che stava per entrare in piazza per varcare la Porta Santa viene invitato a fermarsi. Alcuni bambini diretti a una festa in maschera arrivano con gli abiti d’occasione: festa annullata; c’è da attendere il nuovo Papa. In meno di un’ora in piazza San Pietro si trovano centocinquantamila persone. 

Quell’ “Habemus Papam” preannunciato dalla fumata bianca con il protagonismo della famigliola dei gabbiani della Cappella Sistina, ormai famosi in tutto il mondo,  mi incolla lì alla mia poltrona. Aspetto di sapere chi è il nuovo successore di Pietro e quale nome ha scelto. Seguo con attenzione ed emozione: “qui sibi nomen imposuit Leonem XIV...”  “ha scelto di chiamarsi Leone XIV”. Una sorpresa. Nome bellissimo.

A quel punto, come m’accade spesso, ho cominciato a pensare anche a Noha.

Sì, nel 1400 a Noha i nostri antenati hanno venerato e celebrato San Leone: il nome che ha scelto il nostro nuovo Papa.

Tutti ormai dovreste sapere che a Noha c’erano 13 chiese; alcune ci sono ancora, di tante s’è persa la memoria, ma di qualcuna esiste tuttora qualche indicazione: della chiesa di San Leone (o San Leo) è rimasto il nome. Ebbene sì, nella mappa a corredo di queste note, si osserva oltre all’espansione del territorio della nostra cittadina anche il toponimo di San Leo o San Leone.

Da documenti certi sappiamo che tutte quelle chiese erano affidate alla cura pastorale dell’arciprete di quel tempo che si chiamava don Giovanni, definito quale arciprete della Terra di Noha. Insieme all’arciprete ci sono altri sacerdoti, come per esempio don Francesco di Noha, don Nicola Canozuri, ma c’è anche don Leone, o meglio papa Leone secondo la nostra antica cultura greco-bizantina.

 
Di Antonio Mellone (del 13/05/2025 @ 11:55:48, in NohaBlog, linkato 583 volte)

Sempre più spesso a palazzo Orsini zero ne pensano e cento ne gettano. Una delle ultime boutade (trad.: buttanate) proclamate con la stessa solennità con la quale s’annuncia l’elezione di un nuovo pontefice, non però con l’impaccio di un cardinale-diacono al suo primo Habemus papam bensì con la professionalità dei televenditori incalliti, nel mese di febbraio 2025, i nostri Totò e Peppino se ne sono usciti con un comunicato congiunto, o qualcosa del genere, corroborato da un bel manifesto apparso all’albo pretorio del comune di Galatina, vale a dire sulla pagina fb del nostro primo cittadino, dal consueto titolo iperbolico: “Un sogno che si realizza”. E tu, memore dei precedenti successoni, pensavi: “Chissà quale grande evento negramaro avrà escogitato stavolta il duo comico! Vuoi vedere che son finiti i lavori pubici alla torre civica di Noha, quelli che sarebbero dovuti durare 150 giorni, ma che l’efficienza e l’efficacia nostrani han fatto lievitare a 400 e passa?”. Ma poi ti penti di esserti spinto a pensare l’impossibile, se è vero come è vero che giusto qualche settimana fa i piccioni di piazza San Michele, appollaiati sul fastigio della chiesa madre, han dovuto assistere increduli alla scena del consigliere comunale delegato alla frazione nohana che, aggirandosi con circospezione intorno all’ormai storica impalcatura del cantiere downtown, munito di clips e fascette di plastica per uso universale provava ad agganciare al telaio ferreo alcuni lembi della rete Tenax, quella arancione, che i venti e i contrattempi avevano sparpagliato tutt’intorno all’ottocentesco monumento, così sfigato (il monumento) che manco un veggente, un aruspice e un vate messi assieme riuscirebbero oggi a prevederne il futuro più o meno prossimo e viepiù roseo.

 
Di Redazione (del 17/04/2025 @ 23:04:32, in NohaBlog, linkato 809 volte)

A Noha il percorso spirituale (e dunque pasquale) del giovedì santo che inizia a snodarsi in serata subito dopo la messa "in coena Domini" prevede sostanzialmente cinque tappe: vale a dire tre altari della reposizione, rispettivamente in Chiesa Madre (una pisside nei pressi di una grande perla al centro di una conchiglia in scala);

sepolcri sepolcri sepolcri

nella Chiesa Madonna delle Grazie (un calice di grandi dimensioni e un'ostia mobile in proporzione che si frange per far apparire il Cristo Crocifisso);

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e nella Chiesa Madonna del Buon Consiglio (una pisside al centro dell'altare/tabernacolo e allo sfondo l'icona JHS e in alto la Croce sospesa);

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e dunque il calvario monumentale affrescato nei primi del '900 dal pittore Michele D'Acquarica,

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e infine la Pietà (la Madonna Addolorata e il Cristo Morto ai suoi piedi) allestiti tra fiori, piante e germogli di grano nella Chiesa della Madonna di Costantinopoli.

sepolcri sepolcri sepolcri sepolcri sepolcri

 
Fede, preghiera, adorazione, meditazione, riflessione, tradizione, storia, cultura. 

Noha.it

 
Di Raimondo Rodia (del 16/04/2025 @ 21:57:03, in NohaBlog, linkato 509 volte)

Galatina si candida a capitale italiana della Cultura 2028. In pompa magna presentazione del progetto nel chiostro dell'ex convento dei Domenicani divenuto poi nel tempo alla fine XIX secolo con i padri Scolopi, un liceo convitto provinciale ed infine denominato palazzo della Cultura perchè ospita al suo interno, la biblioteca, il museo civico, l'archivio comunale e diverse sale eventi. Cultura deriva da un verbo latino che significa " Coltivare " per indicare un insieme di conoscenze, come intendere un sistema di saperi, credenze, valori, norme, comportamenti, costumi ed opinioni.

La presentazione doveva accadere attraverso una conferenza stampa che invece di avere come solo protagonisti i rappresentanti della stampa locale e nazionale fatta eccezione per una TV locale ed il sottoscritto come redattore di Noha.it ha visto invece la partecipazione delle scuole di ogni ordine e grado di Galatina con una parte di alunni e dirigenti scolastici.

Una passerella politica, istituzionale e autoreferenziale che invece delle domande dei giornalisti ha visto passare in rassegna alcuni dei presidenti delle oltre 70 associazioni culturali di Galatina. Alcuni ragazzi presenti in rappresentanza delle scolaresche in città hanno siglato un patto sacro con il sindaco Fabio Vergine, i dirigenti scolastici hanno incensato il sapere attraverso l'istruzione della scuola statale strumento di crescita per i giovani che affronteranno il futuro. Insomma una prima fase partita già in forte ritardo, tra quasi 11 mesi infatti, il 27 marzo 2026, dovrà essere prodotto un piano che qualifichi in modo inequivocabile che Galatina merita senza alcun dubbio di essere tra le finaliste prescelte per la candidatura di capitale italiana della Cultura.

La candidatura non è europea come avvenuto per Matera portata più volte ad esempio durante il dibattito.

Io tifo senza alcun dubbio per Galatina ma se il buongiorno si vede dal mattino non mi sembra che siamo partiti con il piede giusto.

Raimondo Rodia

 
Di Antonio Mellone (del 13/04/2025 @ 09:04:46, in NohaBlog, linkato 288 volte)

Nossignore, non ho (ancora) appeso la penna al chiodo, e non sono rimasto a corto di argomenti - ché anzi non saprei proprio da dove iniziare per trattare pensieri parole papere e omissioni dei nostri piazzisti di pentole antiaderenti, meglio noti quali personaggi in cerca di elettore: dall’alte alle basse cariche istituzionali, dalla cosiddetta Europa alla supposta Italia, senza tralasciare il comune de Nohantri con i suoi Totò e Peppino divisi a Galatina (dopo Berlino).   

È che subito dopo il Dantedì di Casaranello del 25 marzo scorso, la Roberta Viva di Levèra mi chiama e mi fa: “Che ne dici di una replica della tua Lectura Dantis nel nostro teatro?”

Io non credo ai miei occhi e alle mie orecchie: “Lampu, – obietto - da quando in qua uno è profeta in patria?”

E lei sempre dolcissima: “Mèna, ché non abbiamo tanto tempo da perdere: fammi sapere entro una mezzoretta”. Io penso a chi potrebbero essere i miei compagni di avventura, cioè la Valentina De Pascalis, danseuse étoile e coreografa, e Christian Rizzo, pianista e compositore, che certamente non si tireranno indietro nei momenti come dire più drammatici, e mi rassereno; prendo il coraggio con due mani, rincorro mezzo morto la Viva, e prima che ella rientri nella sua auto diretta alla volta di nuovi orizzonti artistici le annuncio trionfante: “Sine, facciamola ‘sta cosa, ma non sia la replica del Dantedì passato, bensì un diciamo spettacolo nuovo di zecca sul Canto V dell’Inferno”. E lei: “Dannazione!”. E io: “Ecco, più o meno”. 

Et voilà due settimane e mezzo di studio matto e disperatissimo post-lavoro condensati in “La bocca mi basciò tutto tremante”, un recital di 60 minuti, con inizio alle 20.30 di domenica 13 aprile 2025, sempre al Teatro Levèra di Noha, in via Bellini 24, ingresso (ovviamente) libero. Un cartellone fuori cartellone.

Poi se andrà male è solo perché questa domenica Levèra è senz’Alibi.

Antonio Mellone

 

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