ott142024
Nelle puntate uno e due di codesta mia epopea organistica occorsami per caso nella basilica di Santa Croce in Lecce un sabato di ormai tre settimane fa, ho provato a raccontare di come l’incarico del servente alla consolle a Frédéric Ledroit, noto concertista a livello europeo, conferitomi su due piedi da parte del direttore del festival organistico del Salento, Mr. Scarcella, m’avesse provocato un subitaneo stato chetonemico insensibile perfino al Biochetasi granulato: in sostanza dal Voltapagine al Voltastomaco.
Sembra uno scherzo, ma il ruolo del Voltapagine (e non vi dico del Registrante) è fondamentale per l’esito di un’esecuzione musicale. Si parla di competenza, di tatto, di capacità di lettura del pentagramma [sia lodata e ringraziata ogni momento la buonanima di mio zio don Donato per le lezioni di solfeggiamento, ndr.], di simbiosi con l’esecutore, e soprattutto di prove ripetute più volte. Invece stavolta niente prove, solo un briefing di pochi minuti con monsieur Ledroit, che mi spiega in provenzale stretto che alcune pagine sono volanti, altre rilegate a libro, che il terzultimo brano è impresso su uno spartito a fisarmonica, ma il secondo ha un ritornello anzi due, per cui a metà foglio bisogna ritornare indietro e poi riprendere dalla penultima strofa e continuare con nonchalance (ha detto proprio con nonchalance) con la prima del brano successivo…
ott112024
Nella precedente puntata ho raccontato di come quel fatidico sabato sera del 14 settembre scorso mi trovassi nella basilica di Santa Croce in Lecce, e di come il mio (ex?) amico Francesco Scarcella, direttore del Festival Organistico del Salento, quasi puntandomi addosso una canna d’organo di non so che calibro, appena dieci minuti prima dell’inizio del concerto, mi chiedesse “gentilmente” (sì, avevo le mani in alto) di ricoprire il ruolo del Voltapagine dell’organista, e per fortuna non anche del Registrante (ché lo strumento Ruffatti di cui si parla può riservarti mille sorprese, annoverando una trentina di Registri e una ventina di Unioni da “registrare” appunto a seconda dello spartito e dell’esecutore: roba da far dimettere in blocco le difese immunitarie di chiunque, figurarsi le mie).
L’investitura avvenne a bruciapelo, senza nemmeno il tempo di farmi firmare una liberatoria contro il rischio di flop operistico, con pubblica gogna incorporata e annessa richiesta di risarcimento danni milionario (quantificabile agevolmente perfino da un direttore di banca laureato alla Bocconi) da parte dei portatori di interessi, tipo: musicisti, pubblico presente, curia arcivescovile, ministero della cultura, conservatorio Tito Schipa, veneranda fabbrica della basilica, provincia di Lecce, università del Salento, senza scordare gli eredi di Bach, Giordani, Rossini, e ovviamente di Girolamo Frescobaldi, e di chissà quanti altri autori.
A far decollare la mia pressione arteriosa oltre i 180 di diastolica (non vi dico la sistolica), e dunque a farmi apparire lo sfigmomanometro più come un termometro della sfiga che come un apparecchio per misurare la pressione, non era tanto il fatto che la star della kermesse provenisse dalla Francia, e dunque parlasse soltanto il francese stretto (idioma che, grazie alla Rita Luceri, la mia prof. delle superiori, parlo e scrivo correntemente, insieme alla Lingua d’Oc e la Lingua d‘Oil), quanto che avessi a che fare nientepopodimeno che con il M° Frédéric Ledroit, grand’ufficiale nell’ordine delle Arti e delle Lettere, nonché titolare del monumentale organo a canne della Cattedrale Saint-Pierre d'Angoulême, e per di più compositore di una cinquantina di opere conosciute in mezzo mondo. Ma quello che mi lasciava come un immobile senza agibilità era la fama, che lo precedeva, di maniaco della perfezione: sicché per il sottoscritto il Fos (Festival Organistico del Salento) stava per trasformarsi in una vera e propria Fossa.
set302024
Pensavo di essere fuori tempo massimo, invece son capitato a fagiolo.
Insomma, sabato 14 settembre scorso, un’amica mi fa: “Questa sera avrei voglia di una buona pizza, hmm, ben lievitata”. Non cogliendo probabilmente piccanti allegorie, metafore e sineddoche, con topico tono da despota illuminato che non ammette repliche, le rispondo: “Invece questa volta nutriremo lo spirito: dunque si va dapprima al cinema, alla proiezione de ‘L’ultima settimana di settembre’, e a seguire al concerto d’organo nella basilica di Santa Croce”.
Vi dirò che nonostante il repentino passaggio dal rock progressivo ai rosari, non fui piantato in asso dalla novella Madre Teresa e, all’ora convenuta, ci dirigemmo verso il Cinema Massimo di Lecce per dar corso all’articolato cronoprogramma.
Bello il film con Diego Abatantuono e il giovane Biagio Venditti, non c’è che dire, ma a un certo punto, avendo preso la parola il regista Gianni De Blasi, presente in sala per la Prima, e tirandola lui un tantino per le lunghe, per una manciata interminabile di minuti ho avuto la sensazione che la seduta della mia poltrona fosse cosparsa di una penetrante miscela di pepe e peperoncino, dacché incombeva la seconda parte della serata e non volevo fare il bifolco arrivando in basilica a concerto iniziato.
set032024
Tutta la mia solidarietà a Paolo Pagliaro, il patron della tv della repubblica, o meglio della Regione Salento (per i camerati Regione Salò), costretto a una vitaccia che mancu li cani. Ebbene sì, il poveretto non fa in tempo a uscire di casa che ogni santo giorno si ritrova con una telecamera puntata addosso, un microfono sotto il becco e una raffica di domande su tutto lo scibile umano (ficcanti e scomode che non ti dico, ‘ste domande) da parte dell’inviato speciale della redazione La Voce del Patron, determinato come non mai a fargli le pulci. Davvero non ci sono più i servi di una volta.
Cosa non bisogna sopportare per quegli appena 11.000 euro al mese di stipendio da consigliere regionale, quale Egli è: dalle prime luci dell’alba e fino a quelle della ribalta, senza tralasciare le luminarie dell’Istituto Luce, sempre a dover dar conto a loro, i novelli Julian Assange al suo soldo, pronti a metterlo in difficoltà, compulsarne le esternazioni, coglierlo in fallo, quando non addirittura CON-TRAD-DIR-LO. Qui siamo in presenza di ferocissimi watch-dogs, signora mia: Rottweiler, Mastini e financo Dobermann, insomma cani. Meno male che molti fra i telespettatori dell’emittente nostrana sono di bocca buona, comprensivi e indulgenti nei confronti del potere, predisposti per indole e formazione a sciogliere inni e canti al loro beniamino (e dunque a suffragarlo in massa quando è il momento), se no i suddetti “disturbatori” sarebbero costretti a cambiare professione, e magari darsi al Giornalismo.
Oddio, qualche eretico nel comitato ci sarà pure ora come allora (tempo fa, per dire, c’era chi faceva L’Indiano come il Danilo, o conduceva inchieste garbate ma toste su paesaggio e territorio come la Tiziana: altre ere geologiche, lo so), ma la linea editoriale quella è, e per quanto tu ti faccia il mazzo, non puoi mica pensare di fare il galletto, soprattutto se hai famiglia. E così, ma solo a mo’ d’esempio, arriva a Lecce un arcivescovo coadiutore? Eccoli là solleciti a immortalare la benedizione urbi et specialmente orbi da parte del loro editore puro e casto. C’è l’alza-bandiera in qualcuno dei club che fanno tanto casta e borghesia di provincia? All’occhio vigile del videoreporter non sfuggirà certamente il petto in fuori e la pancia in dentro del suo capo Vip (very important Pagliaro), deciso a farci capire cosa ci perdiamo a non affiliarci all’anzidetta confraternita. Si presenta un libro su qualche lingua vernacolare della zona? Thegiornalisti riprendono il Nostro tutto intento a emulare il simpatico ministro Sangiuliano al Premio Strega, impegnato anima e corpo nella promozione della sua lettura (sì vabbè) per filo e per segno. C’è un dibattito nella Masseria Li Reni condotto dal medesimo titolare, vale a dire il Bruno Vespa nazionale? Il padroncino è lì in prima fila, con il contorno di qualche suo bravo redattore - che senza meno approfitterà dell’occasione per partecipare in loco a un corso accelerato di perfezionamento post-diploma, diretto dal summenzionato gigante dell’“informazione” porta a porta.
ago162024
Non vorrei urtare la suscettibilità del sindaco di Galatina e soprattutto dei suoi vassalli, assessori e valvassini, e senza tralasciare i selfie della gleba, se oso evidenziare due o tre cosette che m’appaiono di una certa rilevanza. Avverto però a mo’ di premessa che, salvo clamorosi accadimenti degni di minzione, ogni eventuale successiva fetta di Mellone 2024 proverà a discettare di ben altri temi magari più terra terra, provando a mantenersi pur sempre Vergine di servo encomio.
A proposito di terra, un cenno va all’erba voglio ai bordi delle strade e delle piazze comunali ribattezzata dai supporters ante-elezioni “erba non voglio”. Ebbene, mi permetto di far notare che in molti casi il prato inglese, tedesco e italiano (come nelle barzellette) adorna ancora imperterrito e rigoglioso cospicui lembi dello stradario urbano e inurbano nohano, probabilmente per concretizzare l’antico motto vernacolare che suona così: “Tienimi la samente [semenza] ”. Ora, in base al nuovo verbo incarnito scodellato nel classico comunicato stampa, l’erba incriminata verrebbe tagliata ogni mese e mezzo, e va bene. Ma a noi altri sarebbe bastato un pizzico di onestà in più se non politica perlomeno intellettuale espressa verosimilmente nei seguenti termini: << Cari Nohani, la lotta è impari, non riusciamo davvero a star dietro a tutto: l’erba non è un prodotto finito ma un processo continuo, e non si può vivere una vita intera con il decespugliatore spianato. Certamente noi faremo del nostro meglio, ma voi altri, e non vi sia per comando, dateci una mano, e cercate là dove possibile di fare la vostra parte per il decoro cittadino, tentando di mettere in pratica il celebre adagio secondo il quale se tutti pulissero davanti alla propria porta, il mondo intero sarebbe più pulito >>. Questo avrebbe oltretutto reso giustizia a chi, poveretto, durante la campagna elettorale ha battuto il marciapiede alla ricerca dei ciuffi di verdure ribelli un tempo definiti “erbacce” - oggi invece diventati oggetto di culto, sicché alla loro vista in tanti si scappellano ed esclamano in estasi: evviva la Maria!
ago032024
La mia ammirazione per il sindaco Fabio Vergine rasenta ormai l’idolatria. Il nostro Leader Nato (“nato” voce del verbo, e lui lo nacque con tanto di autocertificazione) sembra dare il meglio di sé nel corso dei mesi del solleone, con brevi ma intensi exploit anche tra Natale e Capodanno (e qualche chicca di raro acume perfino durante il triduo pasquale), e non saprei dire se per via dell’afa eccessiva o perché crede che io non abbia argomenti a sufficienza per le fette di Mellone: ergo vorrebbe fornirmene abbondante materia prima.
Non sto qui a ricordare i precedenti negramarognoli primavera/estate 2023 che trasformarono le celebrazioni per il Ventennio di una famosa band salentina in una figura di stallatico universale per Galatina e dintorni, con indelebili incolonnamenti di autoveicoli stile Il Cairo d’Egitto, bestemmie degli astanti da far paura ai morti e non poche allusioni (da parte delle vittime di quell’aristocratica sciatteria) circa la dubbia onorabilità delle nonne rispettivamente di organizzatori e trombettieri più o meno istituzionali dell’evento.
Qualche giorno fa il nostro sales manager nelle vesti di primo cittadino ha diramato a profili social unificati uno dei suoi proverbiali lieti annunci dotandolo di un video da pubblicità progresso, attraverso il quale – con tanto di musichetta acchiappa-gonzi di sottofondo, una parlantina micidiale e sottotitoli a caratteri cubitali per rimarcarne i passaggi reality più memorabili - fa sapere a noi altri che non capiamo una mazza di marketing territoriale; che le apparizioni televisive - tipo quella su Canile 5 di “Galatina mia” insieme ad Angelina Jolie Mango, costata quel che è costata (ma “non basta pagare, serve anche saperci fare”, proclamò a gran voce il nostro advertising guru qualunque cosa avesse voluto dire) - produrranno non so più quanto ritorno in termini di galatinese AT-TRAT-TI-VI-TÀ (lemma da scrivere e soprattutto proferire in maiuscolo e con la suddivisione in sillabe); che, insomma, il tempo di “festi e festini” [sic] continuerà senza requie e fatevene una ragione una buona volta tutti quanti; che finalmente “è stato tolto il tappo a tutti coloro i quali la pensano come noi” (poverini, chissà quanto avranno sofferto tappati in casa appunto per via dei Dpcm); che “non ce la potete fare a capirlo” (‘ntorna); che “continueremo a dare la massima attenzione alle fasce deboli” (non osiamo chiedere come, e soprattutto se qui il concetto di debolezza si riferisca all’udito o al comprendonio di codeste fasce); e che insomma “la vecchia governance” (e ci può stare che una civica amministrazione venga ridenominata governance visto che la Basilica è già una location) altro non era che un’accozzaglia di “musi lunghi” fatta partito, oggi per fortuna dismesso, fermato, FI NI TO [sic].
Standing ovation ovviamente da parte dei fan più attivi, dei camerati estasiati, e dei caporali di giornata dell’adorante community, tutti pronti a vergare in calce al suddetto comunicato l’usuale sintesi epesegetica dell’incondizionata venerazione nei confronti del loro beniamino, compendiabile nella salmodiante locuzione: “Grande Fabio!!!” (tre o più punti esclamativi, mi raccomando).
Superata la paresi dei primi istanti mi son detto che boh, alla fin fine, tutto sommato il tipo non ha mica tutti i torti. Certo, l’unico aspetto negativo di tutta questa piazzata è stato quello di farci risultare simpatico perfino l’ex-sindaco Marcello Amante;
lug172024
“L’erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re”, recita un vecchio adagio, con la variante: “L’erba voglio non cresce nemmeno nel giardino dello speziale” (e chissà chi ricorda ancora la famosa Villa Speziale sulla Noha-Collepasso, poi in un certo qual modo “riverginata”); insomma questa benedetta erba non cresce assolutamente né nel giardino del re né in quello dello speziale come si diceva, ma vivaddio abbonda su ogni marciapiede e/o bordo strada della frazione di Noha. E non si pensi soltanto ai percorsi secondari più appartati bui e remoti delle contrade nohane, ma anche (soprattutto) a quelli più noti, se non i più battuti e commerciali, tipo via Aradeo, via Calvario, via Osanna, via Collepasso, via Trisciolo e via Nievo. In piazza San Michele, per dire, nei pressi dell’impalcatura per il “restauro” della torre dell’orologio si possono osservare esemplari di vegetali di ben oltre il metro e mezzo d’altezza, mentre nei “viali” summenzionati siamo nell’intorno dei 40/50 centimetri di media (per il sindaco del continuo reality si tratterà sicuramente di dimensioni degne dei nostri musi).
Per fortuna, oltre alle arterie summenzionate, questa sorta di verde pubblico spontaneo puoi trovarlo in ogni angolo, piazzetta, largo, e street della cittadina più green del Salento (dunque quanto alla rinomata transizione ecologica Noha sta apposto). In alcuni angoli più caratteristici, oltre alla suddetta verdura, stanno germogliando e fiorendo, benedica, rigogliosissime piante di fico [è tutto così fico nell’odierno Truman Show! ndr.], mo’ vai a scoprirne la varietà. Ma i frutti (declinati al femminile), vedrete, non tarderanno a venire.
Bei tempi quando candidati in erba, grandi e soprattutto grossi elettori, stagionate Chiare Ferragni de Nohantri, veline e velone, influencer d’acchiappo nell’apoteosi dell’immagine sulla sostanza, più precisamente, visto il tema, del fumo sull’arrosto, nei video preelettorali condivisi sulle rispettive pagine social, si sperticavano nel denunciare il degrado urbano davanti ai soliti ciuffi erbosi recalcitranti mannaggia a loro, convincendoci tutti quanti a votare finalmente per il PD, che non era il male minore, cioè il Partito Democratico, ma il Partito Decespugliatore coalizzato nel Polo Diserbante.
lug032024
Michele Scalese è un ragazzo nohano, vabbè un neo-trentenne, molto coraggioso. E non tanto per certe sue plateali dichiarazioni che avrebbe potuto tranquillamente tenere per sé ma che invece ha ritenuto opportuno rendere pubbliche (si chiama maieutica ed è un’arte), dichiarazioni oltretutto rivoluzionarie entrate ormai nelle pagine più belle della Storia di Noha, sicché finalmente questa frazione di mondo non è più da considerarsi un Jurassic Park; e nemmeno per la denuncia del vile episodio di qualche settimana fa compiuto ai danni della sede del Partito (di cui Michele è segretario politico) da parte del balordo di turno affetto evidentemente da omofobia con numerosi sintomi di ergofobia e l’aggravante dell’epistemofobia, dico di turbe psichiatrico-compulsive che, a richiesta, il nostro Michele potrebbe curare benissimo in una manciata di sedute (visto il suo lavoro di psicologo e psicoterapeuta); coraggioso, dunque, non solo per quanto precede, ma perché gli è venuto il ghiribizzo di invitare il sottoscritto a un convegno organizzato nella storica sezione downtown-Noha dei democratici sul tema dell’AutoTomia Differenziata (scusate, ma non riesco proprio a sostituire la seconda t con la n, ché “autotomia”, vale a dire la capacità di alcuni animali di auto-mutilarsi, rende meglio l’idea alla base di codesta iattura chiamata legge, approvata con atti di bullismo politico in piena notte dalla maggioranza legaiol-destronza in vena di scambio di favori: “Tu approvi l’Autotomia a me, io poi ratifico il Premierato a te e insieme distruggiamo quel che resta della magistratura”).
Dicevo del coraggio di Michele di convocare perfino me, così inviso a quasi tutti i partiti dell’arco costituzionale e a buona parte dei gruppi extraparlamentari, per aver servito loro nel corso del tempo più di un piatto di penna all’arrabbiata, con spruzzata di inchiostro niente affatto simpatico. E fosse soltanto questo: è che, mannaggia, nel corso della mia “carriera” ho portato avanti un sacco di battaglie afferenti la Pòlis - perdendole (quasi) tutte. Sì certo ho stravinto quelle in tribunale, ma non si tratta di battaglie, bensì di corsi di recupero in diritto e buona creanza impartiti a qualche caricatura della politica locale in commercio d’amorosi sensi con le intimidazioni a mezzo querele penose più che penali.
Devo dirla tutta: Michele non ha coinvolto soltanto me, ma anche un bel po’ di belle persone con storie, sensibilità ed estrazioni le più disparate, costituite in Unità Differenziata, pronte a dialogare sull’argomento di cui sopra.
Sarebbe bello che la novella agorà si aprisse ad altre questioni di impellente attualità come la pace (ancor oggi lemma-tabù in certi ambientini), l’escalation militare verso la guerra nucleare, i genocidi ai danni di popolazioni inermi con il silenzio assenso delle “democrazie” occidentali, la libertà condizionata di stampa, la nostra terra ridotta a un hub di rifiuti, cemento, veleni, campi di fotovoltaico e pale eoliche, e, ultimo ma non meno importante, i diritti civili da non slegare mai dai sociali. Dibattiti per molti, s’intende, non per tutti: i camerati nostalgici di saluti romani, per esempio, quelli degli inni e canti sciolti al loro duce con tanto di urlo finale “Presente!”, o peggio mi sento “Sieg Heil!”, potrebbero non esserne punto interessati, attesa la prematura scomparsa dal monitor di ogni segnale di relativa attività cerebrale.
Non so da chi abbia preso Michele, magari da nonna Saia (quando parla di lei mi fa piangere), perché lu vagnone oltre che coraggioso è anche capace di sopportazione e ascolto: una volta per istrada, eravamo in via Trisciolo, gli attaccai un bottone di dieci interminabili minuti sul concetto di lotta orizzontale tra servi, precari, sfruttati, vinti, ultimi e penultimi (in sintesi plastica i capponi di Renzo Tramaglino), che purtroppo in quest’era post-ideologica sembra aver preso il posto dell’antica lotta verticale, quella contro l’oppressore, il neoliberismo illiberale, le angherie più insostenibili, il mercato deregolamentato, l’ingiustizia promossa a sistema, e i padroni del pensiero: “Non esistono poteri buoni”, chiosai, citando De André. Mi rispose con un “grazie”, e non fu per svignarsela.
Chiudo qua. Non vorrei che, dopo aver letto queste righe, Michele Scalese mi convocasse per cantarmene quattro: ché il ragazzo, per chi ancora non lo sapesse, è anche un ottimo tenore, oltre che un eccellente organista.
Che invidia.
Antonio Mellone
nov192023
Mi son fatto prestare le copie del Quotidiano di Lecce, pardon di Caltagirone, di domenica 12 e lunedì 13 novembre scorsi per scopi esclusivamente scientifici: volevo accertarmi del fatto che la sequenza dialettica (e viepiù dialettale) tutta tesi-antitesi-sintesi che applico nell’analizzare personalmente lo storytelling di codesto “giornale” (lo definisco così solo perché vado di fretta – giusto il tempo di apporci le virgolette), non registrasse contraddizioni esiziali.
In estrema sintesi l’evidenza empirica ha corroborato ancora una volta le mie ipotesi (i suoi pollowers le chiamerebbero pregiudizi) che sostanzialmente corrispondono alla seguente asserzione: molto di ciò che non viene impresso su quei fogli è senz’altro una Notizia.
Di cosa vado blaterando è presto detto. Se non tutti, in molti sanno che il sabato pomeriggio 11 novembre 2023 allo stadio di Via del Mare s’è giocata la famigerata partita Lecce-Milan. Non ero presente a quell’incontro, né mai mi sarebbe saltato in mente di guardarlo su qualche schermo più o meno portatile, da un lato per via di un concerto d’organo di musica barocca cui non volevo assolutamente mancare (vuoi mettere?), e dall’altro perché di quello sport nazionale so poco o niente, se non che vi girano molti soldi oltre che le palle.
Ebbene, di quel match diciamo storico, anche grazie a certa sTAMPA come la nostra, tutti conoscono il risultato finale, le emozioni, le pagelle dei calciatori, i cartellini arbitrali con i colori sociali (gialli e rossi), le presenze in termini di spettatori, il fallo del pestone (lemma quest’ultimo di cui prima del corrente mese di novembre mi sfuggiva il significato), e ancora lo “scandalo” del o della Var, l’annullamento del goal della vittoria casalinga, ergo le correlate polemiche approdate perfino in Parlamento (della serie tutto il Fascio minuto per minuto).