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Di Antonio Mellone (del 01/04/2022 @ 19:42:29, in Fetta di Mellone, linkato 757 volte)

Scusate tanto se ho dovuto sintetizzare tutto lo star system della prima uscita della Sandra in tre articoletti e mezzo in totale che divagano, è vero, come nel famoso punto a zig zag. Ma non potevo abusare oltremodo della pazienza dell’ultimo stremato mio lector in fabula.

Certo, la materia è così affascinante che ne verrebbe fuori un diciamo trattatello in laude della Rediviva, ma qui, per par condicio, incombono gli altri tre candidati, sempre della schiera dei Competenti, ovvio, su cui provare a riversare qualche goccia di quella quintessenza clandestina altrimenti chiamata critica, vista dai più come “sterile polemica”, quando - dio non voglia - di satira, considerata dagli stessi di prima come “immotivata acrimonia e meschino livore”, dunque da querelare senza indugio. Son fatti così i missionari del politically correct, sicché dovrei battermi il petto, provare “vergogna per le offese” inferte a destra e a estrema destra (dacché in queste contrade di centro e di sinistra manco un alone), e soprattutto nominare un avvocato.

Nell’attesa allora di una mia condanna definitiva alla frequenza di una scuola per corrispondenza di buone maniere, materia nella quale sono stato più volte rimandato a settembre (quando non a giudizio), torniamo ai punti di sutura del piano quinquennale della Rieccola; non senza, tuttavia, aver messo preventivamente le mani avanti per via dell’n-esima vignetta puntuta: questa, se possibile, ancor più sessista della precedente, in cui vengono ritratte due tizie, una delle quali vagamente somigliante a un’assessora ai lavori pubblici con tanto di telaio da ricamo niente-poco-di-meno che, immaginate, sulle sue ginocchia, ma soprattutto intenta a quei lavoretti così degradanti per “Una Donna, Una Madre E Una Seria Professionista” [sic] (e scusate se non sparpaglio qui, come pare si usi nelle nuove grammatiche, un bel po’ di punti di sospensione): roba da lapidazione immediata del vignettista da parte degli scribi nostrani, tutti senza peccato come da pericope giovannea.

Tanto lo slogan Je suis Charlie Ebdo chi se lo ricorda più, defunto ormai come certi avi da imprecazione.

 
Di Antonio Mellone (del 19/03/2022 @ 16:21:08, in Fetta di Mellone, linkato 1185 volte)

Nella prima parte di queste note scombiccherate ho fatto cenno al contesto nel quale si è svolta la prima conferenza stampa di presentazione del Puntinismo, che stavolta non è il più o meno noto movimento pittorico di fine ‘800 ma il programma “puntuale” di diciamo governo della Sandra Sindaco da sottoporre al voto (o forse a referendum sulla sua figura), esposto sostanzialmente in quindici minuti scarsi di “domande”, seguiti da un’ora e cinquanta di chiamiamole risposte.

Ora, dopo il contesto, cercherò di dare una sbirciatina al testo provando a estrapolare qualcosina dalla famosa raccolta punti della rediviva candidata: non so se si tratterà di “idee” da rilegare in un novello tomo dei sogni oppure nel solito pamphlet degli incubi. Chi voterà vedrà.

Da un po’ di tempo a questa parte il tracollo economico dei comuni e la storia dei loro bilanci fallimentari sembrano passati in secondo piano: all’orizzonte la promessa pioggerellina di quattrini grazie a una fiammante forma di debito che va sotto il simpatico acronimo di Pnrr, onde tutti gli aspiranti al soglio comunale sono pronti a far vedere i muscoli, pretendendo più autonomia, indipendenza e libertà d’azione in modo da sbizzarrirsi nella fertile pratica di lasciare, ahinoi, un segno indelebile del loro passaggio.

A proposito di bi- e tricipiti brachiali da ostentare, la Sandra ci ha fatto sapere, tanto per dirne una, che per evitare la definitiva mortificazione dell’ospedale di Galatina, ergo per riaprire battenti, reparti, sale operatorie, terapie intensive, sub-intensive e via di seguito, e dunque far ritornare un bel po’ di Infermieri, Oss, Medici, Tecnici, e pure “Portantini” [sic] sarebbe bastato “battere i pugni sul tavolo”. E che ci vuole?

 
Di Antonio Mellone (del 11/03/2022 @ 19:52:15, in Fetta di Mellone, linkato 847 volte)

Sto cercando di individuare una qualche differenza nei pensieri, parole e opere pubbliche dei quattro candidati in gara per la cadrega di sindaco della mia città. Ma finora nulla, solo similitudini: tipo che tutti costoro hanno studiato a Modena (per dire quanto la fuga di cervelli a volte funzioni al contrario).

Chissà se lo slang imperiale, così gradito alla Galatina progressista e gretina, tutto impregnato di smart city (anzi smart land: fa più figo), e quindi di valorizzazione, riqualificazione, attrattività, green, e soprattutto inclusione e sostenibilità (e forse forse pure resilienza) proverrà dalle sudate carte compulsate in quella benedetta Alma Mater Studiorum Mutinensis et Regiensis. A saperlo.

Sta di fatto che con gran senso di responsabilità (ma soprattutto dell’umorismo), oltre a un paio di novelli Carneade pronti a indossare la fascia tricolore, e a un altro che pare abbia intenzione di cucirsela addosso per almeno un’altra legislatura, s’è rifatta viva anche la Sandra (una “ca li coddhra”: l’ha detto lei, eh) confidando probabilmente nelle proverbiali amnesie dei suoi concittadini e ancor più nella loro stoica, tendente a storica, rassegnazione.

La Sindaco in pectore ha debuttato in campagna elettorale con la tecnica del branding (a proposito del gergo persuasivo di complemento) tappezzando Galatina e dintorni con manifesti 6x3 pieni zeppi di slogan anonimi, ma così anonimi che appena ne leggevi uno non potevi non esclamare immantinente (come nel Fantozzi contro tutti): “Sandra, è lei?”

Dopo qualche giorno di suspense il diciamo arcano viene dunque svelato e la criptocandidata appare al suo popolo in tutto il suo splendore nel corso di una memorabile conferenza stampa di due ore e passa, ripresa, a perenne anamnesi e per comune fortuna, dall’occhio e dall’orecchio indiscreti delle telecamere, quindi trasmessa urbi et soprattutto orbi. A dire il vero io me l’ero persa ‘sta cosa qua e non è che ne stessi facendo una tragedia esistenziale, se non che una carissima amica quasi m’implora: “Ma come puoi farne a meno: se non vedi e non senti non ci puoi credere”. E così, novello san Tommaso, mi fiondo ad abbeverarmi direttamente alla fonte dei famosi punti: dico i punti programmatici della politica rediviva.

Per questioni di spazio e soprattutto di pazienza del mio unico superstite lettore non posso star qui a parlare dei quattro giornalisti presenti e delle loro domande ficcanti, che dico, ostili proprio, pregne di anglosassone perfidia: tanto che a un paio viene offerta la candidatura (immagino nella coalizione della stessa intervistata), mentre un altro se ne esce con una elucubrazione tipo “il Pd è una delle poche realtà serie che sono rimaste nell’attuale scenario politico” (questa sì che è satira politica, altro che la mia all’acqua di rose, ndr.).

 
Di Antonio Mellone (del 18/09/2021 @ 16:06:59, in Fetta di Mellone, linkato 1132 volte)

Il signore della foto si chiama Enzo Cerfeda, proviene da Galatone ed è un resistente. Nossignore, non ha mai fatto parte del Comitato di Liberazione Nazionale (oltretutto ha meno anni di quanti ne basterebbero per arrivare in retromarcia fino a una sua eventuale partecipazione attiva agli eventi della seconda guerra mondiale), ma è uno che va avanti per la sua strada e continua imperterrito ad allestire la sua bancarella al mercatino nohano da circa 35 anni. Lo fa nonostante tutto, nonostante molti suoi colleghi, anche per via di un virus, sembra abbiano preso un periodo sabbatico.

Sta di fatto che alle sette e mezzo di ogni lunedì mattina Enzo ha già bello e pronto il suo banchetto michelangiolesco (nel senso di via Michelangelo, la via della “chiazza”) con i suoi articoli, e lo fa anche se fosse l’unico (e non è la prima volta) ad aprir bottega.

La sua mercanzia è la biancheria intima uomo-donna e bambino. “Ma le mie clienti – dice - sono soprattutto, anzi esclusivamente donne, perché l’uomo di certe cose non capisce niente; e meno male che ci pensano le mogli, o le mamme o le zite, ché il maschio non saprebbe nemmeno cosa mettersi addosso”. Così continua Enzo nel suo ragionamento: “C’è un calo nelle vendite di noi ambulanti, è inutile che ci giriamo attorno, perché i grandi magazzini ci stanno facendo la guerra da anni e con due lire ti riempiono le borse di cose, per non parlare dei computer [nel senso che oggi si va al mercato restando seduti di fronte a uno schermo, ndr.]. Ma io qui ho le mie signore affezionate che da anni mi ordinano i capi che servono – hanno pure il mio numero di telefono - e io me li segno su questo libretto, e quando ritorno al mercatino la settimana successiva glieli porto”.

 

Fervono le polemiche diciamo politiche in vista delle prossime (eventuali) elezioni comunali galatinesi. Lo vedi dal fatto che insomma tutti i partiti si stanno aspramente dividendo in merito all’erba. Voi penserete che l’acceso dibattito verta viepiù sul tema spinoso della legalizzazione della marijuana (per gli amici Maria). Invece no, volano gli stracci tra i contendenti, dalla destra al centro-destra (la sinistra vorrebbe far vedere che esiste sguainando la falce senza il martello, ma niente), intorno alle povere erbe spontanee che periodicamente, e sotto qualsiasi amministrazione, fanno finalmente capolino ai bordi delle strade.

Poi, tanto per mantenere la diatriba al livello del marciapiede, si buttano nelle buche (purtroppo solo metaforicamente). Anche qui il riferimento non è esattamente ai pertugi endemici del bilancio comunale, ma alle crepe dell’asfalto, magari studiato apposta perché dopo un tot di anni se non di mesi (si chiama obsolescenza programmata) si ritorni a metter mani nelle tasche di Pantalone a favore dei soliti padroni dei caterpillar. Ma si sa, le strade devono essere efficienti se no il traffico (precipuo problema di Galatina, più o meno come di Palermo) impazzisce.

Non vi dico le battute di spirito sprecate in queste belle contese che il Leopardi (non vorrei scomodare Omero) definirebbe batracomiomachie: e vai con “polmoni verdi”, “erbalife”, “green pass”, e via di seguito, a proposito del manto erboso; mentre “pozzi artesiani”, “forum” e “aviaria” abbondano al riguardo di buchi e altre superficialità appunto viarie.

 
Di Antonio Mellone (del 29/08/2021 @ 19:31:10, in Fetta di Mellone, linkato 810 volte)

Avete presente quel nuovissimo stabilimento balneare tutto bianco en pendent con le white cliffs non di Dover ma di Santa Caterina di Nardò, zona chiapparu, il primo, pare, di una nuova serie?

Dai, quello con a fianco il gruppo elettrogeno diesel silenziosissimo che sembra non emetta gas di scarico nocivi, tipo ossido di carbonio e di azoto, e altri composti volatili, bensì ossigeno allo stato puro, vapori salutari, e aerosol balsamico come manco un camino della Colacem.

Mannaggia, non mi viene proprio in mente: ricordo soltanto che faceva rima con Iattura srl, ma la denominazione precisa in questo momento mi sfugge. Insomma quello che proprio in questi giorni è stato chiuso (ma tranquilli, solo la sera e per meno di una settimana) a causa di mascherine, cosiddetti assembramenti, danze & balli, musica a palla dopo una certa, e altre menate del genere.

Si sa: questuraprefetturaepretura devono pur trovare qualche pagliuzza fuori posto (pagliuzza, puntualizziamo, non trave) e sanzionarla a dovere per alimentare il contatore delle statistiche: altrimenti come fai a vendere al popolo la famosa legalità finalmente ripristinata con le buone o con le cattive.

Pazienza se qualcuno penserà che si tratti di una foglia di fico (d’India) e che una serrata del genere, con tanto di multa incorporata, è l’imprimatur definitivo, voglio dire la legittimazione decisiva per tenere aperto tutto l’ambaradan da qui fino all’eternità, con la benedizione sottintesa della stampa locale, paladina di indipendenza tra un’inserzione pubblicitaria e l’altra, e specchio della pacificazione ecumenica che ormai mette tutti d’accordo, vincitori e vinti, oppressori e oppressi.

 
Di Antonio Mellone (del 21/08/2021 @ 21:41:54, in Fetta di Mellone, linkato 2917 volte)

Ci ho dovuto riflettere alquanto prima di tagliare quest’n-esima fetta: infatti, nelle migliori scuole di giornalismo (che io non ho frequentato, ma so come va il mondo avendo fatto il militare a Cuneo, vabbè a Milano) dicono che la notizia non sia il cane che morde l’uomo, ma il contrario. Ergo questo pezzo sarebbe (stato) totalmente inutile in un contesto diverso, o per meglio dire normale.

È che però, nelle mie ricerche sull’archeologia nohana, non mi sembra di essermi mai imbattuto in una cerimonia solenne di tal fatta: pertanto, salvo sviste o omissioni, trovandomi nel campo, appunto, delle notizie, essendo questo avvenimento il primo nel suo genere, mi accingo a lasciare su questa pergamena (elettronica) quelle impressioni che, pur con i miei illimitati limiti, ho la presunzione di pensare contribuiscano a fare la Storia del mio paese, scritta finalmente in maiuscolo e d’ora in poi mai più di serie Zeta.

Ebbene, senza tirarla troppo per le lunghe, il primo di agosto scorso due ragazzi si sono uniti civilmente ovvero – preferisco questa seconda formula -  sono convolati a nozze: si tratta di Jerry Misciali di Noha e di Antonio Antonazzo di Parabita. Non me ne vorranno, gli sposi, se per questo passaggio utilizzo alcune immagini pescate dai loro profili social, quindi già pubbliche, e nemmeno gli autori delle rispettive foto, nei confronti dei quali mi dichiaro sin d’ora disponibile a citarne il nome quale giusto guiderdone al loro copyright.    

Nel titolo parlavo di fichi. Ma ci terrei a precisare che non v’è alcun riferimento alla botanica, dunque alle Moracee nelle centinaia delle loro varietà e ai relativi frutti eduli, freschi o essiccati; e men che meno al modo di dire “Fare le nozze coi fichi secchi”, pare coniato nel 1896 in occasione del matrimonio tra Vittorio Emanuele di Savoia e la principessa Elena del Montenegro per indicare le non proprio prosperose finanze dell’augusta consorte. Oltretutto, per la cronaca, i fichi di certe geografie rientrano nella categoria dei presidi slow food, vere e proprie eccellenze gastronomiche, e sembra ne fossero stati offerti in abbondanza, insieme ad altre leccornie s’intende, persino nel “rinfresco” reale seguito allo sposalizio di William e Kate.

Invece questa volta mi riferisco al concetto più popolare (magari gergale) di fico, allorché in maniera icastica vogliamo far riferimento a qualcosa o a qualcuno che risponda agli attributi di piacevole, accattivante, originale, sollecitandone al contempo approvazione, compiacimento e complimenti.

 

Checché se ne dica in giro e nonostante i correnti festeggiamenti d’ordinanza, Dante Alighieri non è scomparso dalla circolazione settecento anni fa.

Vero è che ci han provato in tutti i modi - a farlo fuori, dico - ma il tipo è duro a morire.

Ultimamente ce la stiamo mettendo tutta (riuscendoci senza tante difficoltà) non solo a botte di incendi alla selva oscura e al giardino dell’Eden, ma anche con il politically correct, la satira degradata a barzelletta, l’ideologia imperante che non prevede l’uso del No ma solo teste in continua annuenza, l’illusionismo dello sport (tipo calcio e olimpiadi: il famoso oro alla patria), l’eclissi di pensatori, intellettuali e filosofi in grado di immaginare un’alternativa al solito andazzo, l’ostracismo nei confronti di chi osi formulare un pensiero autonomo, la criminalizzazione del dubbioso, del disubbidiente e (dio ce ne scampi e liberi) addirittura del critico di tecnici, comitati, competenti e migliori, spesso autori dei più leggendari fiaschi della storia.

Si sa che l’Alighieri non aveva peli sulla lingua e non le mandava a dire, tanto che (semplifico) fu costretto a svignarsela in esilio per sottrarsi a una condanna a morte causata dalle sue idee politiche. Per la cronaca codesta condanna rimase diciamo in vigore fino al 2008, allorché il consiglio comunale di Firenze, bontà sua, pur con qualche secolo di ritardo, gliela revocò.

È inutile qui riaffermare quanto Dante fosse poco o punto incline al Dolce stil novo quando aveva da mandare al diavolo qualcuno: le sue invettive sono ormai proverbiali e ne sparpagliò a bizzeffe in molti suoi scritti, inclusa dunque la Commedia. Chi non ricorda quella contro la “serva Italia di dolore ostello”, il violento attacco nei confronti di Pisa e dei pisani “vituperio delle genti”, e la filippica addosso ai genovesi “d’ogne costume e pien d’ogne magagna”; per non parlare di critiche e atti d’accusa verso papi, ordini monastici, personaggi politici, e le sempre numerose pecore in gregge, ammassate, credule e imbelli nella (vana) attesa di una qualche immunità.

Ed eccovi allora un brano dell’Inferno - il canto XXXIII per la precisione - girato nel perimetro delle mura del Castello di Noha: è quello nel quale il Poeta fa raccontare al conte Ugolino della Gherardesca la sua tragica storia, quella della morte per fame prima dei suoi figli e poscia sua, avvenute nell’antica torre della Muda. In questo pezzo sentirete parlare di tradimento (il peccato più grave in assoluto) e di traditori, e quindi di accuse, incriminazioni e sfuriate.

Ora non vorrei, dal mio canto, aver assestato il colpo di grazia all’ancor vivo ghibellin fuggiasco; voi, dal vostro, siate indulgenti con me, evitando per una volta di spedirmi all’inferno.

Antonio Mellone

 
Di Antonio Mellone (del 05/08/2021 @ 23:14:57, in Fetta di Mellone, linkato 1090 volte)

Pensavo a quanto sia improprio chiamare “Prima” (come quella della Scala di Milano - di cui francamente ho sempre apprezzato le contestazioni e detestato la mondanità dei lupi in platea travestiti da visoni, quando non in marsina) il concerto inaugurale di una rassegna organistica.

Elucubrazioni da preludio le mie (nel senso etimologico di prae – prima e ludus gioco), formulate mentre in auto percorrevo i circa 45 chilometri che separano Noha da Salve, nella cui chiesa madre, assiso all’Olgiati-Mauro del 1628, il M° Antonio Rizzato ridava fiato alle canne facendo avvicendare, in concorrenza tra loro, i secoli distesi sui suoi spartiti musicali.

Ne avrei percorsi il doppio, di chilometri, pur di non perdermi l’esibizione del Rizzato che conosco ormai da un decennio (lavoravo in quel di Lequile, terra sua, quando lo conobbi), noto ormai ovunque per il rigore dei suoi studi, la disciplina, direi pure l’intransigenza e il bisogno di perfezione in tutte le sue esecuzioni - improvvisazioni incluse.

Non sarei mancato comunque il 24 luglio scorso al taglio del nastro della settima stagione artistica del Festival Organistico del Salento, non soltanto per gratificare gli sforzi degli incrollabili organizzatori, ma proprio per la mia direi quasi innata passione nei confronti di uno strumento che può riservarti mille sorprese, e parimenti per la responsabilità che avverto nel mio essere salentino: certi beni culturali locali come gli organi a canne (antichi e moderni) si salvano solo attraverso la coscienza, risultato del processo di partecipazione di un popolo.   

 

Canto notturno di un pastore ...

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