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Povertà ricca
Di Marcello D'Acquarica (del 18/10/2022 @ 13:46:47, in NohaBlog, linkato 599 volte)

La poesia “A Livella” di Totò si basa su un concetto chiave: la morte rende tutti uguali, ricchi e poveri. Ma a pensarci bene, non è solo sorella morte a fare di noi tutti un minestrone: in un certo senso pure l’immondizia rade a zero titoli e galloni, poveri e ricconi.

Di cosa stiamo riempiendo le discariche e, in mancanza, le campagne con i nostri 500 kg pro capite all’anno di rifiuti è sotto gli occhi di tutti. E se non lo vediamo ce ne accorgiamo tramite le nostre malattie, sempre più numerose, sconosciute, devastanti.

Mi sono voluto per così dire dilettare nel mettere a fuoco, nel senso di provare a osservare attentamente, alcuni oggetti fra le centinaia di migliaia di inutili schegge e frammenti di cocci di terracotta sparsi ovunque. Il Salento è un museo a cielo aperto. Basta scandagliare gli oggetti con una buona luce diurna, e non è difficile scorgere in mezzo al pietrame,  tra le zolle, ai bordi delle strade di campagna, a ridosso dei muretti a secco, e soprattutto in prossimità di antichi casolari, furnieddhri, masserie o casali di pertinenze monastiche, per esempio in località Santu Totaru a Noha e in località Badia di Cutrofiano, pezzi archeologici della vita che fu. Ormai è tutto macinato da secoli di lavorazione della terra, soprattutto in questi ultimi anni, dove si è visto l’abbandono delle strutture murarie sopravvissute all’incalzare di questa fervida economia del tutto e subito, e osservare la terra, anche se ultimamente viene sottoposta a cicli continui di pesanti trattamenti meccanici. Tutto ciò ha portato ulteriore distruzione di quel poco che si era salvato.

Ma basta aspettare la pioggia che dilava un po’ la superficie e con i raggi del sole appaiono brillanti come stelle. Sembra che siano lì a chiamare senza voce, ad attrarre la nostra attenzione, a volerci raccontare le loro storie, di mani di massaie che impastano il cibo o che lavano i panni, di fanciulli che bevono nelle piccole scodelle, di uomini arsi dal sole cocente e dalla dura fatica che stringono ancora nelle mani quei manici di boccali con la razione di acqua quotidiana. Ogni frantume si ricollega ad un altro, e messi insieme si radunano come per magia come su tavolate imbandite da famiglie numerose, nelle “rimese” di ritorno dal lavoro dei campi. D'altronde secoli di storia intensa non possono scomparire nel nulla.

Non importa se hanno 50, 100 o più di mille anni, conta la loro resistenza. Sono oggetti che hanno aiutato a vivere persone i cui corpi sono oramai inesistenti.
Oggi sono gli unici testimoni della fame e della sete placate, sono il nostro passato, il tempo narrato sugli usci delle case e qualcuno scritto nelle pagine dei libri. 
La modernità invece macina tutto con veemenza per soddisfare i nostri vizi. Ché di virtù manco l’ombra.

Marcello D’Acquarica

 

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