Di Antonio Mellone (del 03/04/2021 @ 19:57:36, in NohaBlog, linkato 922 volte)

Ci sono parole che si rovinano, invecchiano rapidamente, rischiano di dire il contrario di quel che avrebbero voluto, forse perché esauste, proferite con superficialità quando non in mala fede, ripetute a pappagallo, dunque razziate dal potere. Senza andare troppo lontano basti pensare a Crescita, Sviluppo, e ultimamente anche Economia Circolare, Sostenibilità, Resilienza, e ulteriori lemmi o locuzioni da Recovery. Del resto la storia è costellata dagli espropri dei vocabolari più che da quelli proletari, essendo il vocabolario probabilmente uno dei beni più preziosi di un popolo, che dico, di ciascun individuo (onde il povero don Milani aveva ragione due volte).

Altre parole sono sulla buona strada del loro (e nostro) logoramento, vista la puntualità svizzera con la quale vengono utilizzate in convegni o in programmi elettoral-amministrativi. Mi riferisco a Riqualificazione e a Valorizzazione. Ricordo, così solo per fare due esempi, che in loco era considerata Riqualificazione (e temo lo sia tuttora per molti conterranei) la trasformazione di ventisei ettari di campagna galatinese in un mega-parco commerciale; e si continua senza alcun ritegno a parlare di Valorizzazione financo della basilica di Santa Caterina d’Alessandria, manco fosse una merce da prezzare sul mercato o un business da quotare in borsa.

Ebbene, personalmente considero valore ciò che per altri (tanti altri) temo sia un disvalore. E viceversa. Tipo il turismo quale “volano” (anche Volano non scherza) di tante belle cose, mentre io ne provo perfino orrore, attesa la visione predatoria peculiare di molti fenomeni di massa, perniciosi anzichenò per loro stessa indole.

È inutile dire quanto l’abbandono del natio borgo selvaggio, più prosaicamente paesino, sia ormai una malattia conclamata, una vera pandemia con un indice Rt strettamente maggiore di uno (e non mi si dica che scimmiotto i virologi, ché l’Rt lo studiai in Statistica qualche decennio fa). Al di là delle buone intenzioni e delle eccezioni, la regola aurea sembra essere quella della forza centripeta il cui centro di gravità permanente diventa la città (preferibilmente metropolitana) con connesso spopolamento della provincia. Si tratta di un discorso sistemico, voluto dalla classe dominante e dai suoi caporali dotati di un iban da impinguare oltremodo, tanto i gregari si trovano sempre in abbondanza e perlopiù gratis.

 
Di Antonio Mellone (del 18/04/2021 @ 18:54:59, in NohaBlog, linkato 996 volte)

Cari partiti o movimenti o liste civiche, tanto sempre là stiamo, sembra che di questi tempi abbiate ritrovato una verve dialettica, una vis polemica (vabbè comica), quando non una vena poietica che non si vedevano dalle precedenti amministrative per l’elezione del Consiglio e del Sindaco (s’intende quello con la maiuscola) del nostro povero comune. Non passa settimana che non si legga in giro, tra un dato dei contagi e uno dei Recovery, qualche comunicato-stampa dei vostri. Ma cosa v’è preso? Guardate che le votazioni sono ancora ben lontane dall’esser celebrate, seppur ci venissero gentilmente concesse, e di questo passo vi arrivereste spompati.  

A scanso di equivoci vorrei premettere che noi di Noha.it siamo di bocca buona, così tanto che abbiamo accolto e continuiamo ad accogliere per la loro pubblicazione veline di cani e porci. Basterebbe farsi un giro nell’archivio relativo alla diciamo politica locale e nazionale per rinvenire scritti, video, interviste, dichiarazioni, lettere aperte (mai una volta chiuse) e comizi di personaggi pneumaticamente defunti (r.i.p.) che con sintassi, grammatica ma soprattutto logica avevano lo stesso feeling che Erode doveva avere con gli innocenti.

Ergo lungi da noi, per carità di patria, qualsiasi intento censorio o peggio ancora intimidatorio nei confronti di chicchessia, tipico di chi è in contenzioso personale con la democrazia più che con qualche voce stridula; ma abbiate pazienza e prendete pure queste righe come una preghiera, un appello, anzi come una consulenza spassionata gratis et amore Dei.

Non è nostra intenzione stilare qui di seguito un decalogo del perfetto comunicato stampa, ma vivaddio almeno l’essenziale, tipo: la buona creanza di cambiarne l’immagine a corredo se non proprio la forma dell’elaborato per ogni sito internet destinatario (o pensate siano encicliche, le vostre?); l’accortezza di non firmare in calce lo scritto se nel testo il firmatario viene intervistato in prima o in terza persona da se medesimo; ma soprattutto, ove possibile, attenzione a non tradire la Politica tre volte prima di sentir cantare il gallo due volte. Guardate, ci sono così tante cose belle da leggere, libri, poesie, articoli, vedere video e film, per cui sottrarre tempo prezioso con certi interventi è un vero e proprio delitto. E mi riferisco al tempo reciproco: vostro nel mettervi a tavolino a battere su quella tastiera (che non è un marciapiede) e nostro nel leggervi (che non può trasformarsi in reggervi). Ma tant’è. 

 
Di Antonio Mellone (del 09/05/2021 @ 11:03:25, in NohaBlog, linkato 708 volte)

Mo’ non è che per forza di cose vogliamo fare i bastian contrari cambiando una preposizione articolata (da della a alla) e far vedere che noialtri siamo assolutamente impermeabili alla retorica (ché fino a prova contraria la Retorica è un’arte): è che ci piace vedere le cose diciamo da un altro punto di vista.

Ebbene, sin dal primo mattino sui social network è tutta una pioggia di cuoricini, alcuni pure palpitanti, a ricordarci (se per caso ci fosse sfuggito) che oggi ricorre la “Giornata nazionale della madre e del fanciullo”, istituita dal fascismo e festeggiata per la prima volta nel 1933, con la premiazione delle “riproduttrici più prolifiche a maggior gloria dell’impero” e dunque della sua potenza demografica.

E siccome a quanto pare la storia non fa salti (ma evidentemente procede di ventennio in ventennio), nell’attuale regime delle magnifiche sorti e progressive del Recovery Plan che più resiliente non si può, siamo nel bel mezzo della “valorizzazione” della madre, sulla quale bisogna “investire” con un “cambio di passo”, trattandola da vero e proprio “capitale umano”. Insomma merce da outlet e linguaggio da Figliolo più che da madre.

E tutti questi “investimenti” non sono mica validi per tutte le mamme del mondo: solo per quelle sfruttate, subordinate, in nero, discriminate, sottopagate e precarie; ché le mamme potenti (il panorama imprenditoriale e politico è pieno di Marie Antoniette, Ferragni, Moratti e Marcegaglie varie) sono piene fino al collo di tanti problemi, e non sanno come far prima a prevaricare generi, diritti e classi fino a quel tanto che basti per non cagionare fastidiosi dissensi, critiche antisistema, e perniciose lotte intestine. Che ne sapete voialtri: la lotta di classe dei ricchi meritocratici contro i poveri comporta immensa fatica eh.  

Ci verrebbe da augurare alle madri più salute (ma temiamo che nel presente ventennio questo comporti più soldi alle cliniche profit, ovvero più “riordini ospedalieri”), meno fatica (ma c’è il rischio che lo smart-working s’insinui in casa come manco la pandemia, e con l’aggravante del cottimo), più tempo libero (nel linguaggio del regime investimenti in asili privati), più diritti (chiamano così i rovesci, anzi i manrovesci)…

Non ci rimane che l’omaggio alla madre dei fiori spontanei fotografati qualche giorno fa nei pressi della villetta Madonna delle Grazie: quei fiori anarchici definiti “erbacce infestanti” quando non addirittura “pericolose” da parte del solito Partito Diserbante. Questi fiori siano il segno della Resistenza e non della resilienza a ogni forma di sfruttamento e, vista la giornata consacrata, di riluttanza a ogni festeggiamento retorico da parte di un sistema neoliberista che cerca di convincerci (decespugliatore letterario e letterale alla mano) che non esistono alternative.

Antonio Mellone

 
Di Antonio Mellone (del 22/05/2021 @ 14:37:55, in NohaBlog, linkato 951 volte)

Ho sfidato, e più volte, la zona rossa per recarmi da Fiordilibro, la libreria della Emilia Frassanito. Voglio dire che ho azzardato l’allontanamento da Noha per quasi tre chilometri diretto alla volta di Galatina al numero 31 di corso Vittorio Emanuele, meglio conosciuta come via dell’Orologio, a dispetto delle norme che se non imponevano la clausura cenobitica ti concedevano al massimo un giretto attorno alla tua abitazione purché munito di scarpette da ginnastica. A meno, s’intende, di rigorose motivazioni da riportare su foglio ministeriale prestampato altrimenti detto autocertificazione (mica semplicemente certificazione o dichiarazione), motivi, dicevo, legati a salute, lavoro, o a casi di improcrastinabili urgenze. E io ho sempre avuto con me tutte e tre le giustificazioni: le questioni sanitarie legate alla mens sana, quelle lavorative (non puoi occuparti di economia senza l’aiuto di altri autori non economisti), e infine quelle dei bisogni primari: per alcuni i libri sono infatti aria, acqua, generi alimentari di prima necessità e non c’è Rider che possa sostituirsi al destinatario per il loro trasporto.

Se poi mi avessero fermato i vigili urbani, dirimpettai della Fiordilibro, credo che mi avrebbero graziato: non perché dotato di pass acquisito sul campo dopo un articoletto a loro dedicato poco tempo fa (e credo valido per almeno un semestre), ma per il fatto che sono certo che persino per gli uomini in divisa è sempre cosa buona e giusta fare un salto nelle botteghe di parole.

 
Di Antonio Mellone (del 07/06/2021 @ 00:00:00, in NohaBlog, linkato 1046 volte)

Nella mia vita ho conosciuto un bel po’ di pazzi, ma mai uno lucido come P. Francesco D’Acquarica. Ormai ci conosciamo da diversi lustri e la sua follia principale (che invero ci accomuna) è Noha. Oddio, lui ha iniziato per primo quando io non avevo ancora diciamo il lume della ragione, ma certe malattie – dovremmo averlo ormai ben compreso - fanno presto a trasformarsi in epidemie.

Tutto partì allorché questo ragazzo - classe 1935, e oggi 7 giugno compie 86 anni - trovò per caso nella sacrestia della nostra chiesa madre un libretto di tal prof. Gianferrante Tanzi edito nel 1906, nel quale si raccontava di una Noha ricca di storia e di vestigia importanti e non certo di un insignificante agglomerato di case con un nome strano, come qualche politico locale dalle lenti un po’ appannate aveva cercato di far passare insieme al suo codazzo, probabilmente pure in mala fede.

Francesco D’Acquarica dunque non si dà per vinto, e da visionario qual è (non per nulla è anche un missionario), quando torna a Noha dai suoi giri intorno al mondo continua a cercare notizie, documenti d’archivio, testimonianze, reperti archeologici, ma soprattutto i sentimenti costitutivi dell’identità nohana e quindi del suo genius loci: mai arrendendosi di fronte a una certa sociologia spicciola, anzi se possibile con ancora più slancio davanti al rischio di derisione e quindi di pregiudizio così comuni in ambienti delimitati da confini provinciali.

 
Di Marcello D'Acquarica (del 19/07/2021 @ 21:10:43, in NohaBlog, linkato 973 volte)

Di questi tempi, dove una tenda da bagno si compra in qualsiasi centro commerciale, fatta di plastica e sigillata a sua volta in altra plastica, dove un copriletto o una tovaglia contano poco e se non dovessero esserci se ne fa volentieri a meno, tanto anneghiamo in fronzoli di benessere (si fa per dire) usa e getta, di questi tempi, dicevo, ammirare un bellissimo copritavolo in vero velluto, datato almeno un secolo, be' c'è da fermare i pensieri in attenta e oculata ammirazione. Soprattutto se quella tovaglia sopravvissuta a cento anni di discariche convulse, mostra rose colorate intercalate fra ghirlande e cinguettii di uccelli variopinti. Si presenta così, in tutto il suo splendore questa opera d’arte del nostro pittore Michele D’Acquarica, nato a Noha nel 1886 e poi vissuto a Cutrofiano fino al 1971, dove ha trovato il riconoscimento per le tante opere donate a quella comunità.

Siamo intorno al 1920, quando la Sig.ra Vincenti Leonarda, moglie di Giovanni Nocera (1863–1956), decide di
regalare alla figlia Angela Nocera, sorella della mamma di Gugliersi Maria, a sua volta mamma di Antonella Costa (che oggi ci fa l'onore di ammirarlo) il copritavolo di velluto, fatto dipingere da Michele D’Acquarica, mio zio.

 
Di Antonio Mellone (del 27/09/2021 @ 10:09:07, in NohaBlog, linkato 1125 volte)

Non è elegante accingersi a vergare un breve ricordo di “tanto raggio” partendo da una diciamo autocitazione. Però, un po’ per far meglio comprendere il fatto e un po’ per la faccia tosta che mi ritrovo, la faccio ugualmente.

Allora, vergin di servo encomio e ovviamente di codardo oltraggio, nell’aprile del 2007 per i tipi di Infolito Group (Milano) uscì, con molte, molte licenze poetiche, un mio libello di “Scritti in onore di Antonio Antonaci”, prefato da par suo dal prof. Zeffirino Rizzelli.

E qui potrei chiudere il discorso rinviando il lettore a quel volumetto rabberciato alla men peggio (ma meglio di così, scusate, non saprei fare), reputando concluso questo mio intervento in memoriam e lasciando finalmente in pace questa tastiera. Invece no.

*

Conobbi, dunque, il prof. mons. Antonio Antonaci (io però l’ho sempre appellato con il solo titolo accademico) partendo dalla fine, voglio dire dalla sua ultima creatura in termini volumetrici, cioè il monumentale Galatina – Storia e arte (ed. Panico, Galatina, 1999) che acquistai nel 2002 presso la Libreria Viva. Orbene, dopo aver divorato, compulsato e preso nota di molte cose contenute in quelle oltre mille pagine curatissime, non rammento bene a chi chiesi come potevo fare per incontrarne l’autore. Sta di fatto che l’auspicato convegno avvenne nella tenuta di Sirgole, feudo di Noha, dove Monsignore villeggiava nella sua graziosa casetta, sul finire dell’estate di quell’anno, precisamente il 19 ottobre del 2002. La scusa fu l’autografo da far apporre sulla prima pagina di quel ponderoso tomo, che dunque portai con me ben allacciato al portapacchi posteriore della mia bicicletta. Fu questo l’inizio delle mie visite al Professore che avvenivano nel corso dei fine settimana, non tutti ma molti, di ritorno dal barese dove allora come ora (ma ora giocando praticamente in casa) prestavo la mia attività lavorativa alle dipendenze di un istituto di credito.  

 
Di Antonio Mellone (del 28/09/2021 @ 15:10:55, in NohaBlog, linkato 1238 volte)

Per via di un virus e quindi delle norme che permettono folle soltanto dove conviene al capitalismo trionfante, la festa di San Michele Arcangelo, patrono di Noha, si tiene ancora una volta in maniera, diciamo, mistica, ma al contempo con alcuni interessanti ritorni di fiamma.

Intanto torna a far capolino il mercatino (in barba ai centri commerciali), il luna park di quartiere (a dispetto del fatto che il Salento è ormai tutto un parco tematico), le bancarelle di scapece e mustaccioli, noccioline e zucchero filato, pezzetti e braciole (non si può mica compensare ogni carenza d’affetto al Mc Donald’s), e si riascoltano finalmente i preludi e le arie dell’opera, le marcette e l’inno al Santo Patrono per le note del Concerto bandistico di Noha. Per fortuna qui il senso di comunità non è stato ancora smarrito, nonostante le community sembrino brillare dagli schermi degli smart-phone più delle luminarie.

Ebbene sì, il nostro San Michele non è tipo da abbassare la cresta, ovvero il pennacchio; e imperterrito, nonostante restrizioni e green pass, continua a mostrarci lo scudo con impresso il suo motto antico: Quis ut Deus.

Oltretutto quest’anno, settecentesimo della morte di Dante Alighieri, se permettete lo fa anche con un pizzico di orgoglio in più: in sostanza - immagino lo sapevate già - senza il nostro Arcangelo non ci sarebbe stata nemmeno la Divina Commedia.

Tutti sanno che l’Inferno è come una grande voragine, a Noha diremmo vora, a forma di imbuto culminante al centro della terra. Orbene, questo burrone che si apre nei pressi di Gerusalemme fu causato dalla caduta di Lucifero (l’angelo più bello che si era ribellato a Dio, avendo osato alzar le ciglia - “contra ‘l suo fattore alzò le ciglia” - Inf. XXXIV, verso 35) allorché fu scaraventato dal Paradiso sulla terra in seguito alla battaglia condotta e vinta in cielo da Michele e dai suoi angeli. Sicché la terra in seguito a questa caduta si ritira per paura, ripugnanza e orrore formando un buco per poi ricomparire dall’altra parte dell’emisfero terracqueo al di là dello stretto di Gibilterra “dov’Ercule segnò li suoi riguardi” (Inf. XXVI, verso 26), come una enorme montagna: quella del Purgatorio, “... n’apparve una montagna, bruna / per la distanza, e parvemi alta tanto / quanto veduta non avea alcuna” (Inf. XXVI, versi 133-136).

Il Poeta dunque è grato al principe degli angeli citandolo nel canto VII dell’Inferno come colui che, come detto sopra, “fe’ vendetta del superbo strupo” (Inf. VII, verso 12). E quasi certamente il Messo celeste inviato ad aprire con una verghetta le porte della città di Dite, sbarrate dalla tracotanza dei demoni, è lo stesso San Michele (Inf. IX), onde il viaggio oltremondano di Dante e Virgilio poté finalmente riprendere.

Infine il Paradiso. Gli angeli non sono che puri spiriti, però gli uomini han bisogno di immagini per rendere sensibile l’essenza delle verità eterne e per raffigurare i misteri ineffabili. E dunque, dice Dante, come le Sacre Scritture attribuiscono sembianze umane a Dio, con mani e piedi, e aggiungiamo noi con occhi, barba, vestiti, eccetera, così anche agli angeli si conferisce apparenza umana, bellissima ma immaginaria per condescendere alla facultate dell’uomo, che è l’immaginazione la quale a sua volta richiede una rappresentazione: dunque si arriva necessariamente a rappresentare in forma sensibile una realtà ultrasensibile – “Per questo la scrittura condescende / a vostra facultate, e piedi e mano / attribuisce a Dio e altro intende; / e Santa Chiesa con aspetto umano / Gabriel e Michel vi rappresenta, / e l’altro che Tobia vi rifece sano” (Par. IV, versi 43 – 48).

E così le belle e storiche effigi del San Michele nohano (cioè la statua in cartapesta e la scultura dell’altare barocco in chiesa madre, il simulacro in pietra leccese ricoverato al museo di Galatina e l’affresco di via Calvario) sono Arte, vale a dire alate fantasie poetiche con le quali viene rappresentata in forma sensibile la “Gloria di Colui che tutto move” (Par. I, verso 1), e dunque anche la sconfitta del drago o serpente primitivo.

Chissà quanti, approfittando dell’appuntamento, riusciranno a cogliere per similitudine, analogia o metafora, l’urgenza di una novella lotta alle seduzioni degli immarcescibili Draghi.

Antonio Mellone

 
Di Antonio Mellone (del 15/10/2021 @ 21:36:17, in NohaBlog, linkato 932 volte)

Mi sa tanto che l’altra sera il “Festival dei due mondi” ha fatto tappa a Soleto. Ma non perché gli artisti coinvolti si siano sbagliati digitando sul navigatore Soleto anziché Spoleto (il t9 a volte fa danni inestimabili, ma molti meno di quanti non se ne possano imputare a Google Maps), ma perché l’atmosfera della circostanza non differiva punto da quella che si respira nel corso dei diciassette giorni dell’ultra-sessantennale rassegna internazionale umbra fatta di musica e libri, teatro e cinema, danza e marionettistica.

Il concorso nostrano si chiama invece “Festival organistico del Salento”, è giunto alla sua settima edizione (altro che crisi del settimo anno), annovera diverse tappe nel tacco d’Italia, non pretende (incredibile ma vero) un biglietto d’ingresso, e soprattutto prova a proiettarti in altri mondi: quelli degli spiriti liberi refrattari all’atrofia delle facoltà intellettuali, e dunque più reali e veri dell’attualità fasulla basata spesso e volentieri sulle narrazioni uniformanti così gradite a poteri forti e deboli (nell’un caso o nell’altro, come diceva il Faber, non ne esistono di buoni).

In breve, il cinque ottobre scorso, “quasi conflati insieme”, parlerei pure di una congiunzione astrale, due maestri, un prete, un antico organo e un flauto, una chiesa roccocò linda e tra le più eleganti del Salento, e un uditorio attento e colto (nel mio caso sul fatto) han dato origine a un “incantamento” di raro charme.

 

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