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Di Raimondo Rodia (del 08/02/2025 @ 19:21:33, in Storie dal Salento, linkato 99 volte)

Era il 1724, sono 300 anni dalla costruzione della chiesa del Carmine a Galatina e non sentirli. Tutto nasce con un affresco del XV secolo inizialmente nato come edicola votiva, poi nel XVII secolo diviene il primo fulcro della futura chiesa del Carmine a Galatina. La Madonna col bambino viene rappresentata alla maniera bizantina, una Madonna intenta ad allattare Gesù bambino, il dipinto era conosciuto a Galatina però come Madonna del Muro, essendo un edicola nei pressi di un importante baluardo posto sulle mura cittadine. Intorno a questa bellissima immagine si ricostruisce e nasce la nuova chiesa del Carmelo nel 1724. Dopo che i Carmelitani avevano già creato il loro convento conosciuto a Galatina come " l'Ospedale Vecchio " essendolo stato veramente tra il 1844 ed il 1963. Uno dei tesori conservati nella chiesa del Carmine a Galatina è sicuramente il presepe modellato nella tenera pietra leccese da Mauro Manieri nel 1736. Un opera completa con alcuni particolari trattati con il prezioso oro zecchino, la tecnica conosciuta come foglia d'oro, mentre profondità, prospettiva e tridimensionalità rendono questo presepe una vera è propria meraviglia. I committenti dell'opera fu la famiglia Tanza che a imperituro  ricordo pone il suo scudo araldico. Che dire poi del magnifico controsoffitto dipinto nel 1915 dal celebre Agesilao Flora. Interessante anche il finto stucco marmoreo. Altra opera magnifica il portale in legno intagliato presente all'esterno della chiesa della Madonna del Carmine a Galatina. Un portale ricco di personaggi alquanto strani, si passa dai Diavoli magri, a quelli grassi, diavoli che mostrano il profilo destro ed altri il profilo sinistro, alcuni sono invece dei Mascheroni apotropaici ed ancora il Dio Pan, la svastica ed altro. Tutto questo nasce nel 1745 dalla maestria dell'ebanista mastro Donato Costantino che crea un immaginario fantastico e mette la propria firma.

Raimondo Rodia

 
Di Raimondo Rodia (del 04/02/2025 @ 08:15:03, in Storie dal Salento, linkato 228 volte)

Mi sono sempre chiesto perchè a Tuglie non ci fosse una chiesa dedicata a Sant’antonio di Padova co-patrono insieme a San Giuseppe e la Madonna dell’Annunziata del paese. La risposta l’avevo proprio in casa legata alla mia famiglia. Sapevo che la famiglia Cuppone, in particolare Michele Cuppone, nonno di mia madre Graziella e quindi mio bisnonno aveva legato ad un ex voto una statua in cartapesta del santo lusitano. La statua in cartapesta quando ero piccolo si trovava nella parrocchia di Santa Maria Goretti nel mio quartiere Aragona ( Raona in dialetto ). Ricordo un episodio, Don Dante Garzia, parroco della chiesa del quartiere che com'era consuetudine benedice la casa dove abitavo con i miei genitori in via Vittorio Veneto ed ecco che arriva una supplica di mia madre al parroco per poter leggere un passo dei Vangeli durante la messa domenicale, lodando le mie doti. Avvenne così che arrivò la prima domenica in cui dovevo leggere in chiesa, mia madre era più ansiosa di me e mi vestì di tutto punto ed anche se avevo massimo 10 anni, ricordo perfettamente che mi fece indossare per la prima volta una cravatta a cui un minuto prima aveva fatto il nodo. Mi accompagnò in chiesa ed io mi sedetti in prima fila con altri ragazzi del catechismo, pronto a scattare all’invito del prete a leggere un passo delle scritture, intanto mia madre si defilò qualche panca più indietro e sedette anche lei in attesa della mia esibizione. Presto arrivò il momento di essere chiamato all’ambone per leggere e non ricordo come andò, ma sicuramente bene, orgogliosamente mia madre mi raggiunse sorridente alla fine della messa ed andammo insieme a salutare il parroco Don Dante.

Mentre uscivamo dalla chiesa mano nella mano, mia madre si fermò davanti alla statua di Sant’Antonio, fece sottovoce una preghiera e mi fece notare indicandola prima di andare via una targhetta posta alla base in legno della statua del santo dei miracoli, il taumaturgo per eccellenza, in quella piccola targhetta vi era scritto ” MICHELE CUPPONE IN RINGRAZIAMENTO FECE 1918 “, non aggiunse altro ma gli brillavano gli occhi. Così anni dopo ho scoperto il voto del mio bisnonno, la statua venne fatta fare da Michele Cuppone dopo la prima guerra mondiale 1915-18 in ringraziamento per il voto fatto alla partenza per la guerra del figlio Antimo ( mio nonno Gaetano era piccolo per fare la grande guerra ) e dei due generi Saulle Montefusco e Quintino Gnoni.

 
Di Raimondo Rodia (del 03/02/2025 @ 08:42:01, in Storie dal Salento, linkato 145 volte)

La chiesa oggi conosciuta a Galatina come San Biagio era intitolata inizialmente con il vicino convento olivetano che non esiste più a Santa Caterina Novella per distinguerla della più antica basilica di Santa Caterina d'Alessandria d'Egitto. Dopo anni di dispute tra Olivetani ( Benedettini del Monte Oliveto in provincia di Siena ) e Francescani nel 1507 si raggiunse un accordo per cui i francescani ritornavano in possesso della basilica e del convento addossato ad essa, mentre gli Olivetani mantenevano il potere di amministrare i beni dell'ospedale di Santa Caterina che erano un vero staterello, all'ospedale pagavano le tasse Aradeo, Bagnolo del Salento, Torrepaduli, casali non più esistenti come Petrore, Santa Costantina, Tabelle, Sfalongano, Igniano ( attuali Cenate e Santa Caterina marina di Nardò ) Collemeto, Santa Barbara. Gli Olivetani denominati " Bianchini " a Galatina per le loro vesti candide a partire dal 1507 costruirono fuori dalle mura cittadine Chiesa e Convento. Dopo più di un secolo ancora si lavorava alla fabbrica terminata nel 1612. Nel 1892 divenne sede della confraternita di San Biagio e dopo tante vicissitudini divenne parrocchia con il nome di San Biagio.

 
Di Raimondo Rodia (del 02/02/2025 @ 07:59:13, in Storie dal Salento, linkato 227 volte)

Esiste un pozzo magico a Noha con un nome strano, La Trozza, un pozzo inesauribile come scolpito sul lato in latino "Disseto e non mi Esaurisco 1878 ", mentre dal lato opposto lo stemma della famiglia Congedo, le iniziali H e C stanno per Horatio ( Orazio ) Congedo, costruttore e proprietario del pozzo che dava l'acqua a Noha ed ai suoi abitanti in cambio di un piccolo contributo.

Al pozzo lavoravono almeno due operai che versavano l'acqua che veniva tirata su dalle profondità della terra a forza di braccia ed argano tiravano fuori dalle profondità della terra fino ai 92 metri il prezioso liquido.

L'acqua arrivata poi in superficie veniva versata nei due contenitori posti ai due lati, uno o due altri operai incassavano il contributo e facevano riempire le " menze ", recipienti di rame zincata ai clienti.

Questo commercio dell'acqua avvenne fino all'arrivo dell'Acquedotto Pugliese che qui arrivo intorno al 1930.

 
Di Raimondo Rodia (del 01/02/2025 @ 08:17:17, in Storie dal Salento, linkato 377 volte)

Era un’alba fredda e nebbiosa quella del 1 febbraio 1970 sulle serre che dominano Porto Badisco. Nonostante l’inclemenza del tempo, un gruppo di persone cercava un varco da terra in cui poter accedere ad un complicato reticolo di grotte.

Quel mattino erano in cinque: Isidoro Mattioli, Severino Albertini, Remo Mazzotta, Enzo Evangelisti e Daniele Rizzo, tutti appartenenti al gruppo speleologico Pasquale De Lorentiis di Maglie. Quella mattina per uno di loro diventò la più bella scoperta ma anche più in là, la più brutta, per il futuro suo e dei suoi compagni.

Lui si chiamava Severino e quella mattina fece un gesto che cambiò la storia dei luoghi e dei cinque scopritori. Un impellente bisogno naturale di defecare lo fece allontanare dai compagni ed espletato il gesto notò un fatto alquanto strano, dal cumulo di cacca appena fatta il fumo del calore invece di andare verso l’alto veniva risucchiato verso il basso, quasi inghiottito, spaventato, chiamò i restanti compagni ed indicò lo strano effetto del vapore di calore nell’aria fredda di quel mattino d’inverno.

Uno di loro scostò il maleodorante cumulo ed ecco spiegato il motivo, un buco sotto di esso, ma mentre osservavano il buco, un grosso serpente nero esce dallo stesso, neanche il tempo per pensare che arriva un altra apparizione spaventevole, una vecchia vestita di nero, biascicando con voce greve apparendo tra le brume del mattino, si staglia quasi a mezz’aria.

Nessuno di loro capisce il messaggio della vecchia, che parla per oltre un minuto e scompare improvvisamente come era apparsa.

Ricostruendo insieme la vicenda l’uniche parole che ognuno di loro ricorda sono : ” Se avete trovato il serpente, avete anche trovato l’acchiatura ” ( così viene chiamato il tesoro nascosto nel Salento ).

 
Di Raimondo Rodia (del 31/01/2025 @ 08:08:54, in Storie dal Salento, linkato 198 volte)

A Santa Eufemia un piccolo borgo oggi periferia storica ed interessante di Tricase sul lato Sud della chiesa matrice dedicata alla santa adorata dai cavalieri Templari in bella mostra osserviamo un sudoku particolare. Addizionando da destra a sinistra o viceversa, incrociando le diagonali a croce di Sant’Andrea, da sopra verso sotto, in colonna dall’alto in basso o viceversa, il risultato numerico dei quattro numeri da come risultato sempre 33. Un quadrato magico, un numero magico con tante implicazioni, come nel Sator un numero palindromo che regala fortuna ed opportunità di cambiare. Il quadrato con gli stessi numeri in serie che ritroviamo in un quadrato omonimo che si trova nell’incompiuta opera di Gaudì la ” Sagrada Familia ” a Barcellona. Si devono all’architetto Joseph Maria Subirachs alcune statue all’ingresso della cattedrale di Barcellona ed il quadrato magico che ritroviamo anche a Sant’Eufemia. Questa tabella non è propriamente un quadrato magico perché non contiene tutti i numeri da 1 a 16. Mancano il 12 e il 16 mentre il 10 e il 14 sono ripetuti due volte. Altra incredibile curiosità giocando con i numeri compaiono due volte il 10 ed il 14. La loro somma è 10+10+14+14 = 48. Ma 48 è anche la somma delle lettere ridotte a numeri in numerologia dove A sta per 1, B per 2 fino ad arrivare che I è 9 e via discorrendo usando l’alfabeto latino, la parola INRI = 9+13+17+9 = 48. Ma torniamo al 33 come numero per scoprire che semplicemente 33 sono i suoni della lingua italiana, 33 le vertebre del nostro corpo. 33 l’età di Cristo alla sua morte e resurrezione, il numero dei giri dei dischi long playing, il numero atomico dell’Arsenico, il punto di ebollizione della scala Newton. La Cina e l’Indonesia hanno 33 provincie e 33 sono le isole nel Pacifico della repubblica di Kiribati. Incredibilmente il 33 è il più alto grado del Rito scozzese antico riconosciuto nella Massoneria, il regno di Davide durò 33 anni mentre il pontificato di Giovanni Paolo I durò 33 giorni. Sulla Bibbia per 33 volte troviamo menzionato Dio nella Genesi, secondo l’Islam in Paradiso i morti hanno 33 anni, infine 33 è anche l’età in cui Giuseppe sposa la giovanissima Maria. Ricordiamo che l’alfabeto Cirillico è formato da 33 lettere e quello Copto di 33 simboli. La Divina Commedia di Dante è composto da 100 canti suddivisi in tre cantiche di 33 canti ciascuna, più un canto introduttivo posto all’inizio dell’Inferno. Il medico durante la visita generale ci fa dire 33 ed un famoso scioglilingua racconta che 33 trentini entrarono a Trento ecc. Il numero 33 indica che le capacità psichiche e i doni spirituali si stanno risvegliando. Poi dopo tanto girovagare e dopo aver trovato tutti i simboli esoterici sparsi in Salento, finalmente in uno dei palazzi della famiglia Mory nella via omonima del centro storico di Galatina ho visto il quadrato magico che era stato seppellito sotto varie scialbature di calce che lo nascondevano. Il quadrato magico del Sator è un quadrato che invece che i numeri come il  " Sudoku " contiene lettere messe in modo palindromo. Letto in tutte le direzioni possibili da destra a sinistra o viceversa oppure iniziando in alto oppure in basso si legge sempre SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS. Molti affermano che sia un buon protettore apotropaico contro il maligno. Un mistero la sua esatta decifrazione.

Raimondo Rodia

 
Di Raimondo Rodia (del 25/01/2025 @ 08:24:38, in Storie dal Salento, linkato 167 volte)

Uno dei misteri più intriganti e meno conosciuti di Terra d'Otranto, che in parte sta per svelarsi è costituito da un misto di cavalleresco, religioso, con un pizzico di superstizione che non guasta mai. Il tutto miscelato con animali totemici spaventosi e una parte della gnosi cristiana non svelata. Questo mistero giace da secoli in un placido paese alle porte di Lecce, ovvero San Cesario di Lecce. Il mistero in questione si trova custodito all'interno di una chiesa dedicata all'evangelista Giovanni. E siccome l'intento nostro è quello di svelare i segreti in esso nascosti, ecco che già nel titolo della chiesa in questione si trova il primo riferimento esoterico-misterico. In prima battuta va messo in luce che, chi abita sul pianeta Terra ha nel Sole un punto di riferimento importante, oltre che la principale fonte di vita. Proprio per questo il nostro astro rientra in vari culti e teogonie, e ciò anche in una prospettiva simbolica. Il suo moto apparente simbolizza lo scorrere del tempo e marca il cambiamento delle stagioni. Ogni forma di passaggio (la porta appunto) viene associata al cambiamento, proprio come succede nei momenti solstiziali, nei quali il Sole col solstizio prende un nuovo corso, ovvero l’attraversamento della Porta del Cancro (giugno) e della Porta del Capricorno (dicembre). Bisogna tener conto degli insegnamenti del passato e dell’esperienza, per preparare l’umanità le vie del progresso futuro. Da sempre l’eterno dualismo degli opposti percorre la storia anche del pensiero filosofico fino ai nostri giorni. Ma veniamo al mistero di oggi, quello della chiesa di San Cesario di Lecce, ai segreti del sarcofago del cavaliere, mistero nel mistero: chi è e da dove proviene? Ad aumentare la suggestione la chiesa in questione si trova in via Caponic, che rimanda ad un quartiere che nel corso della sua storia ha visto la presenza di slavi provenienti dai balcani. E forse proprio da qui proviene la storia che siamo pronti a raccontare. Un tempo si diffuse la leggenda, per alcuni storia vera, di un gruppo di cavalieri, che sotto la protezione di San Cristoforo, combattevano la magia nera, trasformandosi in feroci Lupi Mannari, mangiando spesso il malvagio cuore di chi con magie e stregonerie induceva altri individui in schiavitù. Presto l'icona bizantina di San Cristoforo venne descritta in un corpo di cavaliere con la testa di cane. Ma siccome a loro volta un ordine settario e gnostico che della magia costituiva le basi fondative (quello della Rosa Blu) iniziò a combattere i lupi mannari e grazie al loro potere magico ed alla loro influenza politica fecero in modo di far sparire le icone con il santo con la testa di cane, simile peraltro ad Anubi, una divinità egizia, Dio della Mummificazione e dei Cimiteri, protettore delle necropoli e del mondo dei Morti. In questo intreccio terribile tra bene e male, quindi, nel territorio intorno al capoluogo Lecce nascono i cavalieri dell'ordine di San Cristoforo che combattono aspramente l'Ordine della Rosa Blu che sono invece dediti alla magia ed al sopruso. Ognuno di questi cavalieri riusciva a combattere gli affiliati alla Rosa Blu grazie alla trasformazione in Licantropo che conferiva a loro forza e velocità d'azione. Il maestro dell'ordine di San Cristoforo seppellito in un sarcofago strutturato in un unico blocco di pietra leccese, escluso un buco al centro nella parte bassa del sepolcro. Il nostro maestro protetto da sigilli esoterici potenti, come il "Centro Sacro" con graffito accanto un altro potente segnale come la "Triplice Cinta " ed una croce greca potenziata ed altri simboli nascosti apotropaici. La grandezza del maestro viene ricordata anche nell'acquasantiera con la doppia Croce di Lorena a ricordare le origini nobili del maestro dell'ordine di San Cristoforo. Il bellissimo viso dell'uomo della Sindone ricorda il luogo sacro ( Pleroma ) in cui il cavaliere e maestro grazie ai suoi compagni doveva anche dall'oltretomba proteggere ed aiutare la causa dei lupi mannari che combattono la "Rosa Blu " che causa ancora oggi l'imbruttimento della società attraverso l'abominio, la schiavitù ed il potere magico. Ma questo luogo protetto e nascosto venne profanato da alcuni membri dell'ordine della Rosa Blu che estraendo il sarcofago

 
Di Raimondo Rodia (del 24/01/2025 @ 08:36:01, in Storie dal Salento, linkato 490 volte)

Una volta il cinema nei piccoli paesi era un punto importante di ritrovo sociale, ora sono chiusi, contenitori vuoti senza un anima in attesa di chissà cosa che li riabiliti.

La mente cerca di immaginare quanta vita, quanti amori sono nati e vissuti tra queste sedie del palco ed il rialzo appena accennato della galleria, ora una coltre di polvere copre tutto.

Sembra tutto fermo, sospeso, la biglietteria, il foyer, il palco, le macchine per la proiezione della ditta Pion di Milano.

Questo il vecchio cinema Fiori a Noha un reperto storico proveniente da un altra epoca quella in cui la gente non si rinchiudeva in casa ma socializzava anche attraverso la magia del cinema. il cinema venne costruito nei primi anni cinquanta del XX secolo furono Ippazio Bianco con Giuseppe e Gerardo Specchia che vollero ai margini della piazza il cinema dei Fiori con 250 posti a sedere tra platea 200 posti e galleria 50 posti che era un piccolo rialzo in confronto della platea.

Oggi la proprietaria è Concettina Tundo e l'ultima volta che venne proiettato un film fu il 1977, ben 48 anni senza il buio in sala ed il rumore degli effetti speciali. Sarebbe un sogno rivedere rinascere questo luogo.

 
Di Raimondo Rodia (del 23/01/2025 @ 08:14:10, in Storie dal Salento, linkato 226 volte)

Molti rimarranno stupiti da questa mia affermazione, ma forse bisogna riscrivere la storia del grande letterato conosciuto col nome di William Shakespeare. Il personaggio aveva un altro nome ed un altra storia da raccontare. Allora proviamo a fare delle congetture. Alcuni studi recenti raccontano che William Shakespeare, lo scrittore inglese per antonomasia, non era inglese ma italiano, pare proprio che le più recenti ricerche dimostrino che tutti gli studiosi di letteratura e del teatro elisabettiano hanno preso un abbaglio: William Shakespeare era messinese, quindi italiano.
Tra gli studiosi c’è chi, analizzando la sua firma, ha sostenuto che non fosse neppure capace di leggere e scrivere. Uno studioso italiano afferma che Shakespeare non fosse altro che un prestanome di John Florio, poeta di origine italiane, attivo in Inghilterra nel ‘600, il fatto che su di lui esistano solo pochissimi documenti non fa che aumentare la curiosità. Poteva il figlio del guantaio di Stratford-upon-Avon essere l’autore di opere immortali come Romeo e Giulietta, il Mercante di Venezia, lo stesso Otello? O dobbiamo constatare che dietro il nome di William Shakespeare si potesse nascondere un altro nome, un altra storia, quella che lo scrittore Henry James definì nel 1903 “ la più grande e più riuscita frode che sia mai stata realizzata nei confronti di un mondo paziente ”. Da una storia da me ricostruita, la famiglia di Giovanni Florio alias  William Shakespeare era composta dal padre Michelangelo Florio autore tra l’altro di un racconto in dialetto messinese ” Tantu trafficu ppe nenti ” che ricorda non solo per assonanza al titolo, la più conosciuta ” Tanto rumore per nulla “, la madre Guglielma Crollalanza traduzione letterale al maschile in lingua inglese di William ( Guglielmo ) Crolla ( Shake ) Lanza o lancia ( Speare ), nome preso in prestito traducendo il nome e cognome della madre. La famiglia Florio perseguitata a Messina per essere calvinista, in un periodo dominato dall’inquisizione cattolica, scappa dal suo territorio e si rifugia nel Salento, forse a Galatina, dove prende il nome di una famiglia che secondo i documenti proveniva da Nardò o Gallipoli, vale a dire la famiglia Vignola. Perchè affermiamo questo?, per varie ragioni. La fuga dall’inquisizione doveva essere credibile il più possibile. La scelta di Galatina non è casuale, la famiglia Florio aveva proprio in Giovanni un grande linguista, che consigliò alla famiglia, la venuta nel Salento a Galatina, in un area linguistica greca. Il dialetto leccese e messinese sono similari proprio per la radice greca di molte parole dialettali. Inventano un nuovo cognome, anche con la complicità dei Vignola però mantengono lo stemma di famiglia della madre, lo stemma araldico dei Crollalanza. Proprio questo stemma si trova in piazza Vecchia è diviso a metà con i Tondi nel famoso palazzo delle Tarantate a Galatina. Sempre la nostra famiglia Florio ormai girovaga per sfuggire all’inquisizione, si trasferisce a Venezia proprio nel palazzo di un certo Otello che qualche anno prima aveva ucciso la moglie Desdemona per gelosia. Da qui tutta la famiglia si trasferisce a Milano dove il giovane Giovanni Florio si innamora di una contessina di nome Giulia ma le famiglie non approvano questo amore, facile pensare a due grandi opere di Shakespeare. Un passaggio nella patria di Lutero dove Giovanni incontra e nasce un amicizia con Giordano Bruno che finirà arso dal fuoco dell’inquisizione a Roma in campo de Fiori dove campeggia oggi la sua statua. Infine in Inghilterra dove l’abile linguista Giovanni divenuto John Florio apprezzato nella corte Elisabettiana sotto falso nome per coprire le sue origini italiane con l’aiuto del padre Michelangelo e dello stesso William Shakespeare scalcagnato attore di teatro creano i magnifici scritti ed opere. Il linguista Giovanni Florio in arte William Shakespeare abilissimo nel creare nuovi neologismi amplifica 60.000 parole italiane in oltre 150.000 parole inglesi.

 

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