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Di Raimondo Rodia (del 15/06/2025 @ 09:40:52, in Storie dal Salento, linkato 545 volte)

Il tema dell’emigrazione, il distacco tremendo dalla propria terra, dalle proprie origini, dalle radici più vere. Lasciare la propria terra per lavoro, studio o altro è sempre stato un tema toccante. Un dolore che si perpetua per chi è costretto a lasciare la propria casa e gli affetti per andare a trovare fortuna altrove.

Ma cosa rimane oggi del distacco dell’emigrante? In questo caso non vi è solo il bisogno della memoria per ricordare e rimanere legati alle proprie origini.

Gli emigranti di oggi hanno a disposizione, oltre a mezzi di trasporto più veloci ed economici, anche nuovi strumenti per rimanere in contatto con la propria città natale ( social network, mail, cellulare). E il più delle volte oggi non si emigra più con una valigia di cartone.

Chissà se qualcuno ricorda l'iscrizione posta all'ingresso di Galatina entrando da Lecce, una tabella in legno con le luci di piccole lampadine a creare la scritta del paese tanto amato per chi arrivava di sera al buio. In quella casa una volta c'era una pergola di uva, molto probabilmente di quelle cultivar antiche. Lo scorso anno a settembre la pergola, senza potatura e trattamenti traboccava di grappoli grandi e carichi di uva.

Perdere una specie di questo tipo senza avere delle talee e piante figlie è un danno al buon senso e alla biodiversità in una città che qualche anno fa presentava cartelli di ingresso definendosi città del vino e OGM free. Ora la casa con la pergola e la scritta storica verranno abbattuti per l'idea di nuova "Cultura" che importa il nuovo amministratore comunale che plaude all'arrivo del paninaro americano.

 
Di Raimondo Rodia (del 27/02/2025 @ 08:35:45, in Storie dal Salento, linkato 280 volte)

Durante il periodo di Carnevale è tradizione a Francavilla Fontana la popolosa cittadina del brindisino " Lu Sciutia ti li femmini " cioè il giovedi delle femmine, ma in cosa consiste? I confetti ricci, prodotto tipico locale vengono posti in vendita da bancarelle poste nel centro storico della città degli Imperiali e sono oggetto di una simpatica tradizione che li vede protagonisti di affettuosi scambi, nei due giovedì che precedono il Martedì Grasso. Il primo giovedì, ( lu sciuitìa ti li femmini ), il giovedì delle donne, nelle varie funzioni di mogli, fidanzate o amanti, donano i confetti ricci ai rispettivi partner, come pure le sorelle ai fratelli, le madri ai figli e le amiche agli amici. Il secondo giovedì, (“lu sciuitìa ti li masculi”), quest'anno isarà giovedì prossimo 27 febbraio 2025 quel giorno sono gli uomini a ricambiare quello che è stato un segno d’amore, d’affetto o di simpatia fatto dalle donne. Le mandorle ricce di Francavilla fontana sono un confetto dolce e tenero all’esterno e con una mandorla tostata come piace a me nel mezzo, indescrivibile il sapore. Si tratta di un dolce di mandorle dalla forma ovoidale riccia, della grandezza di circa 2 cm, di colore bianco. La preparazione me la racconta con enfasi ed orgoglio Gianni Tardio, che dal 1924 con la sua famiglia producono questa squisitezza. Si inizia facendo dorare le mandorle in una teglia, nel forno a legna, ancora calde si incamiciano di zucchero oscillandole per circa 1 ora. La ricciatura tipica, si ottiene oscillandole ancora per altre 2 ore, infine si versa la glassa con aggiunta di limone e vaniglia. È preferibile conservare le mandorle ricce in vasetti di vetro o di ceramica a chiusura ermetica, per mantenere a lungo l’ineguagliabile dolcezza. La Mandorla riccia è un dolce prodotto esclusivamente nel territorio del comune di Francavilla Fontana. Tradizionalmente questi dolcetti accompagnavano tutte le ricorrenze festive rituali in particolare durante il carnevale vi è una simpatica usanza di scambio tra uomini e donne durante gli ultimi due giovedi, inoltre si usa per le occasioni festive familiari, come possono essere un matrimonio, una cresima oppure una prima comunione. Per chi non può fisicamente andare ad acquistare a Francavilla fontana le mandorle ricce può comunque acquistare il prodotto che può trovare in negozi specializzati oppure ambulanti di dolciumi che non si fanno mancare questa leccornia.

 
Di Raimondo Rodia (del 22/02/2025 @ 10:28:07, in Storie dal Salento, linkato 306 volte)

Mentre spingo il pesante cancello in ferro dell’ingresso della villa, mi viene incontro Anna Campoli moglie di Carlo De Michele, attuale proprietario di villa Saetta. Non posso che rimanere sbalordito dal belvedere che si staglia di fronte a me, mentre un curatissimo giardino all’italiana con le sue siepi ai due lati dell’ingresso ammalia la vista. La villa fu commissionata da Lorenzo Saetta, antenato degli attuali proprietari, che con gioia mi fanno vedere la casa. La villa risale al 1892, costruita su progetto dell’architetto Carlo Luigi Arditi. La villa offre una pianta originale, un prospetto curvilineo, davanti concavo e dietro convesso, due ali laterali squadrate che si traduce all’interno con due grandi saloni ellittici con soffitti a botte, un ingresso esagonale, la cucina spaziosa e ben curata, con ancora la cucina economica a legna, poi ben quattro camere da letto, ciascuna con il proprio bagno e finestre munite di bifore con affaccio sul giardino circostante. All’esterno della villa una zoccolatura in pietra leccese corre tutto intorno alla base della villa esaltando ancora di più l’intonaco bicolore a chiazze rettangolari alternate in senso verticale, nei colori tradizionali di Terra d’Otranto, il rosso pompeiano ed il giallo ocra. Elegantissime le finestre a bifora con dettagli neo-gotici con ispirazione arabesque sconfinante in quell’eclettismo proprio di queste architetture. Finito il giro dentro e fuori la villa, Anna mi accompagna sul terrazzo, dove in corrispondenza del portale d’ingresso si trova il ” Belvedere ” con cupola in stile moresco, infine una grande trifora funge d’affaccio sul giardino. Da segnalare le tante iscrizioni in ebraico che raccontano degli ebrei salvati dai campi di concentramento nazisti che da qui passarono tra il gennaio 1944 ed il maggio 1947. Le ville che si trovano alle Cenate di Nardò sono inserite in un contesto di giardini secolari, sono più di venti ville la maggior parte costruite soprattutto in un periodo che va tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Le più antiche tra loro risalgono ad un periodo antecedente. Tra di esse ricordiamo la Villa del Vescovo, dimora estiva del vescovo di Nardò, da cui il toponimo Cenate per i continui banchetti conviviali alla luce fioca della luna da il nome alla località ed ancora Villa Taverna, Villa Saetta, Villa Maria Cristina Personè, Villa Sangiovanni, Villa Del Prete, Villa Venturi e tante altre. Il fabbricato di villa Taverna sembra la più antica fra di loro e l'ipotesi più probabile è che in origine fosse un posto di ristoro e di cambio dei cavalli, situato su una antichissima strada che da Gallipoli portava verso Avetrana ed al resto della provincia di Taranto.

 
Di Raimondo Rodia (del 19/02/2025 @ 10:07:17, in Storie dal Salento, linkato 437 volte)

Vi voglio parlare di un piccolo gioiello del centro storico di Galatina, un locale di circa 16 mq. con la volta a stella dipinta da Pietro Della Gatta, posto nella centralissima via Vittorio Emanuele II al civico 10 a due passi da piazza S. Pietro. Il locale è posto di fronte al bellissimo palazzo dei Mezio proprietari del nostro piccolo locale in quella che era la strada dell’Orologio, una delle strade principali del centro storico. Di fronte all’ingresso del nostro locale la gloriosa pasticceria Ascalone e vico del Monte che ci ricorda la presenza del Monte di Pietà istituito proprio qui dai Cappuccini, in questa zona vivevano Saverio Della Gatta noto pittore con la moglie Capone Lucia ed il figlio primogenito Raffaele a sua volta padre del nostro Pietro Della Gatta che nasce in corso Porta Luce a Galatina nel 1888. Il dipinto della volta iniziato da nonno Saverio, poco prima di morire nel 1888, anno di nascita del nipote Pietro, venne poi ripreso e completamente terminato probabilmente tra il 1904 ed il 1906 da Pietro, in una delle sue prime opere firmata in età adolescenziale, ma presto questo tipo di impresa divenne la specializzazione di Pietro Della Gatta che insieme ad Agesilao Flora firmarono le migliori volte e soffitti di palazzi e chiese nel Salento. Il piccolo locale abbellito dalla maestria del nostro pittore, rimase in uso della famiglia Galluccio-Mezio fino al 1938, quando il signor Alberto Scarpa trasferì in questo locale la sua attività di merceria. Nel 1956 la figlia di Alberto, Edelweiss Scarpa, sostituì il padre nell’attività di merceria ed acquistò insieme al marito Luciano Palmisano dalla famiglia Galluccio-Mezio il locale. Mentre la merceria veniva portata avanti da Edelweiss Scarpa, il marito Luciano Palmisano si occupava di allietare con dolci note musicali le chiese di Galatina, infatti Luciano era l’organista ufficiale di tutte le chiese di Galatina, non c’era matrimonio od altra officiatura ecclestiaca senza l’accompagnamento del signor Palmisano che si ritirò in pensione negli anni 70′ dello scorso secolo. Proprio alla fine di quegli anni nel 1978 avvenne un altro cambio importante, proprio nel quarantesimo anniversario dell’apertura della merceria, la terza generazione, con Flavio Palmisano, figlio di Edelweiss e Luciano fa capolino nella gestione ed entra in scena prima come collaboratore familiare della madre e poi da solo, come oggi, a portare avanti il buon nome della merceria Scarpa. Flavio Palmisano laureato in legge, ma da sempre attratto dalla medicina, appena laureato, inizia a lavorare e a seguire la sua passione facendo l’informatore scientifico-medico. Poi interviene nella gestione ed ancora oggi che è in pensione apre e chiude il piccolo negozio di merceria creato dal nonno nel lontano 1938.

 
Di Raimondo Rodia (del 08/02/2025 @ 19:21:33, in Storie dal Salento, linkato 384 volte)

Era il 1724, sono 300 anni dalla costruzione della chiesa del Carmine a Galatina e non sentirli. Tutto nasce con un affresco del XV secolo inizialmente nato come edicola votiva, poi nel XVII secolo diviene il primo fulcro della futura chiesa del Carmine a Galatina. La Madonna col bambino viene rappresentata alla maniera bizantina, una Madonna intenta ad allattare Gesù bambino, il dipinto era conosciuto a Galatina però come Madonna del Muro, essendo un edicola nei pressi di un importante baluardo posto sulle mura cittadine. Intorno a questa bellissima immagine si ricostruisce e nasce la nuova chiesa del Carmelo nel 1724. Dopo che i Carmelitani avevano già creato il loro convento conosciuto a Galatina come " l'Ospedale Vecchio " essendolo stato veramente tra il 1844 ed il 1963. Uno dei tesori conservati nella chiesa del Carmine a Galatina è sicuramente il presepe modellato nella tenera pietra leccese da Mauro Manieri nel 1736. Un opera completa con alcuni particolari trattati con il prezioso oro zecchino, la tecnica conosciuta come foglia d'oro, mentre profondità, prospettiva e tridimensionalità rendono questo presepe una vera è propria meraviglia. I committenti dell'opera fu la famiglia Tanza che a imperituro  ricordo pone il suo scudo araldico. Che dire poi del magnifico controsoffitto dipinto nel 1915 dal celebre Agesilao Flora. Interessante anche il finto stucco marmoreo. Altra opera magnifica il portale in legno intagliato presente all'esterno della chiesa della Madonna del Carmine a Galatina. Un portale ricco di personaggi alquanto strani, si passa dai Diavoli magri, a quelli grassi, diavoli che mostrano il profilo destro ed altri il profilo sinistro, alcuni sono invece dei Mascheroni apotropaici ed ancora il Dio Pan, la svastica ed altro. Tutto questo nasce nel 1745 dalla maestria dell'ebanista mastro Donato Costantino che crea un immaginario fantastico e mette la propria firma.

Raimondo Rodia

 
Di Raimondo Rodia (del 04/02/2025 @ 08:15:03, in Storie dal Salento, linkato 467 volte)

Mi sono sempre chiesto perchè a Tuglie non ci fosse una chiesa dedicata a Sant’antonio di Padova co-patrono insieme a San Giuseppe e la Madonna dell’Annunziata del paese. La risposta l’avevo proprio in casa legata alla mia famiglia. Sapevo che la famiglia Cuppone, in particolare Michele Cuppone, nonno di mia madre Graziella e quindi mio bisnonno aveva legato ad un ex voto una statua in cartapesta del santo lusitano. La statua in cartapesta quando ero piccolo si trovava nella parrocchia di Santa Maria Goretti nel mio quartiere Aragona ( Raona in dialetto ). Ricordo un episodio, Don Dante Garzia, parroco della chiesa del quartiere che com'era consuetudine benedice la casa dove abitavo con i miei genitori in via Vittorio Veneto ed ecco che arriva una supplica di mia madre al parroco per poter leggere un passo dei Vangeli durante la messa domenicale, lodando le mie doti. Avvenne così che arrivò la prima domenica in cui dovevo leggere in chiesa, mia madre era più ansiosa di me e mi vestì di tutto punto ed anche se avevo massimo 10 anni, ricordo perfettamente che mi fece indossare per la prima volta una cravatta a cui un minuto prima aveva fatto il nodo. Mi accompagnò in chiesa ed io mi sedetti in prima fila con altri ragazzi del catechismo, pronto a scattare all’invito del prete a leggere un passo delle scritture, intanto mia madre si defilò qualche panca più indietro e sedette anche lei in attesa della mia esibizione. Presto arrivò il momento di essere chiamato all’ambone per leggere e non ricordo come andò, ma sicuramente bene, orgogliosamente mia madre mi raggiunse sorridente alla fine della messa ed andammo insieme a salutare il parroco Don Dante.

Mentre uscivamo dalla chiesa mano nella mano, mia madre si fermò davanti alla statua di Sant’Antonio, fece sottovoce una preghiera e mi fece notare indicandola prima di andare via una targhetta posta alla base in legno della statua del santo dei miracoli, il taumaturgo per eccellenza, in quella piccola targhetta vi era scritto ” MICHELE CUPPONE IN RINGRAZIAMENTO FECE 1918 “, non aggiunse altro ma gli brillavano gli occhi. Così anni dopo ho scoperto il voto del mio bisnonno, la statua venne fatta fare da Michele Cuppone dopo la prima guerra mondiale 1915-18 in ringraziamento per il voto fatto alla partenza per la guerra del figlio Antimo ( mio nonno Gaetano era piccolo per fare la grande guerra ) e dei due generi Saulle Montefusco e Quintino Gnoni.

 
Di Raimondo Rodia (del 03/02/2025 @ 08:42:01, in Storie dal Salento, linkato 347 volte)

La chiesa oggi conosciuta a Galatina come San Biagio era intitolata inizialmente con il vicino convento olivetano che non esiste più a Santa Caterina Novella per distinguerla della più antica basilica di Santa Caterina d'Alessandria d'Egitto. Dopo anni di dispute tra Olivetani ( Benedettini del Monte Oliveto in provincia di Siena ) e Francescani nel 1507 si raggiunse un accordo per cui i francescani ritornavano in possesso della basilica e del convento addossato ad essa, mentre gli Olivetani mantenevano il potere di amministrare i beni dell'ospedale di Santa Caterina che erano un vero staterello, all'ospedale pagavano le tasse Aradeo, Bagnolo del Salento, Torrepaduli, casali non più esistenti come Petrore, Santa Costantina, Tabelle, Sfalongano, Igniano ( attuali Cenate e Santa Caterina marina di Nardò ) Collemeto, Santa Barbara. Gli Olivetani denominati " Bianchini " a Galatina per le loro vesti candide a partire dal 1507 costruirono fuori dalle mura cittadine Chiesa e Convento. Dopo più di un secolo ancora si lavorava alla fabbrica terminata nel 1612. Nel 1892 divenne sede della confraternita di San Biagio e dopo tante vicissitudini divenne parrocchia con il nome di San Biagio.

 
Di Raimondo Rodia (del 02/02/2025 @ 07:59:13, in Storie dal Salento, linkato 412 volte)

Esiste un pozzo magico a Noha con un nome strano, La Trozza, un pozzo inesauribile come scolpito sul lato in latino "Disseto e non mi Esaurisco 1878 ", mentre dal lato opposto lo stemma della famiglia Congedo, le iniziali H e C stanno per Horatio ( Orazio ) Congedo, costruttore e proprietario del pozzo che dava l'acqua a Noha ed ai suoi abitanti in cambio di un piccolo contributo.

Al pozzo lavoravono almeno due operai che versavano l'acqua che veniva tirata su dalle profondità della terra a forza di braccia ed argano tiravano fuori dalle profondità della terra fino ai 92 metri il prezioso liquido.

L'acqua arrivata poi in superficie veniva versata nei due contenitori posti ai due lati, uno o due altri operai incassavano il contributo e facevano riempire le " menze ", recipienti di rame zincata ai clienti.

Questo commercio dell'acqua avvenne fino all'arrivo dell'Acquedotto Pugliese che qui arrivo intorno al 1930.

 
Di Raimondo Rodia (del 01/02/2025 @ 08:17:17, in Storie dal Salento, linkato 586 volte)

Era un’alba fredda e nebbiosa quella del 1 febbraio 1970 sulle serre che dominano Porto Badisco. Nonostante l’inclemenza del tempo, un gruppo di persone cercava un varco da terra in cui poter accedere ad un complicato reticolo di grotte.

Quel mattino erano in cinque: Isidoro Mattioli, Severino Albertini, Remo Mazzotta, Enzo Evangelisti e Daniele Rizzo, tutti appartenenti al gruppo speleologico Pasquale De Lorentiis di Maglie. Quella mattina per uno di loro diventò la più bella scoperta ma anche più in là, la più brutta, per il futuro suo e dei suoi compagni.

Lui si chiamava Severino e quella mattina fece un gesto che cambiò la storia dei luoghi e dei cinque scopritori. Un impellente bisogno naturale di defecare lo fece allontanare dai compagni ed espletato il gesto notò un fatto alquanto strano, dal cumulo di cacca appena fatta il fumo del calore invece di andare verso l’alto veniva risucchiato verso il basso, quasi inghiottito, spaventato, chiamò i restanti compagni ed indicò lo strano effetto del vapore di calore nell’aria fredda di quel mattino d’inverno.

Uno di loro scostò il maleodorante cumulo ed ecco spiegato il motivo, un buco sotto di esso, ma mentre osservavano il buco, un grosso serpente nero esce dallo stesso, neanche il tempo per pensare che arriva un altra apparizione spaventevole, una vecchia vestita di nero, biascicando con voce greve apparendo tra le brume del mattino, si staglia quasi a mezz’aria.

Nessuno di loro capisce il messaggio della vecchia, che parla per oltre un minuto e scompare improvvisamente come era apparsa.

Ricostruendo insieme la vicenda l’uniche parole che ognuno di loro ricorda sono : ” Se avete trovato il serpente, avete anche trovato l’acchiatura ” ( così viene chiamato il tesoro nascosto nel Salento ).

 

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