set142014
"Pubblichiamo l'intervento di Marcello D'Acquarica di domenica 25 Agosto 2013 in occasione del 6° Motoraduno Moto Guzzi, Miero e Pizzica svoltosi a Noha"
Oggi è una giornata di festa. Approfitto di questa occasione per riflettere insieme su ciò che consideriamo bene comune.
Se è chiaro il significato di questi due presupposti: “Insieme” e “bene comune”
possiamo considerare questo momento costruttivo. Altrimenti vuol dire che non siamo né insieme né in grado di intendere il significato di bene comune.
In questo momento mi viene in mente il film “I 100 passi” di Marco Tullio Giordana con Lo Cascio.
Cento passi è una breve distanza. E noi vogliamo contare i cento passi. Cento passi sono lo spazio che ci separa da certe volontà politiche. Sono la distanza che ci separa dal concetto di bene comune, dal rispetto per l’ambiente, da mentalità truffaldine in nome di alti valori.
Cento passi. Dovremmo tutti fare 100 passi, insieme, anche in moto.
Facciamoli insieme questi cento passi: noi cittadini, la Pubblica Amministrazione, la Chiesa, e in questo momento anche voi ospiti di Noha. Facciamoli per vedere che cosa ci circonda cominciando da qui.
Alle mie spalle abbiamo la chiesa madre di San Michele Arcangelo, che mostra sul frontone in alto l’elegante stemma di Noha: tre torri che sorvegliano sul mare tempestoso il pericolo portato da due velieri di pirati. All’interno della chiesa si trovano esposte delle tele seicentesche e altari barocchi, che ci raccontano della sua storia.
Poi voltando le spalle abbiamo, svettante nella nostra pubblica piazza, l’orologio pubblico più fermo del mondo: è rotto da più di un decennio. E mai nessuno ha pensato di compiere i 100 passi per ripararlo. Noi intanto ci consoliamo pensando che segni l’ora esatta due volte al giorno.
Sotto le vostre ruote, cari amici motociclisti, sempre a cento passi c’è un frantoio jpogeo, unico nel Salento, e forse al mondo, per la sua architettura. A cosa serve? A essere adoperato abusivamente come sito per discariche private? Probabile.
Verso la fine di via Castello, a cento passi da qui, potete ammirare le cosiddette “casiceddhre” in miniatura. Dovrete però prestare attenzione ed utilizzare il casco (anche se siete a piedi). C’è il rischio che vi becchiate qualche pietra storica in testa.
Basterebbe poco, giusto 100 passi, per sistemarle una buona volta e per creare quella bellezza in grado di salvarci tutti insieme.
La torre medievale ed il ponte levatoio con il suo stupendo arco a sesto acuto, che sono riprodotte sulle miniature in terracotta offerte da Daniela Sindaco, appartengono al complesso del palazzo baronale. Anche questo si trova a meno di cento passi da qui. Tutto abbandonato nella più totale trascuratezza, come se il comune non esistesse affatto, come se i beni culturali “non ci dessero da mangiare”.
A 100 passi dal palazzo baronale c’è la casa rossa di Noha, un gioiello d’art nouveau, in stile liberty, più o meno come la casa pedreira di Gaudì che si trova a Barcellona (in Spagna) e che certamente alcuni di voi avranno già visitato. La nostra casa rossa di Noha, non solo reclama il restauro - schiaffeggiata com’è dagli anni e dall’incuria dei privati – è pure circondata e nascosta da una muraglia di rara bruttezza.
Sempre a poco più di cento passi da qui potrete ammirare l’antica masseria Colabaldi e i resti messapici, la trozza (un pozzo profondissimo che dava da bere ai nohani), il calvario, le vecchie scuole elementari ristrutturate (ma purtroppo non funzionanti al 100% per via di un allaccio all’energia elettrica, diciamo così, poco funzionale) e non da meno il nostro singolare centro storico di via Osanna e piazzetta Trisciolo.
Ecco, tutte queste testimonianze storico culturali vorrei farvi conoscere e ammirare, ma ahimè, non manca solo il tempo, manca purtroppo la decenza.
Quindi, cari amici, noi ci auguriamo, anche con l’aiuto delle istituzioni qui presenti (se presenti), che nel prossimo futuro saremo in grado (noi ed i ns beni culturali) di accogliere voi e tutti i visitatori di Noha in maniera un po’ più decorosa.
Vi auguro di compiere tutti quanti 100 passi, in avanti.
mar122008
Dall’alto di un traìno Non parte chi parte. Parte chi resta. Sembra recare con sé questo sussurro la tramontana che accarezza le case infarinate di Noha e solletica i pini e gli aranci. In realtà, è un nohano, puro fino al midollo, a ribadire questo singolare assioma. Antonio Mellone, che tornando in terra natia solo il sabato e la domenica, si riscopre sempre più legato alle strade ariose e alle piazzette assolate della sua Noha. E, per un giorno, con l’entusiasmo di chi è partito lasciando un pezzo di cuore nel suo paese, diventa guida insostituibile per le vie nohane. |
feb022013
All’alba delle elezioni politiche, Noha si barderà per la festa. Certamente qualcuno verrà a chiederci il voto dicendoci: “Io sono meglio degli altri”. Così si da inizio al dilemma: “Chi voterò questa volta?”. Stranamente poi, chi se lo chiede, ha già provato a votare prima per uno schieramento, poi per un altro, con la speranza che i due non sono la medesima cosa e che dunque o l’uno o l’altro è la scelta giusta. Poi però ci si accorge che, il giorno dopo aver votato o per l’uno o per l’altro, chiunque vada a governare, le cose non cambiano. Ed è qui che il mistero si fa più fitto: a cosa è servito votare? Sicuramente a far prendere vitalizi agli uni piuttosto che agli altri. Che senso hanno quei tremila voti di Noha se nulla cambia? Io non ricordo differenze eclatanti tra i vari governi. Noha , come il resto d’Italia, vive le stesse difficoltà di sempre. Noha vota per i motivi qui di seguito riportati: creare occupazione per giovani e donne; diminuire la pressione fiscale e incrementare il benessere delle famiglie; formulare delle agevolazioni per i meno abbienti e per chi è affetto da malattie; salvaguardare la natura e il territorio, la salute e l’istruzione; incrementare la ricerca e lo sviluppo; tagliare sprechi nella pubblica amministrazione e fondi per le spese militari; incrementare il turismo orientando attenzione e sforzi verso beni artistici e culturali; eliminare quanto più possibile la burocrazia facendo risparmiare tempo e denaro, impiegandoli per altre risorse; eliminare finanziamenti pubblici a chi non ha requisiti e a chi non se li merita; estirpare la criminalità e le mafie dal tessuto sociale recuperando fior di miliardi di euro da investire in risorse umane; facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro riducendo al minimo il fenomeno del precariato e agevolando le assunzioni a tempo indeterminato; diminuire le trattenute in busta paga per rilanciare l’economia reale; legiferare in materia di speculazione economica evitando di salvare con i nostri sacrifici le banche dissennate; cancellare il gioco d’azzardo e aumentare il prelievo fiscale ai grandi patrimoni, non solo immobiliari; dichiarare guerra aperta al carovita; ridurre al minimo l’inquinamento atmosferico; individuare una legge veramente efficace contro la corruzione; ridurre al minimo le spese per la politica e i partiti; mettere un tetto massimo etico e decente per gli stipendi dei dirigenti pubblici; ridare la dignità ai pensionati; etc…! Insomma, tutto questo è lo scopo per cui votiamo. Alla gente di Noha, alle nostre famiglie, a piazza San Michele, alla Trozza, alla masseria Colabaldi, alle case Rosse, ad ogni singolo cittadino nohano serve questo. E invece? E invece si parla di premio di maggioranza, di spred che interessa più gli investimenti delle banche che i nostri, di nozze gay, di bipolarismo, di europeismo, di redditometro… A proposito di redditometro: cosa interessa a Noha il redditometro? Hanno impostato una campagna elettorale sul redditometro, un programmino di scuola materna dove si gioca con il colore verde o rosso! Vi prego, cara gente di Noha, apriamo la mente. Con tutti i problemi che ci sono, vogliono concentrare la nostra attenzione sulle sciocchezze! Il redditometro! Quando andremo a votare, cari nohani, andiamoci in massa, ma il giorno dopo vietiamo a questi quattro politicanti di smontare le loro “impalcature comiziali” perché, dopo che abbiamo messo la nostra “ics”, su quei palchetti improvvisati di piazza San Michele, dobbiamo salirci tutti noi per controllare che il nostro voto serva a quello per cui siamo andati a votare. In fondo è questa la politica che è come la libertà, quella che Gaber definiva “PARTECIPAZIONE” non solo al voto ma anche e soprattutto dopo il voto.
dic132013
Contrada Roncella prima e dopo la cura
giu192014
Da circa un anno è in vigore una legge che, in nome della trasparenza, impone a tutti gli enti locali l’obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale la situazione reddituale e patrimoniale dei componenti degli organi politici, oltre agli elementi identificativi dell’incarico, i curriculum degli eletti, i compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica, e, non ultimo, le spese sostenute per la propaganda elettorale.
Il Comune di Galatina, per quanto ovvio, si è subito adeguato al dettato della norma.
Visto che nella stessa legge si dice che codesti documenti e informazioni, in quanto pubblicati obbligatoriamente, sono esposti nei siti web in formato di tipo aperto e sono riutilizzabili senza alcuna restrizione, se non quella di citare la fonte e di rispettarne l’integrità, mi son preso la briga di consultare il sito del Comune di Galatina (il cui indirizzo web, per essere precisi, è il seguente: www.comune.galatina.le.it/) e di importare pari pari su Noha.it (rispettandone dunque “l’integrità” ) le autocertificazioni dei redditi e dei patrimoni, pubblicate qualche mese fa, autografate dai quattro consiglieri comunali nohani, che rispondono ai nomi di Daniela Sindaco, Luigi Longo, Antonio Pepe e Giancarlo Coluccia (citati qui in ordine sparso e non, come dire, di ricchezza).
Per eventuali gli altri dati si rimandano i nostri 25 lettori al sito istituzionale del Comune.
Daniela Sindaco
Luigi Longo
Antonio Pepe
Giancarlo Coluccia
Condoglianze alla famiglia Gugliersi, ai congiunti, gli amici e a tutti i nohani.
La redazione
feb012013
Vorrei ritornare un attimo (pensavate di svignarvela?) sul lavoro di catalogazione, valorizzazione e conservazione del bene culturale che ci saltò in mente di appellare con - diciamo così - l’epiteto di Osservatore Nohano, onde evitare la perifrasi “arma di distinzione di massa” o ben più mordaci circonlocuzioni; lavoro, dicevamo, anzi sfacchinata promossa, portata a termine e fattaci recapitare da tre eroi meneghini che rispondono ai nomi di Fabio, Laura e Luca, noti ormai lippis et tonsoribus.
Mi son chiesto le ragioni dell’affetto di questi amici, che probabilmente facevano parte dei nostri venticinque affezionati lettori. E ho pensato che evidentemente l’Osservatore Nohano (nonostante le sajette su di esso invocate giorno e notte da qualche ottuso da riporto) ha sempre avuto un certo valore. E si tratta di un valore-opportunità (cioè la possibilità per le persone di usufruire in futuro di un bene conservato in memoria), di un valore-esistenza (che è il valore che i beni culturali hanno anche per coloro che non ne usufruiscono direttamente, in ragione semplicemente della loro esistenza, appunto), di un valore-eredità (il valore che il nostro lavoro “pseudo-giornalistico” ha in quanto testimonianza per le generazioni future), di un valore-prestigio (in considerazione del prestigio che l’Osservatore Nohano arreca alla nostra piccola patria, e dell’orgoglio e del sentimento di identità culturale che contribuisce a formare) ed, infine, di un valore-educativo (cioè di sviluppo di creatività e di gusto estetico, che oltre ad essere a beneficio del singolo risulta essere a vantaggio per l’intera nostra comunità).
L’Osservatore Nohano dunque non poteva finire così, come qualcuno sperava cantandone a squarciagola il de profundis. Non poteva esser vero, infatti, quanto venuto fuori dalle elucubrazioni dello scienziato di turno, secondo cui il nostro giornalino “non era più seguito da nessuno” (sì, come no).
Questo dono molto gradito ci fa comprendere che forse l’O.N. è ancora vivo e vegeto in mezzo a noi, pur non sotto le specie della carta e dell’inchiostro (inchiostro antipatico), e, soprattutto senza la costrizione della rilegatura, della stampa, della data e del formato. C’è un’onda lunga, un solco che quel mensile nohano ha tracciato in terra di Noha, un’incisione di tale profondità da far sentire ancor oggi il sussulto delle sue fenditure. Ed è una lama che sta ancora arando e dissodando, ed è come se l’aratura non fosse mai terminata.
Il regalo del trio Fabio-Laura-Luca è la dimostrazione del fatto che L’Osservatore Nohano è uno spettro che ancora s’aggira per Noha, ma anche altrove. E’ un’opera, questo dono natalizio, una scultura fabbricata a dispetto del detrattore di turno che non ha colto appieno che questo giornalino forse ha fatto bene anche a lui, rintuzzandone certe uscite fuori luogo e fuori senso, contribuendo addirittura alla sua crescita – del detrattore, dico - magari in maniera meno sussiegosa o spocchiosa di quanto forse non sarebbe stato senza Osservatore Nohano…
Abbiamo appena festeggiato il primo anniversario dell’“assenza” del nostro mensile on-line-ma-anche-cartaceo. Sappiano i nostri 25 followers che nel corso di quest’ultimo anno P. Francesco D’Acquarica continua a rinfacciarmi il fatto che l’Osservatore si sarebbe dovuto prolungare per almeno altri quattro anni, così da raggiungere il numero perfetto, che ovviamente per noi è NOVE (e continua a dirmi che nonostante tutto, lui, il padre spirituale del giornalino, continuerà a ricercare e a scrivere); che l’Antonella Marrocco, che non naviga tanto in Internet e quindi non riesce a seguire gli scritti non sfregati sulla carta, ogni volta che l’incontro mi fa: “allora ricominciamo?”; che la Martina, che parla ormai milanese, quando le dico che il piatto piange, mi riferisce che senza quella scadenza mensile fissa è come se si perdesse in mille fronzoli, e quindi non riesce più a compilare in maniera sistematica le sue schede storiche e tecniche e il dizionario dei modi di dire nohano; che Michele Sturzi, che sembra scomparso dalla circolazione (ribadisco: “sembra”), continua a pubblicare altrove i suoi ghirigori di parole e non smette di riempire Linkedin con i suoi articoli scientifici tutti rigorosamente in inglese (ora ce ne aspettiamo uno about Noha); che Marcello D’Acquarica non sapendo più dove pubblicare le sue vignette sataniche (Gesù, Giuseppe e Maria!), si mette a scrivere libri in men che non si dica; che don Donato non passa domenica senza rammentarmi il fatto che non fare più l’Osservatore è (stato) davvero un bel peccato di omissione (difficilmente perdonabile); che Fabrizio Vincenti sentendosi libero da ogni impegno è addirittura convolato a nozze con la sua bella Romina; che la Paola Rizzo, tra un ritratto ed un quadro d’ulivi e l’altro, adesso s’è messa a fare “due chiacchiere con…” mezzo mondo su Face-book, e dice “quello che le donne non dicono” addirittura alla radio; che da quando non ci siamo noi gli affari della tipografia AGM dell’Antonio Congedo anziché ridursi (come paventavamo) sono aumentati in barba alla crisi economica; che sant’Albino (martire), mentre prima era sotto stress soltanto una volta al mese, oggi è sotto tortura almeno una volta a settimana, con tutte le idee che senza tregua ci frullano nel cervelletto.
Ah dimenticavo: tra i nostri 25 supporters c’è anche la Maria Rosaria che non riesce a farsene una ragione, e s’è sognata il fatto che io avrei detto che a giugno 2013 L’Osservatore Nohano ritornerà (ritornerebbe) di nuovo in edicola in formato cartaceo.
Mi sa che la ribattezziamo Maya Rosaria.
Antonio Mellone
P.S. In un ipotetico editoriale (ipotetica di terzo tipo) di un eventuale numero dell’Osservatore del mese di febbraio 2013 si sarebbe parlato della speranza che almeno stavolta i nohani non si mettano a votare in massa per i soliti cani e soprattutto per i soliti porci.
Si fatica a scrivere di certe dipartite: si ha il timore di essere risucchiati dal gergo dell'emozione o dell'affettività, la cosiddetta Maniera, parole già dette e usurate dalla costante, infinita ripetizione. Ma è giusto farlo. Perché mette a nudo la fragilità di ciò che siamo, e svela al contempo quella cosa nascosta chiamata anima.
Non avremmo mai voluto sentire il suono della campana della chiesa madre di Noha, quei rintocchi che questo pomeriggio ci dicevano di Lillino Costa, del fatto che se ne fosse andato troppo presto mentre tutti pensavamo che sì, ce l'avrebbe fatta, e che no, non poteva finire così.
Poche cose rivelano la nostra umanità e saldano i legami comunitari. La storia di Lillino è una di queste, è occasione per ricordare a tutti che certe malattie hanno la chemio come medicina, ma si curano e si debellano con la consapevolezza e la lotta dell'intera comunità.
Forza Maria Rosaria, Federica e Giorgia. Forza nunna Giovanna. Forza a tutti gli altri parenti. E forza, infine, amici del circolo Tre torri, e nohani tutti.
La redazione di Noha.it
dic152015
Piccola ma preziosa, Noha sembra svelare ogni anno un gioiello nascosto e la rappresentazione del presepe vivente è l’occasione per valorizzare e far conoscere le peculiarità della graziosa frazione di Galatina. E’ così che l’ambientazione della nascita di Gesù, e di tutto quello che nel frattempo si svolgeva intorno, lo scorso anno fece scoprire ai visitatori la misteriosa “Casa Rossa” e le caratteristiche “Casiceddhre” e, ancora prima, la bella architettura rurale della masseria Colabaldi.
Per questa edizione i solerti nohani si sono impegnati nel recupero del parco del Castello, da anni inaccessibile e tristemente lasciato all’abbandono.
E’ qui che spicca la Torre Medievale del XIV secolo e ciò che rimane del ponte levatoio, due pezzi di storia locale che, grazie all’impegno di tutti, dopo un lungo periodo di pulizia e messa in sicurezza, faranno da nobile scenografia alla sacra rappresentazione.
E tra ambientazioni bibliche e popolari si scorgono i frammenti di un passato salentino quasi dimenticato, come le cantine con le enormi botti di rovere dove s’invecchiava il Brandy Galluccio, prodotto a Noha e imbottigliato a Martina Franca, una piscina in perfetto stile Liberty, il particolare impianto elettrico e idraulico del castello e l’acquedotto.
In questi suggestivi scorci si muovono i personaggi che animano il presepe e che, oltre agli artigiani – reali - come lo scalpellino, il falegname, la ricamatrice al tombolo, il maniscalco, il calzolaio e molti altri, comprendono anche pecore, agnellini, capre, mucche, il bue e l’asinello, conigli, maialini, cinghiali, vitelli, galline, pavoni, anatre, e, dato che Noha è conosciuta come “la Città dei Cavalli”, anche i bei destrieri di casa.
Non mancano anche gli angoli per rifocillarsi lungo il cammino nella storia, con piccoli stand dove è possibile gustare pasta fatta in casa, “pittule”, panini imbottiti, dolci natalizi, formaggi, “schiattuni di cicora” e vin brulé.
IL PRESEPE VIVENTE DI NOHA E’ APERTO DAL 25 AL 27 DICEMBRE E NEI GIORNI 1, 3 E 6 GENNAIO, DALLE 17 ALLE 21.30.
Mel
[Fonte: quiSalento, 15-31 dicembre 2015]
mar262014
In quest’epoca, che molti definiscono tecnologica, sempre più persone, tra cui io che scrivo, vivono un rapporto platonico con il proprio paese natio, costrette a un allontanamento forzato provocato dalla disoccupazione. Nei rapporti a distanza, si sa, è difficile cogliere ogni aspetto sentimentale della storia, eppure ogni emozione suscitata da questa relazione trasmette un’eco d’indicibile acutezza. Non saprei come definire il mio sentimento per Noha se non con l’ “Odi et amo” catulliano: è l’unico epigramma che si addice alla perfezione alla mia storia e, penso, a quella di molti altri obbligatoriamente esiliati come me. Quando leggo tutto ciò che scrivono quei “geni ribelli” nohani, mi sembra di ripassare la storia di Giona che visse tre giorni nella pancia di una balena. Ogni alta marea, sulle sponde di Noha viene risputato un profeta comandato di convertire Ninive dalla sua condotta ma, a quanto pare, viene rigettato in mare insieme alle sue profezie. Visto che c’è qualcuno che le allegorie non le sopporta, come capita spesso a me, vuotiamo il sacco.
Se dovessi chiedere al signor sindaco, in una piazza pubblica di Noha, cosa ha fatto lui e la sua amministrazione per il nostro paese, che non mi venisse detto che si è partecipato a qualche processione in onore di qualche santo (è qualcosa che non rende se non alla propria coscienza e al Signore Iddio). Non mi venisse detto che è stato creato un solo posto di lavoro per qualche giovincello in cerca di occupazione. Non mi venisse detto che il centro polivalente è sorto per far fronte ai tanti bisogni dei cittadini. Non mi venisse detto che si è avuto un certo riguardo per i beni artistici e architettonici, né tantomeno per il patrimonio naturalistico. Non mi venisse detto che si è salvaguardata la salute dei cittadini né il loro sacrosanto diritto alla felicità. Non mi venisse detto neanche che è stato fatto un piano di tutto questo per il prossimo avvenire, perché nel mare delle parole si annega facilmente. Insomma, signore sindaco e signori assessori, chi sta facendo cosa per Noha? Ve lo chiedo perché, legalmente e soprattutto moralmente, un amministratore dovrebbe rendere conto del suo operato ai vari azionisti. E Noha di azionisti ne ha quasi quattromila. Fosse veramente una società per azioni la nostra, non si conterebbero gli anni di allontanamento forzato che v’infliggerebbe una qualche sorte di giustizia per il vostro operato. E non mi si venisse a dire neppure che non ci sono risorse a disposizione. Michelangelo, per dipingere la volta della Cappella Sistina, ha impiegato due anni e del colore. Voi non siete dei Michelangelo, ma di anni ne sono passati a decine, e non siete stati in grado neanche di fare uno schizzo tipico degli anni della pubertà. E non mi si venisse neppure a dire che non ci sono idee, altrimenti è come se vi stesse dando la zappa sui piedi: la mancanza di buone idee da realizzare esclude aprioristicamente l’atto di impegnarsi in un’amministrazione della cosa pubblica. E poi, se siete a corto d’idee e di soluzioni su come trovare risorse, conosco qualcuno che è in grado di darvi dei suggerimenti. A questo punto, solitamente, si attacca con gli esempi.
In Germania è stato ritrovato un elmo di età romanica e ci hanno costruito su un museo e tutt'intorno delle strutture turistiche. Tutto per vedere un pezzo di armatura, e il biglietto costa anche caro! A Noha c’è un frantoio ipogeo murato volontariamente e chiuso al pubblico, una piccola torre storica in rovina, casette in miniatura, la cosiddetta “casa rossa” e tutto il resto che già sapete. E non solo non si paga il biglietto, non ci portano neanche nessuno per poterle visitare. Volete creare due/tre posti di lavoro? Assumete qualche ragazzo preparato appositamente per fare da guida nella stupenda Basilica di Santa Catarina, in Galatina. Pensate: arrivano i turisti che non solo non pagano il biglietto, ma non trovano neanche una buona anima messa lì appositamente per spiegare quello che stanno ammirando a bocca aperta. Stabilite un giro turistico con un bus e guida a seguito che sia capace di portare sul posto i tanti turisti che ogni anno scelgono il Salento come meta per le vacanze. Ora siete pronti per lo sparo del cannone? A Otranto, nella Cattedrale, c’è uno dei mosaici pavimentali più grande d’Italia. Pensate che una sua figura è stata scelta come immagine simbolo dell’Italia all’EXPO 2015. La notizia non è questa ma è che il turista che va a Otranto ad ammirare il mosaico dell’albero della vita, non trova una guida in loco capace di spiegarglielo. E la seconda notizia, invece, è che la diocesi di Otranto considera uno spreco assumere un giovane come guida turistica per la cattedrale e i suoi tesori. Avete capito bene! A Noha, come a Galatina e come a Otranto, ciò che potenzialmente è una risorsa non è considerato affatto come una ricchezza. Credo che basti questa dimostrazione a giustificare la mia considerazione: siamo amministrati da incompetenti. Solitamente per misurare l’oro si usano dei pesi specifici e ben calibrati. Ciò che vedo, invece, è una folla capeggiata da un sindaco munito di stadera che, non solo non sa cos’è quella cosa che si ritrova in mano, ma è evidentemente anche all’oscuro di come essa si usi.
gen292013
Eccovi di seguito il dettaglio del discorso di Giuseppe Cisotta, del quale, sabato scorso - in occasione della stupenda (e molto partecipata) festa di ringraziamento presso la Masseria Colabaldi indetta per l'ottima riuscita del presepe vivente di Noha - è stato pronunciato a braccio un condensato molto sintetico per via dell'emozione dell'interessato
Buonasera a tutti, e grazie per aver accettato l’invito per questa serata, spero piacevole per tutti.
Il presepe vivente di quest’anno, a detta di molti, è stato un presepe da dieci e lode. Quello che fino ai primi di novembre sembrava impossibile, nell’arco di un mese e mezzo è diventato realtà. Come per miracolo.
Ho visto volti sereni e volti preoccupati, voci fiduciose e voci sfiduciate. Non so se, all’inizio, io facessi parte dei primi o dei secondi.
Ma poi, superata ogni barriera, grazie a voi, ho visto finalmente donne e uomini lavorare con armonia. Non più facce contrite o arrabbiate, e non più voci di capi o duci, ma persone unite da un solo obiettivo: l’amore per noi, per Noha, per la nostra comunità, nel vero clima natalizio.
E’ stata, anche quella di quest’anno, un’esperienza bella, esaltante, una sfida contro noi stessi, superata grazie a tutti.
Se dovessi qui ringraziare uno per uno i protagonisti di questo presepe, dovrei parlare da mo’ fino a domani mattina.
E sicuramente mi dimenticherei di qualcuno.
Sì, perché qui dovrei partire ringraziando i proprietari della masseria per averci permesso anche quest’anno di allestire una vera e propria opera d’arte, per finire citando uno per uno i tecnici, i sostenitori, i responsabili della parrocchia, i vigilanti, il servizio d’ordine, gli addetti al pronto soccorso, i vigili urbani. Ed ovviamente tutti i personaggi del presepe, l’angelo-cantante, e poi i famigliari dei personaggi ed i famigliari degli organizzatori, mogli, padri, figli, fratelli, nonni, sorelle (non fosse altro che per la pazienza dimostrata nel sopportarci).
Dovrei ringraziare chi ha lavorato di giorno e di notte affinché questa antica masseria diventasse un set perfetto per il teatro del presepe più bello del Salento. Ognuno ha lavorato secondo le proprie possibilità, ma certamente senza risparmiarsi.
Dovrei ringraziare anche chi si è occupato della comunicazione, chi della fotografia, chi dei video, chi dei contatti con il pubblico, chi ha disegnato i manifesti e volantini, chi ha dato un parere, chi ha votato sul sito di Noha per le ormai famose “presepiarie”, chi ha stampato i manifesti, chi li ha distribuiti, chi si è occupato dei vestiti dei personaggi, chi ha dato una mano al bancone dell’offerta dei prodotti e chi da dietro le quinte ha prodotto il cibo per i visitatori, chi ha fatto da sponsor ed anche chi mi ha detto di non poter mettere mano al portafogli. Ringrazio davvero anche questi ultimi, perché so che se avessero potuto, avrebbero sostenuto con tutto il cuore il nostro che è anche il loro presepe vivente di Noha.
Ringrazio anche chi ci ha dato delle idee per l’allestimento, ed anche chi ci ha fatto delle critiche (che guai se non ci fossero).
Ringrazio chi ci ha concesso il patrocinio: la regione Puglia, la provincia di Lecce ed il comune di Galatina.
Ma dovrei ringraziare anche chi ha trascorso le notti qui in masseria per fare la guardia, chi ci ha preparato qualcosa da mangiare durante i lavori, chi ha prestato i suoi automezzi per il trasporto delle cose, delle strutture, dei bagni chimici, delle luci, degli altoparlanti, del fieno, del legno, dei tavoli; dovrei ringraziare chi ci ha prestato le attrezzature, chi la filodiffusione, e chi ha messo a disposizione quello che aveva di più caro: gli utensili antichi che hanno trasformato questa masseria in un vero e proprio museo degli antichi mestieri e dell’arte contadina.
Dovrei ringraziare anche coloro che hanno messo a disposizione i loro animali da cortile che contraddistinguono il nostro presepe rendendolo particolare, e forse più originale rispetto a tutti gli altri.
E per essere giusto dovrei ringraziare uno per uno anche i cavalli, gli asinelli, i maialini, le oche, le pecore e gli agnellini, i vitelli, i conigli, e via di seguito, che hanno recitato la loro parte nel migliore dei modi. E ovviamente uno per uno le migliaia di visitatori provenienti da ogni parte della provincia di Lecce, d’Italia ed anche dall’estero.
Ma devo ringraziare anche questa stupenda Masseria Colabaldi, le sue mura rugose, il suo cortile, il suo portale, l’atrio, le stalle, il forno, le cucine, le stanze nobili, le terrazze. Abbiamo fatto rivivere questo bene culturale molto caro ai nohani, un monumento che sta in piedi da secoli, sfidando i colpi secchi del tempo.
Grazie a tutti. E grazie anche a tutti quelli che ho dimenticato di citare.
Concludo dicendo che questa esperienza mi ha fatto capire tante cose.
Intanto che la felicità si trova nelle piccole cose, nell’armonia con le persone, con la natura, con noi stessi, nell’ascolto dei nostri figli. Dovrebbero essere i desideri dei nostri figli a dare ordini al futuro.
Io penso che le persone felici non siano quelle che vivono la propria vita nel lusso più sfrenato, ma quelle che vivono pienamente in un piccolo mondo (come per esempio quello di Noha) fatto di strette relazioni basate sulla famiglia e sull’amicizia. Questo presepe mi ha insegnato che siamo sulla buona strada per eliminare le barriere tra di noi, per eliminare dal vocabolario le parole “estraneo”, “egoismo”, “interesse di parte”, “avidità”.
Con questa esperienza abbiamo creato relazione, dialogo, solidarietà, condivisione, comunicazione, rapporto con gli altri, stima reciproca. Mettendo in comune la passione per le cose belle, genuine, senza secondi fini, facendo sparire l’io per concentrarci sul noi, abbiamo ottenuto quella che si chiama “qualità della vita”.
Abbiamo cercato e raggiunto un terreno comune, un cemento sociale, una sfida comunitaria, una forza comune.
Se ci rendiamo conto di questa forza, noi possiamo fare miracoli, e non soltanto a Natale, e possiamo davvero raggiungere qualsiasi obiettivo.
Noi nohani possiamo, anzi dobbiamo dire che non siamo secondi a nessuno.
Con le piccole cose, con la solidarietà senza steccati, con lo scambio gratuito del tempo e dei beni, con la pura gioia di contribuire al bene comune, con l’idea che il beneficio per uno non sia un danno per l’altro, noi riusciremo a far fronte tranquillamente alla crisi che sembra non lasciarci speranza.
Solo in questo modo, restando uniti, aiutandoci e incontrandoci come abbiamo fatto qui alla Masseria Colabaldi per il nostro presepe, costruiremo una corazza forte contro tutte le crisi, e soprattutto daremo un futuro migliore e più umano ai nostri figli. Saremo una comunità migliore.
Qui ho capito, grazie a voi, che il benessere degli altri è il mio benessere.
Grazie a tutti, e buona serata.
Giuseppe Cisotta
dic182011
Si accendono le luci sul sipario del teatro “Parrocchia Madonna delle Grazie” di Noha nell’attesa fremente che prenda il via la seconda Rassegna Teatrale “Palcoscenico nei luoghi”, dopo lo strepitoso successo dello scorso anno. Si sente un leggero brusio in sala, una certa tensione circola già tra gli spettatori, un contagio continuo che sembra essere partito da dietro le quinte dell’accogliente sala teatrale e ora ballonzola tra gli astanti. Mancano meno di tre settimane all’apertura del sipario, ma è facile per l’estensore delle seguenti note immaginare ad occhi chiusi l’atmosfera che potrebbe crearsi in una situazione come queste: è la prima volta che la piccola frazione di Galatina ha la fortuna di essere coinvolta in una ricca rassegna teatrale e l’emozione non è quantificabile né facilmente malleabile.
“Domenica a teatro”, è questo il titolo della rassegna promossa dalla Compagnia “Theatrum” con il patrocinio del Comune di Galatina, della Provincia di Lecce e della Federazione Italiana Teatro Amatori, in collaborazione con la Compagnia Teatrale “Calandra” e il sostegno economico di diversi sponsor nohani e galatinesi. Primo imperdibile appuntamento domenica 8 gennaio ore 19:30 con la famosissima “Turandot”, messo in scena dalla “Compagnia dei Teatranti” di Bisceglie. Si alterneranno poi sul palco diverse compagnie teatrali locali e nazionali, per intrattenerci sino al mese di maggio con spettacoli di vario genere: dal musical alla prosa, dalla commedia brillante in vernacolo salentino e napoletano al teatro comico muto, passando per il dramma.
Un appuntamento imperdibile che occorre sostenere con una presenza numerosa e interessata, per far passare ancora una volta il messaggio che un centro culturale fremente qual è Galatina, con frazioni annesse, non può non avere un Teatro Comunale. Occorre appoggiare la rassegna e divulgare la notizia al di fuori della cittadina galatinese per cercare di porre rimedio a quel brutto livido nero che la bella città d’arte s’è fatta ingenuamente, permettendo la liquidazione dello storico “Teatro Tartaro”, di cui non resta che la facciata.
Michele Stursi
Posti numerati per i soli abbonati.
Per informazioni e prenotazioni:
Libreria Fabula, Corso Portaluce, 42 – Galatina
Tabaccheria Bandini, Piazza San Michele – Noha
Info e prenotazioni: tel. 334.6058837 – 336.609027
Ingresso contributo spettacolo: € 5.00
Bambini fino a 14 anni: € 3.00
Spettacoli nazionali: € 7.00
Abbonamento per l’intera rassegna: € 40.00
apr252013
C’era il sindaco, il vicesindaco, il suo assessore alla cultura, alcuni consiglieri della maggioranza (soprattutto quelli della minoranza della maggioranza), e poi i ragazzi delle terze medie di Noha (con gli striscioni, e, per protesta, il bavaglio sulla bocca), le insegnanti, alcuni cittadini, gli attivisti del “Movimento delle agende rosse”, organizzatori dell’evento (tra i quali spiccava la stupenda Anita Rossetti, e la sua forza d’animo), altri comitati per l’ambiente e la legalità, e la colonna sonora dell’ottima Banda Musicale di Noha, diretta dal M° Lory Calò, per il pomeriggio di sit-in Antimafia a sostegno del magistrato Nino Di Matteo, che ha avuto luogo a Galatina, nel pomeriggio del 24 aprile scorso, dapprima in piazza Alighieri e poi, a conclusione, a Palazzo della Cultura con gli interventi dei relatori (tra i quali, oltre all’Anita suddetta, il presidente della Commissione europea Antimafia, Sonia Alfano - in collegamento telefonico - ed il direttore de “Il Tacco d’Italia”, Marilù Mastrogiovanni).
Non vale nemmeno la pena di ricordare l’assenza delle altre “alte” (e soprattutto basse) cariche comunali, come gli esponenti dei partiti (participio passato del verbo) della cosiddetta opposizione, probabilmente in tutt’altre faccende affaccendati. Chissà che rivolgendosi a “Chi l’ha visto?” non si riesca a rinvenirne qualche esemplare semovente. Ma non ci curiam di loro in questa sede.
* * *
Ormai sanno anche i bambini dell’asilo (o almeno avrebbero dovuto saperlo se non ci fosse stata la congiura del silenzio da parte di politici bipartisan, televisione, giornali e salotti) che il giudice Di Matteo è il magistrato della Procura Antimafia che si sta occupando della famosa trattativa “Stato-mafia”, di cui molti vogliono negare l’esistenza. Di Matteo ha ricevuto minacce di morte, contenute in due lettere anonime (lettere che, tra l’altro, riportano fedelmente orari ed abitudini del magistrato) e recapitate al procuratore della Repubblica di Palermo Francesco Messineo.
Ma come ci insegna la storia, la mafia uccide chi è solo, anzi chi è (stato) isolato.
Ora, non so se tutti, ma proprio tutti i partecipanti alla manifestazione (e non mi riferisco ai ragazzi, che forse sono i più perspicaci di tutti) avessero ben chiaro il fatto che i principali responsabili di questo pericoloso isolamento sono purtroppo proprio le Istituzioni, e addirittura i cinque dell’Apocalisse (Presidente della Repubblica – definito in diretta telefonica da Sonia Alfano come il “mandante morale” di questa situazione scabrosa – Avvocatura dello Stato, Procura della Cassazione, Consiglio Superiore della Magistratura e Governo).
Sì, il magistrato Di Matteo è stato incredibilmente sottoposto ad azione disciplinare da parte del CSM, senza aver compiuto alcun illecito (ha semplicemente spiegato a Repubblica la scelta di stralciare delle intercettazioni penalmente irrilevanti senza fare i nomi, cioè quelli di Mancino e Napolitano – sì, avete inteso bene, Napolitano il “nuovo” presidente della Repubblica, Re Giorgio II, eletto a suon di voti – o di vuoti di memoria – e Nicola Mancino, ex-presidente del Senato, rinviato a giudizio per falsa testimonianza, che chiamava in continuazione il Quirinale per ottenere il classico aiutino altolocato). E’ come se un tizio, Di Matteo in questo caso, dovesse venir processato perché ha attraversato la strada fuori dalle strisce pedonali (mentre il Codice Penale non punisce l’attraversamento fuori dalle strisce). Dunque un “reato” inventato, per mettere il bastone tra le ruote a Di Matteo, e per continuare a far finta di nulla, per negare la scellerata trattativa tra la mafia e alcuni pezzi dello Stato (che invece avrebbero dovuto combatterla, questa mafia, e non scenderne a patti, ed ora per fortuna sono alla sbarra). Un tentativo, per ora ben riuscito, di isolamento del magistrato.
* * *
Ma senza perderci troppo in dettagli, e ritornando alla manifestazione, si son visti nel parterre del palazzo della cultura dei battimani, anche da parte delle “istituzioni locali”. E questo non può che farci piacere. Evidentemente tra il centro (Roma) e la periferia (Galatina) finalmente c’è uno scollamento, una differenza di vedute di non poco conto. Finalmente qui non ci si nasconde dietro il dito della disciplina di partito che ordina di non pensare, non parlare, non presenziare, non esporsi, non proferir verbo, ma sfuggire di fronte alle responsabilità, di fronte alle domande, alle denunce, alle istanze legittime dei superstiti cittadini con la schiena dritta. A meno che non si fosse trattato di applausi di circostanza. Non sentiti. Il che sarebbe preoccupante. Ma non voglio crederlo: non voglio pensare che la maggioranza degli astanti avesse voluto in quel momento trovarsi sull’altra faccia della terra (se non addirittura all’altro mondo). Assolutamente, no. Non voglio nemmeno ipotizzarlo per sbaglio.
* * *
Però al contempo mi chiedo che cosa avranno pensato quelle stesse istituzioni cittadine di fronte a quel cartello appeso al collo di un attivista, un uomo dai capelli canuti, su cui c’era scritto: “Là dove si deturpa il territorio lì c’è mafia”. Chissà se sono riusciti a fare qualche collegamento neuronale tra questo fatto e quella politica scellerata che distrugge il territorio e danneggia la salute pubblica (il riferimento al mega-parco di Collemeto, approvato non più tardi di ventiquattro ore prima, da quello stesso parterre plaudente, nel più assoluto silenzio dei “compagni di merende”, è puramente casuale).
Sorge il dubbio se oggi dire o fare qualcosa di sinistra si sia trasformato invece in un far qualcosa di sinistro (come per esempio accogliere a braccia aperte le istanze della pantomatica Fantacom). Come mai nessuna tra quelle autorità, dopo gli incarichi istituzionali (non prima!) ha mai insistito “fino alla morte”, come fanno i duri e puri, nel dire ad alta voce: “Lì dove si deturpa il territorio, proprio lì c’è mafia” (o una parafrasi di questo slogan)? Come mai, chi avesse proferito queste parole prima viene colpito poi da una sorta di amnesia fulminante cronica?
Mistero doloroso.
Non so come facessero alcuni fra questi personaggi a sentirsi (o a fingere di sentirsi con la solita faccia di bronzo) a proprio agio, e non minimamente in imbarazzo, di fronte alle accuse precise e puntuali a loro rivolte in quel contesto, in maniera diretta o indiretta, da tutti i partecipanti, gli organizzatori, i relatori, il contesto, la stessa atmosfera di quella che tutto è stata men che una manifestazione folkloristica.
* * *
C’è pure qualcuno che volendo fare dell’ironia, o forse era sarcasmo, chissà, facendo riferimento a qualche mio articoletto che ha il sapore dello sputtanamento altrui, mi ha pure definito “il vocione di Noha” (sminuendo dunque il frutto delle mie quattro osservazioni circa la natura mentulomorfa di certi pensieri, parole, opere od omissioni). Liberissimo di farlo, per carità.
Vorrei sommessamente comunicare al mio interlocutore-amministratore, anzi statista, che se fosse stato lui per primo a proferir verbo, anche senza tanti decibel, sul tema della delibera-betoniera della sua giunta, io non avrei neppure aperto bocca.
Invece, sul tema, non dico un vocione, ma nemmeno una vocina, pur flebile, pur afona, ma nemmeno un suono, fosse anche gutturale, bisbetico, cacofonico sembra essere uscito dalla boccuccia arrotondata a cul di gallina dei nostri scandalizzati eroi. Né sui siti galatinesi, né su di un manifesto, non in una mail-catena-di-sant’Antonio s’è potuto leggere un dissenso vero da parte di chi un tempo pontificava contro il cemento, mentre oggi, peccando di omissioni, sembra voler costruir ponti (e strade e centri commerciali).
* * *
Concludo dicendo che finché non ci sarà nessuno in grado di far sentire la sua di voce, “il vocione di Noha” continuerà ad urlare, anche se ascoltato o letto soltanto dai suoi venticinque (tendenti a ventiquattro) lettori.
E continuerà a farlo anche se il lettore superstite dovesse essere l’ultimo dei nohani (o dei mohicani).
Non c’è, anche in questo caso, bavaglio che tenga; anche se il mio interlocutore m’ha lasciato intendere che lui ed i suoi amici con la carta virtuale su cui vengono vergati i miei articoli si puliscono la faccia. O quel che più le somiglia.
Antonio Mellone
giu022015
lug122015
Improvvisamente, all'età di 69 anni, ci ha lasciati Rosario Greco, un nohano doc emigrato in Germania diversi lustri fa, ma che non ha mai scordato la sua terra, tanto che non solo qui aveva la sua casa, in via Agrigento al numero 40, dove trascorreva le sue vacanze e dove aveva progettato di vivere la sua vecchiaia, ma ha fatto innamorare di Noha e del Salento anche la sua gentile consorte, Monika Pickelmann, di origini tedesche.
Rosario era così legato ai suoi fratelli nohani, e agli altri parenti, tanto da non far mancar loro la sua telefonata quotidiana per augurar loro il buongiorno.
Ora lo accoglierà tra le sue braccia materne, così come da sue volontà, l'antica bella terra di Noha.
A noi non rimane altro che rendere affettuoso omaggio ad un compaesano, come Rosario, un bravo lavoratore, che ha dovuto sopportare quella croce che ha nome di emigrazione (e che per tanti fu di cotale pesantezza che chi è credente potrebbe trovarne una di maggior gravezza soltanto in quella che portò il Cristo) ed esprimere sentite condoglianze alla moglie, alla famiglia Greco, in particolare ai fratelli Luigi e Fernando, alle sorelle Teresa e Fiorella, e agli altri parenti e amici.
Noha.it
feb052016
All'età di 64 anni è venuto a mancare all'affetto di moglie, figli e nuore, nipoti e altri parenti, ma anche di tutti i nohani, il carissimo Antonio Chirivì.
Lucido fino all'ultimo, attorniato dai suoi amori più grandi, si è spento a Bologna Umberto Tundo che tutti conoscevamo con il simpatico diminutivo di Bertino, titolare della storica macelleria ubicata alle spalle della chiesa madre di Noha.
Sempre gentile e garbato, tra la sua clientela annoverava non solo i nohani (quasi tutti), ma anche molti abitanti di Galatina e dintorni. Non c'erano un tempo i codometri, ma la fila che a volte arrivava fino alla sagrestia ne faceva sentire l'esigenza ante-litteram. E questo era segno non solo dell'ottimo rapporto qualità/prezzo dei suoi prodotti, ma anche dell'accoglienza che Bertino riservava a tutti, dal primo fino all'ultimo dei suoi clienti. Quante volte ha fatto credito, e quante volte, pur non strombazzandolo a destra e a manca, faceva giungere in dono a chi ne aveva bisogno la sua "busta" con i pezzi scelti di carne.
Noi lo ricorderemo così: calmo, disponibile, amabile, sempre pronto a scambiare una parola gentile e a salutarti cordialmente anche da lontano.
Condoglianze alla moglie Lidia Berino, alle figlie Amalia e Alessandra e ai rispettivi consorti e al nipotino.
Noha.it si stringe con affetto anche attorno al fratello Italo, alle sorelle Lina, Vera e Concettina, ai nipoti e a quanti lo conobbero e gli vollero bene.
La redazione
p.s. I funerali di Bertino si svolgeranno a Noha domani, 6 giugno 2018 alle ore 17 presso la Cappella della Madonna del Buon Consiglio.
ott152013
Poiché assente fisicamente da Noha da qualche mese, oggi voglio parlare di Noha “per sentito dire”, il ché è un’impresa che sconsiglio vivamente a tutti vista la pericolosità del compito, e lascio a voi immaginarne il motivo. A volte, però, i pettegolezzi di paese hanno la loro vena di verità. Resta da capire se tutto quello che sta succedendo contribuisca al bene o peggiori la situazione; intanto provo a raccontarvi cosa si sente su Noha a mille chilometri di distanza. Gira voce che gli abitanti siano disperati per la mancanza di lavoro e le ristrettezze economiche ma questo, per mera consolazione, è ciò che vive tutta quanta la Penisola. So per certo, comunque, che i nostri amministratori locali stanno affrontando il difficile momento a viso aperto (per gli amanti degli aforismi “a spada tratta”). È stato inaugurato un centro presso lo stabilimento delle vecchie scuole elementari che darà decine di posti di lavoro ai nostri tanti giovani disoccupati. Tutti quelli che invece non riusciranno a farsi assumere in questa struttura perfettamente funzionante, avranno un contratto a tempo indeterminato nel nuovo centro commerciale che sta sorgendo alle porte di Noha: centinaia di posti di lavoro ben retribuiti e, aprite bene le orecchie, tutti assunti a regola d’arte! Poi, visto che è in deroga per qualche miliardo il patto di stabilità dei comuni (e Galatina di milioni ne ha tanti da spendere), qualche altro centinaio di nohani verrà assunto dal Comune per far fronte ai servizi che il nostro territorio richiede: autisti di mezzi pubblici, giardinieri per curare aiuole e rondò, elettricisti per illuminare strade buie, muratori, geometri e architetti per restaurare beni artistici e architettonici abbandonati da tempo. Mi è stato anche riferito che la mafia o le mafie (termine che secondo il pentito Buscetta non esiste se non per i giornalisti: la locuzione corretta è “cosa nostra”) sono state estirpate una volta per tutte dal nostro paese, troppo piccolo per vederlo comparire sulle cronache nere per ingiustizie e malvivenze. Si dice anche che tra l’amministrazione comunale, efficientissima peraltro, e i cittadini, ci sia una sorte di idilliaca convivenza (o mera rassegnazione?). Se questo è vero, è meraviglioso, efficace esempio di validità. Mi è stato detto che anche tra la parrocchia e i fedeli c’è un ottimo intendimento; anche i più lontani dalla Madre Chiesa so che si stanno avvicinando all’ovile: si racconta di sante messe affollatissime, processioni interminabili per l’alto numero di devoti partecipanti. Si sente dire anche del profondo rispetto che c’è tra i cittadini, tra le istituzioni civili ed ecclesiastiche e tra il clero locale e il laicato. So che anche tutte le feste di paese sono state ben organizzate, che tutto si è svolto nel massimo rispetto tra le parti, che ognuno fa il suo e lo fa nel miglior modo che gli riesce. Insomma, ora che a Noha per mia sfortuna non ci vivo più, tutto sembra aver intrapreso la rotta giusta e tutto, finalmente, va come è giusto che vada e auspicabile che sia. Era questa la Noha che volevo; resta sempre il fatto se quello che si sente dire corrisponda al vero o meno. Perché di voci esattamente contrarie a quanto sopra riportato ce ne sono, e anche di gran numero. Ma io non ci credo, saranno le voci dei soliti noti che vedono tutto nero. Le solite polemiche: il nuovo polo, inaugurato due volte, ancora chiuso per ferie prolungate; una colata di cemento su ettari di terreno per buttare un po’ di fumo negli occhi ai tanti disoccupati che non hanno di certo da poter spendere in un nuovo centro commerciale; screzi tra il parroco e i fedeli sull’organizzazione e l’amministrazione della chiesa, liti tra fedeli e fedeli, insulti e minacce varie indegni per un paese civile; incuranza e pessima amministrazione delle opere d’arte e dei beni pubblici; scandalosa sporcizia dei luoghi aperti e delle strade; insormontabili incomprensioni tra l’amministrazione comunale e i cittadini e chissà cos’altro ancora. A proposito del nuovo “ponte sullo stretto” a Collemeto che verrà fatto dalla Pantacom srl, vi volevo dire che basta studiare questo caso nelle Università per capire di come un’intera nazione può andare a rotoli. Ma questa non è la sede adatta per spiegarvelo, mi ci vorrebbe un’ora circa! Insomma, peggio di così non si può. Come si fa a credere a questa descrizione di Noha? Io, da nohano, più che non posso, non voglio credere perché amo la mia Noha ed un giorno voglio che mio figlio sia orgoglioso del posto in cui è nato suo padre. Se poi qualche politico “di zona” o buon’anima di paese vorresee impiegare due minuti del suo preziosissimo tempo per smentire tutte queste infanganti dicerie, renderebbe un grande servizio all’intera comunità. Ho l’impressione però che più di qualcuno si sia dimenticato del valore della gratuità che non vuol dire regalare qualcosa a qualcuno ma rendergli il dovuto perché il sol fatto di esserci in questo mondo implica il sacrosanto impegno di aiutarsi. E qui, di gente che sia aiuta per cristiana convinzione, non ne vedo neanche l’ombra. Se si smuove qualcosa è perché sotto si è sentito il profumo dei soldi più pervadente di quello dei tartufi. E se poi a questo si aggiunge la presenza di tanti “onorevoli Brunetta” che pensano di essere meglio di Padre Pio, allora non ho più alcun dubbio sulle dinamiche che scrollano Noha facendola rovinare pezzo per pezzo. Lì, di collaborazione tra le parti ne vedo veramente poca e per nostra sfortuna, forse, son vere più le consuete polemiche dei soliti noti che la rappresentazione bucolica dei tanti sconosciuti. Qualunque sia la realtà dei fatti, non prendetevela con me. Ho scritto solo per sentito dire.
nov132012
Noha, 13 Novembre 2012
LETTERA APERTA A:
-Gentilissimo signor Sindaco del Comune di Galatina, Dottor Cosimo Montagna.
-Assessore con delega alle Politiche sociali, alla Cultura e polo biblio-museale, al Diritto allo studio e servizi scolastici, Prof.ssa Daniela Vantaggiato.
Oggetto:
Istanza riguardante l’attuazione di un procedimento amministrativo al fine di apporre un vincolo giuridico (finalizzato al loro recupero) dei Beni Culturali di Noha.
Gentilissimo Signor Sindaco e Assessore, con la presente, mi faccio carico di riassumere in breve i vari sforzi profusi dai nohani al fine di tutelare e valorizzare i Beni Culturali di Noha:
A questo punto mi chiedo e Vi chiedo, se è giusto che un dipendente dello Stato (o comunque in possesso di incarico) non si faccia vivo (come forse suo dovere), ed attenda invece che sia un privato cittadino, come il sottoscritto, a sollecitare una risposta, qualunque essa sia.
Non pensate che anche i Beni Culturali di Noha abbiano un minimo di dignità e dunque, anch’essi, una specie di diritto di cittadinanza? Non trovate deprimente lo scempio infinito cui questi beni vengono sottoposti, prima dai privati proprietari e poi dal pubblico (che dovrebbe limitare un po’ l’ignavia del privato, così come previsto dalla Legge)?
Vi ritengo, gentile Sindaco e Assessore, persone degne di fiducia e attente agli impegni di cui Vi siete fatti carico. Per questo Vi chiedo di incontrarci al più presto, affinché possa meglio spiegarVi lo stato dell’arte del lungo processo che porterà (porterebbe) al vincolo di salvaguardia sui suddetti beni culturali. Sono certo che un Vostro intervento nei confronti della Sovrintendenza accelererà, anzi sbloccherà l’iter che sembra essersi inceppato per chissà quali strampalati marchingegni. Ogni giorno trascorso senza un nostro intervento equivale ad un colpo di piccone alla bellezza, all’arte e dunque al benessere di tutta la collettività.
Distinti saluti
Marcello D’Acquarica
ago222010
Eccovi di seguito un articolo di Raimondo Rodia che ci riguarda da vicino, tratto da galatina.blogolandia
Continua ancora la distruzione dell’ambiente e delle campagne galatinesi, dispiace che quello che Antonio Mellone chiama il ” sacco di Noha ” stia avvenendo proprio con un sindaco originario di Noha, eletto dalla frazione con grande giubilo. Tra nuovo comparti artigianali, commerciali e di edilizia civile, riempiremo di cemento le campagne, il resto saranno campi di silicio con il mega fotovoltaico e le pale dell’eolico, come torri di Babele che si stagliano nel cielo del Salento. A questo aggiungiamo nuove fonti di stravolgimento del nostro ambiente, preservato dai nostri antenati e che noi in capo ad un paio di generazioni rischiamo di cancellare definitivamente. Ma torniamo ai nuovi accadimenti e sentiamo le parole di Antonio Mellone. ” Non finiremo mai. Siamo assediati. Ci stanno mettendo nel sacco ancora una volta. Stanno preparando ” il sacco di Noha “. Ebbene non ci crederete ma a Noha abbiamo un’altra emergenza (oltre al fotovoltaico selvaggio in svariati ettari di campagna nohana, oltre all’imminente Comparto 4 e le oltre 50 villette schierate come un plotone d’esecuzione, oltre a tutto il resto). Avete visto il video di Dino Valente su galatina.it a proposito della cava De Pascalis ? Sembra uno spot pubblicitario. L’intervistatore si rammarica pure della burocrazia e dei suoi lacci e lacciuoli, anzichè chiedere regole lacci e lacciuoli anche per il suo bene e la sua salute. Lo sapete che cosa verrà conferito in quella cava, a due passi dall’antica masseria Colabaldi, sito archeologico importantissimo? Di tutto, di più. Leggete l’elenco. Ma andate oltre: dietro quell’elenco c’è un altro elenco invisibile e innominabile, tra l’altro, facilmente immaginabile. Anche se non ce lo dicono ci saranno materiali pericolosi insieme a tutto il resto.Scommettiamo? Pensate che qualche eternit, o qualche altro materiale viscoso “ben chiuso” in qualche bidone, o qualche altra roba da sversare non ci sarà in mezzo alle altre schifezze che verranno portate qui da noi da tutto il Salento ? Suvvia, non cadiamo dalle nuvole da qui a qualche anno con le solite lacrime da coccodrillo. Cerchiamo di anticipare i tempi. E per favore andatevi a vedere il film “Gomorra” (proprio nelle scene delle cave dismesse), se proprio non riuscite a leggere l’omonimo libro di Roberto Saviano. Sappiamo come vanno le cose in Italia e soprattutto qui, nel nostro Sud. Conosciamo bene il senso di responsabilità e la correttezza di molti imprenditori.
E poi perchè tra la roba conferita deve esserci il vetro e la plastica? Non sono, questi ultimi, materiali da riciclare? Andatevi a vedere l’elenco delle cose conferibili (conferibili, ovviamente, a pagamento).
Credono lor signori che noi siamo così fessi da non capire che dietro questa n-esima “scelta ecologica” non ci sia un piano diabolico? Che potrebbe essere questo: guadagnarci ovviamente nell’immediato (i conferimenti da parte delle ditte di tutto il Salento è a pagamento, un tot. di euro a tonnellata). Ma guadagnarci anche e soprattutto nel futuro. Come ? Semplice. Una volta riempita la cava (non ci vorrà mica un secolo, basterebbe un decennio ma anche meno di conferimenti, con la fame di discariche che c’è ) si farà diventare edificabile quella “nuova area”, tra Noha e Galatina. Altro comparto, altra villettopoli. Altro giro altro vincitore, e molti perdenti: noi. Mentre altrove le cave dismesse diventano centri culturali (tipo Le Cave del Duca a Cavallino, sede di concerti e di convegni, o l’area Verdalia a Villa Convento, area di freelosophy, eccetera eccetera), qui da noi diventano l’immondezzaio del Salento. A due passi dalla povera Masseria Colabaldi. Non c’è rispetto nè della storia nè del futuro. Siamo schiavi del presente purtroppo. Manco i barbari permetterebbero certi scempi. Ma noi sì. Bisogna allora avvisare tutti i nohani, ma anche i galatinesi della 167, quelli che abitano nell’intorno della parrocchia di San Rocco, del fatto che anche loro ne sono coinvolti: ne va anche della loro salute. Bisogna far presto. Bisogna far girare queste mail, magari arricchendole con nuove notizie e nuove informazioni. Bisogna far svegliare i nostri rappresentanti (ma dove sono con i loro cervelli in fuga) cercando di far capire loro che con certe scelte e certe decisioni (prese all’oscuro e senza informare preventivamente i cittadini) stiamo andando con gioia verso il disastro. Stavolta annunciato.” Tutto giusto quello che scrive Antonio Mellone nel virgolettato, l’unica cosa da rimproverargli e che questa non è solo la battaglia della gente di Noha e della 167 di Galatina. Questa deve essere la battaglia di ogni cittadino del Salento, che vuole la sua terra ricca e salubre.
Raimondo Rodia
giu192013
Finalmente una bella notizia. Pare che il 28 giugno prossimo o giù di lì ci sarà la seconda inaugurazione della vecchia scuola elementare di Noha ristrutturata un paio d’anni fa. Abbiamo dovuto usare tutto il dubitativo contenuto nel verbo “pare” in quanto ad oggi non c’è ancora nulla di ufficiale. Nemmeno il topico trionfalistico comunicato stampa diramato dagli accoliti dell’assessore di turno.
Dunque non c’è che da supporre che il 28 giugno si taglierà ancora una volta il nastro inaugurale della nostra bella struttura pubblica, anche se ancora non se ne conoscono termini, condizioni, costi, attività, e molto altro ancora.
Non se ne parla sul sito ufficiale del Comune di Galatina, né tantomeno su quelli ufficiosi e amici in quanto magari più indulgenti del nostro.
Sì, qui da noi funziona così: le cose pubbliche sono così intime, riservate, misteriose che al confronto i segreti dei pastorelli di Fatima erano rivelazioni arcinote urbi et orbi, e senza bisogno alcuno di interpretazioni esegetiche.
Nel corso dei comizi i nostri personaggi in cerca di elettore si riempiono le garze (e saturano i sempre più cascanti attributi dei cittadini) di “trasparenza”, di “limpidezza”, di “democrazia partecipativa” e di “palazzi di vetro”.
Orbene, Palazzo Orsini potrebbe pure essere diventato di vetro, ma credo si tratti ormai di un vetro quanto meno fumè, appannato, anzi appositamente oscurato in modo tale che chi stia al di fuori non possa vedere nulla di quel che accade e si decide all’interno; e soprattutto chi ha la ventura di trovarsi all’interno (per la benevolenza o gli errori dell’elettorato) non abbia la più pallida idea di quel che accade fuori.
Ebbene, il 28 giugno a Noha ci sarà questa benedetta inaugurazione 2, probabilmente con tanto di acqua santa e champagne per i gargarismi d’occasione, ma non si sa bene ancora cosa si inaugurerà.
Ora, sapendo sin da subito (anzi dalla storia) che, avendo un rapporto idiosincratico con chi s’azzarda a porre qualche legittima domanda (a meno che non sia il solito “giornalista”, vocabolo fungibile con “zerbino”, “scendiletto”, “copia-incollatore” a causa di servilismi e salamelecchi congeniti), i nostri magnifici rappresentanti faranno finta di non aver sentito e, in questo caso come in molti altri casi, letto; e posto che interessare i consiglieri di “opposizione” “nohana” (le virgolette mi vien di metterle sia al sostantivo che all’attributo) sarebbe del tutto inutile a causa del letargo cronico che sembra averli inesorabilmente colpiti (non hanno, infatti, alzato ciglio nonostante i nostri articoli-assist sul tema e nonostante le prossime venture sfilate primavera-estate da parte della maggioranza); tutto ciò premesso mi rivolgo direttamente ai concittadini responsabili del “condominio Noha” nel quale viviamo e li esorto a farsi diretti latori delle domande, dei dubbi e delle istanze in merito a ciò che avverrà in quella bellissima struttura. Ne hanno il diritto-dovere.
E’ ora che una nuova cittadinanza attiva incontri una nuova politica interattiva. L’indignazione passiva è un lusso che non possiamo più permetterci.
Qualcuno potrebbe obiettarmi: perché non chiedi tu? Ma cara grazia, cosa è che sto facendo ormai da anni con i miei articoli, le inchieste, i video e tutto il cucuzzaro?
E’ che ormai quando sentono il mio nome e cognome corrono tutti a nascondersi nei rispettivi bunker, pronti a difendersi ad oltranza.
Ma non è solo questo: è che il 28 giugno non potrò essere presente alla cerimonia de quo - suppongo (ormai si va avanti a supposte) preparata in gran pompa - in quanto impegnato in quel di Roma in un altro convegno, un matrimonio per la precisione (tranquilli, e soprattutto tranquille: non è il mio, almeno per stavolta).
Una prima cosa che il cittadino degno di questa “carica” dovrebbe chiedere ai suoi rappresentanti comunali sarebbe una rassicurazione in merito almeno alla numerosità delle “ri-aperture al pubblico” proferendo più o meno quanto segue:
“Caro Sindaco, caro assessore, cari consiglieri non è che per caso dopo questa seconda inaugurazione dovremmo aspettarcene una terza, e poi una quarta e via dicendo, manco fossimo al cospetto della Salerno-Reggio Calabria?
Noi nohani non vorremmo che qui accadesse quanto già avvenuto in molte altre parti d’Italia per altrettante opere pubbliche celebrate un numero incommensurabile di volte.
Noi non vorremmo mica che per questa struttura avvenisse quel che è avvenuto, ad esempio, per la fiera di Milano, inaugurata chissà più quante volte dagli amiconi Maroni, Berlusconi, Formigoni: non vorrete mica emulare tutti quelli cogli-oni. Non è proprio cosa. E poi qui non abbiamo tanto tempo da perdere dietro alle vave.
Ma c’è un altro dubbio che ci attanaglia.
Scusate, ma è stato risolto una volta per tutte il problema dell’allaccio all’energia elettrica? Ci avevate detto che bisognava prima di tutto costruire la famosa cabina elettrica di trasformazione per l’altrettanto famoso collegamento dei 50 kwh, altrimenti nisba. Bene, è stata realizzata questa benedetta cabina, magari all’insaputa dell’assessore, o era tutta una bufala per farci perdere tempo e inchiostro virtuale a iosa?
Oppure siamo punto e a capo e stiamo qui convenendo per l’ennesima farsa, cioè l’allaccio provvisorio o “di cantiere” dei 10 kwh che faranno funzionare la struttura ma solo in parte (per esempio non funzionerà l’ascensore e l’impianto fotovoltaico sulla terrazza potrà arrugginire senza aver prodotto un solo chilowattora in vita sua, tanto chi lo vede)?
Oppure ci penserà la nuova cooperativa aggiudicataria a colmare questa deficienza progettuale ed attuativa? Sicché il Comune non sborserà nemmeno una lira?
Non è che ancora una volta stiamo facendo le cose all’italiana, cioè come “pragmatismo” comanda?
E infine, chi sarebbe codesta nuova cooperativa aggiudicataria? Qual è il suo “curriculum vitae”? Da chi è formata, diretta, gestita? Chi sarebbero gli “educatori”, posto che siano previsti? Quale la loro formazione o il loro pedigree? Quali sono le garanzie concesse da questa società al Comune di Galatina?
Ci sono già dei ragazzi del circondario “pronti” per essere ospitati qui a Noha? Si sta facendo davvero tutto a regola d’arte? Quanto costerà tutto questo marchingegno alle casse pubbliche? Per quanto tempo verrà affidata questa struttura all’organizzazione de quo? Cosa ha in mente di realizzare? I cittadini di Noha potranno usufruire dei servizi della struttura?
Cari concittadini queste e molte altre sono le domande da porci. Quindi da indirizzare immediatamente ai nostri rappresentanti comunali.
Se qualcuno per miracolo vi dovesse rispondere andate senza indugio ad accendere un cero alla Madonna per grazia ricevuta.
gen082012
Era la notte di Natale, c’era molta nebbia e faceva molto freddo. Babbo Natale stava consegnando i regali ai bambini di Noha. Stava volando sopra la masseria “Colabaldi”, quando all’improvviso la renna Rudolph iniziò a sbandare. Babbo Natale cercò di tirare le redini per ritornare sulla giusta rotta, ma le renne ormai avevano perso l’equilibrio e si schiantarono sui cozzi della masseria.
Babbo Natale, dopo lo schianto, stava per svenire e barcollava come se fosse ubriaco; alcune renne erano svenute, altre ferite alle zampe, una si era attorcigliata alle redini. A Babbo natale sembrò di vedere un piccolo ometto con le orecchie a punta, che si appariva e scompariva vicino a ciò che rimaneva della slitta. D’un tratto sentì alcuni colpetti sulla spalla, soffici e veloci; capì che si trattava dello sciacuddhri, di cui tanto aveva sentito parlare e si diceva abitasse proprio a Noha, nelle casiceddhre. Lo sciacuddhri, intanto, nascosto dietro un cozzo, se la rideva per il dispetto che era riuscito a fare nientemeno che a Babbo Natale.
Le persone che erano riunite intorno alla focara vicino alla masseria, sentendo quel rumore, decisero di andare a vedere cosa fosse successo. Accesero delle fiaccole e andarono a controllare.
Alcune persone pensarono che stessero sognando, altre che avessero bevuto un po’ troppo a tavola, altre ancora erano assonnate e non riuscivano a vedere nulla. I bambini, invece, ci vedevano benissimo e cercarono di convincere i grandi che si trattava di Babbo Natale in carne e ossa. Ci volle un po’ per convincere i grandi, ma alla fine tutti insieme decisero di darsi da fare e si avviarono velocemente verso la masseria. I papà presero gli attrezzi del falegname del presepe vivente e si misero a lavorare per riparare la slitta. I nonni condussero le renne nella mangiatoia per farle riposare. I bambini raccolsero e ripararono i pacchetti sparsi tra i cozzi. Le mamme fecero accomodare Babbo Natale sul trono di Erode e le nonne iniziarono a friggere pittule e a sfornare pucce con le olive.
Dopo circa un’ora la slitta era come nuova e portava sul retro lo stemma di Noha, con le tre torri e le due barchette tra le onde del mare. Le renne erano in forma smagliante, Babbo Natale riposato e sazio.
Babbo Natale e le renne ripartirono per consegnare gli ultimi doni e i nohani, credendo di essere finiti nel bel mezzo di un sogno, si avviarono verso le proprie case.
Il mattino seguente, vicino al camino, i nohani trovarono una piccola statuetta che raffigurava Babbo natale che mangiava pittule nella masseria “Colabaldi”.
nov062014
I nostri interventi su questo sito rimasti senza e-sito, a proposito della famosa Trattativa “Cabina Elettrica – Ex Scuola Ristrutturata Anzi No”, dimostrano, semmai ce ne fosse il bisogno, che a Galatina, oltre al resto, abbiamo anche un assessore ai Lavori Pubici che sembra si sia dato alla macchia come un qualsiasi latitante allo sbaraglio.
Il fuggitivo o smemorato di assegno (di 1.300.000 euro di soldi nostri pagati per una ristrutturazione da incorniciare in una lapide, magari mortuaria) ci aveva assicurato che tra “giugno e settembre 2014” questa cabina in muratura avrebbe finalmente visto la luce.
Invece, ad oggi, questa benedetta luce non l’ha ancora vista né la cabina né noi né i poveri avventori di quell’edificio scolastico, che vien fatto funzionare alla men peggio dagli eroi addetti, grazie all’arte dell’arrangiarsi e per il tramite di un “transitorio” allaccio di cantiere (o candeliere o braciere o incensiere, a seconda delle circostanze e delle esigenze).
A dirla tutta, un po’ di colpa ce l’abbiamo anche noi per aver dato retta alle parole di un signore, il suddetto novello Assessore alla Felicità, che evidentemente non lesina promesse che hanno la stessa valenza delle circonlocuzioni proferite da un televenditore di cravatte, panettoni, padelle antiaderenti o materassi antidecubito (ma almeno in questi casi il consumatore avrebbe il diritto di ripensamento entro otto giorni: qui no).
Ora, giunti a questo punto, prima di perdere del tutto le speranze, visto che l’appello al consigliere Carlo Gervasi pare caduto nel vuoto e che l’opposizione-chiamatemi di Noha sembra venuta prematuramente a mancare all’affetto dei suoi cari, ci rivolgiamo come ultima spiaggia agli “attivisti” del locale circolo PD, quelli che si riuniscono nella fu-casa del popolo di piazza San Michele. I quali, salvo errori, pare abbiano creduto o forse credono ancora alle parole del loro assessore di fiducia, Mr. Coccioli, che sembra sia addirittura più volte venuto in trasferta a Noha ad incontrarli di persona (forse per prenderli meglio in giro guardandoli negli occhi, e a chilometri zero).
Ora crediamo che questi cittadini di Noha, in un sussulto di autostima, potrebbero per un attimo attivare le loro funzioni cerebrali, senza esagerare s’intende, e convocare il compagno-assessore indirizzandogli parole affettuose del seguente tenore: “Caro Assessore ga-latitante, siamo stanchi di passare per gli zimbelli di piazza San Michele, l’agorà che ha preso, e non solo metaforicamente, le fattezze di una natura morta cubista (il riferimento all’asfalto sconnesso, all’orologio fermo e alla torre decadente è puramente causale). Noi non vogliamo più comportarci come Ponzio Depilato pronto a lavarsi pragmaticamente le mani, se è vero come è vero che persino noi, su questa storia della cabina elettrica, abbiamo le scatole piene. Cosa credi, che siamo proni a tutto? E che l’acronimo del nostro PD stia per Perduta Dignità? E infine che tutti, ma proprio tutti i nohani abbiano l’anello al naso o che siano de coccio-li?
Caro Assessore, permettici di rivolgerti un’ultima ma riepilogativa domandina semplice semplice: non è che per caso ci hai presi per il culo?”
P.S. Sabato primo novembre scorso, nei pressi del cimitero di Noha, è stato avvistato il sindaco Montagna in compagnia di un nugolo di cortigiani. Sarà forse per l’omaggio al loculo ignoto.
Antonio Mellone
dic022012
Nonostante qualche titubanza iniziale, e qualche maldestra operazione matematica di sottrazione, anche quest’anno il presepe vivente presso la Masseria Colabaldi di Noha verrà allestito dagli stessi ragazzi che ebbero per primi l’idea e la voglia di far rivivere, seppur per qualche giorno, uno dei beni culturali nohani da decenni in balia di sterpaglie e menefreghismo.
Il “gruppo Masseria Colabaldi”, già da tempo al lavoro per la terza edizione del più bel presepe vivente (anzi presepe vivo) di Puglia vorrebbe render noto ai cittadini che la masseria è aperta a tutti coloro che vorranno aderire alla manifestazione sia nelle vesti dei figuranti che in quelle di collaboratori del disegno, dell’organizzazione, e della realizzazione del presepe nohano.
Sarebbe bella una partecipazione corale di tutti gli esponenti della nostra società civile, senza alcuna esclusione o distinzione “di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” [art. 3 Cost.].
Vangelo e Costituzione, come dice don Andrea Gallo, dovrebbero essere le nostre due bussole. Anzi le nostre due stelle comete.
Antonio Mellone
P.s. S’era sparsa una voce in giro secondo la quale alcuni uomini di buona volontà avrebbero voluto allestire un presepe presso la casa rossa. Secondo il nostro modesto parere – già altre volte ribadito – sarebbe stupendo, meraviglioso, inedito, un motivo di attrazione particolare in più per Noha. E poi in quei dintorni sembra esserci già tutto l’occorrente. Perfino il palazzo di Erode.
mag282013
Premettiamo che un intero articolo sul servizio liturgico che abbiamo prestato in san Pietro il 12 maggio scorso non ce lo saremmo mai aspettato. Sicuramente è stata un’esperienza per noi molto significativa; d’altra parte con nostra grande sorpresa e – perché no? – piacere, abbiamo potuto apprezzare la lunga cronaca, arricchita da tante digressioni ed evidentemente permeata da grande partecipazione affettiva, che il Dott. Mellone ne ha redatto. Il “piacere” non è legato tanto al fatto di essere apparsi su qualche “prima pagina” o di avervi visto le nostre foto – anzi questo, in verità, ci ha procurato anche un po’ di imbarazzo! –, ma piuttosto dall’aver percepito in questo periodo e in vari modi la vicinanza di molti nostri concittadini e l’orgoglio che – così leggiamo tra le righe – tanti nohani hanno provato nel vederci lì a due passi dal Papa… Come dire: è come se là, accanto a Pietro, ciascuno di voi si è potuto sentire rappresentato dalla nostra discreta presenza. Approfittiamo, quindi, di questa circostanza per esprimere tutta la nostra gratitudine alla Comunità di Noha, che ci ha generati alla fede e ci sta accompagnando in questo cammino di formazione e sequela, per il rispetto, la stima e l’affetto con cui segue i nostri passi e “benedice” le nostre aspirazioni più belle e sante.
Questa “benedizione” del popolo non può che riportarci proprio alla grande figura di Papa Francesco che, con questa richiesta, rivolta alla sua Chiesa di Roma, ha inaugurato il ministero petrino circa due mesi fa. Veniamo, così, a tracciare qualche “pennellata” – sicuramente non esaustiva! – della bella esperienza che abbiamo vissuto il 12 maggio scorso, soprattutto cercando di soddisfare la richiesta rivoltaci di raccontare qualcosa delle impressioni personali e dei “retroscena”.
Abbiamo conosciuto innanzitutto un “mondo”, quello dell’Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice, che è fatto sì di rigore e formalità – come l’attento articolista ha notato –, ma anche e soprattutto di grande affabilità e cortesia, disponibilità e simpatia, che l’“imperturbabile” mons. Marini ha manifestato già dal primo istante nei nostri confronti. La sua serietà e precisione nella liturgia si è svelata, sin dalle prime prove liturgiche di Sabato mattina, come spiritualità profonda e attenzione nei confronti di chi come noi, almeno nei primi momenti, si sentiva quasi come un pesce fuor d’acqua. Così, non possiamo negarlo, si è stabilito sin dall’inizio con lui e con la sua équipe di cerimonieri un particolare feeling, che è emerso più volte e in vari modi. Possiamo accertare che al soglio di Pietro, tante volte oggetto di più o meno fondati attacchi e critiche, si respira ancora la fede di chi esercita un ufficio con l’energia ricevuta da Dio (cfr. 1Pt 4,11) e la carità di chi è accogliente, disponibile e attento nei confronti del “forestiero” (cfr. Mt 25,35).
D’altra parte, il momento culminante di questa esperienza è stato ovviamente quello di Domenica mattina. A partire dalle 7,30, quando abbiamo varcato la soglia della Porta del Perugino – proprio accanto alla Domus Sanctae Marthae, dove attualmente alloggia il Santo Padre –, dopo aver ricevuto il rituale saluto da parte della Gendarmeria Vaticana e delle Guardie Svizzere, il livello di emozione e sano timore ha iniziato ad elevarsi. Terminate le ultime prove con il Maestro delle Cerimonie, proprio sotto la Pietà del Michelangelo – che, finalmente, abbiamo potuto contemplare “senza veli”, cioè al di là del vetro che, ormai da molto tempo, la protegge dalla moltitudine dei visitatori –, abbiamo sentito il fatidico “è partito”, pronunciato da uno degli uomini della sicurezza del Sommo Pontefice, che ci ha fatti veramente sussultare di gioia e trepidazione. Tra l’altro, l’emozione era accresciuta dal fatto che avevamo tra le mani i paramenti che il Pontefice avrebbe di lì a poco indossato per la Celebrazione e che, per l’appunto, erano già stati più volte utilizzati dal suo Beato Predecessore Giovanni Paolo II. Ma non è finita qui: l’ultima grande sorpresa è stata sentire, per bocca del gentile Custode del Sacrario apostolico, padre Paolo Benedik, le parole “Ragazzi, lasciate tutti i paramenti e disponetevi in fila: il Santo Padre vi vuole salutare!”; e ancora, davanti al nostro sguardo smarrito e al nostro impaurito esitare: “Ma insomma, il Papa lo volete salutare o no? Lasciate tutto e sistematevi!”. Così, pochi attimi dopo, si è aperta la porticina da cui è venuta fuori una simpatica figura bianca che aveva proprio qualcosa di familiare… E nel frattempo si sentiva flebile la voce di Luigi che diceva: “Giuseppe, il Papa! Il Papa!”, ricambiato dallo sguardo smarrito ed emozionato di Giuseppe stesso. “Bongiorno, me sembra che state aspettando el bus”: finalmente la voce paterna di Francesco risuonava in quella stanza e, per la prima volta dal vivo, nelle nostre orecchie. Così il Papa è passato a salutarci ad uno ad uno, in un cortese scambio di “Grazie, grazie”, che lasciavano trasparire un certo imbarazzo dall’una e dall’altra parte. Poi il Pontefice, in preghiera e profondo raccoglimento, ha indossato, dopo aver tolto dalla tasca cellulare e occhiali, e dopo aver fatto il lavabo rituale, i sacri paramenti. Noi abbiamo approfittato di quei pochi istanti per accostare S.E. Mons. Georg Gänswein, Segretario particolare di Benedetto XVI e Prefetto della Casa Pontificia, che ci ha rassicurato – anch’egli con grande simpatia e affabilità – sulle condizioni di salute del Papa emerito. Ciò che è successo da lì a pochi istanti, dopo l’ingresso mozzafiato in una piazza san Pietro orante e festante, l’avete potuto conoscere dagli schermi TV, per cui non vi tediamo ulteriormente nel racconto.
Inutile dire che questa esperienza ci ha segnati profondamente e si è scritta nel cuore come una delle pagine più belle della nostra vita oltre che, ovviamente, della storia della nostra Arcidiocesi di Otranto, che ha esultato per la Canonizzazione dei suoi Patroni. Non sembri esagerato dire che, nelle parole di incoraggiamento e di congratulazione che ci avete rivolto prima e dopo la Celebrazione, abbiamo quasi potuto sentire l’eco di quelle espressioni di incitamento e affetto che gli stessi Santi Martiri di Otranto si scambiavano tra loro in un’ora certamente più decisiva della vita cristiana. In fondo è la stessa Chiesa che vive, là dove si avverte il calore e l’affetto che, come in una famiglia, ne unisce i membri. Accanto a Pietro, poi, questo legame spirituale e affettivo non può che rinsaldarsi: Ubi Petrus, ibi Ecclesia – Dov’è Pietro, ivi è la Chiesa (Ambrogio, Expositio in Ps. XL, 30). Grazie, allora, della vostra vicinanza e del vostro affetto; e grazie al Signore di averci reso parte di una Chiesa che è così viva e bella.
Luigi D’Amato
Giuseppe Paglialonga
feb072012
Ieri a Milano ha cessato di battere il cuore grande di Michele Tarantino, nohano purosangue. E' stato "editore a perdere" (senza cioè alcun obiettivo di profitto) del monumentale volume "Noha, storia, arte e leggenda" scritto a quattro mani da P. Francesco D'Acquarica e Antonio Mellone.
Fu il primo a sostenere ed a volere su carta l'avventura fantastica de "L'Osservatore Nohano", la rivista on-line che per cinque anni ha sollecitato nel bene o nel male l'elettroencefalogramma di molti nohani.
Secondo le sue disposizioni, le sue spoglie mortali ritorneranno, per rimanervi per sempre, nella sua amata antica terra di Noha.
Tutti i collaboratori di questo sito - e, siamo certi, numerosissimi altri concittadini - ricordano la figura di questo benefattore, e affettuosamente abbracciano la sig.ra Rossana, ed i suoi due figli, Federica e Dario.
mar092016
Conserva ancora i tratti della tradizione la festa in onore della Madonna di Costantinopoli con la Fiera dei cavalli di Noha.
Nella caratteristica frazione di Galatina, infatti, la Pasquetta rievoca vecchie usanze “profane” e si fonde alla devozione mariana. Si comincia alle 8.30 con la fiera del bestiame che prende vita intorno alla cappella della Madonna con i mercanti che mettono in mostra animali da cortile, attrezzature agricole di ogni tipo e, dato che Noha è ormai considerata la “Città dei Cavalli”, finimenti e bardature.
La Fiera si svolge fino alle ore 13 mentre nel pomeriggio, intorno alle 16, la bella statua della Madonna delle “Cuddhrure”, come viene affettuosamente appellata dai nohani, è condotta in processione a spalla dalle donne dalla chiesa di San Michele Arcangelo fino alla chiesetta sulle note festose della banda cittadina diretta dal maestro prof. Lory Calò.
Dopo le laudi in onore della Vergine, ha inizio la festa che vede svettare nel grande prato adiacente il caratteristico palo della cuccagna.
Tutti con gli occhi all’insù, dunque, per incitare i temerari scalatori lanciati alla conquista delle ghiottonerie ciondolanti dalla ruota in cima. Una volta conquistata la vetta e i premi, il vincitore come da tradizione lancia dall’alto le caramelle, sventola il tricolore al suono dell’inno nazionale e ha inizio lo spettacolo dei fuochi d’artificio.
La festa pomeridiana si chiude con il rogo delle “Curemme”, i fantocci vestiti di nero che fanno capolino agli angoli delle diverse zone del paese, segnando così la fine della Quaresima e celebrando la Resurrezione con la distribuzione ai presenti di colomba pasquale e spumante.
[fonte quiSalento – marzo 2015]
Mel
mar172013
L’ultimo campionato di calcio agonistico disputato nella nostra cittadina risale a circa 30 anni fa.
Correva l’anno 1984, quando il “NOHA CALCIO” militava nel campionato calcistico di Seconda Categoria. Sono passati circa 32 anni e da allora a Noha non c’è più stata una squadra di calcio di questo livello. Eppure, a sentire i commenti dei nostri concittadini, era davvero bello quando la domenica si andava allo stadio comunale con tutta la famiglia a vedere la partita. E’ pur vero che molte cose sono cambiate, anche perché magari prima non c’erano tutte quelle distrazioni che la modernità ci ha portato e che, forse, non favoriscono il ritorno a Noha di un’iniziativa così bella, ma sognare non fa mai male. Nonostante tutte le tele-cavolate, le oasi dei mega-centri commerciali dove regna il nulla culturale o sportivo, il calcio per fortuna non passa di moda, e resiste perfino agli tsunami delle partite truccate e delle scommesse "dopate" . Pertanto i numerosi ragazzi nohani che volessero partecipare giocando il calcio migliore, quello sano e senza finzioni, sono costretti a “emigrare” nei paesi limitrofi per iscriversi ad una scuola di calcio (e, perché no, tentare il “sogno” di costruirsi una carriera). Non è bello vedere i nostri ragazzi andar via da Noha per soddisfare questa loro passione, soprattutto perché, se andiamo a vedere articoli e foto di circa trent’anni fa, notiamo che la maggior parte dei calciatori di allora erano nativi della nostra frazione. Noha, infatti, è sempre stata un buon vivaio di calciatori provetti, molti cresciuti a quella scuola di calcio che era la strada (un tempo quella che dava la miglior formazione sportiva ed umana). Per onor di cronaca, è bene ricordare che la formazione del “Noha Calcio” pubblicata nella foto, in due anni ha conquistato la promozione dalla Terza alla Seconda Categoria, ottenendo una serie di vittorie giocando sul campo comunale di Noha (ed, in trasferta, sui campi di calcio di mezzo Salento, sempre seguita da folto pubblico di tifosi organizzati con striscioni, tamburi, coriandoli e fumogeni multicolori). Oltre alla buona volontà ed alla passione degli sportivi sono certamente necessari l’impegno di tipo economico-finanziario, il tempo da dedicare alla causa, e soprattutto la collaborazione di un gruppo di persone affiatate per tutta una serie di attività organizzative. Ovviamente in tempi di forte crisi economica, come quella che stiamo vivendo e che colpisce aziende e famiglie, potrebbe sembrare azzardata la proposta di in una nuova avventura calcistica nel nostro paese. Le difficoltà sono non poche, certamente. Ma penso che con la passione si possano superare tutti gli ostacoli. E chissà che proprio dalle minacce non nascano delle opportunità anche in questo settore. Questo è il mio appello ed il mio augurio. Mai dire mai.
Antonio Mariano (’91)
La formazione del Noha 83-84: da sinistra ,in piedi Notaro (allenatore), Fuso, Giurgola, De Mitri, Navone, Mariano P., Gatto, Marra, Guido.
Da sinistra, in basso: Serra, Mariano M, Filoni, Sindaco, Coluccia, Notaro ,Mauro.
I quadri societari erano i seguenti: PRESIDENTE: Donato Rizzo, VICEPRESIDENTE: Alfredo Negusini, CASSIERE: Pietro Coluccia, ALLENATORE: Antonio
apr022015
Cos’è successo a Noha? Ti svegli una mattina e ti accorgi che tutto è cambiato. Lo vedi dalle foto. Ed è normale che col passare del tempo tutto cambi. Alcuni muoiono, altri nascono, il paese cambia forma, si aggiorna, si evolve, implode, esplode; insomma non è più lo stesso nonostante conservi il suo nome. Cambiano gli usi, mutano i costumi, si confondono i dialetti, entra in campo la tecnologia, vanno e vengono i critici, rimangono criticati gli stessi, ma non è questo che si vede dalle foto. O meglio, ciò che è cambiato lo vedi da una foto se la guardi con nostalgia. E non è vero il fatto che si stava meglio una volta. Vi immaginate oggi senza un computer o il telefono? Lo guidereste un cavallo invece di un’automobile? Scrivereste oggi, senza l’aiuto di un programma, la vostra tesi di laurea su carta, misurando lo spazio in base alle note a piè di pagina? Non ditemi che si stava meglio una volta perché non ci credo. Ma se guardo una foto, una qualunque foto, mi accorgo che qualcosa è cambiato. Tutto è cambiato. E in base ad alcuni punti di vista tutto è cambiato in meglio, o quasi. Io sono affezionato alle foto, soprattutto se in quelle foto ci sono io che non mi ricordo più com’ero prima. E non mi ricordo più com’era Noha, e non mi ricordo più come eravate voi. Non c’è nulla di più triste di una foto, specie se in quella foto c’è molto paesaggio e tanti personaggi. Se poi in quella foto c’è una sola persona e pochissimo sfondo, allora quella che avete tra le mani è una foto tristissima. E visto che oggi siamo nell’era digitale, le foto ci sommergono e perdiamo la concezione del tempo che passa, perché le foto scandiscono i momenti più di un secondo trascorso. E rivedi Noha in tempi moderni e non sai più chi è e chi l’ha cambiata in quel modo. Vedi le chiesa semivuota la notte di Natale, nessuno che va più a scuola a piedi tanto da impiegare un vigile che diriga il traffico mattutino dell’esercito di genitori che accompagnano i loro figli in quelli indefiniti istituti d’istruzione. Un oratorio che non c’è mai stato quando non c’era e che non c’è ora anche se c’è. Vedo le foto e non vedo ragazzi che giocano, non vedo biciclette, non vedo i presepi che c’erano, non vedo la Pasqua. Cioè, non vedo la Pasqua di Noha, non vedo i nohani nel giorno di Pasqua. Ma guardo le foto e vedo le fiere, non vedo sorrisi, vedo cuccagne ma non vedo Noha. E non vedo me stesso, né il mio passato. Io non vedo oggi nulla di ciò che mi manca veramente; proprio io che non sono un nostalgico. Vedo il Calvario solitario nella domenica delle Palme, e processioni in fila indiana per simulare grande affluenza di fedeli. Vedo tanta solitudine di gente tristemente allegra. E un nohano triste è una contraddizione in termini. Vedo cavalli, quelli si, cani randagi, quelli si, erba ai cigli delle strade e strade impolverate; quella Noha la riconosco. Non vedo marciapiedi ma case diroccate, stradine abusive costruite da geometri o architetti si, ma non vedo il carnevale, non vedo la recita, non sento le campane forse perché sono troppo lontano. Eppure le campane suonano, la Pasqua arriva, il Natale non manca anche se quelle foto non sono le stesse, io non sono lo stesso e non riconosco voi. Eppure sono di Noha, lo giuro. Cos’è cambiato? Chi l’ha cambiato? Non rispondetemi’ ‘il tempo’ perché non è vero. In quelle foto non ci sono io, non ci siete voi, e non c’è neanche Noha, e lo sapete meglio di me. E qualcuno sicuramente mi starà chiedendo “e con questo cosa vuoi dire?”. Nulla, proprio nulla. Vorrei soltanto che qualcuno mi ridesse quello che c’era in quelle foto, anche se quello che c’era non era perfetto. Stiamo meglio ora, ma a me non importa di stare meglio se la domenica delle Palme, davanti al mio calvario, non ci sono abbastanza ulivi alzati in aria in onore di Gesù Cristo e di quello che siamo stati o di quello che almeno sembravamo di essere in quelle foto.
gen102017
Voglio sapere di cosa stanno riempiendo la discarica De Pascalis, quella ubicata a metà strada tra Noha e Galatina. Voglio sapere cosa succede ad un fischio da casa mia.
Ne avrei il diritto come cittadino oppure è stata soppressa la sovranità che un tempo apparteneva al popolo stanziato su di un territorio? Vuoi vedere che è passato con la maggioranza dei SÌ il famoso Referendum del 4 dicembre scorso e io non me ne sono accorto?
No, non ditemi che è entrata in vigore la “nuova” costituzione Boschi-Verdini che prevede il “principio di supremazia”, e quindi i territori non contano più una cippa (posto che prima qualcosa contassero).
Può darsi. Ma se anche dovesse essere passata quella riforma a mia insaputa, io sottoscritto, l’ultimo dei cittadini di Noha, esigo di sapere.
*
Di recente, m’han fermato per strada un bel po’ di nohani chiedendomi lumi in merito a ‘sta benedetta discarica. M’hanno raccontato di decine di Tir autoarticolati che, pieni zeppi di non si sa bene cosa, vanno a svuotare i loro mega-cassoni nella cava de quo.
Io son cascato dal pero. Non ne sapevo nulla, anche perché – come mi dicono - i noti giornaletti caltagironei parlano di presepi viventi da Latiano a Fasano, senza citare, per dire, anche quello di Noha (salvo poi pubblicarne a tutta pagina una bella immagine), mentre i siti “giornalistici” locali - dopo i primi spot pubblicitari di qualche anno fa a favore di discarica - sembra che, come il sottoscritto (che tutto è men che un “giornalista”), non si siano accorti di nulla.
Mi raccontano, questi cittadini, che pare siano dirette alla volta di quella cava profonda centinaia ma forse anche migliaia di traversine ferroviarie in cemento o qualcosa di simile. E che subito dopo vengano interrate o coperte da altro materiale. Vai a sapere.
Ora. La prima domanda è la seguente: è vero ciò che va dicendo la ‘vox populi’? Ci è permesso avere qualche informazione più dettagliata in merito?
Sul sito internet della cava De Pascalis si trova l’elenco dei materiali autorizzati per il conferimento in quella discarica. Orbene, salvo miei errori od omissioni, nella lista non risulterebbero elencate traversine ferroviarie in cemento o in altro materiale.
Si parla, è vero, di “rifiuti provenienti da costruzioni e demolizioni” (tipo mattoni, ceramiche, mattonelle, scorie in cemento, materiali da costruzione, eccetera) ma, salvo smentite dell’ultima ora, non mi pare che le traversine ferroviarie rientrino nella fattispecie. In realtà si parla anche di “pietrisco per massicciate ferroviarie”, ma salvo interpretazioni estensive mi chiedo se le traversine possano rientrare nella voce “pietrisco”. E poi, posto che le traversine siano conferibili e che si tratti di sole traversine, chi controlla che il materiale non sia impregnato di sostanze pericolose in grado da provocare danni al terreno e alla falda acquifera sottostante?
Sapevo che le traversine lignee dismesse dalle ferrovie statali se non sono da considerarsi “rifiuto speciale” poco ci manca. D’accordo, quelle conferite nella discarica nohan-galatinese non sono traversine in legno ma in cemento armato: ciò non toglie che non possano contenere olii, composti chimici o altre schifezze pericolose (mica le lavano o le trattano prima di gettarle in quella cava).
Comunque sia: sono io sottoscritto libero di non fidarmi di ciò che (non) ci raccontano?
Atteso quanto è successo nel Salento negli ultimi quarant’anni, con le discariche abusive sparpagliate ovunque e con le altrettante munite di autorizzazioni ministeriali (tipo la Burgesi) che nascondono le più pericolose e impensate sostanze inquinanti - tanto che la nostra provincia fa ormai concorrenza alla Terra dei Fuochi, un baffo a Gomorra e non ha rivali in Italia quanto a percentuali crescenti di malati di cancro e di altre malattie legate all’avvelenamento del territorio - mi è lecito fasciarmi la testa ancor prima di rompermela?
Posso dirvi che sono preoccupato anch’io, insieme ai nohani che mi hanno fermato per strada chiedendomi informazioni che non ho saputo fornire? Son padrone di chiedere che tutti (mica uno ogni tanto: dico tutti) gli automezzi che si presentano su viale Carlo Alberto dalla Chiesa, diretti alla volta della ex-cava De Pascalis vengano sottoposti a controllo preventivo?
Attenzione: per controllo non intendo il “controllo formale” della documentazione (non saprei che farmene), né i “controlli interni” eventualmente posti in essere dalla proprietà (non prendiamoci in giro: i proprietari fanno il loro mestiere: cioè soldi, business, profitti sul ciclo di questi particolari rifiuti, mica solidarietà sociale), ma ispezioni, verifiche ed esami da parte di soggetti terzi, tipo, chessò io, Arpa Puglia, Asl, Polizia locale, Carabinieri di nuclei speciali [non si possono più citare le Guardie Forestali, in quanto il loro corpo è stato sciolto nell’acido dal precedente governo, sicuramente a causa della scomparsa delle foreste: gli unici Boschi superstiti evidentemente saranno quelli ancora al governo e, giacché, anche legati al nome di qualche banca rotta,ndr.].
*
In conclusione, vorrei che fossero accertate, per ogni accesso alla cava (Per. Ogni. Accesso. Alla. Cava.) la quantità e la qualità del conferito, e che nemmeno uno spillo uno non consentito venga gettato o sversato in quella discarica privata a chilometro zero.
E’ permesso chiedere o tutto questo è forse chiedere troppo?
Infine. E’ esagerato pretendere che i candidati al prossimo venturo governo di palazzo Orsini abbiano a cuore il bene del suolo, dell’acqua e dell’aria del nostro territorio, e siano dunque espressione più del bene comune che dei potentati economici anche locali interessati a ben altro? No, così, tanto per sapere.
Antonio Mellone
dic042014
La festa di S. Martino, che nel Salento è una delle feste più popolari e amate, perché si beve e si mangia per il vero piacere di farlo, in un certo senso introduceva nel clima festaiolo delle tradizioni natalizie. Ma era la festa dell’Immacolata, posta in pieno tempo di Avvento che faceva pensare al Natale ormai vicino.
A Noha la festa dell’Immacolata si celebrava e si celebra ab immemorabili in chiesa, con relativa novena di preparazione, appunto, di nove giorni.
L’Immacolata Concezione è un dogma di fede dichiarato ufficialmente solo nel 1854 da papa Pio IX. Ma a Noha la festa si celebrava non so dirvi da quando, ma sicuramente da molto, molto prima.
Infatti, negli antichi registri dei matrimoni, nel 1698 per esempio, si trova la pubblicazione di un matrimonio officiato proprio l’8 dicembre, nel giorno della festa dell’Immacolata. Anche nella chiesa piccinna fin dal 1850 si conservava in una nicchia a muro la statua dell’Immacolata. E poi ancora oggi nella chiesa madre c’è la bellissima tela con relativo altare dell’Immacolata, sicuramente d’inizio Seicento, ora lodevolmente restaurato.
Quando io ero chierichetto (e bisogna andare indietro di un po’ di anni, oltre 70 anni fa) non c’era ancora la messa vespertina. La sera c’era solo una funzione detta “serotina”, con rosario e benedizione eucaristica. Le due grandi feste, quelle del Natale e dell’Immacolata, erano precedute da una solenne novena che si celebrava la mattina, molto presto, prima che sorgesse il sole.
L’impostazione della vita aveva dei ritmi diversi da quelli di oggi. La gente, la maggior parte composta da contadini e anche molto praticanti, prima di cominciare la giornata nei campi si riuniva in chiesa per la novena dell’Immacolata. E allora davanti all’antico altare dell’Immacolata, si partecipava con canti e preghiere in latino, mentre l’organo a canne con mantici a manovella, posto in alto sull’altare maggiore, accompagnava le sacre melodie. Si finiva con la Messa cantata, giusto in tempo per fare una frugale colazione e partire per il lavoro o per la scuola. Si partecipava anche alla S. Comunione, se si rispettava il digiuno non di un’ora, come oggi, ma a partire dalla mezzanotte.
La vigilia della festa dell’Immacolata era giornata di digiuno. Mamma per invogliarci ad amare la Madonna ci faceva fare un fioretto, quello di mangiare panettu mpudhrinasciatu, dicendoci che ci sarebbe spuntato un dente d’oro. Ma gli abitanti di Noha, come tutti i salentini, capaci di addentare senza problemi le durissime frise e le fin troppo croccanti fave rrustute, hanno sempre dimostrato talento e capacità nel mangiare le tondissime pucce. E sì! Le pucce erano e sono ancora oggi una bella tradizione della festa dell’Immacolata. La vigilia, invece, era la giornata dedicata alle bocche capaci di mordere pucce alte più o meno dieci centimetri, le quali si potevano imbottire con ogni ben di Dio.
Per chi rispettava la tradizione la puccia era imbottita con tonno casareccio, sarde sott'olio e pomodori. C'è chi la tradizione la rispetta ancora, magari modificando il condimento, con l’aggiunta di melanzane e carciofini sott'olio, alla faccia del digiuno; ma c’è anche chi oggi arriva a farcire la puccia con tutto ciò che gli capita sottomano, impastando il tutto con tomato e maionese, proclamando così la candida Immacolata come la dea protettrice delle paninoteche!
La vigilia dell'Immacolata un tempo era giornata di digiuno: oggi non più. Ma dopo la "parca mensa" della vigilia, la sera si festeggiava "ulteriormente" a tavola con i cibi della festa: pittule, viermiceddhri cu lu baccalà e rape.
Pensate alla mia delusione, quando nel mio curriculum di preparazione alla vita missionaria, a soli 15 anni dovetti lasciare il Salento e trasferirmi in Piemonte per continuare gli studi nel seminario missionario: rimase solo la festa religiosa. Peggio ancora quando fui inviato in missione in Canada, dove l’8 dicembre non era neanche festa di precetto.
gen112016
Abbiamo atteso con pazienza il solito ritardatario. Però poi alla fine, come stella cometa, è apparsa sul sito del Comune di Galatina (http://www.comune.galatina.le.it/) anche l’ultima delle dichiarazioni dei redditi dei nostri magnifici quattro (politici nohani).
Il cosiddetto Decreto Trasparenza (D. Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 – art. 14 in particolare) prevede la pubblicazione di questi e di altri dati (per esempio il curriculum vitae, la situazione patrimoniale, i depositi bancari, vabbé) “dei titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico, di livello statale regionale e locale […] entro tre mesi dal conferimento dell'incarico e per i tre anni successivi alla cessazione dell'incarico”.
In pratica ne avremo da qui fino all’eternità, o almeno per tutto il prossimo ventennio (più tre anni successivi alla cessazione dell’incarico), visto che l’affezionato elettorato locale non fa mai mancare il suo consenso ai propri beniamini, invero mai avari di promesse con la mano sul cuore e sempre prodighi di pacche sulle spalle condite da locuzioni del tenore: “Tranquillo, ci penso io” (sicché talvolta il diritto del cittadino assume le fattezze di una gentile concessione o di un favore ad personam. Ma questa è un’altra storia).
Eppure a dare un’occhiata veloce ai guadagni dei nostri parlamentari comunali si direbbe che fare il politico nohano non è poi un così grosso affare (o arraffare come insinua il solito maligno). Tutt’altro. Dall’osservazione dei numeri, in effetti, non si capisce granché: e soprattutto se qualcuno fa il falso povero o il falso ricco (posto che a entrambe le categorie va tutta la nostra comprensione, oltre che l’umana solidarietà).
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Prendiamo i dati del dottor Giancarlo Coluccia, farmacista di professione e politico per vocazione.
Orbene, nella dichiarazione del 2015 (che, come noto, rileva i numeri del 2014) il reddito annuo lordo, salvo errori od omissioni, passa dai 36.773,00 euro del precedente 2013 ai 44.025,00 euro, con un bell’incremento del 19,72%. Mentre il reddito al netto dei costi e degli oneri deducibili, il cosiddetto reddito imponibile, passa dai 26.817,00 euro ai 36.002,00 euro. Sicché l’imposta netta liquidata nel 2015 quasi raddoppia, da 5.525,00 euro a 10.087,00 euro: una boccata d’ossigeno per le casse dello Stato.
Possiamo, dunque, affermare che il locale rappresentante dello scudocrociato [sic!], che vive con 25.915,00 euro all’anno, pari a circa 2.160,00 euro al mese, si conferma lo zio Paperone dei consiglieri comunali nostrani.
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Le cifre dell’avvocato Antonio Pepe, sindaco mancato per un pelo, evidenziano invece, sempre salvo errori, una significativa diminuzione della voce redditi lordi (stiamo sempre parlando della dichiarazione 2015, relativa ai dati del 2014) passati dai 33.918,00 euro del 2013 ai 27.111,00 euro del 2014, con una differenza negativa di oltre il 20%, derivante principalmente dalla sua attività forense.
Il reddito imponibile, ottenuto come differenza tra il reddito lordo e le spese deducibili, passa così dai 32.436,00 ai 23.995,00 euro attuali, sicché l’imposta netta pagata all’erario quasi si dimezza, da 8.023,00 a 4.364,00 euro. A conti fatti, l’ex-scudocrociato nohano [sic!] vive della sua libera professione con uno “stipendio mensile” di 1.635,00 euro.
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Passando alla disamina dei dati consegnati dal geometra Luigi Longo, si osserva un bel balzo in avanti, pari al 21,30% del suo reddito lordo, passato da 10.965,00 euro a ben 13.303,00 euro (salvo errori o omissioni). Il reddito imponibile - decurtato cioè degli oneri deducibili - da 8.659,00 euro del 2013 raggiunge il picco dei 9.715,00 euro nel 2014.
Considerate esenzioni ed eventuali compensazioni, l’Irpef pagata dal “geometra comunale nohano” è pari a zero (come a maggior ragione era pari a zero anche quella del precedente anno). Il consigliere di RC, Luigi Longo, vivendo dunque con 809,00 euro al mese (decisamente meno di un operaio Fiat neoassunto a tutele crescenti) si conferma degno rappresentante dei proletari de’ noantri.
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Dulcis in fundo, diamo un’occhiata ai numeri della nostra cara delegata alla frazione di Noha, al secolo avvocato Daniela Sindaco.
In effetti, pare che inizino a produrre i loro benefici effetti le manovre di politica economica del governo Renzi (dal Jobs-Act ai famosi 80 euro), se è vero come è vero che i “compensi derivanti dall’attività professionale o artistica” della nostra predi(e)letta consigliera sembrano, salvo nostri errori, finalmente forieri di un bel periodo di vacche grasse. E che vacche, visto l’incremento di oltre il 50% del reddito lordo, balzato da 2.343,00 del 2013 (mentre l’anno precedente era pari a zero) a ben 4.797,00 euro.
Il reddito imponibile, al netto cioè degli oneri deducibili, da 1.902,00 euro del 2013 giunge al picco di ben 4.356,00 euro nel 2014.
Invece l’imposta da versare allo Stato, come nei due anni precedenti, è pari a zero a causa della “No-Tax area” (che non significa che Noha è un paradiso fiscale, ma che, sempre salvo errori, i redditi di lavoro autonomo sono esenti da Irpef se inferiori a 4.800,00 euro). Quando uno dice la combinazione.
Dunque la nostra deputata locale riesce a vivere con 363,00 euro al mese. Tanto di cappello, ci mancherebbe, per chi riesce a stringere la cinghia in tal modo.
Poi però uno si chiede da dove la Daniela nostra potrà prendere i soldi per finanziare di tasca propria, come ipotizzato in consiglio comunale, la famosa cabina elettrica del centro polivalente di Noha in black-out totale da oltre 100 giorni. Probabilmente, uno pensa, – e noi glielo auguriamo di cuore - sarà ricca di famiglia.
Ecco: alla luce di questi dati e di certe dichiarazioni verbali si comprende quanto il governo centrale (ma anche quello comunale) sembri attrezzato per compiere veri e propri miracoli, dando uno schiaffo morale allo scetticismo di noi altri gufi, e realizzando in men che non si dica tutti i Tweet del premier che mezzo mondo c’invidia: da #passodopopasso a #cambioverso, da #lavoltabuona a #Italiariparte.
E soprattutto #Fiscostaisereno.
Antonio Mellone
Giancarlo Coluccia
Antonio Pepe
Luigi Longo
Daniela Sindaco
mar252013
L’altro giorno m’è arrivato per posta da parte della Fidas di Noha - tra i cui soci s’annovera ormai da qualche decennio anche il sottoscritto - l’invito graditissimo a partecipare alla festa del trentennale del gemellaggio tra l’associazione dei donatori di sangue Fidas di Vicenza e quella Leccese.
Il calendario dell’iniziativa, che verrà pubblicato anche su questo sito, è ricco di eventi, incontri, momenti formativi e conviviali, donazioni del sangue presso la nostra Casa del donatore di Noha (una delle più attrezzate, accoglienti e confortevoli d’Italia), ed, infine, visite guidate nei centri storici di Galatina, di Gallipoli, e, non ultimo, quello di Noha.
Che bello - ho pensato – trecento amici vicentini verranno nel Salento e addirittura a Noha per godere della nostra ospitalità, del nostro ambiente, delle nostre ricchezze storiche, artistiche, culturali, eno-gastronomiche…
E mentre riflettevo su tutto questo già mi prefiguravo il gruppo di turisti vicentini che passavano dal loro centro storico (che ho più volte visitato tempo addietro) ricco, pulito, intonso (come se il Palladio vivesse ancora), ben illuminato, chiuso al traffico, al nostro, ancor bello, a misura d’uomo, particolare nella sua morfologia e nel suo mistero.
I nostri compagni di avventura potrebbero incominciare il percorso turistico nohano con la visita alla nostra piazza San Michele, il salotto buono, quello sul quale si sporgono da un lato la maestosa facciata della nostra chiesa madre (sul cui fastigio scolpito a tutto tondo in pietra leccese campeggia l’antico stemma di Noha con le tre torri e i due velieri, sormontato dalla corona baronale e abbracciato quasi dai due rami rispettivamente di arancio e di alloro) e dall’altro, di fronte, come se da tempo immemorabile dialogassero del più e del meno, la torre dell’orologio del 1861 (o quel che ne rimane). Potremmo raccontar loro che purtroppo l’orologio è fermo da un quindicennio se non di più, che le campane sono mute, che i loro battagli o martelli sembrano svaniti nel nulla, che però il meccanismo interno dell’antico cronometro a corda è esposto nell’atrio delle scuole di Noha. Arrampicandoci sugli specchi potremmo pure raccontar loro la palla megagalattica secondo cui la torre e il balcone civico verranno restaurate “quanto prima” secondo le intenzioni dell’amministrazione comunale. E che s’è anche pensato di chiudere finalmente al traffico il nostro centro storico, liberandolo una buona volta da auto in transito, parcheggiate, o spesso fermate a casaccio. Mica possiamo dir loro tutto, ma proprio tutto, come per esempio il fatto che i nostri rappresentanti politici, inclusi gli attuali, non ci sentano da un orecchio, e dunque preferiscano costruire circonvallazioni interne e discutere di nuove aree mercatali da cementificare in quattro e quatto otto, ma anche di comparti e di centri commerciali food e non food da far nascere in mezzo alla campagna di Collemeto, sempre in nome delle “ricadute sull’occupazione e lo sviluppo”, il ritornello buono per ogni occasione, ripetuto a mo’ di un salmo responsoriale un po’ da tutti i pecoroni di destra e manca.
Ma ci converrebbe tirare innanzi, senza indugiare più di tanto su certi argomenti: i nostri amici vicentini potrebbero accorgersi del nostro imbarazzo e magari smascherare così su due piedi le nostre magagne comunali.
Potremmo poi condurli in via Pigno per far loro ammirare il nostro orgoglio, la torre medievale nohana - che rispetto a quella di Pisa ha solo il decuplo del rischio crollo - con quel grazioso motivo di archetti e beccatelli quale corona alla sommità, con il ponte levatoio, con le catene tiranti, e con il passaggio segreto. Tutta roba che però i nostri ospiti potranno solo immaginare, senza poter vedere né toccare, perché la torre, il ponte, la vasca ed il passaggio, che stanno in piedi da oltre settecento anni quasi per quotidiano miracolo, sono – oltre che privati - nascosti dietro un alto muro di cinta, il muro di Berlino di Noha mai abbattuto però (arricchito ultimamente anche da un murales policromo). Continuando nella nostra pantomima potremmo insistere nel dire ai vicentini che siamo certi che nei prossimi settecento anni qualcosa si muoverà. Ma non diciamo loro cosa, se la torre, il ponte, il muro dei Galluccio, o finalmente qualche neurone nohano.
Sconsolati appena un po’ potremmo proseguire oltre, portandoli di fronte al palazzo baronale, anzi, forzando un po’ la mano, addirittura prima nell’atrio e poi nel cortile o piazza d’armi del castello. Il che è il massimo che si riuscirebbe ad ammirare di quest’altro bene culturale nostrano: da quando sono state sfrattate le gentili signore che vivevano al piano nobile del palazzo sembra che se la siano svignata anche i fantasmi del passato aggrappati alle sue chianche oltre che alle volte dei secoli, lasciando il posto alle tarme, all’umidità, alle muffe, e a qualche altro verme solitario o in colonia.
Ma poi, lasciandoci alle spalle cotanto oltraggio (e sottacendo accuratamente il fatto che sotto i loro piedi si cela un grande antico frantoio ipogeo visitabile soltanto dagli speleologi coraggiosi, mica dai turisti) potremmo riuscire a riveder le stelle o le stalle conducendoli nei pressi delle famose casiceddhre e raccontare loro la storia dello sciacuddhri. Però, ahimè, anche qui, i nostri poveri viaggiatori, pur a bocca aperta, dovrebbero rimanere a debita distanza da questa meraviglia per il pericolo di caduta massi in testa. Anche qui i nostri amici avrebbero a che fare con rovine e stupidità: ultimamente anche il campanile è crollato, ridotto ad una piccola torre mozza, una montagna spaccata, un rudere, uno sgorbio, mentre il resto delle casiceddhre, ridotte a poco più che macerie allo stato puro, sembrano quelle stesse che ancor oggi si contemplano nel centro storico de L’Aquila, “ricostruito” dal governo del cavaliere mascarato. Soltanto che qui a Noha non c’è stato il terremoto, ma probabilmente qualcosa di peggio.
Poi chiuso questo capitolo, li indirizzeremo da lì ad una cinquantina di metri verso la “casa rossa” (magari nel frattempo li avremo bendati ben bene, come al gioco della mosca cieca, per non fargli scorgere il sito archeo-industriale scoperchiato e diruto del Brandy Galluccio).
Eh già, eh sì, la leggendaria casa rossa, la casa pedreira nohana che sembra disegnata e fatta costruire dall’architetto spagnolo Antoni Gaudì, ricca di cunti e storie, e destinata a diventare poco più o poco meno che la dependance di un paio di casini (in minuscolo, e non nel senso volgare del termine). Ma forse sarebbe meglio stendere un velo pietoso anche su quest’altra roba che non sapremmo più come definire. Meglio non nominarla invano facendo finta di nulla? Come se non esistesse? Forse sì. Se sapessero e vedessero in che stato versa l’interno e l’intorno di quello che un tempo era uno splendore gli amici vicentini potrebbero risponderci con degli insulti se non con degli improperi espressi con altrettante sonore pernacchie.
Non so se sarebbe il caso di andare oltre conducendo il gruppo dei malcapitati nei pressi della masseria Colabaldi ancora una volta messa in vendita dagli acchiappagonzi con tanto di comparto approvato da chissà quale illuminata maggioranza di consiglieri comunali per la costruzione di una ottantina di villette a schiera acquistabili con comode rate cinquantennali. Ma forse no, meglio lasciar perdere anche qui e cambiare itinerario, meglio accompagnare i donatori (di pazienza) nella nostra amena splendida fertile multicolori campagna nohana, per esempio verso lu Runceddhra.
Ma a pensarci bene purtroppo anche là ad attenderci non ci sarebbero che scempio e tristezza, come quei quaranta e passa ettari di impianto fotovoltaico, inutili o di certo non utili alla popolazione o al comune (come invece tanti allocchi - inclusi i nostri rappresentanti politici - credevano dapprincipio o temo credano ancora).
No, no, come non detto, meglio ritornare alla casa del donatore, senza nemmeno dirgli che quell’edificio color rosa antico adiacente è il vecchio cinema paradiso di Noha, il nostro “Cinema dei fiori”, ormai in balia di funghi, muschi e licheni.
Però, se non per rifarci, almeno per darci un tono, potremmo dire che abbiamo oltretutto anche un centro sociale nuovo di zecca, con tanto di funzionalissima sala convegni, come quella della vecchia scuola elementare di piazza Ciro Menotti ristrutturata un paio di anni fa ed inaugurata in pompa magna il primo dicembre scorso. Il fatto che sia ancora chiusa al traffico dei pensieri e delle opere è una quisquilia: manca ancora l’elettricità come Dio comanda, anzi come comanda la legge. Embè? Cosa vuoi che sia. Inezie, dettagli. Prima o poi l’Enel allaccerà ‘sto benedetto cavo e tutto potrà partire secondo i programmi. Quali, non si sa ancora. Ma i nostri rappresentanti “disponibilissimi e preparatissimi” ci hanno assicurato: “tutto secondo i programmi”. Punto.
Forse sarebbe meglio abbassare la cresta e l’enfasi sulle nostre meraviglie: rischieremmo che i nostri ospiti, gli amici donatori di sangue venuti dal nord, turisti per caso o loro malgrado, affranti di fronte a tanta bellezza spriculata, esprimendosi in vicentino stretto, rivolgano a noi queste semplici ma significative parole a mo’ di giusto guiderdone per la nostra responsabilità - fosse anche solo quella di esserci voltati più volte dall’altra parte: “nohani, cu pozzati buttare lu sangu!”.
apr022013
Ciao Noha,
è stato bello rivederti. Ritornare nella mia parrocchia di origine, nella mia piccola piazza San Michele, acquistare gli arachidi da Pippi e dalla sua immancabile bancarella, trovare le zeppole di San Giuseppe nei bar, gli agnellini di pasta di mandorla nelle vetrine, vedere tutti i nuovi giovani nohani allegri appena cresimati, simbolo di un paese che non muore: che emozione! Eppure, accanto alla gioia di riviverti, mi assale un enorme dispiacere nello scoprirti sempre più trascurata. Sembra leggere un triste romanzo ambientato a Sarajevo ai tempi della guerra mentre ti attraverso, a piedi, in lungo e in largo. I disastri dei bombardamenti mancano, ma l’indifferenza che ti è stata riservata sembra causarti più danni di un attacco aereo. E poi le strade... in ventotto anni della mia vita, o forse da quando sono state asfaltate per la prima volta, non le ho mai viste in queste condizioni. E penso a quanti soldi siano stati spesi per rattopparle volta per volta senza mai risolvere il problema alla radice. Quanto sono pessime le condizioni di viabilità nostrane. Possibile che non si riesca a fare un piano di risanamento stradale intelligente, capace di mettere in sesto una volta per tutte queste piccole stradine senza rischiare ogni volta di finire in delle voragini più che delle buche?! Un piano che in quattro o cinque anni preveda la raschiatura del vecchio manto stradale e la stesura di uno nuovo, livellando i tombini e predisponendo già tutti gli allacci alle varie reti di tubature per ogni abitazione, segnaletica orizzontale e verticale, illuminazione: questo serve. E non mi si dica che non ci sono soldi, la solita scusa di sempre. Se siete pagati, cari amministratori, lo siete per trovare soluzione ai problemi, e uno di questi è trovare i fondi per risanare il paese. Avete speso più soldi a rattoppare di quanti ne avreste speso per riasfaltare l’intero paese! Serve uno scienziato o un tecnico per capire che “nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio, altrimenti egli strappa il nuovo e la toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio”? (Lc 5). Eppure non mancano nuovi cantieri stradali, a mio avviso senza senso, che squarciano le campagne accavallando le strade. Non bisognerebbe assestare prima quelle già esistenti visto che, come sembra, di catrame ce ne sia ben poco? E invece il bitume non manca affatto se non si pensa due volte a stendere nuovi manti stradali. Dov’è la “concretezza” e il buon senso delle nostre amministrazioni comunali? Tutto questo vaneggiamento intellettuale e logorroico che attanaglia queste amministrazioni locali mi lascia sgomento. Si vuole una volta per tutte iniziare a ragionare con “senno e cognoscimento”? O vogliamo continuare così, a tirare avanti alla meno peggio, senza una visione futura del bene comune? Lo vogliamo capire una volta per tutte che la mediocrità non è utile per nessuno ma nociva per tutti? Possiamo iniziare anche a Noha ad abituarci alla concezione dell’eccellenza? Non è un peccato mortale. Il nostro Papa Francesco, che continua a stupire noi tutti per la sua umiltà e per il suo senso della concretezza, quella che manca ai politici, ci ha ripetuto più volte che noi siamo custodi della creazione. Beh, Noha non ha custodi a quanto pare, vista la condizione in cui si trova. O meglio, i custodi che ha non bastano a salvaguardare la sua dignità che gli spetta di diritto visto la storia che vanta. Dove sono i nohani, gli assessori, i consiglieri, i sindaci o i commissari? Pagati per custodire cosa, la loro stessa poltrona? È vero che non dobbiamo perdere la speranza, ma forse è meglio ricordarlo a questi quattro politicanti che il vero potere, come dice papa Francesco, è il servizio. E a cosa servono questi e chi stanno servendo non si è ancora capito. Di sicuro né Noha né i nohani.
dic142017
E’ partito da tempo il casting degli attori protagonisti di quel grande spettacolo teatrale che sarà (come sempre) il presepe vivente di Noha.
Disponiamo già della sceneggiatura (fu scritta dagli evangelisti un paio di millenni fa); abbiamo la scenografia (il giardino segreto del Castello di Noha, uno degli angoli più magici e autentici del Salento); ci mancano giusto un po’ di personaggi in carne e ossa per completare il cast artistico della rappresentazione dell’Incarnazione (a proposito di carne e ossa).
L’Associazione culturale “Masseria Colabaldi” invita dunque tutti gli uomini e le donne di buona volontà, nohani ma anche global, a partecipare alla selezione dei figuranti della sacra rappresentazione che, come vuole ormai la tradizione, farà accorrere migliaia di visitatori da ogni dove.
I provini sono aperti alle persone di ogni età: dai neonati, maschietti o femminucce (a Noha s’è superato da tempo il sessismo – o almeno ce lo auguriamo) che ricopriranno, magari a turno, il ruolo di Gesù Bambino, ai bambini e alle bambine, che nelle vesti dei pastorelli potranno come al solito scaldarsi portando in braccio i candidi agnellini; dai ragazzi/ragazze, odalische incluse, per la coorte di Erode, ai giovanotti di ogni colore, che indosseranno le vesti di Giuseppe e della Ragazza Madre, o le armature dei soldati romani; agli adulti e/o agli anziani canuti, che così bene s’inquadrano tra i personaggi dediti alle arti, ai mestieri e ai passatempi del tempo che fu.
Insomma ce n’è per tutti. E nessuno verrà eliminato dalla “selezione” che a Noha ha dunque un’accezione tendenzialmente inclusiva più che esclusiva.
Al termine dell’ottava edizione del presepe vivente di Noha 2017, il personaggio più caratteristico (scelto con votazione democratica da parte dei visitatori di Noha.it che voteranno con un semplice click) riceverà in premio l’Oscar per la migliore interpretazione.
A Noha abbiamo bisogno di chi ha ancora voglia di mettersi in gioco. E non più delle belle statuine.
Antonio Mellone
dic112006
Il nostro amico Marcello D'Acquarica che si trova a vivere nel grande freddo del Nord - stamane alle 8.00 a Torino, la sua città d'adozione, la temperatura era di 2 gradi sotto lo zero - ci ha inviato la bella leggenda che proponiamo ai nostri affezionati ospiti. Le leggende, si sa, sono parte essenziale della storia e dell'arte di una comunità. E Noha non è da meno! -Gigetto e Tonio-, i fratellini della novella che ha per titolo "Tra sogno e realtà", come capirete, sono i -Romolo e Remo- di Noha. D'altronde ognun sa che tutte le strade portano a Noha!
TRA SOGNO E REALTA’
(come e prima di Roma)
di
MARCELLO D’ACQUARICA
Sembrava uno dei soliti temporali di mezza estate. Quelli che all’improvviso inondano le vie scoscese di NOHA (le scise) e, come torrenti in piena, apportano un “mare” d’acqua a valle, trasformando, a volte, la campagna in un grande lago.
Come ogni pomeriggio, dopo l’ora del pranzo (allu schiaccu), ai bambini, veniva “comandato” di mettersi a dormire (“cu dafriscanu nu pocu”).
D’estate, l’ora della “canicola” era ed è consigliabile trascorrerla riposando al fresco delle case.
Così, essendo tempo rubato al gioco, i due fratellini, Gigetto e Tonio sgattaiolavano in strada a divertirsi.
Il temporale era finito ma l’acqua scorreva ancora veloce lungo gli angoli dei marciapiedi: agli occhi dei bambini, sembravano i flutti di un mare in tempesta.
Costruirono delle barche di carta e delle zattere con dei pezzi di corteccia di pino. Con queste simularono battaglie navali e gare di velieri. Giocarono per molte ore rincorrendo i loro giochi nell’acqua a piedi nudi fino alla periferia del paese.
Così stanchi e sazi di gioia sedettero a ridosso dell’uscio di una casa a riposare e ad osservare le loro barche che filavano lontano trascinate dalla corrente. Sempre più lontano…
Quando finalmente si svegliarono si accorsero di essere naufragati su di una spiaggia deserta e costellata da dune verdi e rigogliose, profumate dall’incenso dei cespugli di pini marittimi.
Alle loro spalle, della piccola flotta, vi era l’unica barca rimasta integra, incagliata sul fondale sabbioso e trasparente come lo smeraldo.
Le dune risalivano dolcemente dalla spiaggia verso l’interno e sullo sfondo scuro si parava una grande foresta di antiche querce.
Lo sciabordio del mare e lo stridio incessante dei gabbiani, creavano tutto intorno un’atmosfera quasi surreale, magica. Perfino il vento della tempesta si era ammutolito ed aveva trasformato l’aria tutto intorno in una soave e materna carezza.
Ripresisi dal torpore causato dal lungo sonno e dal naufragio, decisero di inoltrarsi verso l’interno di quell’incantevole angolo per scoprirne ogni possibile nuova meraviglia.
Attraversarono campi infiniti e dolci e basse colline, e quando il sole fu finalmente alto, giunsero in prossimità di un altura. Da qui, voltandosi indietro, poterono scorgere le cime montuose di una terra lontana, e tutto intorno con lo sguardo, poterono spaziare verso l’infinito.
Desiderosi di vivere in quel posto scelto loro dal Destino, vi costruirono le case e, sul punto più alto delle mura eressero il loro vessillo: uno scudo con tre torri.
Quando il loro tempo giunse al tramonto, vennero sepolti all’interno delle mura del villaggio che da allora si chiamò Noha (cioè semplicità e gioia).
Ed i nohani delle nuove generazioni per millenni vissero il sogno dei loro antenati.
set252015
Volete sapere l’ultima? “La festa dei lettori” di Noha, la seconda parte, quella prevista nel pomeriggio di sabato 26 settembre 2015, dalle ore 17 in poi, presso il centro Polivalente di piazza Ciro Menotti, si farà al buio.
Mi chiederete voi altri: volete forse provare l’ebbrezza di una delle tante esperienze sensoriali che oggi vanno tanto di moda (tipo le cene al buio)? Oppure volete sperimentare le letture in braille? O siete così romantici da voler leggere i vostri libri al lume di candela?
Nossignore: l’Enel ha staccato la corrente (veramente ha proprio asportato il contatore) proprio oggi pomeriggio.
Come mai? Ma come, non vi ho già detto in una trentina di articoli sul tema che l’allaccio esistente è quello “di cantiere”, cioè provvisorio, vale a dire con una scadenza fissa, come il latte UHT?
Ebbene, quella scadenza prima o poi doveva arrivare. Ed è arrivata, guarda un po’, proprio alla vigilia della festa dei lettori nohani costretti in tal modo a brancolare nelle tenebre, anzi a giocare a mosca cieca senza nemmeno il bisogno del bendaggio degli occhi.
E pensare che le maestre Paola Congedo e Anna Rita Gentile, e poi anche la mitica Laura Salamac, nel primo pomeriggio di oggi hanno fatto di tutto per allestire al meglio la sala convegni del Centro polifunzionale-ma-non-troppo, sudando le famose sette camicie, e mai avrebbero pensato, così sudate, a questa doccia fredda con il rischio di una broncopolmonite.
Pare, si dice, si vocifera che gli uffici tecnici del Cumone di Galatina fossero stati preventivamente avvisati dall’Enel (che in genere prima di staccare la corrente, in qualche modo, comunica agli utenti le sue mosse: mica si mette così a fare degli agguati); ma figurarsi se la burocrazia palazzorsiniana aveva il tempo, la testa, il cuore e il fegato di capire quello che le stava accadendo intorno. Anche perché i problemi sono di pertinenza di quella terra di nessuno che risponde al nome di Noha e del suo centro polli-valente.
*
Eppure c’è chi vede la luce in fondo al tunnel. Sarà quella dell’assessore Coccioli che, esasperato, si dà fuoco.
Antonio Mellone
P.S. Lector in fabula. Come andrà a finire questa bella storia della festa dei lettori (su cui si può, a proposito, scrivere un libro)? Per fortuna a lieto fine, grazie al miracolo di Sant’Antonio Mandorino martire, presidente della CNA (confederazione nazionale artigianato di Galatina). Il santo taumaturgo di Galatina (ormai anche cittadino onorario di Noha) ha trovato, tra gli associati alla sua confederazione, un volontario (domani ci dirà anche il nome) che con un gruppo elettrogeno riaccenderà le speranze di tutti.
Mel
dic262006
"Eccovi la terza ed ultima parte della saga del tabacchino di Noha. Con questo pezzo chiudiamo l'anno 2006, che ha visto il nostro sito arricchirsi giorno dopo giorno di storie, racconti, favole, immagini, ed, in parallelo, anche di visite di amici internauti. Vorremmo dire a tutti che siamo appena all'inizio. Il 2007 si aprirà con novità straordinarie. Cliccare per credere! Auguri ai nohani vicini e lontani, ed a tutti quelli che, in un modo o nell'altro, sono legati a Noha da un sentimento o da un ricordo"
IL TABACCHINO DI NOHA
(terza ed ultima parte)
di
Antonio Mellone
Scorrono i decenni ed il tabacchino di Noha passerà in eredità a Corrado, figlio di Cici che nel frattempo (la moglie Tetta lo seguirà dopo qualche anno) passa a miglior vita.
Bisogna sapere che Corrado era un qualificato tecnico di un’importante multinazionale attiva nel settore della tecnologia per l’energia.
Poliglotta, Corrado era richiestissimo in tutto il mondo per le sue competenze e la sua disponibilità.
In uno dei suoi giri di lavoro intorno al mondo incontra la donna della sua vita: si innamora e sposa la gentile signora Cristina, oriunda di San Paolo del Brasile. Cristina, per amore, lascia la sua terra e si trasferisce a Noha, dove condurrà con successo il tabacchino che era appartenuto per oltre trenta anni ai suoceri.
Con la gestione della signora Cristina il tabacchino di Noha cresce ancora e prospera: da semplice azienda di commercio al dettaglio, il tabacchino di Noha diviene una vera e propria moderna impresa di servizi: il tabacchino diventa ben presto l’attività commerciale di Noha con più clienti in assoluto, con un target di clientela variegato che va dal bambino che vuole la chewing-gum alla casalinga che necessita del sale da cucina, dal sofisticato giocatore del lotto (o Superenalotto o Gratta e Vinci, e via di seguito) all’incallito fumatore, dal lettore di quotidiani al cultore di riviste e periodici specialistici, da chi vuole pagare il bollo dell’auto a chi vuole ricaricare la scheda telefonica.
Anche chi vuole acquistare prodotti oltre l’orario di chiusura può farlo tramite il comodo e funzionale distributore automatico self-service.
Poi, il caro Corrado, dopo lunga malattia, nel pomeriggio di una fredda giornata del febbraio 2005, partì per il suo ultimo viaggio. E la responsabilità dell’azienda passerà a Giuliana, che già da tempo coadiuvava i genitori nell’impresa di famiglia…
Oggi il tabacchino di Noha è gestito da Giuliana e dal suo ragazzo, anzi suo marito dallo scorso mese di luglio, Arndt Paschke, di origini tedesche, come si può intuire dal nome, conosciuto nell’Europa del Nord nel corso di studi universitari.
Anche Arndt, per amore (e quando si fanno le cose per amore non si sbaglia mai!), come un tempo fece Cristina, si trasferisce a Noha, non disdegnando neppure il clima, la cucina, il mare e la magica atmosfera del nostro Salento.
I due ragazzi degnamente, con molta dedizione, conducono la complessa impresa del tabacchino odierno, e sembra proprio che ci sappiano fare con i conti ma soprattutto con le persone, che è la cosa più importante per il successo di qualunque intrapresa. Corrado, che li veglia dal cielo, sarà certamente orgoglioso dei suoi ragazzi.
Il tabacchino si è da poco trasferito all’ombra dell’ottocentesca torre dell’orologio di Noha, nei locali che ospitarono per molti anni il bar di Ninetto, buonanima, locali oggi completamente ristrutturati con gusto ed eleganza. Su una parete ci sembra di aver scorto addirittura il cartello imposto “vietato fumare”: la legge a volte non disdegna gli ossimori…
Ecco: in queste righe abbiamo cercato di ricostruire, crediamo alla men peggio, la storia del tabacchino di Noha, ma soprattutto abbiamo visto come questo esercizio sia sempre stato punto di incontro e di scambio di culture del mondo, un meltin-pot di popoli e lingue che arricchisce, un luogo dove da tempo si parla il brasiliano, il tedesco, l’italiano, e chissà ancora quante altre lingue. Ma soprattutto, the last but not least (è proprio il caso di dirlo!) “lu dialettu de Nove”, il cui lessico prevale ancora su tutti gli altri lemmi e sintassi.
lug212021
Continua a nascere dentro di noi il desiderio impellente di informare tutti i nostri concittadini che nulla di quanto questa Amministrazione professa poggia su solide basi di realtà. Evidentemente i nostri amministratori aleggiano su un ideale utopico di buona politica, se credono davvero di fare un buon lavoro. Siccome siamo un Circolo che vanta la sua storica sede nella piazza di Noha, proprio riguardo Noha urge ancora parlare.
Circa tre settimane orsono abbiamo redatto l’ennesimo comunicato stampa (e credeteci se diciamo che non vorremmo pubblicarne nemmeno uno, ma tant’è!) a proposito della riqualificazione della Torre dell’Orologio di Noha. Ad oggi ancora nessuna risposta in merito, ma non c’è affatto da meravigliarsi: attendiamo risposte dal lontano maggio 2018, cosa saranno mai 20 giorni? Nel frattempo però, la struttura che ospita la Torre dell’Orologio è in pericolo di crollo; il balcone che dà sulla piazza da cui si intravede materiale ferroso e pezzi di cemento mancante, è in serio pericolo di crollo. Ciò dovrebbe destare dal sonno i signori Amministratori, considerando che rappresenta un serio rischio per l’incolumità delle persone che molto spesso transitano al di sotto l’immobile. Per non parlare delle tante, troppe scuse che giustificano il mancato lavoro edilizio per quella struttura, quando poi basterebbe ristrutturarla non come bene immobile, ma come IL bene immobile della cittadinanza, poiché rappresenta per noi nohani un tesoro da custodire, un monumento della nostra Noha. E pensare che in illo tempore qualcuno si propose di restaurare gratuitamente l’ingranaggio meccanico dell’Orologio (fermo da decenni), ma indovinate la risposta dell’Amministrazione Amante? Silenzio. Segno tangibile di quanto gli è a cuore una frazione di circa 4000 anime che pagano le stesse tasse, ma come al solito vengono sminuite e umiliate in questo modo. Intanto l’ingranaggio è custodito all’interno del Polo 2 di Noha, nell’attesa di una ricollocazione, mentre noi aspettiamo un minimo di considerazione.
Poco fa parlavamo di scuse: una delle più gettonate è quella di ribadire che le casse comunali languono a causa delle precedenti amministrazioni. Bene, notiamo però da parte di questa amministrazione uno sperpero pecuniario alquanto oneroso. A proposito dell’iniziativa “A cuore scalzo”, leggiamo sull’Albo Pretorio del Comune di Galatina che in tempi non lontani è stato pubblicato un bando di quasi 40.000 euro (quarantamila) finalizzato alla realizzazione di una mostra fotografica sul tema “Il corpo come luogo oggetto nella storia dell'arte e simbolo di un'evoluzione di pensiero, di espressione, di sentimento, di spazio politico, sociale, economico e di genere.” Signori, 40.000 euro per una mostra fotografica. Quarantamila euro di soldi pubblici che avrebbero potuto essere investiti per iniziative più urgenti. È inutile ribadire la nostra amarezza, il nostro disappunto, la nostra aberrazione difronte a queste notizie che tra l’altro, non valorizzano neppure la comunità galatinese. È inutile affermare quanto, dal nostro punto di vista, sia immondo l’utilizzo di finanziamenti pubblici (già di per sè molto carenti nel territorio galatinese) per eventi che non fruttano ma depauperano una comunità, quando allo stesso tempo proprio a Galatina l’impianto di sorveglianza di P.zza Cesari è guasto, così che quella piazza è divenuta luogo di vandalismo. Per non parlare di Noha: Torre dell’Orologio pericolante e orologio fermo (di cui sopra), Trozza mai più riparata dopo l’atto vandalico di diversi anni addietro (basterebbero 500 euro per la riparazione), erba e sterpaglie ovunque, villette impraticabili e, dulcis in fundo, totale e ingiustificata assenza di almeno un’Unità di Polizia Locale posta al controllo del traffico e della sicurezza pubblica. Ci rendiamo conto di quanto siamo abbandonati a noi stessi, ma siamo davvero stanchi di continuare a essere oggetto di soprusi da parte dei nostri amministratori, mentre questi continuano a fare orecchie da mercante.
Il Segretario PD - Noha
Michele Scalese
mar252015
Il 24 marzo scorso presso la Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell'Università del Salento, Federica Mellone ha conseguito la laurea magistrale in Biologia discutendo una tesi sperimentale in Biochimica Applicata e Diagnostica dal titolo: "Valutazione del PCA3 nella diagnosi del carcinoma prostatico". Votazione finale: 110/110. Relatore la prof.ssa Alessandra Ferramosca, correlatore la dott.ssa Anna Rita Bruno.
Alla dott.ssa Federica, e a tutti i suoi parenti e amici, giungano le congratulazioni e gli auguri della redazione di Noha.it
***
P.S. Invitiamo tutti gli interessati ad inviare all'indirizzo info@noha.it notizie e immagini in merito a lauree, master, altri titoli accademici, specializzazioni e incarichi vari in aziende private o in enti pubblici di nohani (o di chi, in un modo o nell'altro, è legato a Noha) da pubblicare nella nuova rubrica "lauree". E' un modo come un altro per conoscere meglio il potenziale professionale, culturale e umano della nostra cittadina.
dic182013
Sotto le ali protettrici dell’aquila imperiale, a bighellonare sui gradini di pietra fra il marciapiede e l’ingresso alla vecchia torre, c’erano quasi sempre i figli di Luigi, l’impiegato comunale. Oltre a occuparsi dell’anagrafe di Noha, fra un certificato e l’altro, aiutava i suoi concittadini a districarsi nella contorta burocrazia amministrativa, e fra una croce e l’altra, apponeva sigilli e timbri manco fosse il primo tesoriere del re. Data la vicinanza di quell’altra Casa Comune che era la chiesa, si dedicava anche all’apertura e chiusura del Tempio. Qui svolgeva funzioni di animatore dell’Azione Cattolica, di autista dell’Arciprete, di accompagnatore ufficiale di tutte le cariche istituzionali che venivano in visita a Noha (cioè nessuno, tranne la guardia campestre e il predicatore delle 4 settimane di Avvento, che essendo solitamente un frate con il saio e i sandali, se ne veniva da solo). A tempo perso ripuliva la rastrelliera portacandele del Sacro Cuore dai moccoli di cera sciolta. Si occupava del giardino della chiesa, annunciava i bandi per i concorsi pubblici, nominava i suoi aiutanti nel periodo delle elezioni, si occupava degli addobbi natalizi, della gita di pasquetta, dell’organizzazione dei funerali, della composizione delle salme, dei dati anagrafici da far scrivere con lo smalto nero sulle lapidi di marmo. Della vita e della morte, della gioia e del dolore. In qualche modo, quell’uomo era la forza motrice del tempo che grazie all’orologio, marcava il destino stesso dei nohani. Insomma, via lui, c’era il rischio che si fermasse il mondo. Si occupava, ovviamente, anche della manutenzione della macchina dell’orologio. S’affacciò dal balcone del municipio, sulla cui ringhiera sovrastava imperioso il vecchio scudo delle tre torri, e con aria perentoria comandò ai figli di salire. C’era da dare la carica all’orologio. La vecchia macchina era un vero gioiello di meccanica, però non bisognava mai lasciargli seccare le boccole, né dimenticarsi dei pesi che la gravità trascinava irrimediabilmente giù. I due fratelli, stufi di fare quel lavoro un giorno si ed uno no, vedendomi passare mi chiesero se avessi voglia di aiutarli. Ci inerpicammo così in cima alla torre come dei caprioli. Arrancavo le scale mezze a chiocciola e mezze dritte menando manate a destra e manca sul bianco sporco delle pareti, con la paura di essere morsicato da qualche tarantola. Mi guardavo intorno affascinato dall’odore antico di quell’antro. Sbirciando qua e là in ogni anfratto buio delle nicchie che disordinatamente apparivano sulla vecchia parete, sognavo già di antichi tesori e battaglie da cui uscire vincitori. Quell’avvitarsi stretto intorno al nulla non finiva mai e mi girava la testa, sembrava la scala della cupola del Duomo dove si andava a suonare a mano i batacchi del campanone. Quasi in cima, davanti a noi chiudevano il vano della macchina due ante sporche di calce e ben ricamate dal tarlo. Le aprimmo tramite un vecchio ferro, sgangherato come la dentiera semovente di mio nonno. Davanti a noi c’era la macchina e sotto di essa si apriva l’infinito. Un precipizio scuro attraversato a tratti da fendenti che il sole infilava nei fori delle mura. Il fratello più vecchio diede inizio al rito delle 48 ore infilando la manovella nel primo verricello. Tanto sarebbe durata la carica di quella molla. Girando si tirava su un contrappeso in pietra leccese, agganciato alla fune d’acciaio che man mano si raccoglieva nel suo albero arrotolandosi come un serpente. Le corde erano due, una per muovere le ore e una per le campane. La fatica di sollevare quel masso di pietra, era immane per le nostre fragili braccia. Ma diventava così una prova di forza, come lo stringere le corna del toro, alle giostre del luna Park. L’odore sudaticcio delle nostre giovani carni saturava l’aria di quell’antro che sembrava essere la porta del purgatorio, dove l’angelo alato senza testa che imperava sulla facciata esterna, segnava con i suoi rintocchi il tempo rimasto.
Il rumore provocato dall’aggrovigliarsi del verricello, quel dradradrà-dradradrà- dradradrà metallico e cadenzato che provocava ogni scatto del fermo a molla sulla ruota dentata del meccanismo, ci affascinava. Dradradrà…sembrava il rombo di quei motori a basso numeri di giri dei moto-carri, che rincorrevamo per le strade di Noha. A tratti pareva una melodia, a tratti l’inquietante eco di case deflagrate e corpi straziati. Immerso così in quei pensieri, mi sembrò per un attimo di essere in una situazione del tutto nuova, o vecchia, nel senso di già vista. Eccomi quindi, attorniato da un corteo di tecnici del Comune giunti a Noha per fare una valutazione dell’eventuale ristrutturazione della casa. Cosa che in realtà sarebbe accaduta molti anni dopo. Al seguito dell’ingegnere, c’erano: il geometra, l’assessore di turno, un impiegato tuttofare e due operai, e per chiudere l’elenco, affianco a me, una strana sagoma di cui non identificavo null’altro che l’essenza, forse la paura che fosse l’ennesima presa in giro, oppure del politico di turno. La storia della ristrutturazione di quella torre durerà in eterno, tanto che morirò e rinascerò per la seconda volta, ma non sarà mai finita. Mala politica e buon senso non sono le mammelle di una stessa mucca. Allora che si può fare se a lottare hai davanti le pale di un mulino a vento? La visita alla torre dell’orologio durò tutta la mattina, ma la vista di quell’antro vuoto, dove per decenni aveva palpitato la macchina del tempo, mi turbò profondamente. Al suo posto una miserabile scatoletta bianca da cui fuoriuscivano non più corde e verricelli ma due smunti e banalissimi cavi elettrici che avrebbero dovuto trasportare l’energia per dire a tutti che forse non stavano più vivendo.
Marcello D’Acquarica
ott132013
Nel 1973, esattamente 40 anni fa, veniva alla luce il volumetto “Storia di Noha” edito da “Grafiche C.Borgia” di Casarano. E’ opportuno ricordare quell’evento, anche per verificare il cammino che si è fatto e non spegnere l’entusiasmo che aveva creato.
Ero da poco rientrato in Italia, dopo 5 anni di Missione in Canada, e per motivi di salute mi fermai a Noha oltre il previsto. Fu così che, tanto per passarmi il tempo, cominciai a curiosare nell'archivio parrocchiale di Noha. Trovai un libretto di una cinquantina di paginette intitolato: “L'Università e il Feudo di Noha - Documenti e Note” scritto da un certo prof. Gianferrante Tanzi, ed edito nel 1906 da Tipografia Cooperativa a Lecce. Questo scritto prezioso, essendo ovviamente fuori catalogo, non è facilmente reperibile.
Le mie ricerche su Noha partirono proprio da lì. Mi resi conto, leggiucchiando il libriccino del Tanzi, che Noha aveva avuto una storia molto antica e molto ricca di notizie, anche se quello che leggevo in quel libercolo a volte era vago e impreciso. Mi venne voglia perciò di fare ricerche più accurate.
Mi misi a intervistare testimoni qualificati e informati su alcune notizie e tradizioni di Noha. Cominciai a consultare anche altri documenti di storia locale, arrivai all'archivio vescovile di Nardò, di cui ab immemorabili Noha aveva fatto parte, consultai l'archivio di Stato di Lecce e la biblioteca comunale di Galatina. Negli spostamenti sovente mi guidava don Donato Mellone, in quel tempo Arciprete di Noha, a cui devo tanta gratitudine sia per la sua grande disponibilità ad accompagnarmi e sia per avermi permesso di consultare l'archivio della Parrocchia.
Dopo circa un anno di ricerche (1972-1973), per la prima volta davo alle stampe la prima edizione. Di Noha e della sua storia nessuno conosceva le antichità, nessuno ne parlava, nessuno sapeva, neanche a livello di istituzioni o di cosiddetta gente di cultura.
Il libro di appena 90 pagine fu stampato a Casarano dall’editrice Borgia; mi sovvenzionò la stampa un'amica dei Missionari della Consolata che avevo conosciuto durante la mia permanenza a Salve, un comune vicino Santa Maria di Leuca. Furono stampate 300 copie, arricchite da una mappa del paese che avevo fatto io stesso in maniera molto artigianale, senza essere né un tecnico né un geometra, tracciandone il disegno delle strade che percorrevo con la mia Bianchina. Anche le foto le avevo fatte io stesso in bianco e nero. Il volumetto fu messo in vendita a 1.000 Lire la copia e andò letteralmente a ruba, soprattutto perché l'avevo arricchito con una raccolta di proverbi dialettali e di alcune mie poesie in dialetto che suscitarono (finalmente) la curiosità dei nohani. Quell’edizione si esaurì in men che non si dica.
Pubblicato e venduto quel libro, le mie ricerche non finirono più. Per me era naturale continuare ad approfondire le ricerche su Noha (che, voglio dirlo con determinazione anche ai giovani, danno sempre grandi soddisfazioni).
Dopo 15 anni, scoperti nuovi documenti, nel 1989 chiesi al Sindaco di Galatina, che in quel tempo era l’On. Beniamino De Maria, se valeva la spesa stampare i miei aggiornamenti. Fu così che l’Amministrazione Comunale si prese cura del mio scritto, approvò e sovvenzionò completamente la stampa della nuova opera con 4 milioni di Lire. L’Editrice Salentina di Galatina stampò così la seconda edizione della mia “Storia” in mille copie, questa volta arricchita dalle foto in bianco nero dello studio fotografico Mirelfoto- Pignatelli di Noha, oltre che quelle del mio archivio.
Feci la “presentazione” della nuova edizione alla scuola media di Noha dove fu adottata come testo di cultura locale: l’edizione era più ampia della prima per i contenuti ma anche più elegante nella forma.
Intanto io continuavo le mie ricerche (le notizie sono come le ciliegie: una tira l’altra) e scoprivo altre notizie sempre molto interessanti. Trovai per esempio una relazione sullo stato della parrocchia da parte di Don Michele Alessandrelli, arciprete di Noha dal 1847 al 1882, che, in occasione della visita pastorale del Vescovo di Nardò, aveva compilato con molta precisione di particolari preziosissimi. Trovai anche una relazione ricchissima di informazioni del “primo” Vescovo di Nardò che ritenevo molto interessante.
Inoltre analizzando meglio tutti i documenti dell'archivio parrocchiale, che lessi e trascrissi in “file digitali” per scoprire i miei antenati (ho potuto costruire cos’ il mio albero genealogico fino al 1500), trovai notizie abbondanti sulla situazione sociale, religiosa, economica e politica della gente di Noha. Erano tutte notizie preziose che meritavano di essere pubblicate.
Erano passati trent’anni dalla prima edizione. La seconda edizione era ormai esaurita. Valeva la pena far conoscere al pubblico le notizie di cui ero venuto a conoscenza. Cercavo il modo di stampare una terza edizione, ma come tutti sanno, la difficoltà principale in questo settore dell’editoria locale era proprio quella di reperire i fondi, o comunque trovare un mecenate che si prendesse cura della cosa.
La mia destinazione a Galatina nel 2003 in qualità di parroco della Parrocchia Cuore Immacolato di Maria e l’incontro con il Dott. Antonio Mellone fu provvidenziale. Fu Antonio che venne a cercarmi in parrocchia per propormi di stampare i miei aggiornamenti con una nuova edizione elegante, bella, ricca, di lusso, direi anche spettacolare e impensabile e degna di stare nelle migliori biblioteche nazionali ed estere (come di fatto mi risulta essere) e nacque così il volume Noha, Storia, Arte, Leggenda. Grazie all’editore-mecenate, il compianto Michele Tarantino, l’edizione venne alla luce nel 2006. In quella occasione Michele ebbe a scrivere: “Questo libro è a tutti gli effetti un bene culturale, un dono, un regalo che ho voluto fare innanzitutto a me, ma anche a mia moglie, legata, come me, alla terra dei nostri genitori; e - consapevole del fatto che i buoni frutti nascono da alberi che hanno coscienza delle loro radici - ai miei figli, nati e cresciuti nell’Italia del Nord, affinchè conoscendo la Storia di quello sperduto paese di provincia che risponde al nome di Noha, imparino sempre più ad amare e a rispettare le loro stesse origini; ai miei conterranei salentini ed ai miei amici sparsi in ogni parte d’Italia, e a tutti quanti si degnino di leggere e consultare questo volume, perché, benché a volte mute, anche le piccole realtà locali possono essere importanti testimoni della Storia”.
Grazie Michele Tarantino per questo messaggio così caldo e sentito! Oggi anche tu sei una pagina bella della Storia di Noha.
Ma le mie ricerche sono sempre continuate (secondo quel saggio proverbio nohano secondo il quale: fino alla bara sempre s’impara). Oggi a 40 anni da quella prima edizione posseggo notizie e scoperte che quarant’anni fa erano impensabili e sconosciute a tutti. Tante sono state rese pubbliche sul nostro giornalino on-line l’“Osservatore Nohano” di felice memoria.
Ma a questo punto sarebbe opportuna una pubblicazione nuova “ordinata e completa” di come avevo immaginato che fosse la storia del mio paese, quando, esattamente quarant’anni fa, resi pubblica la mia prima edizione della “Storia di Noha”.
P. Francesco D’Acquarica
nov142013
A proposito di campi di concentramento di impianti fotovoltaici nohani volevo cogliere l’occasione per ricordare, nel loro terzo anniversario, le storiche parole dell’ex-sindaco di Galatina Giancarlo Coluccia pronunciate nel corso di un intervista apparsa on-line anche su questo sito il 2 settembre 2010, conversazione davanti a telecamera e microfono, condotta dal bravo Tommaso Moscara. Che davvero non so come faccia a non scoppiare in fragorose risate in faccia all’interlocutore di turno, rimanendo invece imperturbabile di fronte alle scemenze propinategli dai politici di ieri e di oggi, inclusi gli americani e i Russi. Ma questa è un’altra storia.
Il per fortuna ex-sindaco di Galatina, a proposito del fotovoltaico, riuscì in quell’intervista da manuale a concentrare in poche ma sintatticamente malferme parole un incredibile numero di baggianate.
Dopo aver premesso che probabilmente la calura estiva poteva aver annebbiato la mente a qualcuno (inclusa certamente anche quella del sottoscritto) che s’era permesso addirittura di lottare insieme ad altri contro l’invasione dei pannelli in mezzo alla campagna, dopo essersi retoricamente chiesto se noi fossimo o meno per le energie alternative, e dopo aver aggiunto che comunque la sua amministrazione non aveva alcuna responsabilità in merito al fotovoltaico, il Giancarlo nostrano si è esibito in sperticati numeri da trapezista che neanche al circo Orfei. Se si fosse fermato alle prime elucubrazioni forse avrebbe fatto miglior figura. Ma i salti mortali evidentemente provocano in certi folkloristici personaggi una qualche forma, come dire, di ebbrezza.
Così continuava a blaterare il nostro pervicace e per grazia di Dio ex-sindaco: “…Se andiamo a vedere quei terreni, sono terreni impervi, dove prima andavano a pascolare i greggi. Non sono terreni effettivamente dalla grande produzione agricola. Fermo restando che dovranno essere come da statuto piantumati nel loro perimetro in maniera da risultare quanto meno impattanti”. E così via di questo passo.
Chiaro? Il sindaco e la sua giunta non ne erano i responsabili. Ma se dobbiamo dirla tutta, di fatto, almeno politicamente un pizzico lo erano, eccome. Questo si evince dagli atteggiamenti e dalle parole. Il sindaco sembrava quasi rammaricarsi per non essere stato lui, ma altri, a dare l’imprimatur a codesto impianto di “energia alternativa”. Del resto nessun esponente dell’allora maggioranza (e a dire il vero anche della sedicente opposizione) sembrava non dico avversare ma almeno batter ciglio contro lo scempio dei nostri campi occupati dall’invasore. Anzi! Visto che i “terreni sono impervi” e non “dalla grande produzione agricola” tutto sommato – così si arguisce – si poteva pure fare il megaparco di pannelli in contrada Roncella. E così sia.
Chi va a dire al poveretto che anche “i terreni impervi, dove prima andavano a pascolare i greggi” sono fondamentali per la biodiversità vegetale ed animale? Che la fotosintesi clorofilliana non è solo quella delle “grandi produzioni agricole” ma anche quella delle erbe spontanee, molte delle quali edule, e dei “pascoli per i greggi”? Che per quanto si possa “piantumare” con siepi perimetrali un parco fotovoltaico di quella estensione, il disastro rimane nei secoli dei secoli? E che eventuali siepi anche fitte sarebbero niente altro che il classico tappeto sotto il quale nascondere la polvere? E che la siepe del parco nohano, fatta tra l’altro con alcuni ulivi già secchi, è semplicemente ridicola?
Chi va a spiegare a questi mostri di intelligenza che per un piatto di lenticchie anzi di briciole, oltretutto una tantum, gentilmente concesse dai nostri conquistadores, non si può svendere la nostra primogenitura e che, dunque, non sono sufficienti “la ristrutturazione del canile di Galatina” ed “il rifacimento della villetta Fedele in via Soleto” per indennizzarci della perdita del panorama, del futuro, della faccia, della dignità, della bellezza e, non ultimo, dei soldi (che tra l’altro, a quanto pare, imboccano la strada per la Germania direttamente da contrada Roncella senza manco transitare da Galatina)?
Chi va a spiegare a chi si rifiuta di capire persino l’ovvio che questa non è assolutamente “energia alternativa”?
E’ “alternativa” (oltre che rinnovabile) quell’energia che compensa la minor produzione di corrente elettrica prodotta ad esempio da fonti fossili come petrolio, gas e carbone. Il che non è. Abbiamo cercato di dire, ridire e ricordare minuziosamente almeno un milione di volte che questi impianti fotovoltaici danno ai titolari il diritto di ottenere i cosiddetti “certificati verdi”. Cosa sono? Ma sicuramente l’ennesima truffa, in quanto si tratta di veri e propri permessi di inquinare, liberamente negoziabili a prezzi di mercato. I suddetti attestati, dunque, vengono venduti, tra gli altri, anche e soprattutto alle centrali di produzione di energia tradizionale, che a loro volta, grazie a questi permessi di inquinare, possono addirittura aumentare e non ridurre la produzione di corrente da fonti non rinnovabili. Altro che “energia alternativa”.
La centrale di Cerano, per dire, nonostante la Puglia sia ormai completamente ricoperta da pannelli fotovoltaici (e tra poco anche da pale eoliche: non ci facciamo mancare niente) non ha ridotto di un solo kw la sua produzione, anzi l’ha addirittura aumentata. Con quali conseguenze? Ma ovviamente con maggiori emissioni di fumi, anidride carbonica, gas di scarico ed altre schifezze che arrivano anche da noi grazie a quel “gasdotto” naturale che è la tramontana. A questo si aggiungano le autoproduzioni salentine di diossina e miasmi ed esalazioni varie provenienti dai camini di certi altiforni svettanti intorno a noi come la torre Eiffel ed il quadro è completo.
Poi uno si chiede come mai nel leccese, e a Galatina e dintorni in particolare, si muore molto di più che in altri luoghi per neoplasie, mesoteliomi, e cancro all’apparato respiratorio.
Infine, come far comprendere a questi signori, per i quali sembra che la logica sia un’allergia, il concetto basilare per cui non serve una centrale da un milione di kw ma un milione di utenti che mettono in rete un kw ciascuno? Dunque l’energia solare va benissimo, ci mancherebbe altro; ma in impianti di micro-generazione energetica e non in mega-impianti in mezzo alla campagna, anche se piena di cozzi, impervia, o morfologicamente assimilabile ad una pseudo-steppa. E’ così difficile da comprendere questa roba? Questi signori hanno mai preso in mano un libro, che so io, di un Jeremy Rifkin, ammesso che conoscano il professore e le sue ricerche scientifiche?
Anzi, formuliamo meglio: hanno mai preso in mano un libro (che non sia, per favore, il tomo-panettone di Bruno Vespa)?
gen282011
Eccovi un bellissimo video che ritrae la sala prove e registrazioni di Carmine Tundo, in arte ROMEUS, cittadino di Noha, arredata con strumenti musicali e con gli olii su tela che le fanno da sfondo.
Come si potrà vedere, qui si fondono musica e pittura, suoni e immagini.
Ancor più bella questa musica e queste immagini in quanto figlie di artisti nohani.
Ma qual è l'artista per eccellenza, amica dei plurisecolari ulivi di Puglia, se non la splendida PAOLA RIZZO? E qual è la voce più rock e graffiante di questo inizio secolo italiano se non quella di Romeus?
Buon ascolto e buona visione.
giu062014
“E’ un pazzo scatenato”. “Ma chi glielo fa fare”. “Non ce la farà mai”. “Qui a Noha non si può far niente”. “Crede nelle favole”.
Sono queste ed altre carinerie del genere che avranno fatto fischiare (ma poi non più di tanto) le orecchie a Dino Coluccia per via di quella sua bislacca idea di dar luogo (e a Noha!) ad una festa, che dico, uno spettacolo incredibile, una fiera inedita, un triduo di arte e bellezza che non ha uguali in tutto il Mezzogiorno d’Italia.
E forse sono stati proprio codesti pregiudizi la benzina sul fuoco della determinazione di Dino e della sua lucida follia: i “no”, cioè, l’han fatto andare avanti per la sua strada se possibile con ancor più risolutezza ed energia.
Ma in questo trafiletto non mi va di parlare delle tristi comari capaci soltanto di ciarlare dietro le persiane delle loro porte & finestre perennemente chiuse: qui vorrei invece enfatizzare il fatto che se si vuol raggiungere un obiettivo non ci son santi che tengano, fossero anche le peggiori congetture dei prestigiatori di pettegolezzi (che per fortuna si sfaldano sotto la ruggine di anticaglie vecchie, seppur luccicanti al colpo di una ripulita che ha la durata di un giorno), o fossero persino le più imbizzarrite condizioni meteo degli ultimi dieci anni (come purtroppo è stato il corso di questa primavera monsonica).
I risultati, a dispetto dei detrattori di turno, si son visti e sono stati strabilianti: Noha si è trasformata per tre giorni consecutivi in una piccola Siviglia, la città spagnola nota per la sua “Feria de Abril”, che dura invece una settimana intera (ergo in proporzione la feria de Noha ha tenuto testa, se non di gran lunga battuto, quella della famosa città andalusa).
“E quante cose stiamo imparando!” mi diceva a questo proposito quell’altro visionario che risponde al nome di Giuseppe Cisotta.
Sì, Dino Coluccia ci ha insegnato molte cose con questo Equestrian Show: come per esempio il valore della collaborazione, l’importanza della lotta, l’umiltà scientifica, l’ascolto degli altri, la passione per le cose belle, lo spirito di abnegazione di molti amici nohani. Ma soprattutto il fatto che è con i sogni e con l’utopia che si cambia il mondo.
Antonio Mellone
dic152016
La magia del Natale riporta alla luce la Noha di un tempo. La piccola frazione di Galatina, famosa per essere la città salentina dei cavalli ma anche per le sue chicche architettoniche come le "casiceddhe" o la casa rossa, a Natale svela il parco che le abbraccia, il castello del feudatario di un tempo. E' uno scorcio di storia quello che si può ammirare in questi giorni, di un'epoca produttiva e fastosa le cui tracce sono state valorizzate dai solerti volontari nohani con la riproposizione di scene suggestive curate nei dettagli come le antiche botti dove si invecchiava il brandy o le parti di affreschi che emergono ancora labilmente dalle pareti.
La presenza degli animali con il recinto dei cavalli, delle mucche e delle pecore e le capre, evoca poi la vita e il lavoro dei contadini salentini. Il percorso si snoda cosi tra veri e propri affreschi viventi mentre i visitatori possono rifocillarsi con vin brulé, "pittule", formaggi, crudité di verdure, dolci con la marmellata, calde pucce con le olive cotte nei forni di pietra di Noha a rappresentare la Bel Lèhem (casa del pane).
Il presepe vivente è aperto nei giorni 25 e 26 dicembre, 1 e 6 gennaio (in caso di maltempo l'8), dalle 16 alle 21.
[Fonte: quiSalento, 15-31 dicembre 2016]
ott282013
Se diamo uno sguardo ai beni culturali di Noha, e se dimostriamo appena un pizzico di sensibilità nei confronti del nostro patrimonio storico-artistico, non possiamo evitare di chiederci perché mai la sublime eredità che ci è stata consegnata dalla storia è costretta a fare l’ingloriosa fine che è sotto gli occhi di tutti (inclusi i ciechi, gli orbi ed i bendati).
Non è un mistero doloroso il fatto che la torre con ponte levatoio, sì, quella medievale vecchia di sette secoli, si mantenga in piedi ormai quasi per quotidiano miracolo (ed i miracoli, si sa, non si ripetono all’infinito); che il palazzo baronale, meglio noto come il castello, ormai senza più anima viva al suo interno dopo la dipartita degli ultimi inquilini, stia andando incontro al suo inesorabile accartocciamento post-muffa; che il frantoio ipogeo ridotto a poco più che una cloaca a cielo chiuso verrà a breve attraversato da un bel canalone della fognatura bianca (una in più o una in meno, cosa cambia); che l’orologio svettante nella pubblica piazza è da quasi un decennio il più fermo del mondo in assoluto (roba da guiness dei primati: dove per primati stavolta bisogna intendere le scimmie); che le casiceddhre che ormai in tanti vengono a vedere anche da fuori paese (invece chi del posto dovrebbe appena alzare lo sguardo sembra affetto o da cataratta cronica o da cefalea letargica, nonostante la possibilità di accedere a prezzo di costo a numerosi antidoti farmacologici) si sta sfarinando per colpa del cancro della pietra leccese (e soprattutto per colpa di quello culturale che distrugge i residui neuroni degli umanoidi nostrani), mentre il grazioso campanile in miniatura è già venuto a mancare all’affetto dei suoi cari appena qualche mese addietro; che l’affascinante misteriosa casa rossa, la casa pedreira nohana, ha finalmente un motivo di attrazione in più dato alla luce di recente da una betoniera trovatasi per caso nelle sue immediate adiacenze: una neonata altèra casa bianca presidenziale.
Antonio Mellone
nov172014
dic162013
La magia del Natale riporta alla luce la Noha di un tempo. La piccola frazione di Galatina, famosa per essere la città salentina dei cavalli ma anche per le sue chicche architettoniche come le "casiceddhre" o la Casa Rossa, a Natale svela un altro prezioso tesoro: la masseria Colabaldi, antico edificio costruito in almeno tre epoche diverse, e oggi lasciato quasi in balia dell'abbandono e della smemoratezza.
A restituirgli un po' di vita ci pensano i volontari che ogni anno organizzano il presepe vivente aprendo ai visitatori di ogni dove il grande portale di legno e ferro battuto alla cui sommità è incisa la data del 1595. Varcata la soglia i grandi "cozzi", tipici massi nohani, delimitano il percorso mentre i soldati romani dal mantello color porpora e la lorica in cuoio offrono un corroborante bicchiere di vin brulè.
L'architettura della masseria presenta un grande salone, un giardino monumentale, ed una grande torre alta più di undici metri, sui pareti della quale s'affacciano le celle ed i giacigli usati un tempo dai monaci basiliani.
Ed è proprio all'interno dell'"ara", del cortile, e degli altri locali che prendono vita gli antichi mestieri interpretati dai nohani, in tante diverse scene che, in realtà, rappresentano le loro vere professioni. Così il fornaio offre soffici e calde pagnotte come fa ogni giorno, la pastaia "scana" l'impasto per i maccheroncini e le orecchiette, il ciabattino ripara le scarpe rotte, "lu stumpacranu" pesta il grano nel mortaio per venderlo alle donne del paese e l'oste offre il vino e le "pittule" a tutti i visitatori.
Alla natività è invece riservata la parte più antica ed affascinante della masseria, la chiesa che i monaci basiliani avevano dedicato a "santu Totaru", ovvero san Teodoro.
Fonte quiSalento 15-31 dicembre 2013
dic112013
In principio fu il re dei colori. Avvenne quando l’uomo primitivo perse il pelo e scoprì il fuoco. Poi scoprì l’arte e dipinse la sua caverna con il nero dei tizzoni e il rosso della terra. Da lì in poi divenne il colore per antonomasia. Fu scelto dagli incoronati e dagli stessi incoronanti. Col passare del tempo, divenne il colore di molti stemmi di città e di bandiere, del Corsaro Rosso e delle favole, dei garibaldini e delle toghe, degli abiti di vescovi e cardinali e degli addobbi natalizi, delle lotte degli operai e dei cortei della sinistra, per finire nel tifo sfegatato di molte maglie di serie A. Una simbologia contraddittoria, certo, ma a tutto c’è una ragione. Di sicuro il rosso è stato ed è ancora la tinta per eccellenza. Con l’aumentare del prestigio del rosso, soprattutto porpora, nacque una vera e propria malattia, la porporomania. Insomma il rosso con il tempo è divenuto una specie di status symbol, e quindi esclusiva di porporati e potenti. Solo con l’avvento delle rivoluzioni liberiste è passato in uso anche nelle categorie sociali più modeste. E quindi noi nohani, il colore rosso ce lo portiamo dentro ovunque si vada perché è legato all’immagine della nostra terra e alla bellezza della natura che essa stessa genera con i suoi colori e frutti. Terra che ha dato da vivere per secoli a tante famiglie e che invece da qualche tempo stiamo maltrattando ricoprendola di pattume, spacciato a volte per tecnologico, da piattaforme di cemento e da nastri chilometrici di bitume. Nel lasso di tempo di pochissime generazioni abbiamo sepolto più terra che miliardi di uomini in migliaia anni. Fino a poco tempo addietro (i nohani della mia generazione ne sono testimoni), le cappelle di S. Antonio, della Madonna di Costantinopoli e del Buon Consiglio, segnavano il limite dell’area urbanizzata di Noha. Superandole si era in aperta campagna. Il che voleva dire estensione di verde e terra rossa, tracciati di carrarecce e profumi di fiori. Oggi quel limite non esiste più. E’ fuso in egual modo ai medesimi dei paesi limitrofi. Un unicum indefinito di case, strade e mega-porcate di vario genere. Così mentre obbediamo all’incitazione del progresso, la terra si ammala, e noi dietro ad essa. In compenso i nostri figli continuano ad emigrare per cercare altrove ciò che potremmo avere in casa. Un’altra storia questa, ma sempre tinta di rosso, rosso- rabbia. Gli unici beni che ci restano e che per fortuna non possono essere de localizzati, come si usa fare di questi tempi con il lavoro, sono appunto la terra e i nostri beni culturali.
Come le emissioni di gas nocivi devono essere ridotte oggi e non domani, così anche la copertura eccessiva della terra deve essere fermata oggi e non quando il suo recupero sarà irreversibile. Se non decidiamo al più presto che il trend di avanzamento di questa tragedia deve finire, ci vuol poco a immaginare quale rosso vedranno i nostri nipoti guardandosi intorno. Non certo il rosso di vergogna che dovrebbe bruciare sulle facce degli attuali responsabili di questa tragedia, che siamo noi tutti, nessuno escluso, bensì il rosso della loro (dei nostri nipoti) stessa collera per aver ereditato (non certo meritato) un disastro senza pari.
Forse l’unica memoria prestigiosa del rosso che resterà, anche se sbiadito (perché a quanto pare non frega niente a nessuno, politici compresi), è quello della torre dell’orologio, dei sotterranei del castello adiacenti all’ipogeo, della casa rossa, dell’ex cinema dei fiori, degli affreschi nascosti sotto la calce delle colonne della chiesa matrice realizzati da Cosimo Presta, pittore nonché stuccatore della chiesa madre e di una prestigiosa casa privata di Noha, di ciò che resta delle casette che forse qualcuno aspetta che vadano in frantumi per costruirci al loro posto due piani di appartamenti. Forse possono essere salvati solo più da un miracolo del nostro San Michele Arcangelo, come avvenne nella notte del 20 Marzo del 1740, evento miracoloso riportato nel libro della storia di Noha (“Noha, storia, arte e leggenda” di P. Francesco D’Acquarica e Antonio Mellone, Milano, Infolito Group Editore, 2006), allorquando il nostro San Michele fermò l’uragano con un semplice cenno del suo mantello rosso.
Ecco, questo è quanto chiedo come regalo per il Natale in arrivo: la salvezza dei nostri unici beni culturali che, ahimè, gridano vendetta, compresa la terra che ancora si oppone alle colate delle nostre mega-porcate.
E perché no, aggiungo anche la preghiera per una valanga di rosso che si riversi sulle facce di certi pseudo-elargitori di politica, che hanno perso il pelo, sì, ma non il vizio di fingersi sordi, accecati come sono dall’ignoranza, dagli imbrogli e dalla mancanza di rispetto per Dio. Barcollanti senza mèta, se non la fame di una banale onnipotenza.
feb252014
Venerdì 7 marzo, dalle 17.00 alle 19.00, il Centro Aperto Polivalente di NOHA, gestito dal Cesfet, organizza la I Edizione di “Pentolaccia in festa”. La manifestazione è indirizzata a bambini e ragazzi che vorranno rivivere la tradizione della pentolaccia. Ospite della serata sarà YURILLUSIONIST con effetti speciali di bolle di sapone ed un fantastico spettacolo di magia. Il costo d’ingresso è di 3 euro.
Il Centro Aperto Polivalente di Noha, da alcuni mesi, sta diventando una forte realtà ricreativa e formativa per i ragazzi nohani e paesi limitrofi. Oltre a percorsi di sostegno e recupero scolastico i ragazzi sono coinvolti in diverse attività creative e di espressione: laboratori, teatro, canto e danza creativa.
giu032020
Bravissima la nostra Arianna Gabrieli insignita dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella del titolo di Cavaliere del Lavoro per la sua attività di ricerca.
Congratulazioni, dottoressa, e "ad maiora" da parte di tutti i nohani.
Come annunciato ieri a Codogno, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto insignire dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica un primo gruppo di cittadini, di diversi ruoli, professioni e provenienza geografica, che si sono particolarmente distinti nel servizio alla comunità durante l’emergenza del coronavirus. I riconoscimenti, attribuiti ai singoli, vogliono simbolicamente rappresentare l’impegno corale di tanti nostri concittadini nel nome della solidarietà e dei valori costituzionali.
Annalisa Malara e Laura Ricevuti, rispettivamente, anestesista di Lodi e medico del reparto medicina di Codogno, sono le prime ad aver curato il paziente 1 italiano.
Maurizio Cecconi, professore di anestesia e cure intensive all’Università Humanitas di Milano, è stato definito da Jama (il giornale dei medici americani) uno dei tre eroi mondiali della pandemia.
Mariateresa Gallea, Paolo Simonato, Luca Sostini sono i tre medici di famiglia di Padova che volontariamente si sono recati in piena zona rossa per sostituire i colleghi di Vo’ Euganeo messi in quarantena.
Don Fabio Stevenazzi del direttivo della Comunità pastorale San Cristoforo di Gallarate (VA) è tornato a fare il medico presso l’Ospedale di Busto Arsizio.
Fabiano Di Marco, primario di pneumologia all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo ha raccontato la tragica situazione della città e dell’ospedale.
Monica Bettoni, ex senatrice e Sottosegretaria alla Sanità, medico in pensione, ha deciso di tornare in corsia a Parma.
Elena Pagliarini è l’infermiera di Cremona ritratta nella foto diventata simbolo dell’emergenza coronavirus. Positiva, è guarita.
Marina Vanzetta, operatrice del 118 di Verona, ha soccorso una anziana donna e le è stata accanto fino alla morte.
Giovanni Moresi, autista soccorritore di Piacenza Soccorso 118, ha offerto una testimonianza del ruolo degli autisti soccorritori del 118.
Beniamino Laterza, impiegato presso l’Istituto di vigilanza “Vis Spa” e presta servizio nell’ospedale Moscati di Taranto, presidio Covid.
Del team presso l'Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma – struttura di eccellenza della sanità pubblica fanno parte:
Maria Rosaria Capobianchi, a capo del team che ha contribuito a isolare il virus
Concetta Castilletti, responsabile della Unità dei virus emergenti.
Francesca Colavita, Fabrizio Carletti, Antonino Di Caro, Licia Bordi, Eleonora Lalle, Daniele Lapa, Giulia Matusali, biologi
Nel team di ricerca dell’ospedale Sacco e dell'Università degli Studi di Milano, poli di eccellenza nell’ambito del sistema sanitario e di ricerca nazionale:
Claudia Balotta a capo del team, ora in pensione. Nel 2003 aveva isolato il virus della Sars.
Gianguglielmo Zehender, professore associato.
Arianna Gabrieli, Annalisa Bergna, Alessia Lai, Maciej Stanislaw Tarkowski ricercatori
Ettore Cannabona, Comandante della Stazione dei Carabinieri di Altavilla Milicia (Palermo), ha devoluto in beneficenza l’intero stipendio mensile.
Bruno Crosato in rappresentanza degli Alpini della Protezione civile del Veneto che hanno ripristinato in tempi record 5 ospedali dismessi della regione.
Mata Maxime Esuite Mbandà, giocatore per il Zebra Rugby Club e per la nazionale italiana, volontario sulle ambulanze per l’Associazione Seirs Croce Gialla di Parma.
Marco Buono e Yvette Batantu Yanzege della Croce Rossa Riccione hanno risposto all’appello della Lombardia che chiedeva aiuto a medici e personale con ambulanze.
Renato Favero e Cristian Fracassi, il medico che ha avuto l’idea di adattare una maschera da snorkeling a scopi sanitari e l’ingegnere che l’ha realizzata.
Concetta D’Isanto, addetta alle pulizie in un ospedale milanese. Fa parte di quella schiera di lavoratori che ha permesso alle strutture sanitarie di andare avanti nel corso dell’emergenza.
Giuseppe Maestri, farmacista a Codogno, ogni giorno ha percorso cento km per recarsi in piena zona rossa.
Rosa Maria Lucchetti, cassiera all’Ipercoop Mirafiore di Pesaro, ha lasciato una lettera agli operatori 118 donando loro anche tre tessere prepagate di 250 euro.
Ambrogio Iacono, docente presso l’istituto professionale alberghiero Talete di Ischia. Positivo, ricoverato al Rizzoli di Lacco Ameno, ha continuato a insegnare a distanza nei giorni di degenza.
Daniela Lo Verde, preside dell’istituto “Giovanni Falcone” del quartiere Zen di Palermo, ha lanciato una campagna di raccolta fondi per regalare la spesa alimentare ad alcune famiglie in difficoltà. Suo l’appello per recuperare pc e tablet per consentire ai suoi allievi di seguire le lezioni a distanza.
Cristina Avancini, l’insegnante di Vicenza che nonostante il contratto scaduto non ha interrotto le video-lezioni con i suoi studenti.
Alessandro Santoianni e Francesca Leschiutta, direttore della casa di riposo della Parrocchia di San Vito al Tagliamento (PN) e coordinatrice infermieristica che, insieme agli altri dipendenti, sono rimasti a vivere nella struttura per proteggere gli anziani ospiti.
Pietro Terragni, imprenditore di Bellusco (Monza e Brianza), in seguito alla morte di un dipendente, Erminio Misani, che lasciava la moglie e tre figli, ha assunto la moglie Michela Arlati.
Riccardo Emanuele Tiritiello, studente dell’istituto Paolo Frisi di Milano. Con il padre e il nonno hanno cucinato gratuitamente per i medici e gli infermieri dell’ospedale Sacco.
Francesco Pepe, quando ha dovuto chiudere il suo ristorante a Caiazzo di Caserta ha preparato pizze e biscotti per i poveri e gli anziani in difficoltà, organizzando una raccolta fondi per l’ospedale di Caserta.
Irene Coppola ha realizzato, a sue spese, migliaia di mascherine. Ha aiutato una associazione per sordi inventando una mascherina trasparente per leggere il labiale.
Alessandro Bellantoni con il proprio taxi ha fatto una corsa gratis di 1.300 km per portare da Vibo Valentia all’ospedale Bambin Gesù di Roma una bambina di tre anni per un controllo oncologico.
Mahmoud Lufti Ghuniem, in Italia dal 2012, fa il rider. Si è presentato alla Croce Rossa di Torino con uno stock di mille mascherine acquistate di tasca sua.
Daniele La Spina in rappresentanza dei giovani di Grugliasco al servizio della città di Torino che hanno portato prodotti di prima necessità a chi ne ha bisogno, in particolare agli anziani soli.
Giacomo Pigni, volontario dell’Auser Ticino-Olona ha coinvolto una ventina di studenti che hanno iniziato a fare chiamate di ascolto per dare compagnia alle persone sole.
Pietro Floreno, malato da oltre dieci anni di Sla ha comunicato di voler mettere a disposizione della ASL, per i malati di coronavirus, il suo ventilatore polmonare di riserva.
Maurizio Magli, in rappresentanza dei 30 operai della Tenaris di Dalmine che, quando è arrivata la commessa per la produzione di 5mila bombole nel minor tempo possibile, hanno volontariamente continuato a lavorare.
Greta Stella, fotografa professionista, volontaria presso la Croce Rossa di Loano (Savona), ha realizzato un racconto fotografico dell’attività quotidiana dei volontari.
Giorgia Depaoli, cooperante internazionale e si dedica in particolare alla difesa dei diritti delle donne. Ha subito dato la sua disponibilità alla piattaforma “Trento si aiuta” .
Carlo Olmo,ha contribuito nel rifornire gratuitamente Comuni e strutture sanitarie del Piemonte di mascherine, guanti, camici.
Maria Sara Feliciangeli, fondatrice dell’Associazione Angeli in Moto, insieme ai suoi amici motociclisti si è impegnata per consegnare i farmaci a domicilio alle persone con sclerosi multipla.
fonte:Presidenza della Repubblica
giu162014
Carissimi,
vi chiedo di votare per le casiceddhre di Noha, un'opera unica al mondo e tanto misteriosa quanto trascurata (http://m.youtube.com/watch?v=4VZbWuSWG6k), da salvare e da far conoscere ai nohani ed ai viaggiatori che visitato il nostro meraviglioso Salento. In questo modo, se riusciremo a raccogliere almeno 1000 firme, entreranno nella lista dei luoghi del cuore FAI, un'associazione che si occupa insieme a Intesa San Paolo di salvaguardare il nostro patrimonio
Basta cliccare a questo link:
http://iluoghidelcuore.it/luoghi/le/galatina/le-casiceddhre-di-noha/5652
registrarsi e votare.
Vi prego di diffondere ai vostri amici.
Un grazie di cuore.
P.S.
NEGLI ESERCIZI COMMERCIALI DI NOHA SONO STATI DISTRIBUITI I MODULI CARTACEI DI RACCOLTA FIRME
Vi terremo in qualche modo aggiornati sul contatore delle firme.
mar182017
C’è una regola aurea che suona più o meno così: “La somma dell’intelligenza dei candidati a sindaco del comune di Galatina è una costante. Il loro numero è in deciso aumento”.
Mancava giusto la candidatura di Daniela Sindaco per inverare il suddetto assioma e soprattutto per farci sedurre definitivamente dalla pOLITICA, quella scritta in maiuscolo (tranne la prima lettera).
Dopo lunghi e ponderati studi su pensieri, parole, papere e omissioni della Candidata nostra, il tutto consultando video, interventi pubblici, manifesti, sceneggiate napoletane, commenti a caldo, battute a freddo, post su face-book, e infine scritti vari che manco Natalia Ginzburg (anzi Ginseng), arrivi a un punto in cui non riesci più a capire se la locuzione che si enuncia con una sola emissione di fiato, vale a dire DanielaSindaco, sia uno pleonasmo o un ossimoro. Ah, saperlo. Lo scopriremo solo morendo.
A Daniela la fascia tricolore da facente le veci (e talvolta le feci) del sindaco, indossata durante le processioni nohane, diciamocelo chiaramente, è sempre andata stretta. Ma non per la taglia (non ci permetteremmo mai nei confronti di una signora), ma perché lei merita decisamente di più: cosa sono queste supplenze, questi “delegati alla frazione”, queste seconde linee, questo “vivere all’ombra di qualcuno”, questa subordinazione al Pd di Gggalatina, quando invece si ha il piglio e la stoffa per essere il primo cittadino nonché contemporaneamente la primadonna?
E poi dopo dieci anni di onorata carriera sui banchi del consiglio comunale uno si conquista eccome il carisma del nuovo che avanza (oltre che del vecchio che è avanzato), e assurge al ruolo di sol dell’avvenire, nonché di faro, bussola, timone, cima, randa, parabordo, àncora, gommone e – tanto per rimanere nella metafora della barca a vela - pure di deriva. Da non tacere oltretutto il fatto che la Sindaco è uno dei pochi rappresentanti del popolo che nel corso della sua carriera pOLITICA, poveretta, ci ha pure rimesso economicamente, e di brutto (cfr. le sue ultime dichiarazioni dei redditi).
Noi siamo certi che grazie a Daniela Sindaco scomparirà definitivamente dal palazzo di città la pochezza cosmica che ha caratterizzato per molti anni un gran numero dei suoi inquilini. Magari per lasciare il posto a quella comica [ma per favore non attacchiamoci sempre al capello, ndr.].
Sì, qualche rosicone si permette di affermare che la nostra beniamina abbia molte doti nascoste, ma nascoste così bene che nessuno ne ha mai vista una; mentre il solito professorone insinua che essa scriva maluccio, parli peggio, con quell’eloquio involuto e supponente, a tratti da vaiassa partenopea, e possieda addirittura un raro fiuto nel non beccarne mezza.
Qualcun altro racconta quanto a suo tempo, insieme ad alcuni suoi compagni di merenda, fosse stata addirittura folgorata sulla strada di Collemeto dalla luce immarcescibile della mega-parcomania, tanto che si arrivò a vociferare sottovoce che Daniela non si limitasse a credere nei miracoli, ma ci contasse ciecamente. E qui si spiegherebbero la moltiplicazione dei cortigiani e dei pesci (lessi) e la fede orba nel novello centro commerciale di contrada Cascioni, diventata (con l’ultimo recentissimo colpo di grazia di Guido Aprea in Apnea) la nuova Medjugorje salentina.
I gufi locali asseriscono che tutto quello che la Sindaco tocca muore (politicamente s’intende). O quantomeno agonizza. Tutte chiacchiere senza distintivo. Infatti lei è sempre pronta alla posa della prima pietra. Che si tratti della tombale (o quella di un loculo nohano) è pura coincidenza. Dovrebbe saperne qualcosa, in merito, la fu giunta Montagna.
Un “compagno” ben informato sui fatti non la smette di raccontarci quanto l’anno scorso il PD di Galatina si mettesse a festeggiare tra sospiri di sollievo, giubilo e trenini dei cosiddetti militanti il definitivo allontanamento della Nostra dal partito. Pare addirittura che fosse passata, con tanto di delibera all’unanimità, una mozione sul cambio decisivo di significato del fuorviante acronimo del popolare consesso: da Partito Democratico a Pensioniamo Daniela (l’altra mozione era: Partita Definitivamente, con sottotitolo “ringraziamu Diu”).
Il saputello di turno ricorda infine che prima del referendum del 4 dicembre scorso - quello sull’attentato alla Costituzione definito con un certo sense of humor “riforma” - la Daniela dicesse a tutti che con la vittoria del “no” saremmo morti tutti, l’apocalisse sarebbe scesa sul pianeta terra e tutto sarebbe stato tragedia.
Per la verità la nobildonna nohana, dopo la batosta del referendum, scrisse sul suo profilo fb, tra le altre interessantissime elucubrazioni, quanto segue: “Praticamente siamo peggio che nella merda!”. Chissà perché voleva tirarvi dentro anche i tre quarti di nohani che l’avevano sfanculata votando non esattamente come aveva chiesto l’avvocata de noantri (1816 no, contro 656 sì). Oggi per lei e per i suoi camerati è come se in fondo non fosse successo nulla. Ed è questo uno dei tanti problemi dei renziani: continuare a sentirsi indispensabili alla causa per la quale ci hanno messo la faccia (o quel che più le somiglia) e soprattutto non riuscire a capire che forse hanno sbagliato “lavoro”. Ma tant’è.
*
Noi ci dissociamo da tutte codeste cattiverie, bassezze e meschinità proferite sine ira et studio dai soliti invidiosi che meriterebbero di essere asfaltati così su due piedi. Anzi, convintamente ma soprattutto affettuosamente spezziamo una lancia in favore di una prossima ventura Daniela Sindaco al quadrato. Ce lo chiede l’Europa.
E poi, in fondo, è risaputo che Sindaco non si diventa: Sindaco si nasce. E lei modestamente lo nacque.
Antonio Mellone
mar152015
Gentile Daniela Sindaco,
in qualità di cittadino di Noha avrei bisogno di alcune informazioni in merito al romanzo comunale che ha per oggetto la vecchia scuola elementare di Noha di piazza Ciro Menotti ristrutturata ma anche no (per via di una cabina elettrica dal sen fuggita, anzi dal senno sfuggita). La quale scuola, dico, invece di diventare centro culturale polivalente, com’era nelle iniziali intenzioni del pubblico investitore, sembra essersi trasformata in un centro pollivalente, (nel senso di pollaio, con l’aggiunta di oche starnazzanti a destra e a manca).
Intanto volevo chiederti se avessi notizie di prima mano in merito al reale stato del cantiere di quell’edificio scolastico, soprattutto riguardo al famoso allaccio alla rete elettrica con i (sembra) necessari 50 kw in grado di mettere finalmente in funzione ascensore, apparecchiatura fotovoltaica (sai, per ammortizzare i costi della struttura) e soprattutto impianto di riscaldamento e condizionamento dell’aria (il che ci eviterebbe - per esempio nei pubblici convegni con interventi di relatori e/o pubblico anche esterni – oltre al freddo e al caldo, a seconda, altresì la solita figura da paese del terzo mondo). Sul tema potresti chiedere lumi, diciamo così, al tuo compagno di partito (o dipartito), al secolo ing. Andrea Coccioli, meglio noto come l’assessore del fare (ma soprattutto del dire).
Cara Delegata, non so gli altri nohani, ma io sono stanco di leggere, e da tempo, cronache poco edificanti sul conto di Noha, dei suoi rappresentanti, dei suoi immobili pubblici utilizzati come dependance di case private, manco fosse scritto nello statuto di quella struttura a mo’ di primo comandamento: ricordati di privatizzare le feste (socializzandone i costi).
Insomma: è vero quel che si vocifera e si scrive in giro? O è sempre e solo frutto di “strumentalizzazione politica” (alibi perfetto per ogni occasione)? Pensi che questa telenovela nohana avrà fine un dì, oppure si andrà avanti come al solito continuando a farci del male? Quali sono eventualmente le tue idee o quelle del tuo gruppo politico per questo centro culturale (che invero sembra nato male per finire peggio)? E’ dato conoscere il bilancio, o almeno i costi annui per il mantenimento della struttura? Non è che come al solito è tutto top secret ovvero non si ha la più pallida idea su come muoversi d’ora in avanti? E cosa dice o addirittura pensa Mimino Montagna nostro in merito alla vexata quaestio?
Nell’attesa di una risposta, possibilmente scritta (da pubblicare su questo sito), mi auguro che almeno i trenini che immagino si faranno nelle feste private al polivalente di Noha (magari con tanto di ritornello inneggiante a “Brigitte Bardot Bardooot”)non abbiano tutte ma proprio tutte le caratteristiche dei trenini de “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino, quelli per i quali Toni Servillo, nei panni del giornalista Jep Gambardella, soleva dire: “So' belli i trenini che facciamo alle nostre feste, so' i più belli di tutta Roma. [...] So' belli. So' belli perché non vanno da nessuna parte”.
ott032015
Caro sindaco Mimino Montagna,
anche se non sembra….. sono la sottoscritta tua delegata per la frazione di Noha. Premetto subito che… devo evitare di mettere tutti questi…..puntini di sospensione sennò quel saputello nonché…. rompicoglioni di Antonio Mellone mi prende per il….. LOCULO da qui all’eternità!!!!!!!
Non mi è facile, proverò in tutti i modi a ridurli ai minimi termini, questi puntini, anzi ai Mimini termini, hahahahahaha.
Tu sai che io quando mi ci metto faccio le cose con il cuore (anche se il Mellons’ di cui sopra, quando gli prudono le mani, scrive che utilizzo un altro organo posto un po’ più in basso, e che inizia sempre con CU. Ma, sai, lui è fatto così, non è cattivo: è solo che ha il brutto vizio di canzonare il POTERE: e io, modestamente, può). E poi, detto tra noi, quella che lui pensa sia satira (che a me non piace, anzi non mi fa per niente ridere) altro non è che…….tutta pubblicità per me. Tiè!!!!
*
Stavolta cercherò di essere, come dire, alquanto stitica, evitando di produrre le….. sette cartelle (cliniche) dell’altra volta. Come, non ti ricordi più? Dai, quelle di autodifesa dalle accuse (INFONDATE!!!!) da parte della direttrice della scuola di Noha per via della transumanza di due sedie volanti da un plesso ad un complesso scolastico. Non le avessi mai scritte quelle pagine: ancora mi stanno prendendo in giro per via del fatto che, stanca morta com’ero, non mi andò manco di rileggere e quindi correggere qualche piccolissimo, invisibile, IRRILEVANTE….. strafalcione scritto in fretta e furia. A dirla tutta….. pensavo che non leggesse nessuno quella roba lì, tranne te ovviamente (che, come noto, sei di bocca buona, tanto è vero che te ne uscisti con una baggianata delle tue, ché ancora la gente sta ridendo). Poi capitarono nelle mani del nostro amico che si crede uno scrittore (quando non è nemmeno uno scrivente), e…. apriti cielo!!!!
*
Ma bando alle chianche, e veniamo a noi, anzi a Noha. Caro Mimino, voglio dirti sempre in premessa che finché scrive Antonio Mellone non ce ne può fregar de meno: è da anni che scrive (non letto e non ascoltato da nessuno) e figurati poi se noi altri facciamo finta di dargli retta: ma manco per l’anticamera del cervelletto. Ma se si mettono a scriverti lettere aperte anche i ragazzi delle scuole medie siamo fritti, finiti, cassati.
*
Oh, Mimino, ma che figura mi fai fare?????
Mi dice l’uccellino che ci sono in palio da parte della regione Puglia ben 17.000.000 di euro (DICO: DI-CI-AS-SE-TT-EM-IL-IO-NI-DI-EU-RO) per raddrizzare i BENI CULTURALI e noi non presentiamo nemmeno un progetto uno per la mia Noha????
E’ vero che potrebbe esserti sfuggito, ma santo cielo, per Noha, nonostante i libri, i convegni, le istanze e gli articoli sui beni culturali, non possiamo non avere uno straccio di disegno da farci finanziare!!!! Dai, sindaco mio, com’è possibile? Non dirmi che per Noha non c’è uno sputo di progetto da presentare, sennò m’incavolo come una iena.
E’ vero anche che è da un bel po’ che non ti fai vivo a Noha.
L’altra sera, per dire, dopo tanti anni di assenza, sei apparso nel centro della frazione per la nostra festa patronale come il Risorto doveva essere apparso a San Tommaso: un sacco di nohani, infatti, non credevano ai propri occhi, e come l’Apostolo incredulo volevano metterti le dita da qualche parte (per esempio negli occhi) per potersene convincere. Però almeno l’altra sera, per una sera, mi hai evitato l’onere di girarmi la processione, come in genere sono costretta a fare, da sola e con tanto di fascia tricolore (UNA FATICACCIA CHE NON TI DICO!!!!).
Te lo chiedo per favore, ogni tanto, e non solo ogni dimissioni di papa, fatti un giro in questa novella Pompei salentina dove tutti i beni culturali comunali, come per esempio la torre dell’orologio ubicata in piazza (non sullu Piezzu!!!!!!!), stanno in piedi tienime ca mo’ casciu.
Caro Mimino, riusciamo magari PRIMA delle prossime elezioni non dico a fare o dire qualcosa di sinistra, seeee, ma almeno qualcosa di meno sinistrato rispetto a quello che abbiamo fatto finora, o meglio non fatto?? Sennò il piccolo scrivano nohano mi combina a dick-dick [che non è il famoso complesso degli anni ’70 – quelli, come ben sai, erano i Dik-Dik - ma il soprannome di una storica famiglia di macellai di Noha, che in italiano suonerebbe più o meno così: “pene-pene”, vabbè te lo dico in indialetto così ci intendiamo meglio: “pica-pica”].
Io vorrei una volta, una soltanto, rispondere NON ad Antonio Mellone [che detto tra noi non è NESSUNO: infatti mi sono ripromessa di non rispondere MAI PIU’ AI SUOI ARTICOLI: SE VUOLE MI FA UN’INTERVISTA con i controcazzi, sennò andasse al diavolo, lui e tutti quelli che gli mettono mi piace su feisbuk!!!!!], ma alla popolazione tutta E CON I FATTI. Perché DANIELA SINDACO RISPONDE CON I FATTI E NON CON LE CHIACCHIERE. E non voglio che nessuno un domani mi possa dire: DA QUALE PURPU VIENE LA PREDICA.
Io sto dando tutta me stessa per Noha, sto addirittura trascurando il mio lavoro (E LA MIA DICHIARAZIONE DEI REDDITI LO CERTIFICA DAL PRIMO FINO ALL’ULTIMO CENTESIMO), sto cercando di portare in alto il nome del mio paese, organizzo da non so più quanti anni i moto-raduni di agosto (vabbè fanno tutto loro, ma io ci metto la faccia), sono presente ad ogni funerale con tanto di manifesto che sembra più grande il mio nome che quello del morto, sto facendo un sacco di altre belle iniziative che per la verità non mi ricordo manco più quali siano, e qual’è il risultato? (cara prof. Daniela Vantaggiato, hai visto che ce l’ho messo l’apostrofo e come sono migliorata da quando vengo a ripetizione da te?) E – dicevo - qual’è il risultato? Quello di essere presa in giro perché a Noha non stiamo facendo nulla? No, Mimino Montagna, a queste condizioni io non ci sto.
Io sono pronta a votarti in Consiglio tutte le schifezze della tua giunta (tipo il Mega-porco commerciale o l’Area Mercatale, e altri scempi simili), però non voglio passare alla storia di Noha solo per un paio di sedie da asporto come le pizze.
A proposito di “Buona Scuola”, nel complesso scolastico di Noha abbiamo un’aula con tante postazioni-computer bellissima, ma (INCREDIBBILE MA VERO) senza linea Internet, e dunque di fatto inutilizzabile da circa un paio d’anni. Come mai? A Noha è vietato connettersi? Non è che quando si parla di BANDA LARGA qui bisogna sempre intendere le solite Bande note alla cronaca nera? Non dirmi, ti prego, che la legge di cui sopra, anche per Noha, si è trasformata nel decretino della “Buona Sòla”?
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Non voglio dire niente altro per l’amor di Dio sull’allaccio Enel del centro Polivalente. Dico solo che non c’è la faccio più!!!!! Ma lo sai che l’altro giorno – robba de pacci, Mimino – ‘stu benedetto centro si è trovato al buio mentre noi altri eravamo all’oscuro di tutto.
Tra l’altro la sfiga ha voluto che proprio all’indomani ci fosse la Festa dei Lettori (dove doveva partecipare anche ‘stu rompipalle di Antonio Mellone, che invece di chiamarmi al telefono per avvisarmi, si è messo a scrivere il solito articolo sarcastico e così tutti o quasi hanno saputo della cosa…..).
Insomma, Mimino mio, hanno portato via puru dhru stozzu de “contatore di cantiere” che permetteva almeno di accendere le lampadine dei cessi di ‘sto cavolo di centro-periferico (ma, tranquillo, non sufficiente per far funzionare ascensore, aria condizionata, riscaldamento e fotovoltaico). Del resto non saprei più da dove partire e soprattutto dove arrivare con questa via-crucis-tragicomica, con questa telenovela nohan-messicana. Vedi, per favore te lo chiedo, di dare una voce tu a Mr. Coccioli, il nostro assessore ai lavori pubici, affinché in qualche modo ci illumini di incenso.
Su dai, Mimino, (anzi sudai, e molto!) diamoci una mossa e facciamo meno mosse. Ad oggi, mentre ti scrivo, sempre se non sbaglio (ma è difficile che io sbaglio!!!!), l’unica luce che c’è è quella diurna del pozzo luce.
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Ancora una cosa. Si spendono dei SOLDI PUBBLICI, pare 26.000 euro per l’estate galatinese e altri 16.000 euro per la festa patronale di san Pietro. Va bene tutto, ma perché questo Bancomat (che sarebbe il Comune) funziona solo…… per certe aree geografiche, tipo la capitale galatinese, e non per altre (come Noha, i cui abitanti comunque – SALVO I SOLITI CASI DI EVASIONE FISCALE - pagano le tasse con le stesse percentuali)? Perché, per dire, per la festa di San Pietro, come mi dicono, sono stati stanziati 2.000 euro in più, espropriati paro paro dalla festa di San Michele Arcangelo, sicché il contributo per San Pietro è passato da 14.000 a 16.000 mentre quello per San Michele da 4.000 a 2.000? Al paese mio si dice: quandu lu poveru dè allu riccu lu diavulu sotto li piedi de san Micheli si la ride. E mo’ che cosa possiamo inventarci per buttare un altro po’ di fumo negli occhi dei nohani, soprattutto di quelli – e sono tanti grazie a Dio - che si bevono di tutto e di più, e quindi imperterriti continuano a votarci?
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Giorni fa, nella seconda fetta di Mellone 2015 (secondo il detto nohano: QUANDU RRIVA LA FICA LU MALONE VE E SE ‘MPICA - e speriamo cu rriva ‘mprima ‘sta benedetta fica), il suddetto Mellone mi ha inviato una lettera (veramente l’ha indirizzata anche agli altri tre moschettieri delegati di Noha, anzi tre mosche – ma figurati se quelli prendono carta e penna e si mettono a rispondere, ma io, Daniela Sindaco sottoscritta, ho una dignità da difendere, mentre loro, cioè gli amici LULO, ANPE, e GICO, non hanno le palle per ribattere - ma come quelle che dico io). Ebbene, dicevo, di loro non m’importa nulla, ma io la risposta vorrei darla, come detto sopra, NON con le lettere (che poi mi vengono come vengono) ma CON I FATTI CONCRETI.
Caro Mimino, penso di essere stata chiara e circoncisa come sempre. Ti dico solo, in conclusione, che se non vi darete una mossa lì a Palazzo Orsini, la sottoscritta Daniela Sindaco sarà costretta a trasformarsi in quattro e quattro otto in una ostinata e implacabile DANIELLA FASTIDIOSA.
E sappi che per estirparla non c’è sega che tenga.
Cordialmente tua e sottoscritta,
avv. Daniela Sindaco
ott082014
Ho trascorso quasi tutta la serata del 29 settembre scorso, solennità di San Michele Arcangelo, in piazza, a Noha, nei pressi del tavolino allestito dagli osservatori nohani e dagli altri amici per la raccolta delle firme da inviare al FAI (Fondo Ambiente Italia) al fine di far inserire nel catalogo dei beni culturali, degni almeno di un ricordo, le nostre Casiceddhre in miniatura, architettate dallo scultore Cosimo Mariano all’inizio del secolo XX e lasciate marcire nel degrado e nell’abbandono dai contemporanei del XXI.
Insieme a Marcello, Angela, Maria Rosaria, Marco, l’agguerritissima Patrizia, l’Albino, e qualcun altro (che gentilmente ci ha sostituiti giusto il tempo di una passeggiata sul corso illuminato dai festoni ed una puntatina ai panini con la porchetta arrosto) in poche ore e senza tanto clamore s’è raggiunto un totale di circa 240 firme autografe spontaneamente (e in qualche caso spintaneamente) apposte su quei fogli volanti da spedire alla Fondazione. Altre 150 firme sono state raccolte nei tre o quattro giorni successivi. Un buon risultato, non c’è che dire.
Ma oltre all’obiettivo primario (cioè l’invio al FAI delle firme), ne avevamo un secondo non meno importante: quello di ritornare ancora una volta a parlare a nohani e forestieri di salvaguardia dei nostri tesori, che sembra siano stati definitivamente archiviati nel dimenticatoio un po’ da tutti (vista la mattanza senza fine del nostro, come dire, tessuto storico).
Ma non crediate sia mai stato facile parlare (o scrivere) di beni culturali. C’è stato un tempo in cui uno dei capobanda di un votatissimo partito politico nazionale, e purtroppo anche locale, tra le altre inarrivabili locuzioni, proferì la famosa solennissima minchiata per cui con la cultura non si mangia (e qui è d’uopo che vi risparmi gli altri motti suoi, e quelli di qualche suo compare di merende nostrano).
Vi confesso che nel corso della serata, nel parlare del più e del meno con avventori e passanti dalla nostra postazione, il mio umore ha più volte repentinamente oscillato tra il tiepido ottimismo ed il pessimismo leopardiano, quello cosmico. Sì, ne ho dovute sentire di tutti i colori, ma così tante che la fantasmagoria di luci caleidoscopiche installate dalla premiata ditta Cesario De Cagna per la festa patronale nohana era nulla al confronto. Io davvero non so come fare a far comprendere alle persone il fatto che, per dirne una, l'occupazione non nasce dalle grandi opere, ma da politiche che stimolano appunto la cultura, il piccolo commercio, magari equo e solidale (e non invece i mega-porci comodi solo a chi ha come unica fantasia quella delle colate di cemento), l'artigianato, l’agricoltura, e infine ma non meno importante anche il locale patrimonio artistico, storico, musicale, creativo.
Ho cercato di spiegare ai passanti, en passant, che non importa il pregio, la rarità o l’antichità dei singoli oggetti del nostro (o dell’altrui) patrimonio: quello che può renderli degni di essere tutelati dalla Repubblica (o in subordine dal FAI) può essere anche la relazione spirituale e culturale che li unisce alla vita locale.
Una delle amenità che m’è toccato di sentire (e che comunque non mi suona per niente nuova: segno che c’è ancora qualche scienziato che diabolicamente persevera in questa genialata) è la “proposta” nata non so più quando né da chi (forse, a ragion veduta, ne ho rimosso nome ed esistenza) del trasloco delle casiceddhre dalla loro abituale ubicazione alla volta, magari, di un museo o di qualche non ben definito particolare piedistallo, come se le nostre opere d’arte fossero dei normali ancorché costosi soprammobili. E’ un po’ come se il cervello di una persona potesse essere prelevato e spostato altrove da qualche redivivo dottor Frankenstein junior (oddio, a proposito di fuga di cervelli, anche Noha non sembra immune dal fenomeno: il problema vero è invece quando il corpo rimane qui).
E tu hai voglia a spiegare che finanche anche il filosofo, archeologo nonché critico d’arte Quatremere de Quincy già nel 1796 osservava acutamente che “perfino un quadro di Raffaello, se fuori contesto, non dice nulla, perché non è una reliquia, come un frammento della Croce, che possa comunicare le virtù legate all’insieme”.
Questa regola, si badi bene, non vale solo per i capolavori supremi, ma per qualsiasi opera d’arte.
Ma quando si riuscirà una buona volta a far capire che il nostro patrimonio culturale non è una collezione di icone ma un deposito di memoria culturale? Quando ritorneranno in mezzo a noi i suddetti cervelli in fuga? Temo che qui ci sarà da attendere ancora per molto (visti anche gli ultimi sviluppi e le prove evidenti del fatto che non solo non si sappia scrivere ma nemmeno leggere).
Altre piccole chicche della serata (roba da spezzare le gambe, ovvero gambizzare) e, quando non espressamente qui e là proferite, sicuramente pensate e inviate al nostro indirizzo sono a titolo esemplificativo le seguenti: “Ma fatevi i fatti vostri”, “Non ve ne incaricate”, “Pensate alle cose serie”, “Lasciate perdere”, “Ma chi ve lo fa fare”, “Certo che avete tempo da perdere”, “Non avete mai concluso niente”, “Attaccate l'asino dove vuole il padrone”, “Tanto queste firme non servono a nulla”, “Passata la festa gabbato il santo”, e infine: “Non credo che con la raccolta di firme per le casiceddhre risolvi i problemi della gente”.
Mo’ ditemi voi se questa non è l’ennesima sparatoria a Noha. Di cazzate a raffica.
Antonio Mellone
feb012016
Ogni volta che miro e rimiro quel pezzo d’affresco antichissimo comparso sulla parete nord del muro delle cantine del castello di Noha, mi convinco sempre di più che non si tratta di uno scorcio dell’imperitura arte bizantina - come qualcuno ha pure ipotizzato -, non fosse altro che per le movenze.
L’immagine apparsa, infatti, non è quella di un cavallo fermo, imbalsamato, statico, ma quella di un corpo mosso, come in un ritmo di danza equestre o circense. Quello che sbuca dalla vetusta superficie superstite di quel muro, conservato intatto nel corso dei secoli al netto delle abrasioni causate dall’umidità e dal tempo, si presenta come un cavallo rampante, imbizzarrito, pieno di energia, più un destriero che un palafreno.
L’arte bizantina, all’opposto, non cercava l’uomo, o la natura, né emozioni e sentimenti umani: cercava l’esaltazione del pensiero divino nella forma delle icone ripetute, perfette, immobili. Il bizantino era costante e perpetua ricapitolazione; era replica di modelli ieratici, iconografie e riti per i quali non era previsto rinnovamento, né ricerca dell’uomo, né emozioni, né passioni terrene, ma soltanto perfezione degli schemi, dei tipi, stavo per dire prototipi.
Come si legge nei manuali di Storia dell’Arte, i canoni del bizantino sono “la religiosità, l’anti-plasticità, e l’anti-naturalismo”, sono “appiattimento e stilizzazione delle figure, volte a rendere una maggiore monumentalità ed un'astrazione soprannaturale” (cfr. Wikipedia).
Toccò a Giotto (1267 – 1337) fare la rivoluzione [quante volte andavo in visita alla Cappella degli Scrovegni di Padova, quando non c’era il bisogno di prenotarsi on-line come adesso e si poteva rimanere dentro anche per delle ore, incantati davanti a quella rivoluzione giottesca. Ndr.].
Con Giotto, dicevo, è la prima volta che un pittore non procede più per luoghi comuni stabiliti, appunto, dalla lunga tradizione bizantina. Con Giotto la pittura parte dall’osservazione (o dall’immaginazione) di quello che la realtà vuole dimostrare o semplicemente essere. Non mancano in Giotto certamente i soggetti religiosi (al contrario, le sue opere ne sono pervase); tuttavia le sue rappresentazioni (anche sacre) sono piene di accenti personali, di sorprese, di stati d’animo, di rimpianti, di delicatezze. E finalmente di un po’ di movimento.
All’opposto, un quasi contemporaneo Duccio di Buoninsegna (1255 – 1318/19) - non meno grande di Giotto - non vuole chiudere con la tradizione bizantina, ma celebrarla, osannarla, perfezionarla, quasi perpetuarla fino all’esaltazione dei suoi modelli. La pittura di Duccio, al contrario di quella di Giotto, consacra, non illustra, né umanizza.
Siamo allora di fronte a due mondi, a due visioni opposte, inconciliabili, ma ad una sola idea: per Duccio trovare l’umano attraverso il divino; per Giotto trovare Dio attraverso l’uomo e la sua storia.
*
Detto questo, ritorniamo al nostro cavallo di battaglia nohano, a quel tocco di pennello magistrale e deciso, a quella vivacità di colore prevalente che ricorda tanto il rosso pompeiano [il che non implica che il dipinto risalga al I secolo d.C, ndr.].
Che il brano di pittura sia antichissimo, risalente al Medioevo, non ci piove (lo capirebbe anche uno studente di seconda superiore appena un po’ più diligente della media: il luogo d’appoggio, i materiali apparenti, gli strati di intonaco, lo stile sono tutti concordi nel dimostrarlo); che la mano dell’artista che lo ha effigiato sia stata spinta più dall’istinto e dalla passione che dalla ragione, pure.
Ma immaginate un po’, signori, se si dovesse trattare di un affresco del XIV secolo, di matrice laica, cioè che non riproducesse una figura religiosa, come, per dire, un San Martino o un San Giorgio a cavallo (sono i primi soggetti che vengono in mente nel guardare quel pezzo di immagine), ma una più vasta scena profana? Immaginate se si trattasse di un frammento di un più ampio quadro politico, come per esempio l’“Allegoria ed effetti del buon governo e del cattivo governo” del senese Ambrogio Lorenzetti (1290 – 1348), o qualcosa del genere? Tra l’altro, questo affresco, trovandosi oltretutto in un luogo “secolare” (vale a dire non ecclesiastico), sarebbe straordinario, di più, rivoluzionario: sarebbe la rivoluzione di un redivivo “Giotto nohano”.
Per questo varrebbe la pena di prestargli la dovuta attenzione, approfondirne gli studi, e non, come sovente capita nelle nostre contrade, lasciar correre ricoprendo il tutto con una coltre di indifferenza e trasformando il nostro destriero ritrovato nell’ennesimo cavallo di troia. Ovviamente in minuscolo.
Antonio Mellone
*
P.S:
1) Forse non tutti sanno che questo cavallo non è apparso dal nulla, ma da una campagna di indagini portata avanti da due Indiana Jones alla ricerca dell’arca perduta, che rispondono ai nomi di Albino Campa e di Marcello D’Acquarica, osservatori nohani doc. Per essere precisi, come documentato, il protagonista della straordinaria scoperta è stato Albino Campa, patron di questo sito. Ora, in mancanza del nome dell’autore del dipinto medievale, credo sia giusto – come è d’uopo in queste occasioni - appellare il ritrovamento di questo pezzo di storia dell’arte nohana come “l’Affresco di Albino”. Diamo a Cesare quel che è di Cesare, e all’Albino quel che è di Albino.
2) Secondo voi, qualcuno dei politici glocal (cioè di Galatina e Noha) - nonostante le immagini su nohaweb postate dallo stesso Albino Campa, e nonostante ne abbiano parlato su Noha.it, nell’ordine, Angela Beccarisi, Marcello D’Acquarica e P. Francesco D’Acquarica - si è precipitato alla volta del Parco del Castello di Noha per informarsi della straordinaria scoperta? Secondo voi, qualcuno dei suddetti presenzialisti assenti si è fatto vivo? Ne ha parlato? Ne ha scritto o ne ha fatto scrivere sui giornali? Ne ha pubblicato da qualche parte un’immagine, un brano, un “mi piace” dal sen anzi dal dito fuggito? Ne ha informato, orgoglioso, la Sovrintendenza? Ne ha convocato una conferenza stampa presso l’assessorato della Cultura? Se sì, vi prego di comunicarmi dove e quando.
3) Infine, secondo voi – questo esula dai precedenti punti 1) e 2) ma non più di tanto - i sindaci di Galatina e di Noha, dobbiamo continuare ad invocarli all’indicativo presente o, viste le dimissioni del capobanda, ormai al passato remoto (cioè Sindacò)? Mistero della fede (politica).
*
Non vorrei fare il solito polemico, ma temo che se fosse per questi “s’ignori”, la figura equina scoperta di recente dal nostro amico, più che “l’Affresco di Albino” dovrebbe denominarsi Campa Cavallo.
Mel
apr162014
La più bella pasquetta del Salento si trascorre a Noha. Si parte con la fiera dei cavalli dal mattino e fino all'ora del pranzo; si prosegue nel pomeriggio con la processione della Madonna dei Fiori dalla chiesa madre fino alla cappella di via Collepasso, la presa della cuccagna, i fuochi artificiali, le marce del concerto bandistico di Noha (diretto dal M° Lory Calò), lo scoppio delle curemme (con relativo rinfresco), la musica leggera in serata.
Eccovi di seguito il trafiletto sulla fiera dei cavalli, a firma di Antonio Mellone, apparso con variazioni su "quiSalento" del corrente mese di aprile.
Buona Pasqua da Noha.it ai nohani ed agli amici dei nohani di ogni dove.
Noha - Fiera dei cavalli
Pasquetta del 21 aprile 2014
Per trascorrere una pasquetta ‘in grazia di Dio’ è d’uopo fare un salto a Noha, dove, quest’anno, dal mattino e fino all’ora del desco, avrà luogo la 61a fiera dei cavalli “Madonna di Costantinopoli”. La passerella di destrieri e palafreni del Lunedì dell’Angelo è la più antica delle tre che ormai da decenni trovano casa nel paese salentino meglio noto come la ‘città dei cavalli’. Sul grande prato verde di erbe spontanee, adiacente alla cappella dedicata alla “Madonna delle Cuddrhrure” in via Collepasso si daranno appuntamento i cavalli di ogni taglia, razza, colore e carattere, e, con loro, cavalieri, allevatori, intenditori, maestri di scuole ippiche e appassionati del mondo dell’equitazione. Non mancherà il mercatino di ornamenti, accessori e altro “abbigliamento” per il cavallo, né deluderanno i buongustai le bancarelle di cose buone da mangiare. Gli spettatori e gli osservatori saranno ancora una volta partecipi di una civiltà autentica non più relegata ad un passato incartapecorito, ma in marcia, e in carrozza, verso un futuro più slow, dove vivere tranquillamente senza l’impellente bisogno di allacciare le cinture.
Antonio Mellone
mar082018
Il 07.Marzo.2018 si è svolta a Noha, presso il Circolo del Partito Democratico, l'assemblea degli iscritti, con, all'ordine del giorno, l'analisi del voto, di cui, vogliamo condividere con i nostri cittadini la sintesi.
Veniamo fuori da una netta sconfitta elettorale, in cui gli elettori hanno manifestato un evidente ed indiscutibile bisogno di cambiamento. Gli elettori hanno scelto, per la maggior parte, una forza politica dirompente, diversa nel linguaggio, diversa nei metodi, diversa nei simboli, diversa nei luoghi di rappresentanza. Hanno preferito affidarsi a dei volti totalmente nuovi, in alcuni casi anche sconosciuti, poichè hanno ritenuto quella, come migliore soluzione per guidare il nostro complesso Paese. Un Paese ancora diviso a metà, un Paese pieno di contraddizioni, un Paese Cattolico ma allo stesso tempo preoccupato dall'arrivo di popoli in fuga dalle loro tragedie, un Paese che chiede onestà, ma allo stesso tempo vecchio e corrotto.
Un Partito serio e di sinistra non può esimersi dalle responsabilità di questa sconfitta. Non abbiamo ascoltato abbastanza le persone e le risposte che abbiamo dato, non sono state abbastanza convincenti.
Pensavamo e pensiamo di aver attuato una buona politica sociale e di aver portato avanti dei provvedimenti positivi per i nostri cittadini, su cui abbiamo costruito la nostra campagna elettorale.
Non rinneghiamo nulla di ciò che abbiamo fatto, continuiamo a pensare che sia un bene l'obbligo dei vaccini, continuiamo a pensare che i docenti italiani meritassero un contratto a tempo indeterminato, continuiamo a pensare che il nostro lavoro abbia determinato una sensibile risalita del PIL e che il Jobs Act abbia aiutato molti ragazzi a trovare un lavoro meno precario, ma sicuramente non è bastato, avremmo dovuto fare di più e meglio.
Quest'assise, permetteteci di dire rara, di persone che si incontrano e parlano di politica per la pura passione di sentirsi parte di una comunità e con l'ambizione di poterla in qualche modo, rappresentare, è rinata da poco e non sarà questa sconfitta a farla demordere.
Vogliamo ringraziare sinceramente i cittadini nohani per la fiducia accordataci ancora una volta, il risultato elettorale raggiunto, in questa tornata per nulla semplice, non è stata la nostra migliore performance, ma ci rende comunque orgogliosi, vi siamo davvero grati per averci scelto ancora una volta; ma ci sembra doveroso ringraziare ancora di più i cittadini che ci hanno spinto a questa riflessione, che ci obbligano a fare meglio e ad essere ancora più presenti, perchè la politica per noi, rimane una missione e mai un mezzo di autodeterminazione personale.
Per quanto riguarda il prossimo Governo di questo Paese, vogliamo essere degli oppositori responsabili, perchè è questo il compito che ci hanno consegnato i cittadini e noi abbiamo molto rispetto della loro volontà.
Facciamo gli auguri di buon lavoro ai neoeletti rappresentanti galatinesi, che troveranno in noi degli interlocutori severi ma responsabili, sempre aperti al confronto costruttivo.
E comunque, viva la Politica e viva la Democrazia!
Alice De Benedetto
gen122018
Certi risultati non possono passare inosservati, sono così grandi che il gruppo dirigente della Fidas di Noha lo vorrebbe comunicare al mondo intero, e sabato 13 gennaio prossimo inizierà a farlo comunicandolo ai propri donatori, veri protagonisti di questo magnifico risultato.
Non siamo alla caccia di numeri, tant’è che Fidas Noha non si prefigge obbiettivi irraggiungibili, il nostro intento è raggiungere i risultati dell’anno precedente e se possibile, fare una donazione in più per essere soddisfatti per aver raggiunto il nostro scopo, “dare il nostro contributo a chi ne ha bisogno”.
Nel 2016 le donazioni sono state 450 e non pensavamo che la nostra piccola comunità potesse arrivare a raggiungere traguardi più alti, ecco perché cerchiamo di osare quanto basta, ma nonostante le nostre previsioni che si limitavano a raggiungere il traguardo del 2016, l’anno 2017 è stato chiuso con un segno positivo di più 40 donazioni, facendoci ben sperare circa la possibilità di varcare molto presto la soglia delle 500 donazioni. Un risultato che riempie il cuore di gioia, per aver aiutato centinaia di persone in un solo anno a continuare a vivere, per aver permesso ad alcuni di trascorrere le feste a casa con i propri cari, per aver consentito a qualcuno di riabbracciare i propri figli, i genitori, fratelli e sorelle, oppure semplice amici, colleghi di lavoro e a qualcuno far sperare ancora di trovare il grande amore della sua vita.
Questo è stato possibile con la generosità dei nostri donatori che diventano sempre più numerosi. Senza di loro niente di quanto detto prima potrebbe realizzarsi, tutto perderebbe colore, tutto il sistema trasfusionale crollerebbe insieme alla speranza di tante persone, di tanti bimbi, che non hanno nessuna colpa ad essersi ammalati.
Sabato 13 gennaio, questa gioia Fidas Noha la condividerà con i suoi donatori e con la comunità intera, alla festa del Donatore e di ringraziamento, dove tutti sono invitati a partecipare. Non solo quindi la festa del donatore, ma ci piace pensare che sia la festa di una comunità intera, perché è grazie anche al sostegno morale di tanti cittadini che certi risultati vengono raggiunti, diversamente tutto si complicherebbe.
Quale sarebbe il sostegno morale è presto detto:
l’affetto per la Fidas che dimostrano gran parte dei Cittadini nohani fa si che in casa Fidas si lavori in un clima cordiale e sereno come quello che si respira nel Consiglio Direttivo che mi onoro di rappresentare. Questo facilità il lavoro di tutti noi e viene proiettato all’esterno, coinvolgendo e suscitando la sensibilità di donatori e non.
L’appuntamento di Sabato quindi è fissato anche per ringraziare tutti e in particolare i “Soci Benemeriti” con la consegna dei premi per aver raggiunto i traguardi previsti da statuto in numero di donazioni effettuate.
Ci saranno da premiare più di 70 donatori e quest’anno per effetto delle modifiche statutarie ci sarà anche una donatrice alla quale spetta la medaglia d’oro per aver effettuato 60 donazioni tra Sangue, Plasma e Piastrine. Non ci resta altro quindi che attendere la festa di cui proponiamo la locandina con il programma.
Antonio Mariano
[FIDAS NEWS ANNO 6 N. 01.2018]
nov202018
A me duole il cuore ogni volta che osservo lo stato in cui versano le nostre Casiceddhre in miniatura, architettate ed eseguite in pietra leccese dallo scultore Cosimo Mariano all’inizio del secolo XX e lasciate marcire nel degrado e nell’abbandono dai noi altri contemporanei del XXI.
Certo, ora ci sarà chi si permetterà di fare dell’ironia spicciola sui beni culturali nohani, chi dirà che non sono assolutamente paragonabili alle opere di Leonardo da Vinci, che ci sono “ben altre” priorità e che, magari, la cultura non si mangia [in effetti per mangiarla bisognerebbe prima masticarla, ndr.].
Per quanto ovvio, del tutto inutile sarà spiegargli il fatto che non importa il pregio, la rarità o l’antichità dei singoli oggetti di un patrimonio artistico, bensì il contesto, la relazione spirituale e culturale che li unisce alla vita locale.
Vorrei appena ricordare che questo piccolo complesso monumentale è scenografia di romanzi (come “Il Mangialibri” di Michele Stursi, ma anche “Lento all’ira” di Alessandro Romano), contesto di innumerevoli racconti (alcuni contenuti in altri volumi, tipo “Salento da Favola”, edito da quiSalento), argomento di cataloghi d’arte e libri di storia, servizi giornalistici, trasmissioni televisive, ricerche da parte di studenti di ogni ordine e grado scolastico, e finanche tema di interi capitoli di tesi di laurea in conservazione dei beni culturali. Oltretutto le Casiceddhre sono anche un “Luogo del Cuore” del FAI, ancor oggi ammirato da decine di viaggiatori, e da quei nohani che hanno occhi per guardare il bello nei tesori a loro più vicini.
Non so se abbiate mai notato il fatto che quando capita un disastro (un’alluvione, un terremoto, eccetera) le persone che hanno perso tutto spesso esprimono anche l’angoscia per la distruzione del patrimonio storico e artistico, emblema della loro identità.
Bene. Un popolo colto è quello che, difendendo le sue ricchezze artistiche, contribuisce a rendere l’ambiente in cui vive più prezioso e civile; mai invece sarà quello che, con la lacrimuccia di coccodrillo (chiagn’e fotte, anzi se ne strafotte), farà finta di riconoscerne presenza, forza e rilevanza solo quando ne verrà privato.
Non so se esista già un progetto di recupero delle Casiceddhre di Noha. In mancanza di notizie in merito, proporrei un incontro monotematico (data e luogo da definire) cui possano partecipare: proprietà, associazioni locali, esperti in materia di restauro, maestranze, storici, istituzioni, cittadini liberi e pensanti, e chiunque voglia contribuire alla ricerca di una strategia comune volta alla tutela della Pompei nohana.
Astenersi perditempo e analfabeti funzionali.
Antonio Mellone
set262016
Ci han pensato circa sette secoli fa gli antichi nohani ad allestire la scenografia della serata de "La festa dei lettori" di sabato 24 settembre 2016.
Qui a Noha, non trovi soluzioni architettoniche e prospettiche fasulle ma autentiche. Qui ti accoglie una torre medievale dalla sagoma dura, dalle linee rigide e uniformi, e dall'espressione forse poco gaia, quasi incombente, e tuttavia, verso la sommità, con archetti e beccatelli a corona. Accanto, il massiccio ponte levatoio con arco a sesto acuto, cassa armonica di versi di grandi poeti recitati a memoria e parole salentine musicate e librate in aria, tra un ramo di arancio e uno d’ulivo, dal genio di Mino De Santis.
Si diffonde tutto intorno profumo di pane appena prodotto dai forni del castello da abili mani di ragazzi che fanno bene ogni cosa, e soprattutto a perdere, per il solo gusto del bello e del buono.
Questa è la Noha più verace.
Persone, parole, musica e luoghi ancora così autentici e lontani dal turismo di massa da rendermi quasi geloso al pensiero che un giorno, com'è inevitabile che sia, saranno "di tanti".
Antonio Mellone
P.S.
Di seguito la photogallery della serata, a cura di Albino Campa:
ott032014
Domenica 28 settembre nella piazza del paese si sono riuniti i nohani e non per seguire la processione del Santo Patrono e per ascoltare l'Inno di San Michele Arcangelo eseguito dal Concerto Bandistico di Noha diretto da M° Lory Calò.
giu232015
Uomini e donne che si occupano di attività diverse tra loro, ma con un comune denominatore: la solidarietà. Succede nella nostra piccola comunità, dove un gruppo di associazioni si sono preoccupate delle difficoltà economiche della FIDAS-Noha, la quale negli ultimi tempi ha dovuto impegnare tutte le sue (già scarse) risorse per mettere a norma, secondo le nuove disposizioni di legge, la casa del Donatore di Sangue, “patrimonio comune”.
La somma spesa per ottenere i requisiti necessari all’accreditamento della nostra Casa alla raccolta delle donazioni di sangue ammonta a quasi 14.000 euro. Ma ne è valsa la pena: la nostra associazione ha ottenuto l’“idoneità”, fra le pochissime in Puglia, proprio qualche settimana fa.
Per quanto ovvio, la nostra Fidas non aveva questa somma a disposizione ed è dovuta ricorrere al credito di fornitura per circa 10.000 euro, grazie alla fiducia accordataci dagli artigiani locali, molti dei quali hanno pure prestato la loro opera gratuitamente - a meno, ovviamente, delle spese vive. Spese vive che, come detto, sono tante e a cui bisogna far fronte entro tempi ragionevoli.
Ecco allora che alcune Associazioni locali come ACLI, Gruppo Masseria Colabaldi, L’altro Salento, CNA Galatina, Noha.it e i Dialoghi di Noha in pochi giorni hanno organizzato una festa semplice ma bellissima (o forse bellissima proprio perché semplice) che si è svolta il 13 giugno, solennità di San Antonio, in contrada Magnarè, all’ombra dello stupendo tempietto nohano con cupola maiolicata e campanile.
Scopo della festa, onorare prima di tutto il Santo taumaturgo di Padova, anche attraverso la benedizione e la distribuzione del “pane di Sant’Antonio”, avvenute sul sagrato della chiesetta, e il successivo piccolo spettacolo pirotecnico in Suo onore. Dopo il suono a festa dell’antica campana sono iniziati, diciamo così, i festeggiamenti civili (“civili” in tutti i sensi), con la distribuzione dei panini e della birra e la connessa raccolta fondi. I dolci sono stati gentilmente offerti da alcuni soci organizzatori e da più di un invitato, ospite di buona volontà.
Al netto delle spese è stata raccolta una somma pari a 615,99 Euro, somma interamente devoluta in beneficenza alla FIDAS di Noha.
A prima vista potrebbe sembrare un piccola somma di denaro, ma, visto lo sforzo di tutti, il brevissimo lasso temporale impiegato per la programmazione della serata (e senza nemmeno un manifesto pubblicitario), potremmo definirla un piccolo miracolo di Sant’Antonio.
Approfitto dell’occasione per ricordare che nella storia della nostra associazione abbiamo registrato altri eventi di solidarietà straordinari come questo. Qualche anno fa, per esempio, presso i Parrucchieri Mimì di via Collepasso (ma vi partecipò anche il Parrucchiere Maurizio di via Aradeo), ha avuto luogo la “giornata pro-Fidas”, una giornata intera nella quale titolari e dipendenti di questi saloni nohani decisero di lavorare gratis devolvendo, insieme alle offerte volontarie dei clienti, tutto il ricavato all’associazione dei donatori di sangue di Noha.
Orbene, il 13 Giugno scorso questa magia si è ripetuta. E la cosa più bella di tutto questo è che associazioni con scopi e obiettivi tra i più disparati hanno dimostrato (e dimostrano quotidianamente) di avere un corposo comune denominatore: fare del bene agli altri in maniera disinteressata, essere solidali, contribuire alla crescita della comunità, valorizzare i “nostri gioielli” (frase presa in prestito).
Ecco, in questa occasione la Fidas di Noha si è sentita come un gioiello da custodire con cura, perché a sua volta svolga il suo compito più importante: quello di donare la speranza agli altri.
In questi giorni e fino a gennaio prossimo i volontari della Fidas saranno impegnati nella vendita dei biglietti di una lotteria: necessaria, anche questa, per portare un po’ di ossigeno alle nostre casse. Siamo fiduciosi nei nostri concittadini e negli amici che hanno sempre sostenuto la nostra associazione. Chiediamo a tutti costoro un ulteriore aiuto con l’acquisto di qualche biglietto del costo di 1 Euro, e con 500 Euro di premi in buoni-acquisto in palio.
Grazie a nome di tutta la FIDAS alle Associazioni locali che hanno organizzato questa gara di solidarietà, e a tutte le persone che ci hanno aiutato anche in questa particolare occasione. E grazie a tutti coloro che continueranno ad aiutarci. Ovviamente per permetterci di aiutare gli altri.
Antonio Mariano
set232021
Io credo che la maggior parte degli italiani, e dunque anche dei nohani, non abbia la più pallida idea di quel che sta accadendo a questo Paese.
Per affrontare questo discorso, che non sentirete da nessun’altra parte, siete pregati di accantonare le vostre personali simpatie, i vostri amatissimi partiti, tutti i pregiudizi e, soprattutto, il codardo atteggiamento di gran parte dei politici, vale a dire il “politicamente corretto”. L’unica cosa che troverete di corretto in questo articolo sarà l’amore per la verità, l’attaccamento alla ragionevolezza oltre che alla razionalità, e una coerenza alla logica. Tutto il resto conta meno di zero.
Una premessa, visto l’argomento che tratterò, è d’obbligo, data la scandalosa percentuale di analfabeti funzionali presente in quest’epoca, la quale già definisco trans-umanesimo (sempre per gli analfabeti, tengo a specificare che qui i trans, come orientamento sessuale, non centrano nulla).
La premessa è che termini come no-vax, no-mask, no-pass potete già ficcarveli nel canal grande, se avete intenzione di ridurre tutto l’argomento al nulla cosmico, poiché queste locuzioni sono per gli ebeti, per i quali il loro parlare equivale a emettere fiato dall’orifizio sbagliato. È con persone dotate non di cultura (io, ad esempio, non mi definisco tale), ma almeno di consapevolezza dell’essere al mondo, che vorrei parlare. Tutto il resto vada a farsi rincoglionire ancora un po’ dal megafono del pensiero unico delle emittenti televisive (ecco, il termine emittente dovrebbe già preoccupare, poiché potrebbero emettere dalla parte sbagliata dell’organismo!).
Dunque, qui la questione dalla quale partire non è né la pandemia, né la prevenzione e neppure la cura. Non è la sicurezza dei vaccini, la loro efficacia o meno a contrastare la diffusione del virus, le cure domiciliari e alternative, o se ci sia la necessità di fare l’amore con la mascherina. La questione di tutto rilievo, invece, è quale deve essere il limite oltre il quale ogni tipo di ragionamento scade nell’inaccettabile, sia dal punto di vista legale, sia dal punto di vista antropologico che dal punto di vista etico (o morale, secondo il numero dei neuroni ancora in vita). Mi spiego. Non tutto ciò che è legale è moralmente accettabile. Che vuol dire? Che una legge, in quanto tale poiché emanata da chi ha autorità per farlo, è legale, ma non per questo è automaticamente giusta. Qui siamo al punto in cui non basta più chiedersi se una cosa sia legale o non lo sia, ma è necessario fare un salto di specie, vale a dire chiedersi se una cosa è giusta o sbagliata. Certo, anche qui c’è un certo relativismo, vale a dire che ciò che è giusto per te potrebbe non esserlo per me. Ciò che ci salva dall’equivoco, però, è che esistono dei principi e delle situazioni per cui questa discrezionalità non è data. Uccidere potrebbe essere legale in alcuni casi, ma sbagliato dal punto di vista etico. Uccidere un innocente, invece, è sempre illegale e sempre immorale. Ecco, ci siamo. È qui che vorrei portare la vostra attenzione.
Se io decido di farmi un vaccino al giorno è perché lo ritengo utile per me, legale ed eticamente accettabile. Lo stesso è se decido di farmene uno all’anno se, con la mia libertà di autodeterminazione, sono giunto, attraverso un ragionamento, ad una conclusione razionale, ragionevole, responsabile e logica. Allo stesso tempo, sempre per lo stesso principio di autodeterminazione, sempre per la libertà di specie che caratterizza il genere a cui appartengo, sempre per logicità con cui conduco il mio ragionamento, potrei giungere ad una conclusione diversa dalla prima, vale a dire potrei essere un medico con quattro lauree, una delle quali in virologia, o infettivologia, e decidere di non vaccinarmi. Ora, le opinioni contano, ma davanti alla realtà, che non può non avere a che fare con la verità (se ho davanti una mela, non posso dire che è una pesca), quest’ultima prevale sull’opinione.
Se io vi chiedessi di cercare un senso che sia almeno razionale nella maggior parte delle decisioni prese a livello scientifico e politico, esaminando tutti gli atteggiamenti adottati finora, che dopo un po’ si sono rivelati assurdi (vi ricordate le piazze transennate, o i giochi dei bambini nastrati, o il cambiare la mascherina ogni venti minuti, o il sedersi a distanza di due metri per poi ritrovarsi ammassati sul treno? Ecco, mi riferisco tipo a queste cose qui), la realtà legalistica vi deluderà. Non troverete infatti nulla che sia razionale, ragionevole, logico e moralmente accettabile. Come esattamente la questione dell’immunità di gregge che prima è fissata al 70% di inoculati, poi all’80%, fino al 90% di oggi, tanto da perdere addirittura il significato della sua stessa definizione. Di esempi potrei darvene una valanga.
Ora, per assurdo poiché così non è, ipotizziamo che sia vero ciò che è falso, vale a dire che chi è vaccinato se la prende più leggera (non dimostrato), o che chi ha fatto la terza dose non finirà in terapia intensiva (non dimostrato) e, dunque non morirà (non dimostrato), e che uno che ha il Grenn Pass non infetta solo perché si è vaccinato (non dimostrato), mentre uno che non ce l’ha rappresenti un rischio pur essendo perfettamente sano (assurdo).
Ammettiamo ancora, per assurdo, che sia Draghi a decidere quando scompaiono i tuoi anticorpi (e dunque tu fino al 31 gennaio sei protetto e dal 1° febbraio diventi un pericolo pubblico), stabilendo quando devi rinnovare il tuo lasciapassare sanitario: qual è il limite oltre il quale una decisione, seppur legale, diventa moralmente inaccettabile?
Cari amici, la scienza è una cosa seria così come lo è la religione. Ma se uno di voi andasse dal Papa e gli dicesse che la Madonna non è vergine in quanto ha partorito, il Papa vi scomunicherebbe, e farebbe bene. Infatti, per la scienza una donna che partorisce a seguito di una gravidanza innescata da un rapporto sessuale, non può essere vergine. Eppure, per la religione, quella donna, pur partorendo, è ancora vergine. Ora, se dobbiamo credere alla scienza così come crediamo per fede, la scienza non sarebbe più scienza, ma diventerebbe una religione, o meglio, ciò che è diventata in questo tempo, una setta. Per assurdo, oggi i teologi discutono ancora perfino sui dogmi di fede, mentre agli scienziati è vietato il confronto. Ecco come la fede è divenuta scienza e la scienza fede, tanto che oggi la prima è, ad onor di logica, più razionale e ragionevole della seconda.
Per voler concludere un ragionamento che interesserebbe per giorni filosofi di un certo calibro, se accettiamo l’idea che è giusto ricattare qualcuno intaccando gli aspetti più nobili del genere umano (il concetto di coscienza, il principio di autodeterminazione, il significato stesso della libertà, etc.), allora, non più tardi di domani, qualcuno potrebbe chiedervi di rinunciare alla vostra stessa identità (non intesa come generalità, ma aspetto intrinseco del proprio io) pur di potervi permettere la sussistenza. Se oggi lasciamo che qualcuno a Roma decida cosa io debba assumere per poter lavorare, e dunque mangiare e dar da mangiare ai miei figli, o se io possa entrare in un bar, prendere un aereo o salire su un treno, o se essere curato o no, domani quello stesso qualcuno potrebbe obbligarmi a fare una cosa contro la mia stessa natura di uomo. Questa è storia, non una supposizione. Ecco perché serve leggere e studiare. Non vi dovreste, dunque, scandalizzare se oggi qualcuno paragona queste scellerate politiche a quelle che fecero da premessa ai periodi più bui dell’umanità, in quanto la discriminazione tra persone comincia sempre da un elemento che all’apparenza potrebbe sembrare moralmente motivato e, dunque, accettabile. Qualcuno sostiene che nell’emergenza i diritti costituzionali andrebbero limitati. Ne siete proprio convinti? O è proprio nell’emergenza che andrebbero maggiormente salvaguardati? Che cos’è un’emergenza? Quando cesserà l’emergenza? Quando non avremo più neppure un morto? Quando tutti gli italiani, dai feti ai malati terminali, tutti saremo vaccinati con quarta dose? O cesserà quando arriverà un’altra emergenza?
Si è creata una frattura sociale insanabile tra chi è vaccinato e chi no, come se avessimo davanti l’Armaghedon in cui le forze del bene si scatenano contro quelle del male. E con questa distrazione di massa, chiamata emergenza, abbiamo definitivamente fatto a brandelli la scuola, ridotto i salari ai minimi termini, stabilito l’istituto dell’a-socialità attraverso lo smart working e, nel frattempo abbiamo altri milioni di poveri, di disoccupati, un debito pubblico che, ancora una volta, ha stabilito un nuovo record, e l’aumento delle materie prime spacciato come crescita. E noi siamo tutti intenti a insultarci gli uni gli altri se per sedersi al bar bisogna esibire un codice il quale, se scade mentre tu stai ancora usufruendo di un servizio per il quale hai lavorato e pagato, rischi che ti scaraventino giù dal treno in corsa, come è successo per quell’insegnante cacciata via dalla cattedra perché il suo Green Pass scadeva durante l’ora di lezione.
Io mi rivolgo a tutti, vaccinati e non vaccinati, poiché anche chi si è fatto inoculare il siero dovrebbe pretendere di non esibire alcun lasciapassare per poter vivere in quanto, fino a che ci vogliamo chiamare “uomini”, la persona vale più di un Green Pass, così come il corpo vale più del vestito. Per lavorare e per mangiare non devo dimostrare di avere il diritto di farlo, poiché il primo articolo della nostra Costituzione è ancora lo stesso: siamo una Repubblica democratica fondata sul lavoro (o dovremmo esserlo) e la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, non secondo le opinioni di Draghi, Letta, Conte o Salvini. Domani, infatti, anziché Draghi, potrebbe esserci qualcuno che vi porge il bicchiere di cicuta, la stessa che dovette bere Socrate poiché alcuni greci dotti ritenevano le sue teorie pericolose per i giovani.
Tutti siamo ricattabili sia perché abbiamo bisogno di sfamarci, sia perché abbiamo bisogno degli atri in quanto esseri sociali. Ma perdere l’io, vale a dire il nucleo più sacro dell’uomo, per sottrarsi ad un ricatto, equivale alla morte. Infatti, come pare che disse Socrate nell’ultimo istante della sua vita, è venuta l’ora di andare, io a morire (senza Grenn Pass, ndr.) e voi (col Grenn Pass, ndr.), invece, a vivere. Ma chi di noi vada verso ciò che è meglio, è oscuro a tutti, tranne che al dio. Tradotto in quest’epoca, vivere col Grenn Pass potrebbe dire rinunciare a vivere. Né un vaccino, né un Green Pass possono essere sinonimo di libertà. Chi lo sostiene vi sta prendendo per il culo, con il vostro stesso permesso di farlo.
Fabrizio Vincenti
apr062022
Siamo lieti di apprendere che in data 30/03/2022, allo scadere dell’ennesima proroga, il Comune di Galatina si è attivato con un progetto dell’Architetto Miglietta per la “valorizzazione, riqualificazione ed efficientamento energetico dell’immobile sito nella frazione di Noha” in via Bellini.
Tale bando era pubblico già da Novembre e la prima scadenza era prevista per i primi di Gennaio.
Partecipare al bando destinato agli immobili confiscati alla mafia, è certamente una scelta sensata.
Ragione per la quale consideriamo mortificante (anche per la stessa associazione Lévera assegnataria dell’immobile) che nella piccata risposta dei consiglieri Tundo e De Matteis (ormai siamo abituati all’insofferenza con cui questa Amministrazione si rivolge - quando raramente risponde - ad interlocutori propositivi, siano essi esponenti politici, semplici cittadini e associazioni), si aggiunge che si è stati “costretti” a fare questa scelta (cit. da comunicato stampa).
Una ulteriore proroga è stata concessa fino al 22 Aprile e ci scusiamo se la nostra sollecitazione, che voleva essere assolutamente propositiva e non doveva invece finire in polemica strumentale da campagna elettorale, è arrivata a mezzo stampa in data 4 Aprile 2022, data in cui è stato pubblicato su Albo Pretorio del Comune il testo della Delibera di Giunta.
Apprendiamo con favore che, QUESTA VOLTA, seppur in ritardo e senza coinvolgimento alcuno della comunità di Noha in primis (anche a questo noi siamo abituati, e i nohani?), l’Assessorato ai Lavori Pubblici abbia proceduto con “costrizione” a scegliere nuovamente l’immobile di Via Bellini, oggi affidato a Lévera.
Pertanto la nostra idea, se non vi arrabbiate perché ne abbiamo tante, era quella di coinvolgere PREVENTIVAMENTE tutta la comunità, per costruire insieme un progetto, finanziato con i fondi del PNRR, che potesse interessare magari L’ALTRO immobile confiscato alla mafia e oggetto del nostro comunicato stampa, sito in Contrada Roncella a Noha (oggi in condizioni di totale degrado ed abbandono), non preso in considerazione, evidentemente, dai consiglieri Tundo e De Matteis.
La partecipazione alla vita pubblica ed il coinvolgimento di TUTTE le associazioni del territorio galatinese, sono sempre stati al centro della nostra visione della politica e dell’agire amministrativo, e lo saranno quando amministreremmo questa città!
Non occorre specificare che, come MoVimento 5 Stelle e come cittadini, mai avremmo effettuato lezioni di legalità. Lo Stato c’è sempre nelle Istituzioni, tutte, ed i consiglieri Vito Albano Tundo e Pierantonio De Matteis, dovrebbero saperlo.
Se poi fare vittimismo e buttarla in caciara è necessario per raccogliere consensi in campagna elettorale, è tutto un altro discorso, che alla Città (e a noi) non interessa."
M5S Galatina
lug172017
1. Buttiamo
2. Bruciamo (puliamo)
3. Disinfestiamo.
Qualcosa non va. Il caldo? La siccità? Si, certo. Contribuiscono, ma abbiamo le prove che gli attori di questo scempio sono umani, e non solo di questo pianeta ma, probabilmente, pure nostri concittadini. Non sono affari miei? Infatti, sono affari di tutti, almeno di chi vuole impegnarsi e avere l’umiltà di sforzarsi a R A G I O N A R E per capire che forse la civiltà è un’altra cosa.
Ultimamente quando spazziamo la terrazza di casa (e pure dentro casa, dicono i miei amici Maria Rosaria e Fernando Sindaco) ci ritroviamo a raccogliere mucchi di paglia carbonizzata. Certo che il vento fa un bel lavoro in quanto a energia, deve tirare su da terra e anche trasportarle da lontano, un sacco di cose. E chissà quante di queste “pagliuzze” o fibre, come vengono chiamate in gergo tecnico, si infilano nei nostri polmoni.
Ma tanto non si vedono e quindi, qualcuno potrebbe pensare, che ce ne frega a noi? Vero? L’importante è buttare via gli oggetti che non ci servono più e poi dargli fuoco, cosi teniamo lontani pure gli animaletti, tipo lucertole, topi e serpenti.
Praticamente paghi uno e prendi tre.
A pensarci bene però non sono così lontani i posti da cui arrivano queste fibre nere. Fibre, certo. Non si tratta solo di paglia o erba carbonizzata.
Se le ho analizzate? Non ce n’è bisogno. Basta andare a vedere gli incombusti che sono rimasti in terra dopo gli incendi. Centinaia di oggetti di consumo quotidiano: vasi di fiori, bottiglie in vetro e in plastica, scarpe, attrezzi da lavoro, sanitari, copertoni, tubazioni varie, lattine, secchi di calce, attrezzi per dare il bianco, lastre di eternit (..nit e non …net, praticamente cancro sicuro) ecc. ecc.
Non sono certo i marziani a buttare questi oggetti, tantomeno possono essere stati cittadini provenienti dai paesi vicini.
Quindi ho voluto fare un giro intorno a Noha, anzi dentro Noha e praticamente da sud a nord girando verso ovest, Noha è circondata da campi incolti e abbandonati. Peccato che però vengano presi in “cura” da un sacco di gente che non oso definire con nessun appellativo. E il guaio è che sono proprio in tanti. Insomma, cari amici miei, siamo circondati.
Mi rivolgo alle tante persone di Noha che sono stanche di questo malcostume rigonfio di ignoranza, non uso termini volgari ma il concetto è proprio quello che stai pensando.
Anche quest’anno, noi di FareAmbiente laboratorio di Galatina, abbiamo ripulito (per cercare di dare l’esempio) un tratto di campi soggetti al trattamento annuale di “pulizia” piroglionesca. Abbiamo pulito, ma non è servito a niente. Due secondi dopo la popolazione di perbenisti nohani che fa le cose di nascosto, ha già buttato le sue spregevoli merdacce debitamente chiuse nelle borse di plastica.
Volevo solo avvisare i perbenisti nohani che non si vogliono bene e quindi non amano la vita, ma amano sporcare fuori dalla loro casa le nostre vie e le nostre campagne, che i copertoni di camion e altre frattaglie sempre debitamente in plastica, depositati in via Galileo Galilei, dove qualche sera fa divampava l’ultimo incendio, non sono ancora del tutto carbonizzati, così possono elargirci gradualmente ancora un po’ di puzza e di fibre volatili. Quindi non affrettatevi a portare nuova immondizia. Fate pure con calma.
Marcello D'Acquarica
set282020
San Michele Arcangelo, patrono di Noha, è un guerriero, diremmo un partigiano di giustizia, salute, libertà ed equilibrio. Si parla di questo principe delle schiere celesti e più volte nell’Antico Testamento, in Daniele per la precisione e soprattutto, ma anche in altri libri benché non in maniera esplicita; ma il passo più affascinante è quello riportato nel Nuovo Testamento, nel capitolo 12 dell’Apocalisse, quello nel quale al verso 7 si legge: “Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago […]”.
Su Michele, Mi-ka-el, cioè Chi-come-Dio, s’è scritto tanto. Non poteva mancare nemmeno il Poeta che, nel canto VII dell’Inferno al verso 11-12, lo cita come colui che “fe’ la vendetta del superbo strupo”.
Nella Legenda Aurea, Iacopo da Varazze racconta del miracolo che salvò Roma dall’epidemia di peste nel 590 arrivata dall’Egitto, e che tra le vittime annoverava anche papa Pelagio II. Paga Gregorio (Magno), succeduto a Pelagio, fu il testimone della visione degli angeli e del prodigio della salvezza dell’Urbe. In memoria dell’accaduto, il Mausoleo di Adriano cambiò il nome in Castel Sant’Angelo. Sul fastigio di questa rocca nota in tutto il mondo, là dove era apparso l’Arcangelo, campeggia dal 1753 la grande statua (oltre 5 metri di altezza) che lo effigia, opera dello scultore Peter Anton von Verschaffelt. Questa scultura, che ne ha sostituite diverse di altro materiale e dimensioni, alcune distrutte dal tempo, altre conservate nei musei, simboleggia San Michele nell’atto di rinfoderare la spada, segno della fine della pandemia.
Il fatto dell’iconografia, in questo caso la rappresentazione di uno spirito con le fattezze umane, ci viene spiegato da Beatrice nel canto IV del Paradiso, la quale nel rispondere a uno dei mille dubbi di Dante disseminati per tutta la Commedia così si esprime nei versi 43-48:
Per questo la Scrittura condescende
a vostra facultate, e piedi e mano
attribuisce a Dio, e altro intende;
e Santa Chiesa con aspetto umano
Gabriel e Michel vi rappresenta,
e l’altro che Tobia rifece sano.
Cioè, dice l’Alighieri per bocca di Beatrice, siccome la vostra capacità di apprendimento passa attraverso i sensi, per poi magari diventare conoscenza intellettiva, la Scrittura si adegua alle vostre facoltà e attribuisce tratti fisici a Dio, intendendo altro; e dunque la Chiesa raffigura con aspetto umano gli arcangeli Gabriele, Michele e Raffaele (che guarì Tobia).
I “tratti fisici” del San Michele di Noha sono molteplici. Un primo, forse il più antico, è una statua in pietra leccese che si conserva fuoriporta, nel museo Cavoti di Galatina. Una seconda scultura è quella che si staglia al centro dell’altare barocco, a sinistra del transetto della chiesa madre di Noha, guardando l’altare maggiore. C’è poi la bella statua in cartapesta del guerriero nohano, con tanto di pennacchio in piume di struzzo, posta nella sua nicchia personale per la maggior parte dell’anno, e intronato sul suo baldacchino in occasione della solennità dell’8 maggio e durante la novena di settembre, anticamera della festa patronale: è questo il simulacro portato in spalla durante le processioni. Per la cronaca, nel corso del 1976 questa immagine prese fuoco a causa di una candela piegata dal calore: per fortuna andò in fumo soltanto la base in legno della statua, il drago, piedi e gambe fino ai ginocchi dell’Arcangelo, e fu possibile recuperare tutto il resto grazie a un accurato restauro.
Abbiamo inoltre, in via Calvario, il bell’affresco di Michele D’Acquarica (1886-1971), e, infine, in un reliquiario argenteo, un pezzo di roccia estratto dalla grotta del santuario di Monte Sant’Angelo sul Gargano. Si dice che, a partire dalla quarta apparizione dell’Arcangelo avvenuta nel 1656, “Chiunque avesse devotamente tenuto con sé quelle pietre sarebbe stato immune dalla peste”. Speriamo.
*
Proprio in questi giorni si festeggia solennemente il protettore di Noha. Ma in mancanza delle luminarie, della cassa armonica, e delle altre installazioni come tradizione vuole (ma come pare epidemia non voglia), la facciata della chiesa matrice di Noha è stata interessata da effetti speciali, meglio definiti come “sculture di luce”. La cosa - che può piacere o non piacere (sui gusti non si discute, punto) - ha però evidenziato ancora una volta quanto le due cavità poste ai lati della facciata monumentale della chiesa nohana manchino dei loro ospiti diciamo naturali. E questi ospiti, a nostro avviso, non potrebbero che essere San Michele Arcangelo e la Madonna delle Grazie, compatrona di Noha. In alto poi, sul piedistallo architettonico che emerge al centro appena poco sopra il rosone, si potrebbe issare il padrone del duomo nohano, cioè il Cristo. Il tutto ovviamente in pietra leccese, con fattura di altissima qualità, per il genio e le mani magari di artisti (più che artigiani) salentini, in grado di produrre opere, si spera, di rara bellezza.
È un’idea, questa, che lanciamo così, e che ci auguriamo sia presa in considerazione, discussa (magari in un gruppo di lavoro), studiata e progettata. Una volta disegnata, per quanto ovvio, bisognerebbe pensare a come finanziarla.
Le cose belle si fanno con qualche sacrificio, e sono ancora più belle se frutto di un dono che per definizione non vuole nulla in cambio. D’altronde sullo scudo di San Michele sta scritto: Quis ut Deus, e non Do ut Des.
Allora, buon onomastico a tutti i Michelini e le Micheline. E buona festa (sobria) ai nohani e ai loro ospiti di ogni dove, sempre benvenuti a Noha.
La Redazione di Noha.it
dic312020
Resistenti, critici, veri, partigiani, eterodossi, politicamente scorretti, utopici, ribelli, essenziali, egregi, liberi, dissenzienti, antiadattivi, demistificanti, disobbedienti, diversi, satirici, coscienti, vigili, autonomi, ragionati, combattivi, coerenti, indocili, comunitari, memori, identitari, storicamente radicati, rispettosi del Genius loci e di quel che resta di arte, storia, leggende, natura e umanità nostre. Cari nohani e amici dei nohani, vi auguriamo di pescare a piene mani fra questi doni sotto forma di aggettivi impegnativi: sono a vostra disposizione, diciamo a partire dell'alba del 2021.
Noha.it
mag252023
Lunedì, come Associazione NoiAmbiente e Beni Culturali, abbiamo avuto il piacere di incontrare tre classi dell’Istituto Comprensivo Polo 2 Scuola Primaria di Noha, esattamente due quarte ed una quinta, in tutto poco meno di una cinquantina di alunni che ci hanno davvero sorpreso per la loro disciplina e per la vivace partecipazione ai temi in questione.
Incontrandoli in due gruppi separati, per ragioni organizzative, abbiamo constatato un livello di preparazione omogeno e certamente di alta qualità.
L’esercitazione si è svolta in questo modo: con l’ausilio di figure in cartone già ritagliate per l’occasione i bambini hanno avuto modo di “compilare” due planisferi partendo dalla condizione del pianeta terra priva di tutto, e inserendo successivamente i continenti e i relativi esseri viventi, animali e vegetali di pertinenza, e naturalmente una vasta rappresentanza di rifiuti con annessi alberi secchi, pesci aggrovigliati nelle plastiche e ciminiere fumanti.
Siamo rimasti sorpresi dalla loro rapidità nel sapere individuare le parti predisposte per formare le due condizioni rappresentative della terra: una con la vita illustrata con giochi per bimbi, alberi, animali e habitat in piena salute, ed una seconda terra ingolfata da rifiuti, incendi, veleni e alberi eradicati.
Il dialogo che è seguito, accompagnato da due simpaticissimi filmati, è stato molto interessante, per il loro ascolto ma soprattutto per la loro espressa convinzione di essere pronti a far cambiare direzione al destino del nostro pianeta, partendo esattamente da Noha. Magari fosse così: purtroppo molte catastrofi partono dall’alto e non dal basso, nascono dalla voglia di profitto e dall’assenza di regole (ovvero da norme fatte a uso e consumo dei potentati economici), dal considerare i beni comuni come cosa privata.
Ci siamo salutati con l’impegno da parte di ognuno di continuare a studiare sempre più approfonditamente, non fosse altro che per legittima difesa, di provare a individuare le cause dei disastri e quindi la loro cura effettiva senza dar retta ai soliti palliativi, di evitare come la peste bubbonica privati e aziende dedite al greenwashing, che fingono cioè di essere a favore della salute ambientale, e sicuramente a consolidare sempre di più il senso civico di ognuno, quello della cura e del rispetto del proprio piccolo mondo, come può essere Noha.
Siamo grati alle maestre che ci hanno offerto questa opportunità, ma soprattutto agli uomini e alle donne del futuro che ci hanno dato ascolto con curiosità, gioia e fiducia.
Nel corso dei due incontri, tutti gli alunni, maestre comprese, hanno mostrato molto interesse verso le immagini dei beni culturali di Noha: siamo certi che saranno in mani migliori rispetto alle – diciamo - attuali.
Sarà per noi un grande piacere accompagnare i piccoli Indiana Jones nohani in un auspicabile tour conoscitivo.
Grazie molte, Quarta “A”, Quarta “B” e Quinta “A” del Polo 2 Scuola Primaria di Noha!
Il Direttivo di NoiAmbiente e Beni Culturali di Noha e Galatina
dic012020
P. Francesco D’Acquarica s’è consumato gli occhi per decifrare le grafie cangianti e a tratti indecifrabili dei verbali della storica confraternita della Madonna delle Grazie di Noha. E in questa sesta parte, e nelle prossime, ce ne fa dono “ad maiorem Dei et Nohae gloriam”.
Noha.it
Oggi a Noha non esiste più alcuna Confraternita. Di quella della Madonna delle Grazie rimane però un segno storico di grande importanza: è il cappellone nel camposanto che, dirimpetto alla chiesa cimiteriale, ospita confratelli e consorelle defunti.
Le Confraternite sono state il punto di riferimento materiale e spirituale per molti nohani. Se nel 1850 nella nostra cittadina erano attive ben tre Confraternite significa che più o meno tutto il paese ne era coinvolto.
E’ vero che i tempi sono cambiati, ma forse anche lo spirito cristiano è venuto meno. Le speranze sono tante, e io credo che i problemi si siano addirittura aggravati per via dei modelli di vita lontani dall’etica cristiana.
Purtroppo oggi sembrano farla da padrone il potere oppressivo, il capitalismo disumano, lo sfruttamento dei lavoratori, gli egoismi personali e collettivi con spinte irrazionali all’autoaffermazione costi quel che costi, e quindi arrivismi, spesso prevaricazioni, talvolta sopraffazioni e comportamenti malavitosi. Sembra che l’unico intento sia quello di conseguire profitti sempre e comunque, successi materialistici ed effimeri, soddisfazioni edonistiche, anche a costo di venire a patti con la coscienza e la dignità della persona.
L’ultimo articolo dello Statuto proclama:
Art.50 - Speriamo che queste regole siano sufficienti, con l'aiuto divino, non solo a stabilire questa confraternita, ma a farla progredire ed aumentare sempre più per la maggior gloria di Dio e della B. V. delle Grazie, e pel vantaggio spirituale e temporale di tutti gli ascritti. Così sia.
Lasciamo perdere la prima parte di questo articolo dove si augura che “queste regole siano sufficienti non solo a stabilire questa confraternita ma a farla progredire sempre più”. Però nelle associazioni e nei gruppi parrocchiali di oggi un po’ più di spirito cristiano non guasterebbe.
Nel registro dei verbali negli anni 1924/1925 troviamo 49 Confratelli iscritti, e anche 35 Consorelle. Le iscrizioni proseguirono fino al 1956 raggiungendo gli oltre cento associati tra confratelli e consorelle.
La votazione delle cariche all’interno della Confraternita a scrutinio segreto avveniva (come già detto sopra) attraverso il sistema della fava e del pisello. La fava indicava parere positivo, il pisello parere negativo.
Leggendo i verbali si ha l’impressione che la preoccupazione principale era quella di avere un fondo cassa, che si alimentava grazie alle quote di iscrizione dei soci e anche dalle multe inflitte agli assenti ingiustificati: il tutto per pagare le spese ordinarie, le spese per il funerale e del posto tomba di ogni confratello e consorella.
Esistono due registri delle entrate ed uscite:
Uno per le entrate ed uscite ordinarie che va dal 1938 fino al 1956.
L’altro per le entrate e le uscite per la costruzione nel cimitero del cappellone per le sepolture dei Confratelli e Consorelle che va dal 1947 al 1956.
Dalla lettura dei registri della contabilità si può notare che la spesa ordinaria principale era quella del contributo mensile al Padre Spirituale per la celebrazione delle Messe di suffragio per Confratelli e Consorelle defunti, e lo “stipendio” al sagrestano.
Le entrate maggiori provenivano dall’affitto delle sedie disponibili per chi veniva in chiesa (non esistevano ancora i banchi per tutti), e gli introiti per il contributo di ogni Confratello o Consorella iscritto, oltre alle offerte di qualche benefattore che di solito era il Sig. Pietro Congedo, detto “l’Ursula” (padre della buonanima di don Severino Congedo).
NB. “Don” Pietro Congedo soprannominato “l’Ursula” era nato a Galatina il 01/01/1893 ma residente a Noha dove morì il 09/05/1970. Persona benestante, dall’animo buono e generoso, aveva fatto scrivere a mano, a suo spese, la copia dell’Inno a San Michele per ogni strumento musicale della banda musicale di Noha. Questi spartiti erano conservati da un certo “Pipìu” che era il factotum dell’Ursula.
In un verbale del 1936 per esempio si annota l’invito ai confratelli a mandare una lettera di ringraziamento al benefattore Congedo Pietro per aver donato un apparato completo di candelieri di bronzo dorato, tutti si associano ed accettano ancora di nominare confratello onorario il sig. Pietro Congedo.
Nel secondo registro sono annotate con molta meticolosità le uscite inerenti la costruzione della cappella cimiteriale, tipo i pagamenti all’impresa costruttrice, con i dettagli dello scavo (ricordo che il cappellone ha anche una cripta), il progetto e la direzione dei lavori da parte dell’ingegnere, le opere in muratura e l’acquisto del materiale edile, come mattoni, calce e cemento.
Nella voce delle entrate sono registrati i prestiti che alcuni soci liberamente anticipavano alla Confraternita: questi prestiti venivano poi restituiti, con l’interesse del 4% annuo, non appena il fondo cassa presentava la capienza sufficiente.
Della formazione spirituale dei confratelli bisogna dire che, dato il livello di scolarizzazione del tempo, non è che si tenessero convegni di teologia dogmatica o di ecclesiologia, tanto è vero che nei registri si parla di un “pensierino religioso” da parte del Padre Spirituale: ma a volte il senso più profondo di una fede è l’amore verso Dio e verso il prossimo (e questo è forse il concetto spirituale più semplice ma al contempo il più complesso da insegnare e soprattutto praticare).
La Cappella delle tombe della Confraternita fu costruita in tre momenti diversi. La prima fase va da fine 1947 a tutto il 1953, per scavo e costruzione seminterrato e primo piano: l’impresa designata era quella di “Mesciu” Vito D’Acquarica. La seconda fase parte nel 1954 e termina nel 1957 ed è relativa al sopraelevamento del primo piano. Il terzo momento inizia il 1957, con ancora il sopraelevamento del primo piano, ma con un’altra Ditta: quella di D’Acquarica “Antonio”, figlio di Vito. In realtà il figlio di Vito si chiamava Donato (ecco perché ho usato le virgolette), ma in dialetto era chiamato anche Uccio, abbreviazione di Donatuccio, diminutivo di Donato. Da qui l’equivoco di scrivere nei verbali Antonio per Donato.
Il primo ad essere sepolto in questa cappella fu Giuseppe Cisotta morto il 25 giugno 1949.
Nelle prossime puntate pubblicheremo i verbali conservati in un registro tutto scritto a mano. Credo siano di grande interesse storico per il curioso, lo studioso, il ricercatore, e chiunque abbia la carica di cittadino di Noha.
[continua]
P. Francesco D’Acquarica
mar132016
Quanto lavoro per realizzare le attrezzature, gli elmi con le criniere, gli scudi e le loriche per i legionari romani, i calzari (rigorosamente in cuoio e spago) per tutti gli attori, dal primo fino all’ultimo comparse comprese. E poi ancora i mantelli per i soldati, la tunica color porpora di Gesù Cristo “priva di cuciture”, quella che i soldati si disputarono tirandola a sorte, e poi il vestito di Ponzio Pilato, la cappa magna del sommo sacerdote Caifa, il vestiario del Cireneo, della Madonna e dell’apostolo Giovanni, della Veronica e delle altre pie donne, il tutto foggiato dalle sarte locali; e addirittura una biga ex-novo “a due attacchi” per altrettanti cavalli costruita ad hoc per la via Crucis vivente di Noha; per non parlare della croce in legno altissima (e pesantissima) caricata in spalla al Protagonista Principale della sacra rappresentazione.
Attrezzature, costumi di scena, impianti scenografici erano tutti rigorosamente manufatti (un tempo non c’erano negozi fisici e tantomeno cataloghi on-line di costumi teatrali adatti alla bisogna: e se anche fosse, a Noha da sempre si preferisce l’arte all’industria).
Così, dopo mesi di lavoro, allestimenti, studi della sceneggiatura, prove tecniche e di recitazione, le piazze e le strade di Noha si trasformavano in un palcoscenico per il più grande spettacolo corale interpretato da attori dilettanti, giovani e meno giovani, in una serie di scene dialogate tratte fedelmente dai brani del Vangelo, quelli che narrano le ultime ore del Cristo. Per inciso diciamo che gli attori di questo teatro popolare a cielo aperto erano così “dilettanti” che nelle varie tappe della via dolorosa non era infrequente che qualcuno di questi - immedesimato talmente nella sua parte - scoppiasse in lacrime per davvero (così come, del resto, il copione prevedeva).
La rappresentazione si svolgeva in maniera itinerante per tutta la cittadina, mentre il pubblico presente fungeva da sfondo, da cornice alle scene che si susseguivano: dall’ingresso di Gesù in Gerusalemme all’ultima cena, dall’orto degli ulivi all’arresto, dal processo alla condanna a morte, dalla flagellazione al percorso fino al Golgota, con le famose tre cadute e gli incontri con i vari personaggi.
L’acme del dramma si raggiungeva con la crocifissione e la successiva deposizione. Che strazio sentire quei colpi di martello amplificati dall’altoparlante, e che commozione vedere le tre croci, ciascuna con il suo fardello umano, innalzarsi lentamente da terra grazie ad un sistema di funi e carrucole per essere finalmente infisse al suolo. Lì, di fronte al Calvario di Noha, il silenzio era interrotto soltanto dal dolore straziante di Maria, e dalle ultime emozionanti frasi del Nazareno: “Donna, ecco tuo figlio… Figlio, ecco tua madre”, e poi dall’urlo angoscioso dell’Unigenito: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”, e ancora il tragico: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”, e infine il mesto: “Tutto è compiuto”.
Non era infrequente vedere molti spettatori del pubblico asciugarsi le lacrime per la commozione. Chi scrive, da piccolo imberbe osservatore nohano - ora nelle vesti di chierichetto, ora in quelle di narratore (nell’ultima edizione) – registrava tutto nella sua mente per poterlo raccontare un giorno. Un giorno come questo.
*****
Finalmente (se ne parlava da tempo), dopo oltre un quarto di secolo di assenza, la Passione vivente ritorna a Noha grazie all’associazione dei ragazzi del Presepe “Masseria Colabaldi” in collaborazione con la Parrocchia di “San Michele Arcangelo”. La straordinarietà di questa edizione, oltre a tutto il resto, è legata anche al fatto che si ha la fortuna di usufruire dell’incredibile naturale scenografia degli spazi del “Parco del Castello” (i “fori imperiali nohani”) che ospiteranno le prime scene della Via Crucis vivente 2016: dalla Gerusalemme dell’ultima cena al Getsemani, dal palazzo di Pilato alla colonna dell’“Ecce Homo”, e via di seguito. Il resto si snoderà tra le strade e le piazze di Noha, fino alla Resurrezione. Sarà un percorso di arte, riflessione e di grande spiritualità.
Peccato, non parteciparvi.
Il leitmotiv scelto dal parroco don Francesco Coluccia per questa rievocazione sono i piedi del viandante. Tema molto bello e stimolante, che avremo modo di meditare Domenica delle Palme, 20 marzo 2016, in notturna, a partire da piazza San Michele, con inizio alle ore 19.00.
In caso di pioggia la manifestazione verrà rinviata al martedì successivo, 22 marzo 2016, stesso orario.
Riproponiamo qui di seguito, a mo’ di conclusione di queste note e di anteprima laica alla manifestazione religiosa di domenica prossima (no, non è un ossimoro), l’elogio dei piedi di Erri De Luca, lo scrittore non credente affascinato dalla Bibbia.
Elogio dei piedi (di Erri De Luca)
Perché reggono l’intero peso.
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.
Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.
Perché portano via.
Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.
Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.
Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.
Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.
Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.
Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.
Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.
Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.
Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.
Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.
Perché non sanno accusare e non impugnano armi.
Perché sono stati crocefissi.
Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.
Perché, come le capre, amano il sale.
Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.
Antonio Mellone
p.s. 1
Ringrazio lo studio fotografico Pignatelli, per la riproduzione di alcune fotografie a corredo di questo pezzo. Grazie anche a Michele Vito Martella, per le altre foto che m’ha fatto pervenire tramite Whatsapp e per avermi raccontato alcuni particolari di un paio di Passioni viventi (in una delle quali egli vestì i panni del Protagonista Principale).
p.s. 2
Chiedo ai partecipanti alle Passioni viventi di allora (qualcuna superò i 110 figuranti) di raccontarci la loro esperienza, i nomi dei personaggi e dei loro interpreti, gli organizzatori, e, se possibile, d’inviarci le eventuali foto a loro disposizione sulla storia e le immagini di quegli eventi memorabili. E’ un modo come un altro per conoscere meglio le radici culturali della nostra terra, e per arricchire l’archivio di questo sito, sempre aperto e a disposizione dello studioso e del ricercatore di oggi e di domani. Un tempo non c’erano macchinette fotografiche digitali e soprattutto gli smartphone odierni con cui immortalare le immagini di ogni secondo della nostra e dell’altrui vita: bisognava essere dotati piuttosto di buone sinapsi più che di megabyte sulle periferiche.
p.s.3
Eccovi (salvo errori ed omissioni, ovviamente) i nomi degli attori che, in ordine cronologico, hanno interpretato, a partire dal 1977 il Cristo nelle Passioni viventi nohane: Gianni Guido (1977 e 1978), Michele Vito Martella (1979), Bruno Scrimieri (1980), Marcello jr. Maccagnano (primi anni ’80), Fernando Notaro (metà degli anni ’80).
*
Chiedo venia per gli eventuali refusi. Del resto non si può descrivere appieno una passione: la si può solo vivere.
Mel
nov052022
Come vuole la tradizione, a Noha, la cerimonia della commemorazione dei caduti in guerra (con l’auspicio che nel frattempo la politica non si stia attrezzando per combattere il terzo e definitivo conflitto mondiale) avrà luogo domenica 6 novembre 2022.
Inizio alle ore 15 con la celebrazione della Messa in Chiesa Madre.
A seguire corteo alla volta di piazza Ciro Menotti, deposizione della corona d’alloro presso il monumento dei caduti nohani, inno nazionale, discorso commemorativo e suono del silenzio d’ordinanza.
feb082021
"Quando l'ultima scheggia di corteccia avrà finito di gridare al cielo il mio dolore a te non resterà altro da bruciare che la tua abominevole ignoranza.
Nemmeno più il fumo sortirà dal sacco di sterco progredito in cui ti sei rintanato”
Oggi ho voluto fare un giro al cimitero, e come mi capita spesso guardando i volti di tutti quelli che ho incontrato e che sono esposti sui loculi, ho scambiato con loro qualche pensiero, così, in intimità silenziosa. Era tanto che li cercavo, oggi ho chiesto aiuto alla custode, così finalmente li ho rivisti. E ci siamo raccontati la storia dell’uliveto che ebbero in cura in vita e che si trova al fondo della via Giotto, verso ovest.
In quel campo fino a qualche decennio fa, c'era un bellissimo uliveto, tanti alberi grandi con le chiome brillanti come fossero addobbate da milioni di monete d’argento. Al fondo del campo, nella direzione opposta alla stradina che da Noha conduceva alla masseria Roncella, vi era una vecchia casa, piccola, senza intonaco, fatta di una sola stanza con un camino. Da qui, infilando la testa per guardare il cielo, di notte si vedevano le stelle. Il campo con gli ulivi argentati e la casa con le stelle apparteneva ad una coppia di sposi di Noha che abitavano in via Osanna, la via palazziata più affascinante di Noha. Dove perfino il barone volle costruire il suo palazzo nobiliare allorquando in via Castello s’affacciavano due masserie e si produceva olio grazie ai due frantoi ipogei.
Pietrangelo Blandini, e Addolorata Paglialunga, classe 1888, erano semplicemente una coppia di sposi che avevano scelto come dimora la casa in via Osanna al civico 18 e 20. Non ebbero ruoli sociali di spicco, se non quello onorevole di essere cittadini di Noha e di averla vissuta come hanno fatto migliaia di nohani dalla notte dei tempi in cui Noha esiste. Chi ha vissuto come me il loro tempo, certamente li incontrerà ancora in giro affaccendati tra casa e lavoro. Lo zio Pietro si spostava da casa per andare in campagna con un carretto trainato da un'asina. Ci parlava con quell’animale, lui parlava e lei, l’asina, lo ascoltava e gli ubbidiva. La strada che dal paese giungeva fino al campo e proseguiva per la masseria, era in pietra calcarea ribattuta, come la maggior parte delle vie, e al ciglio del lato verso nord c’era un piccolo pozzo in cui confluiva l'acqua piovana. Forse per questo la zona si chiama “puzzieddrhu”. La ragione per cui lo zio Pietro era soprannominato “u focara” non si sa, ma possiamo solo immaginarlo. Ora a proposito di “focare”, ho dovuto riferire ai poveri zii, che del loro argenteo bosco di ulivi non è rimasto altro che un tizzone di tronco carbonizzato, andato in cenere e fumo grazie alla smania distruttiva trasmessa da questo strano progresso.
E noi, giovani conquistatori di sogni, ci siamo persi così a rincorrere un tempo che presto sarebbe scivolato in questa immane bolgia dove l'importante non è avere un pozzo da cui attingere acqua da bere, né un bosco di ulivi argentei, né una vecchia casa con il camino in cui infilare la testa a cercare stelle incantate e a osservare la luna. No, niente di tutto questo. Io davvero non so più cosa si ritenga importante oggi, e cosa rincorrano i nostri giovani, so che quel che c'era ora non c'è più. Pozzo compreso. E quel che c'è ha cancellato i sogni che davano gioia e perché no, anche speranza.
Marcello D'Acquarica
mag142009
Abbiamo il piacere e l’onore d’informare tutti i nostri lettori che grazie all’instancabile lavoro del nostro amico e collaboratore Marcello D’Acquarica, il patrimonio librario di Noha si è arricchito di un nuovo bellissimo volume. Si tratta de I beni culturali di Noha, (Panìco Editore, Galatina, 2009), in una stupenda ed elegante edizione tutta a colori che riporta in maniera analitica e dettagliata le schede di quei monumenti nohani dei quali tutti noi dovremmo diventare studiosi diligenti e custodi gelosi.
Questo libro - che all’inizio sembrava una pazzia - è un progetto, un’idea partita subito dopo la nascita del nostro periodico on-line, e portata avanti da Marcello come un viaggio, un’avventura incredibile nella quale spendere tempo, energie, scienza e passione. I beni culturali di Noha sono finalmente fissati per sempre in questo libro, che, ormai, come l’Arte ed i Monumenti, sopravviverà a noi altri.
In questo tomo la nostra cittadina è vista dall’autore come un giardino d’infanzia (quello che più perdi dallo sguardo e più ti cresce dentro), come un luogo del cuore i cui beni culturali sono da trattare come si fa con i bambini quanto a premura e tenerezza......
(tratto dell'OSSERVATORE NOHANO n°4 Anno III)
Si puo richiedere una copia direttamente da Noha.it inserendo un commento al seguente articolo, oppure presso lo studio d'Arte di Paola Rizzo
giu302017
Esattamente cinquantacinque anni fa come oggi, proprio nel giorno del suo onomastico, si spegneva a Noha il parroco mons. Paolo Tundo (1888 - 1962).
Non ho conosciuto personalmente don Paolo (del quale sono uno dei pronipoti: egli era infatti fratello della madre di mio papà, nonna Maria Scala), ma i documenti, le foto ingiallite e le testimonianze raccolte in famiglia e tra la gente di Noha mi han permesso di dare alcuni colpi di scalpello nell’abbozzo di un suo profilo biografico (raccolto poi in un libretto edito elegantemente da Panìco Editore di Galatina nel 2003).
Il ricordo di papa Paulu sembra non subire l’ingiuria del tempo o il rischio dell’oblio soprattutto nella memoria di quei nohani la cui età è ormai quella della canizie, laddove non della calvizie. Il compito di chi ama lo studio, del resto, è anche quello di render lieve la terra, cioè mantenere vivo il ricordo degli epigoni della Storia patria (che, come più volte detto, è Storia tout court non di seconda scelta), anche nella mente delle nuove generazioni. E lo fa con la ricerca e la pubblicazione delle testimonianze documentali che, si sa, sono come le ciliegie: una tira l’altra.
Qualche giorno fa, continuando a rovistare tra le carte dell’archivio di un altro archimandrita di Noha, il compianto don Donato Mellone (Noha, 1925 – 2015), successore di don Paolo [e fratello di mio padre Giovanni, ndr.] mi sono imbattuto in una scoperta straordinaria: il discorso d’ingresso alla parrocchia di Noha pronunciato coram populo dallo zio monsignore il 22 giugno 1934, vergato con la stilografica su di un foglio incartapecorito da decine di lustri.
La grafia è chiara e precisa, e in fondo facilmente leggibile da chiunque vi si assuefaccia dopo poche righe di lettura. Ve lo ripropongo di seguito trascritto verbatim, non senza prima avervi fatto notare il livello culturale dell’antico patriarca di Noha, che denota lungo commercio con le lettere [cosa rara in quell’epoca, e, ahinoi, pure nell’attuale, ndr.], il suo stile aulico che fa pendant con la prosa del tempo, nonché la maniera dannunziana di alcune espressioni arcipretali.
***
<<Entro oggi nella nostra parrocchia così illustre per fede viva, per carità generosa, per ferma professione di principi cristiani.
Ultimo anello della autorità gerarchica della Chiesa, depositario di altissimi poteri spirituali, rivestito di un mandato sacro, so bene di non risiedere all’ombra della Chiesa unicamente per mia comodità e per mio vantaggio, ma per essere a contatto diretto con i fedeli affidati alle mie cure e per effondere su tutti i tesori di padre.
Nessuno di voi ha bisogno di rivolgermi la domanda che un giorno venne rivolta al Divino Maestro assiso sotto il colonnato del Tempio: “Tu, quis es?”
Cresciuto in mezzo a voi, elevato a questo posto per pura bontà del Signore, mi presento a voi con un desiderio intenso di darmi tutto al mio popolo, per vivere con lui e per lui.
Vengo a voi per rappresentare un principio che è eterno, il principio soprannaturale; per ricordarvi con la presenza mia che noi siamo parte di una società indefettibile, la Chiesa; per formare l’anello gerarchico che ci unisce al Vescovo, al Papa, e per essi a Cristo.
Vengo a voi per agitare la fiaccola della verità cattolica, per promuovere la legge santa di Dio, per dare quelle direttive che intendono farci dei ferventi cristiani che sentono l’onore di prostrarsi dinanzi al loro Dio, e dei bravi cittadini che sentono il dovere di sacrificarsi per la Patria.
Vengo a voi per benedire, per sacrificare, per consacrare, anche per mantenere viva in voi la vita divina che Cristo comunica ai suoi redenti, e da cui soltanto possiamo trarre la speranza di partecipare un giorno alla gloria degli eletti; vengo a voi per battezzare i nostri pargoli, per santificare i nostri sposi, per consolare i nostri infermi, per pregare per i nostri morti.
Ma per quanto io porti tutta la mia buona volontà, tutte le mie forze, tutto me stesso al vostro servizio, ho la coscienza di nulla potere senza l’aiuto della Grazia di Dio, della protezione della Vergine S.S., della benevolenza dei nostri Santi protettori e del vostro concorso.
E’ la bella prerogativa delle nostre parrocchie quella che avvera il detto del Salvatore per cui il pastore e le pecorelle si conoscono a vicenda: “Cognosco oves meas et cognoscunt me meae”.
Nella reciproca conoscenza troveremo sempre, io lo spero, il modo di aiutarci gli uni e gli altri, per sostenere, per rianimare all’occorrenza le forze vive della Parrocchia, per lavorare con un sol cuore ed un’anima sola a quella che, attraverso le forme contingenti del tempo, resta l’opera dell’Eternità.
Noha, 22 giugno 1934 Arc. Paolo Tundo>>
Un’ultima cosa, per quanto ovvia, mi preme ricordare: la Storia si studia, non si giudica.
Antonio Mellone
ott122012
Mentre qualche rappresentante politico nostrano, incontrandoci per caso alla festa patronale di San Michele (di ritorno dalla titanica fatica di fungere – qui la u potrebbe essere sostituita dalla i - da orante e compunto codazzo della sacra statua portata in processione), ci riferisce verbalmente (tanto verba volant) che “mai e poi mai” lascerà qualcosa di scritto in merito allo scandalo del deserto che avanza inesorabile intorno alla vecchia scuola elementare di Noha, qualcun un altro dal “fronte opposto” – virgolette obbligatorie – sta dimostrando ancora una volta una prontezza di riflessi degna di una mummia, tanto che, se proprio volessimo rintracciarne il fantasma o ascoltarne finanche un pensierino da seconda elementare, probabilmente potremmo esser costretti ad organizzare una seduta spiritica.
Quell’unico lettore, che per caso si fosse connesso al nostro sito (compiendo un gesto altamente rivoluzionario, come quello di sottrarre del tempo a facebook), dovrebbe sapere che abbiamo ormai perso la voce per urlare nella solita desolata landa nohan-galatinese il fatto che è un vero peccato che la vecchia scuola elementare di Noha non possa essere rimessa in funzione, magari come centro socio-educativo, dopo tutti “i lavori effettuati a regola d’arte”, perchè manca l’allaccio all’energia elettrica. Pare che, pur potendo, l’azienda energetica non voglia effettuare questo benedetto innesto alla rete, in quanto sarebbe necessaria prima la costruzione in mattoni e cemento di una cabina elettrica.
Noi, a questo punto, crediamo che i nostri rappresentanti politici ed i burocrati comunali di complemento - pur rischiando un ictus da sforzo - dovrebbero spendersi un po’ di più di quanto non abbiano saputo fare fino ad oggi per fare in modo che quella spesa di unmilionetrecentomilaeuro non fosse presa e buttata direttamente nella spazzatura (ma ogni giorno che passa - senza che alcuno osi alzare paglia – in effetti quei soldi rischiano di essere stati spesi invano). E sarebbe pure ora che lo facessero senza il bisogno di questi petulanti articoli (ché poi magari qualcuno con la coda di paglia s’offende pure), o della solita raccolta di firme, delle strigliate, dei video di denuncia, delle rivendicazioni locali, della satira graffiante, delle suppliche da parte dell’“antipolitica” (vocabolo buono ormai per tutte le stagioni). Altrimenti che senso avrebbe il voto, anzi il suffragio dei cittadini? Quello del suffragio pe’ l’anima de li morti?
Invece, siamo ancora qui a scrivere che della promessa lista degli arredamenti, che quei signori preparatissimi e attenti alle istanze dei cittadini avrebbero dovuto inviare al sito di Noha, non si intravede nemmeno l’ombra; che ci sembra che siamo ancora una volta di fronte a gente pronta a svignarsela di fronte all’incipiente degrado nonostante il vento sia cambiato (in effetti oggi sembra spirare da scirocco, e gli acciacchi della politica iniziano a sentirsi tutti quanti); che a questi signori (ma anche a molti nohani, come al solito ignari di tutto) sembra non importi proprio una beneamata mazza di tutta questa storia, e tanto meno di render conto ai propri cittadini delle loro opere e soprattutto delle loro omissioni; che nell’ultima intervista al Sindaco effettuata recentemente dall’ottimo Tommaso Mascara di galatina2000, nel corso di una trentina di minuti conversazione su “programmi e cantieri aperti”, la parola “Noha” è apparsa solo di striscio, ma per altro, mentre l’espressione “vecchia scuola elementare di Noha”, risulta non pervenuta nemmeno per sbaglio. Come se uno scandalo come quello che da mesi andiamo denunciando su questo sito non fosse per nulla rilevante. Anzi, come se fosse un’inezia, una quisquilia, un’invenzione, ancora una volta, di quei rompiscatole degli “antipolitici”.
In compenso il nostro sindaco ha parlato, tra l’altro, di ristrutturazioni e creazioni di nuovi “contenitori culturali”. Però a Galatina, s’intende: non c’eravamo accorti – che sbadati che siamo - che Noha, Collemeto e Santa Barbara sono da un bel pezzo frazioni di un altro comune.
Orbene, signore e signori: uno di questi nuovi “contenitori” potrebbe essere, tanto per cambiare, il Cavallino Bianco (e te pareva!).
Speriamo che almeno per quest’altra opera, prima di ogni altra architettura, anzi prima ancora dei cessi, le menti pronte a stilare avveniristici progetti di restauro, ristrutturazione o riconversione pensino almeno a quell’altro contenitore fondamentale - a quanto pare necessario ma pur sempre non sufficiente - chiamato in gergo tecnico “cabina elettrica”. Non sia mai che si fosse costretti anche in questo caso a ripiegare su di un allaccio di serie B, cioè un collegamento abborracciato di 10 kwh, anziché dei 50 necessari a far funzionare una struttura pubblica come Dio comanda.
Antonio Mellone
P.S. Gli articoli su questo tema crediamo che (purtroppo) dovranno continuare a comparire su questo sito ancora per un bel po’. E saranno a puntate anche questi ghirigori di parole, alla stessa stregua di un novello romanzo d’appendice (o d’appendicite, di genere horror).
In effetti abbiamo ancora qualcosina da dire in merito allo stato di fatto e di diritto dell’opera, in merito al concetto di “antipolitica”, e alle iniziative che abbiamo in mente di porre in essere.
Ovviamente saremo costretti a vergare le nostre considerazioni a buon mercato anche sulle ultimissime minchiate che ci è toccato di sentire. Ma questo nelle prossime puntate.
apr292010
La Cgil contro l’impianto fotovoltaico - ANTONIO LIGUORI
• G A L AT I N A .
“Bisogna evitare che il nostro territorio diventi unalanda sterminata di specchi di silicio”.
Dissenso alla realizzazione dell’impianto fotovoltaico in località Roncella, fra Galatina e Noha, dallaMacroarea Cgil di Galatina, Maglie e Nardò. Il responsabile territoriale Nicola De Prezzo invita il sindaco Giancarlo Coluccia a verificare “i tempi e leprocedure esperite dal Comune nella valutazione del progetto.
La costruzione diun impianto fotovoltaico in località Roncella - prosegue De Prezzo - suscitaperplessità sia per le modalità che per i tempi, a pochi giorni dal voto per ilrinnovo del consiglio comunale. Vengono al pettine i nodi della lunga gestionecommissariale e il mancato controllo democratico. Il progetto della Società Fotowatio Italia Galatina srl, che a pieno regime avrà una potenza di circa 10megawatt, dovrà sorgere in un territorio a vocazione agricola, e si aggiunge ad altri già realizzati nell’agro galatinese.
La Cgil – prosegue De Prezzo chiede alla giunta regionale e alla Provincia, i cui presidenti in campagna elettorale si sono espressi contro la realizzazione di impianti di energiaalternativa fuori da qualsiasi strategia e per la salvaguardia dell’ambiente,di intervenire bloccando i lavori e predisporre un progetto territoriale programmato per impianti di questa portata. Il neo sindaco Coluccia ha l’obbligo, essendo espressione dei cittadini nohani, di verificare i tempi e le procedure, di invitare la Fotowatio a soprassedere in attesa che il consiglio comunale riesamini la vicenda, riveda i progetti già presentati e in via diautorizzazione, approvi le linee generali di indirizzo per l’installazione diimpianti di energia rinnovabile che la scadenza anticipata impedì al vecchio Consiglio di deliberare”.
FONTE: Gazzetta del mezzogiorno, 29 Aprile 2010
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GALATINA UNA DETERMINA DEL SERVIZIO ENERGIA SBLOCCA L’ITER PER LAREALIZZAZIONE
• G A L AT I N A .
Via libera della Regione alla realizzazione di unimpianto di produzione di energia elettrica fotovoltaica in contrada «Roncella».
L’autorizzazione, che sblocca definitivamente l’iter per la realizzazionedi una struttura produttiva che avrà una potenza pari a 9,69 megawatt, è giuntonei giorni scorsi con la pubblicazione nel bollettino ufficiale della RegionePuglia di una determinazione del dirigente del servizio di Energia, Reti edInfrastrutture materiali per lo sviluppo. L’impianto, denominato “Ganascia 1” sarà realizzato nel territoriocomunale, dalla Società Fotowatio Italia Galatina srl e sarà attuato in unaampia area un tempo a destinazione agricola che si trova nella periferiacittadina. La struttura, che fin dalla presentazione del progetto a Palazzo Orsini èstata accompagnata da numerose polemiche e da molte perplessità espressesoprattutto da associazioni ambientaliste, ha ottenuto lo scorso marzo l’autorizzazione unica da parte della Regione Puglia dopo un lungo iter che hacoinvolto non solo il Comune di Galatina ma anche numerosi altri entiinteressati. Le maggiori critiche vennero espresse non solo sull’entità del progettoma anche sull’individuazione dell’area per tale realizzazione. La prima conferenza dei servizi venne convocata lo scorso ottobre ottenendoil pa rere favorevole dei ministeri competenti, della Regione Puglia, dell’Autorità di bacino della Puglia, dell’Agenzia regionale per la prevenzione e laprotezione dell’ambiente, che condizionò il suo via libera ad alcune procedurelegate alla salvaguardia del territorio, dalla Provincia di Lecce, dal Comunedi Galatina, dalla Asl e da altre autorità territoriali interessate all’impattodi tale progetto. In precedenza la stessa Fotowatio srl aveva rinunciato ad una analogarichiesta di autorizzazione unica per la costruzione ed esercizio di unimpianto denominato “Ganascia 2” della potenza di 4,68 megawatt. Lo scorso 18 febbraio, è stato sottoscritto l’atto di im pegno e laconvenzione che in pratica sblocca l’iter amministrativo dando il via liberaalla realizzazione dell’impianto. L’accordo è stato siglato dalla RegionePuglia, la società Fotowatio Italia Galatina srl ed il Comune di Galatina. L’autorizzazione unica costituisce autorizzazione alla costruzione ed all’esercizio dell’impianto in conformità al progetto approvato.
FONTE: Gazzetta del Mezzogiorno, 27 Aprile 2010
Michele Stursi
ott302020
Per somiglianza di suoni Sìrgole rievoca un po’ Frìttole - il borgo di “Non ci resta che piangere”, film del 1984 con Troisi e Benigni - ma è una tenuta, meglio, la denominazione di una contrada del feudo di Cutrofiano frequentata da molti nohani e altrettanti galatinesi, tra i quali mio papà Giovanni che ne ha coltivato un pezzo per una vita, coinvolgendo per un tratto e suo malgrado (nel senso di mio malgrado) il sottoscritto: erano i tempi infausti del tabacco, un’era geologica fa. Oggi ce lo porto io, mio padre, insieme ai suoi 97 anni a far due passi, a prendere aria, a “sbariare” un po’.
Ebbene, ogni volta che vado a Sìrgole torno a casa sempre con qualcosa di buono. A seconda della stagione, i gelsi, i peperoncini e le melanzane, l’uva, i kaki e i kiwi (con questa k che sa di esotico), e le cicorie che oggi coltivano i miei cugini di campagna; ma anche le “creste” (sempre nel senso di cicorie) che la terra ci dona sua sponte. A volte tra le produzioni fresche e genuine abbiamo pure i libri (ché cultura e agricoltura sono sempre andate a braccetto). Questi ultimi non me li passano i suddetti cugini, ma, copiosi, dunque con la carriola, i vicini di campagna: o meglio, il vicino che risponde al nome di Gianluca Virgilio, professore di lettere al liceo scientifico di Galatina, conosciuto ormai da tutti perché da anni scrive su “il Galatino”, e pure un bel po’ di libri - alcuni addirittura tradotti in francese (non vedo l’ora di rileggerli in quest’altra lingua romanza).
Questa volta il fragrante tomo “virgiliano”, letto come d’abitudine nell’arco di due pomeriggi, è “Zibaldone Salentino”, Edit Santoro, Galatina, 2020, 150 pagine, quasi omonimo della rubrica (cambia solo l’aggettivo in “galatinese”) tenuta, appunto, su questo giornale. Si tratta di un tipico prodotto a km 0, giacché è stato certamente pensato nel corso di letture sotto il pergolato, annaffiature di piantine e sfalcio di erbe, e dunque scritto, benché rapsodicamente, sempre a Sìrgole, “campagna ricca di sogni”, onde finalmente podere è potere.
Il titolo del libro, ça va sans dire, è un omaggio a Giacomino nostro, che al suo “scartafaccio” attribuì gli aggettivi di “smisurato” e “immenso” (io ci aggiungerei “superbo”, molto usato dal Leopardi nell’accezione di magnifico e grandioso, e giammai di protervia o spocchia), tipici del Pensiero: il quale o è critico - dunque senza limiti timori o altre siepi che il guardo escludono - o non è. Purtroppo codesto pensiero è oggi, come dire, negletto, quando non spinto sul banco degli imputati, non necessariamente da una querela temeraria, ma proprio dal comune sentire, dall’uniformazione globale falsamente pluralista, dall’omologazione a senso unico.
Ciononostante vale la pena di provare esprimerlo, questo pensiero (o questo spirito), anche a costo di spaccare il capello in quattro e apparire antipatici alla massa ondivaga a seconda di dove spira il vento del marketing, vale a dire la propaganda da parte della classe dominante. E così nascono le pagine di questo diario senza tempo che ti fa riflettere sulle parole, tipo “successo”, una cosa a cui molti ambiscono ma che altro non è che un participio passato; sul senso della vita, che visto che è a scadenza val la pena di trattarla con più ironia e distacco; sullo spreco delle migliaia di case vuote, mentre tutto intorno le betoniere continuano rovesciare cemento sui comparti edilizi senza fine; sul ruolo dell’insegnante e quindi della scuola che non dev’essere un luogo dove “si formano e si valutano gli studenti”, bensì un posto dove “dialogare e stare a vedere”; sulla violenza del capitalismo, che fa rima con cannibalismo, suicidio dell’umanità; sul ruolo della tecnologia che ci sta spingendo verso il distanziamento sociale ante-litteram; su quanto la mia ricchezza non valga nulla se il mio dirimpettaio sta male; sul Panem et circenses quale metodo di inquadramento delle masse; su quanto il potere si serva dell’inganno per raggiungere i suoi obiettivi; sul Neo-Barocco, che è quello della nostra epoca, così pervasa dalla “gentrificazione” dei centri storici, dallo scimmiottamento della pizzica e dai riti vuoti del turismo; e su infiniti altri temi tipici di uno Zibaldone.
Scrive bene Gianluca, avrà preso da suo padre, il compianto prof. Giuseppe Virgilio. Lo stesso giorno in cui mi consegnava la sua novella creatura – guarda la combinazione - terminavo di rileggere, di Giuseppe, lo stupendo “Memorie di Galatina” - Congedo Editore, Galatina, 1998 - che consiglio vivamente. A Noha si dice: “L’arte de lu tata è menza ‘mparata”, ovvero “Sotta ‘nu pannu finu c’è ‘naddhru ‘ncora chiù finu”.
Credo non ci sia bisogno del traduttore di Google perché si colga il senso di questi apoftegmi nohani anche a Galatina.
Antonio Mellone
[articolo pubblicato su “il Galatino”, anno LIII, n. 17 – 23 ottobre 2020]
mar232016
Egregio Assessore,
a due mesi circa dalla sua cooptazione nella giunta Montagna con la nomina ad assessore ai LL.PP. (vedremo poi il significato che assumerà questo acronimo: per lei e per noi), volevo chiederle se, nel passaggio di consegne, il suo compagno di partito (ormai dipartito), dico l’ineffabile suo predecessore ing. Coccioli, ha avuto modo di parlarle di una sua indagine in corso presso chissà quali uffici (indagine ahimè interrotta sul più bello per intervenute dimissioni) relativa ad uno dei più ingombranti scheletri nell’armadio dell’amministrazione Pantacom tuttora felicemente regnante a Palazzo Orsini: la responsabilità connessa alla dimenticanza di una cabina elettrica necessaria al funzionamento di alcuni impianti e quindi dello stesso centro Polivalente di Noha costato la bellezza di 1.300.000,00 euro di soldi nostri e atteso dagli utilizzatori finali, chiamiamoli così, esattamente da.
Non pretendo che anche lei indossi i panni di un novello Sherlock Holmes (le cocciolate non sono il mio forte), volevo tuttavia domandarle se e cosa ha escogitato per risolvere questo annoso problema, che – mi dispiace per lei, ma principalmente per noi – ha dovuto ereditare.
Non mi risponda per favore che lei non c’entra nulla, che non sono affari suoi, che non immaginava la complessità delle rogne comunali sul tappeto, ma soprattutto sotto: quando un politico prende il posto di un altro politico accetta l’eredità sic et simpliciter, senza beneficio di inventario.
Gentile Assessore, non vorrei apparirle come un inquisitore papale pronto a puntarle contro un dito lunghissimo e ossuto mentre urla: “Al rogo tutti i pubblici amministratori galatinesi!”, né mi piace stroncare parole, opere e soprattutto omissioni delle cosiddette autorità locali (e dei giornalisti al seguito) per puro esercizio di stile. E’ che quando sento, leggo o vedo alcune corbellerie tali da farmi girare la testa (in verità, in verità le dico, sono altre le cose che mi girano vorticosamente), non posso fare a meno di chiederne pubblicamente conto agli autori e ai loro responsabili, cercando, nei limiti del possibile, di evitare intercalari, epiteti e locuzioni da scomunica pontificia.
A questo proposito, non so se è a conoscenza (se lo fosse ed è rimasto inerte è grave; se non lo fosse, è ancor peggio) di un altro crimine perpetrato a Noha non più tardi di qualche giorno fa. Una mano sacrilega, comandata sicuramente da un cervelletto mentulomorfo, per “pulire” i marciapiedi dagli sporadici ciuffetti di innocua erbetta spontanea ha azionato un irroratore erbicida spruzzando di diserbante (cancerogeno) buona parte delle povere strade della frazione, lunghi segmenti di prato dei pubblici giardini Madonna delle Grazie, e [non ridere caro lettore, quell’uno che sarai, ndr.] quasi tutto il perimetro dell’orto botanico di via degli Astronauti. Roba da geni in erba (nel senso che si faranno. Magari proprio di erba).
Mi sa dire qualcosa in merito? La prego, Assessore, mi risparmi la faticaccia di chiedere lumi ai politici nohani, con il rischio concreto di eventuali risposte dello stesso acume di quelle che potrebbe formulare un’ameba con l’Alzheimer.
*
Gentile Assessore, le confesso che con il suo insediamento m’aspettavo uno Sturm und Drang un tantino diverso da quello che m’è toccato di osservare da uno dei suoi primi atti amministrativi. Non mi sto riferendo all’ennesima delibera di spesa da parte della sua Giunta per sopperire alle deficienze dei lavori in corso per quella autostrada Salerno-Reggio Calabria che è il Cavallino Bianco (ormai abbiamo fatto il callo non le dico dove), ma al provvedimento di alienazione dei terreni di proprietà comunale, pubblicata a quanto pare sulla Gazzetta Ufficiale, sul Burp e sui due quotidiani più letti in loco, cioè “Il nuovo Quotidiano di Puglia” e “Il Corriere dello Sport – ed. Puglia” [poi uno si lamenta del livello culturale nostrano, ndr.].
Orbene, il terreno che riguarda Noha è un suolo in Via degli Astronauti, con destinazione D2 del PUG [chissà perché questo D2 mi ricorda tanto le zone per fabbricati artigianali, se non per supermercati o addirittura Iper: se ne sentiva giusto la mancanza a Noha e dintorni, ndr.] suddiviso in due lotti, prezzo a base d’asta € 116.240,00 ed € 21.600,00.
Ora, a prescindere dal poveretto che andrebbe a buttar via i suoi soldi per l’acquisto di quei terreni (o dalla Banca Etruria di turno che andrebbe a finanziarlo) le chiedo: ma che male fanno al Comune quei suoli pittoreschi, finalmente incolti, fatti di preziosi prati rocciosi e carsici, ricchi di tanta preistorica autoctona biodiversità, ultimo baluardo privo di cemento, asfalto e inutili volumetrie? Ma vi repelle proprio l’idea di scrollarvi di dosso l’appellativo di Giunta Attila? Vi rendete conto che, con queste genialate, ogni vostra mossa è come quella di un elefante in una biblioteca di libri antichi, e la vostra “politica” come un meteorite in una serra di orchidee?
Non mi dica, per favore, che lo fate per noi, per racimolare un po’ di soldi, magari per sopperire monetariamente alla dimenticanza di una cabina elettrica in un centro Polivalente, o per finanziare i lavori di sistemazione del puteale di una Trozza danneggiata dai Vandali, o per restaurare una torre civica e un orologio fermo dai tempi del Cretaceo, o altre amenità del genere, perché non vi crede più nessuno (eccetto i quei quattro PD, Pragmatici Devoti vostri seguaci). Meglio sarebbe lasciare il mondo così com’è, piuttosto che assediarlo in nome di un attivismo di maniera che non porta a nulla di buono.
Il fine vero, diciamocela tutta, è invece quello di batter cassa, ma nel peggiore dei modi, con la svendita cioè dei gioielli di famiglia (e i terreni, soprattutto quelli intonsi, lo sono. Capisco, la vostra cervice trova particolarmente ostico questo passaggio), pur di allungare di qualche giorno l’agonia delle finanze del nostro Comune, sempre sull’orlo di una crisi di servi.
Gentile Assessore, anche se il buongiorno si vede dal mattino, qualche possibilità vorrei lasciargliela. Le auguro, e soprattutto mi auguro in qualità di cittadino, che per il suo assessorato riesca ad utilizzare la testa e non i piedi (da cui il termine Lavori Podologici, a proposito di LL.PP., assunto di fatto dagli uffici dei suoi augusti predecessori).
Non pretendo che nella sua giunta s’annoverino dei miei ammiratori, né che facciano la ola per i miei interventi su questo sito (figurarsi), tuttavia le chiederei di evitare lo snobismo tipico fin qui registrato dai pubblici amministratori di maggioranza e di opposizione liquida (come direbbe Bauman): il far finta di nulla, il “sopire troncare” di manzoniana memoria, il bendarsi gli occhi, la bocca e le orecchie non pagano più politicamente da un pezzo.
*
Gentile Assessore, nell’augurarle buon lavoro (pubblico), attendo trepidante le sue risposte. Confido che, almeno con lei (scusi la franchezza), si riduca l’alto tasso di scemenze pro-capite che m’è toccato di sorbirmi fino all’altro ieri da parte dei suoi compagni di merende.
Con cordialità.
Antonio Mellone
P.S. La sera di domenica 20 marzo scorso, nelle strade principali di Noha ha avuto luogo una bellissima Via Crucis vivente seguita da oltre mille persone provenienti da ogni dove. Orbene, nonostante le preventive comunicazioni e gli inviti spediti al Comando, non s’è visto in giro per la frazione nessun Vigile Urbano, non per rappresentanza (non sapremmo che farcene) ma per la sicurezza delle strade e il servizio d’ordine. Evidentemente erano tutti alle prese con i sabburchi di Galatina.
lug302013
Premesso che buona parte dei nohani (e figuriamoci dei galatinesi) non sa nemmeno dell’esistenza di questo sito e men che meno il fatto che vi appaiano periodicamente degli scritti a mia firma, qualcuno che invece lo sapeva s’è chiesto che fine avessi fatto in questo lasso temporale durato un mese abbondante nel quale sul sito di Noha non ha fatto capolino neanche un mio trafiletto di poche righe su questo o su quell’argomento di attualità locale.
Qualcun altro avrà pensato che fossi stato così saggio da seguire il mio stesso consiglio e mi fossi fatto (anzitempo) cremare. Sì, come no, magari nell’inceneritore nuovo di zecca targato Colacem che, se non lo sta già facendo, a breve brucerà non più il CDR ma il CSS (tanto cambiando l’ordine dei fattori il cancro non cambia). Del resto non potrà che essere così, con un’opposizione da parte dei politici locali così blanda, così evanescente, così sconclusionata (che di questo passo assumerà i contorni di una benedizione urbi e soprattutto orbi).
Il politico nostrano, nel frattempo, non leggendomi più e tirando il più classico dei sospiri di sollievo, avrà pensato bene di prolungare le sue ferie politiche e soprattutto neuronal-cervicali, continuando in tal modo a fare quello che ha sempre fatto per il bene della sua comunità: una beneamata mazza.
Niente di tutto questo, caro il mio lettore (quell’unico che sarai). In questi ultimi tempi sono stato impegnato nel famoso concorsone pubblico per docenti indetto dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) per l’assegnazione di cattedre nelle diverse discipline previste dal bando.
Ebbene, il 18 luglio scorso dopo uno studio “matto e disperatissimo” di leopardiana memoria ho avuto la fortuna di partecipare e finalmente superare anche lo scoglio dell’esame orale conclusivo insieme ad altri 21 concorrenti superstiti (all’inizio – era il mese di novembre 2012 - prima della falcidia, ne eravamo 1500 circa nella sola Puglia).
Qualcuno m’ha pure chiesto chi me l’avesse fatta fare (la sfacchinata), e soprattutto se avessi in mente e quindi fossi in procinto di cambiar lavoro. La risposta è no, per ora. Punto.
Ma, lo ribadisco ancora una volta, ci tenevo a diventare ufficialmente Professore di Economia “per titoli ed esami” (classe di concorso A017, Discipline Economico-Aziendali), sia perché l’insegnamento è sempre stato il sogno della mia vita (consapevole del fatto che il miglior metodo per imparare le cose è insegnarle) e sia perché non volevo deludere lo spiritoso detrattore di turno che d’ora in avanti quando mi darà del “professore” potrà farlo risparmiandosi tranquillamente le virgolette.
***
Ma di cosa avrei voluto/dovuto parlare? Ma ovviamente di tanti argomenti che avrò magari modo di trattare nel corso delle prossime venture ferie (si sa che quando si è in vacanza si lavora, si studia e si scrive tre volte tanto), magari attraverso le “fette di Mellone” estive.
Qui, non essendoci più spazio, mi limito a citare solo il caso mai risolto della Pantacom.
Volevo dire che di recente ho richiesto un'altra pubblica Visura Camerale su codesta società che sta rompendo l’anima e qualcosa d’altro per avere le famose autorizzazioni per il Megaporco. Ebbene, rispetto al documento di inizio d'anno, salvo errori od omissioni, nella nuova Visura non c'è una virgola di differenza. Nulla è cambiato: né sul capitale netto (pressoché annullato per perdite), né sul fatturato (pari a zero), né sugli amministratori, né sui soci. La società era ed è ancora "inattiva"; valeva e vale ancor oggi poco o nulla.
I Caifa, inclusi quelli del sinedrio di palazzo Orsini, che si stracciano le vesti perché noi abbiamo osato formulare delle domande da porci, di fatto continuano ad ignorare i nostri dubbi, le perplessità, i quesiti (rimasti senza uno scampolo di risposta) che invece dovrebbero essere loro per primi ad indirizzare ai proponenti-amici-interlocutori (e figuriamoci se poi qui a Galatina qualche “giornalista” osa chieder conto di certe cose: no, non conviene, non si sa mai, meglio fungere da tappetini-scendiletto).
Invece cosa succede? I nostri pubblici rappresentanti sembrano pronti a parare il sacco ai fantacosmini miracolosi sbandierando ai quattro venti l’“utilità pubblica”, l'“interesse” e soprattutto le “ricadute” (basate sull’aria fritta) di questa megacazzata.
Davvero bastano quattru vave dette da chi ha il peso specifico di una piuma per stare a posto con la coscienza e soprattutto con la legge?
Ma su questo tema torneremo a discettare ancora.
Nel frattempo mi piacerebbe che qualche pollitico locale mi rispondesse per le rime, mi facesse capire che sono nel torto marcio, mi spiegasse come e perché e chi, con questi chiari di luna, andrà a riempire i carrelli e a far tintinnare le casse del novello centro commerciale. Mi illustrasse da quale pianificazione territoriale, da quale allucinazione di marketing - o da quale cilindro sia sortito questo n-esimo pantaconiglio morto.
Per favore, miei cari rappresentanti, non svignatevela come al solito, e rispondete.
Io dal mio canto vi prometto che non assumerò il piglio del professore (e che troverete pane per le vostre dentiere).
Antonio Mellone
set132015
Grazie alla collaborazione di alcuni Cittadini nohani, di alcune telecamere nascoste e del Corpo di Polizia Municipale, sono stati colti con le mani nel sacco, o, il che è uguale, con il sacco nelle mani, degli apparenti benpensanti, dunque degli stupidi nonché sporcaccioni residenti a Noha, quindi con la possibilità di usufruire del servizio della raccolta differenziata, che gettavano la propria spazzatura in strada, precisamente in contrada Scorpio, verso le Tre Masserie, dove lo scorso anno il gruppo della “Domenica Ecologica” effettuò la sua prima manifestazione.
Quindi stiano attenti quelli che credono di sporcare la nostra terra senza essere visti: saranno sicuramente scoperti e denunciati alle forze dell’ordine.
Un sentito grazie alla Polizia Municipale di Galatina per aver sanzionato i malfattori.
Cogliamo l’occasione per annunciare la prossima “Giornata Ecologica” che si terrà una domenica del mese di Ottobre.
Il gruppo “I dialoghi di Noha per l’Ambiente”
feb112024
Siccome tutto sono men che un tipo politicamente corretto (ergo non è da me fare sviolinate), volevo trovare un difetto uno al Carnevale Sociale di Noha celebrato domenica scorsa. Che so io: il capello di una parrucca fuori posto, una barba finta che non sembrasse vera, un costume dai colori malamente abbinati, il principale carro carnascialesco ingrippato, una coreografia priva di sincronismo, i cavalli nohan-murgesi imbizzarriti, qualche brano musicale stonato, una pubblicità insulsa e dozzinale, un tempo molesto pronto a colpire con freddo acqua e vento febbraiuoli un’organizzazione viepiù abborracciata, un paese apatico allo stato terminale, scarsa partecipazione di pubblico intra et extra moenia, o finanche un tema di fondo acefalo, dico privo di senso compiuto.
Questa volta mi è andata male: niente di tutto questo. Anzi: colori azzeccatissimi manco fossero stati scelti da un armocromista di lungo corso; nemmeno un refolo di vento o una nuvoletta nel cielo di Noha (così bello quando è bello); non un carro in cartapesta incartapecorito o un mappamondo fuori scala. A questo s’aggiunga la colonna sonora scelta con gusto, una partecipazione da parte di cittadini e sponsor che non si vedeva dai tempi di Pappagone, il treno di Harry Potter in perfetto orario in partenza dal binario NOVE (Noha) e 3/4, gli inediti messaggi di invito alla festa da parte di Nandu Popu, Sabina Blasi e di Tekemaya (e quelli successivi di saluto proiettati su grande schermo da parte di altri amici della comunità nohana), la sicurezza della kermesse in ottime mani di responsabili, vigili urbani e Protezione Civile, e quella decina abbondante di gruppi mascherati esteticamente curati e culturalmente motivati che vanno dai bambini della scuola dell’infanzia San Michele Arcangelo di Noha a quei “ciucci longhi” di Levéra; dagli atleti della Virtus Basket agli studenti dei licei classico e scientifico di Galatina che oltretutto si sono “sfidati a singolar tenzone” sul palcoscenico di via della Pace con musica dal vivo, canti e performance teatrali interessanti e di rilevante spessore educativo (altro che la ribalta dell’Ariston a tratti impregnato di banalità, pubblicità occulte, messaggi dozzinali per masse lobotomizzate, e altre carnevalate del genere horror); dagli splendidi ragazzi di Abilmente Insieme e dei loro encomiabili accompagnatori agli esponenti di Legambiente e di Noi Ambiente e Beni Culturali travestiti da “Masci Sostenibili”; dagli Agribimbi agli altri bimbi degli Istituti Comprensivi di Galatina e Noha che, accompagnati dai loro insegnanti, pure loro in maschera, han dato il massimo con i loro balli di gruppo a soggetto studiato approfonditamente a Nohagwarts School; dagli Zorro della Furia Nohana che hanno aperto la sfilata con un elegantissimo cavallo nero del locale Centro Ippico Sant’Eligio (immagino si chiamasse Tornado, il purosangue, come il destriero di don Diego della Vega) ai vocalist arcobaleno di Gioré che han cantato in coro e a cappella in un intervallo di tempo senza tempo in cui tutto sembrava essersi fermato per l’ascolto, in religiosissimo silenzio, dei motivi preparati per l’occasione.
Ora, siccome “Il cielo è di tutti” non son mancate altre comitive di cui in questo momento mi sfugge la sigla, ma protagoniste al pari degli altri dell’eccentrico veglione all’aperto sparpagliato per strade, piazze, giardini e parchi pubblici nohani, oltre a numerosi altri singolari performer, tipo un’imperdibile Ferragni travestita da Sindaco (con la differenza che questa volta i pandori, più che sponsorizzarli, il personaggio se li era mangiati tutti), un cabarettista scafato, mattatore dello spettacolo collettivo, un fotografo travestito da Antonio Mellone e l’Albino Campa truccato da Nohaweb.
A proposito di Sindaco, salvo errori e omissioni, sembra che il nostro primo cittadino si fosse volatilizzato nel nulla, eclissato, scomparso dalla circolazione, roba da interpello senza indugio di “Chi l’ha visto?”. Eppure s’è provato a rintracciarlo nel gruppo dei clown e in quello dei venditori di pentole, ma niente da fare: avranno prevalso sicuramente le sue proverbiali ritrosia e discrezione.
Infine il tema della Pace scelto dagli organizzatori. Non penso proprio si trattasse dell’ecumenica Pace Nel Mondo stile Miss Italia o di quella tipica degli scemi di guerra che, insieme ai giornali al servizio delle macro-direttive a tavolino, usano stilare ignominiose liste di proscrizione di “conniventi con il nemico”, ma quella di chi scende in piazza chiedendo l’impegno diretto di tutti per i cessate il fuoco immediati e l’avvio degli armistizi, invoca la riduzione delle spese militari e quindi lo stop all’invio di armi a destra e a manca, pretende l’apertura dei canali per gli aiuti umanitari e il blocco immediato dell’“esportazione della democrazia” a suon di bombe sui popoli inermi da parte del “moralmente superiore Occidente”.
Il tutto egregiamente sintetizzato, tra gli altri, dai due striscioni presentati dai liceali in corteo: il primo con impresso l’ormai obliato l’art. 11 della Costituzione Italiana, l’altro con una mordace citazione dell’intramontabile Bertolt Brecht: “Generale, l’uomo fa di tutto. Ma ha un difetto: può pensare”.
Organizzatori e partecipanti tutti, nessun difetto: bravi.
E non meritate 9 e ¾, ma stavolta dieci e lode.
Antonio Mellone
mar052013
Questo trafiletto, con alcune varianti, è stato pubblicato su quiSalento del mese di marzo 2013
E’ un festival a cinque stelle quello dei cavalli di Noha che ha luogo come sempre il lunedì di pasquetta sul grande prato limitrofo alla chiesetta dedicata alla Madonna di Costantinopoli o delle Cuddhrure, dal mattino fino all’ora del desco. Anche quest’anno, provenienti da tutta la Puglia, centinaia di cavalli di ogni razza e taglia, guidati dai loro cavalieri, alcuni in sella altri su traini, barocci e carrozze, verranno a Noha per la scampagnata e, giacché ci sono, per esibirsi nelle loro specialità, come la forza, il trotto, la velocità e la bellezza. Il premio-ricordo, come vuole la storia, toccherà a tutti.
Se fosse consentito loro, anche i cavalli nohani firmerebbero la petizione “Basta strade inutili”, contro lo scempio del cemento, dell’asfalto e degli interessi privati. Le strade che già abbiamo bastano e avanzano. A noi ed ai nostri cavalli non servono nuovi viadotti o superstrade asfaltate a quattro corsie (o a quattro follie), ma le strade bianche, quelle di una volta in terra battuta con la vegetazione al centro, le uniche che bisognerebbe riscoprire e tutelare, e dunque mai bitumare.
Questa è la sola strada in grado di portarci verso un futuro migliore.
set162010
La nostra richiesta di partecipazione non è caduta nel vuoto. Le adesioni sono pervenute da diversi fronti: l'account aperto su facebook "Comitato Cambiamo Aria Galatina" ha raccolto centinaia di contatti in poche ore; singoli, associazioni e forze politiche hanno condiviso le nostre preoccupazioni e la nostra mobilitazione. Diverse sono le attività del comitato messe in cantiere atte a portare a conoscenza della collettività le nefaste conseguenze che deriverebbero dal coincenerimento del CDR nell'impianto della Colacem S.p.A., in aggiunta alle già inquinanti attività industriali presenti nella zona. La prima azione ci ha visti presenti presso la Commissione Ambiente tenutasi mercoledì 15 c.m., alla quale hanno partecipato tutte le realtà istituzionali del territorio maggiormente interessato, le quali hanno confermato la propria posizione contraria alla co-combustione di CDR. Una nostra delegazione ha protocollato e consegnato al Presidente Gabellone la proposta di delibera presentata dalle minoranze nel consiglio comunale di Galatina del 13 c.m., corredata da una lettera di presentazione che sintetizzava tutte le nostre posizioni. Abbiamo con soddisfazione preso atto della determinazione del Presidente Gabellone di tutelare come interesse primario la salute dei cittadini, andando a valutare con attenzione e rigore le conseguenze sul territorio del co-incenerimento del CDR, coinvolgendo ARPA e ASL quali enti accreditati alla rilevazione e studio degli effetti sull'ambiente. Al comitato "Cambiamo Aria" sino ad oggi hanno aderito:
I Consiglieri Comunali: Piero Lagna, Antonio Pepe, Daniela Sindaco, Daniela Vantaggiato, Azione Giovani, Azzurro Popolare, La Destra, Federazione della Sinistra, Galatina Tricolore, Generazione Italia, I Giovani Democratici, Italia dei Valori, Partito Democratico, Il Popolo di Galatina, Sinistra Ecologia Libertà, Adusbef, ARCI Kilometro 0, Azione Universitaria, Boys Arte e Cultura, Città Nostra, Comitato per la difesa dell'ospedale e dei cittadini, I dialoghi nohani, Lega Italiana Lotta Tumori, Unione degli Studenti. Le adesioni sono aperte a chiunque condivida il nostro progetto e a chiunque voglia informarsi sulle nostre posizioni. Il comitato si riunisce quotidianamente presso la sede UDS -Unione degli Studenti- in Via Scalfo 46 a Galatina dalle 21 in poi.
Il Comitato Cittadino "Cambiamo Aria"
lug102014
Sembra tutto inutile. Scriviamo, parliamo, denunciamo e insistiamo nel cercare di evidenziare le malefatte e i malfattori, ecc. e poi che cambia? Niente! O comunque poco più di niente.
Per non affliggerci più del dovuto, forse, ci converrebbe vivere con i paraocchi come si fa con i cavalli. Oppure farsi iniettare una buona dose di farmaco intorpidente, fino allo schiacciamento totale di quei quattro neuroni che si ostinano a schizzare fuori da quell’atavico conformismo che è poi la causa di questo niente.
Da noi, il detto riportato nel romanzo di Tomasi di Lampedusa: “tutto cambia affinché nulla cambi”, andrebbe rivisto forse così: “nulla cambi affinché tutto peggiori”.
Infatti, dopo tutte le lamentele pre-elettorali, ad amministrare il bene comune vengono nominati sempre i soliti arcinoti. Tutte bravissime persone, per carità, ma visti i risultati, se non venisse eletto nessuno, probabilmente, tutto resterebbe come prima con il grande vantaggio che non si sommerebbero altri danni.
Che novità ci sono? -starete pensando voi.
Appunto, nessuna: le tangenziali a Galatina, tagliano invece di tangere; le piste ciclabili (e soprattutto le biciclette) restano solo chimere; i marciapiedi sono solo sul vocabolario; si aggirano fantasmi di nuovi mostri tipo il mega-sito per il compostaggio di 30.000 tonnellate annue “sennò perdiamo i finanziamenti”; non c’è nessuno che voglia benedire la terra; si condannano i peccati di sesso (e mancu tutti) ma non quelli contro la legalità; con il caldo e lo scirocco l’aria torna a puzzare di carne morta come la scorsa stagione; l’orologio è morto e tra poco sarà anche sepolto (e senza l’onore delle campane a morto – che fa pure rima); il parco degli aranci è praticamente una nuova 167 per pantegane; la casa baronale cade a pezzi, così come si sta sbriciolando sotto la grattugia dell’inerzia l’annessa torre medievale con relativo ponte a sesto acuto; la masseria Colabaldi è posta in vendita al peggior offerente; le casiceddhre attendono qualche firma perché rientrino nel progetto FAI (Fondo Ambiente Italia), anche se ciò che servirebbe veramente sarebbe il fatto che quella parola “FAI” fosse voce del verbo fare; l’ipogeo sta diventando un calvario, ed il calvario un ipogeo; la casa rossa - subito dopo le camionate di cemento per il grande massetto intorno alla casa bianca - è probabile che con le venture piogge monsoniche diventi una palafitta; la vecchia scuola elementare di Noha ristrutturata, nonostante i proclami e le promesse dell’assessore Coccioli, continua ad avere un “allaccio da cantiere” di 10 kw e non di 50 e presto resterà nuovamente inutilizzata come l’altro catafalco di via Bellini angolo via Ippolito Nievo; le statistiche dicono che nel triangolo dei prodotti DOP (Lecce, Galatina, Maglie) la percentuale di malattie tumorali supera di gran lunga la media delle zone più industrializzate d’Italia. E per giunta senza avere le industrie, che di solito sono le principali indiziate per l’inquinamento ambientale. Come dire: curnuti e mazziati.
Fino a qualche tempo fa, quando le persone mi vedevano arrivare, mi salutavano così: “bè… osce ssi rrivatu? E quandu te ne vai?”, o comunque i soliti convenevoli per una buona accoglienza.
Adesso nemmeno apro bocca che da più parti suonano lugubri annunci di concittadini colpiti da malattie gravissime. Credo che sia ora di accantonare un po’ la parola “speranza”, quella cioè armata di buone intenzioni, di togliersi i paraocchi, di smetterla di pensare che accada solo agli altri o che le cause siano ignote.
Forse è giunto il momento di fare tutti qualcosa, smettendo per esempio di delegare ai soliti falsi “non vedenti” la politica nostrana.
Cosa fare? A questo proposito mi sono venute in mente delle parole ascoltate in circostanze diverse e da persone molto distanti fra loro, geograficamente e culturalmente. Ricordo per esempio che, in occasione della Festa dei Lettori del settembre 2008, e più precisamente riguardo alla salvaguardia dei nostri beni culturali, il Soprintendente della provincia di Lecce, dottor Giovanni Giangreco, a cui avevamo affidato tutte le nostre speranze, concluse dicendo a tutti i presenti nell’atrio del palazzo baronale, che a quel punto, la salvaguardia dei nostri beni dipendeva dai nohani (e non dalla Soprintendenza) e che tutti ci saremmo dovuti tirare su le maniche.
Lì per lì restai deluso, mi sembrò quasi un tradimento. Gira e sbota, pensai, ti fanno promesse e poi tocca sempre a nnui!
Poi ebbi l’occasione di ascoltare l’intervista fatta da un giornalista a Carmine Schiavone, ex boss del Clan dei Casalesi e pentito della Camorra, il quale esordì dicendo che se non fosse stato per la ribellione del popolo, della terra dei fuochi, non se ne sarebbe mai parlato così tanto. E il problema non sarebbe mai venuto fuori.
E di recente, giusto per toglierci ogni dubbio, la stessa cosa ha annunciato Papa Francesco a proposito di cambiamento della Chiesa, dove il Santo Padre diceva appunto che se non è la gente a volerlo fortemente, la Chiesa non cambierà mai
( e quindi, aggiungo io, nemmeno lo stato devoto).
E poi leggi di inchini di madonne ai boss, e soprattutto di sponsorizzazioni di feste patronali da parte del TAP, l’ennesimo scempio dedicato alla mafia, e ti cadono un’altra volta le braccia, e pure il resto.
Marcello D’Acquarica
gen222017
Capisco: la Masseria Colabaldi di Noha è in mano ai privati.
Capisco che chi a suo tempo ne è diventato il proprietario tutto aveva in mente men che conservare, tutelare e valorizzare questo antichissimo bene culturale del mio paese. Come noto a tutti, aveva invece in progetto l’affarone del secolo con la costruzione nelle sue immediate adiacenze di una ottantina di villette a schiera. O meglio: schierate. Come un plotone di esecuzione. Poi, per fortuna, non se ne fece niente per mancanza di acquirenti autolesionisti.
Capisco che Noha non è (per fortuna) una città per turisti in colonna, con una guida con bandierina in mano. Capisco che affidare il patrimonio storico e artistico ai privati è dimostrazione lampante di inefficienza, spreco, trascuratezza, insomma, stupidità di una nazione. E di una frazione.
Per questo basta dare un’occhiata anche allo stato delle ‘Casiceddhre’ in pietra leccese: stato che tra poco passerà da solido a liquido, anzi gassoso, aeriforme, visto il loro abbandono. [E pensare che il loro proprietario è stato amministratore pubblico, e s’accinge a ritornare ad esserlo nelle prossime elezioni: evidentemente per meriti sul campo, avendo già dimostrato di avere a cuore i beni pubblici come fossero privati. E viceversa, ndr.].
Capisco che per la sciatteria dei nostri “politici” i beni culturali nohani non sono mai stati all’ordine del giorno, nonostante il Codice di codesti Beni attesti chiaramente quanto la storia culturale aveva già affermato da tempo. E cioè che non importa il pregio, la rarità o l’antichità dei singoli oggetti: ciò che può renderli degni di essere tutelati dallo Stato può essere anche la relazione spirituale e culturale che li unisce alla vita locale.
Insomma capisco tutto.
Ma qui non sto chiedendo alla proprietà della Masseria Colabaldi di investirci dei soldi per la sua salvaguardia (e sarebbe forse l’unico investimento realmente produttivo: le colate di cemento invece da tempo non sono più un affare, bensì la causa principale del fallimento di tante imprese edili). Non sto chiedendo di provvedere immediatamente al restauro, al recupero e magari finalmente all’apertura al pubblico dell’intrigante costruzione ubicata sull’acropoli di Noha (troppa grazia sant’Antonio).
Qui sto semplicemente chiedendo che la proprietà dimostri ogni tanto, mica sempre, di meritare di avere per le mani una ricchezza non immediatamente esprimibile in termini economico-finanziari. Anzi pure.
Chiedo che insomma il solito padrone delle ferriere dia un’occhiata all’ingresso della Masseria, proprio al portale principale, dove campeggia un enorme ramo secco di Pino domestico (Pinus pinea) che, caduto da mesi, oltre che rappresentare un pericolo serio (di incendio, di caduta sull’edificio, di inciampo, eccetera), occlude la vista all’eventuale viaggiatore che volesse ammirare le vestigia del glorioso passato del paese, e magari fotografarle a futura memoria.
Purtroppo, di questo passo, l’unico modo per tramandare alle future generazioni la storia dei nostri monumenti sarà quello di fermarne la sagoma in un flash.
Come quelle di certi selfie.
Antonio Mellone
apr282016
Son quasi due mesi che un gruppetto di persone, amici e conoscenti principalmente di Noha ma anche di alcuni paesi limitrofi, si trovano insieme per disputare delle amichevoli di calcio. La nuova squadra della nostra cittadina è chiamata, guarda un po’, “Rappresentativa Noha”.
La “Rappresentativa Noha” attualmente non è una società di calcio, ma un gruppo di giovani che affronta in partite amichevoli squadre già iscritte a campionati dilettantistici della nostra provincia. Ne sono un esempio le amichevoli disputate contro il Neviano Calcio (iscritto nel campionato di terza categoria), la Juniores nevianese, gli amatori Galatina e non ultimo il Sanarica calcio (iscritto nel campionato di prima categoria). In pratica si tratta di partite contro squadre di tutto rispetto e certamente i ragazzi di Noha non stanno sfigurando, visti anche gli ottimi risultati raggiunti in poco tempo, avuto riguardo del fatto che i calciatori nohani si trovano a giocare assieme solo nel corso di piccoli eventi.
Attualmente l’unico cruccio cha attanaglia questa bella iniziativa sociale è la situazione del campo sportivo di Noha. Infatti purtroppo è possibile giocare solo si è “ospiti” della squadra da affrontare; pressoché impossibile è, invece, ospitare la squadra avversaria per via della piuttosto ingarbugliata situazione del nostro impianto sportivo, spesso chiuso o poco accessibile a tutti, con alcuni apparati non funzionanti, e soprattutto a causa della mancanza di chiarezza fornita da chi di dovere.
Con l’augurio che qualcuno prenda a cuore questa situazione e che il tutto si sblocchi in maniera trasparente, l’impegno sociale della “Rappresentativa Noha” continuerà finché sarà possibile. Proprio in data odierna, 28/04/2015 ore 19:00 è in programma un’amichevole contro il Porto Cesareo Calcio (1° categoria). Ovviamente “tanto per cambiare” la partita si disputerà al campo comunale di Porto Cesareo.
Insomma la “Rappresentativa Noha” può giocare ovunque. Ma non a Noha.
Antonio Mariano
ott232014
Fare Politica non vuol dire, come molti pensano, essere iscritti a un partito o al massimo candidarsi per diventare un “politico”. Fare Politica vuol dire, indossare sopra la maglia del partito – cosa non indispensabile - quella del bene comune. Sul significato di “fare Politica” c’è tutto un mondo di informazioni a cui chiunque può accedere, basta averne la voglia. Noi abbiamo pensato di fare Politica aiutando la Natura a lottare contro l’inciviltà di chi non solo non rispetta le regole, ma vive remando contro (Natura).
Di seguito la richiesta di autorizzazione per una “Giornata Ecologica” da effettuarsi a Noha, nel giorno 23 Novembre c.a.
Vi terremo informati sull’evolversi dell’evento.
-La Redazione del sito www.Noha.it-
ott162023
Lo trovi a Noha, in molti angoli della cittadina, nelle pagine della sua storia, nelle case dei nohani, fra i quadri appesi o le statue nelle campane di vetro, in qualche edicola votiva, e poi nella chiesa parrocchiale, e nei suoi dintorni.
Ne ha già parlato P. Francesco D’Acquarica in un articolo dal titolo “S.Michele Arcangelo, patrono di noha, da quando e perché” pubblicato su Noha.it nel 2008. (L'OSSERVATORE NOHANO - n°4 - Anno III)
Ma San Michele è effigiato in un affresco (stavo per dire murales) in via Calvario, per l’arte di Michele D’Acquarica, pittore e poeta di Noha del secolo scorso; e, un po’ sbiadito, anche sul portale di un’antica cappella del nostro centro storico, con la data 1772, “una delle 12 chiese di Noha”.
La Chiesa di Noha e i Vescovi di Nardò (Parte 4)
Il vessillifero delle schiere celesti troneggia in tutto il suo splendore, come detto, anche all’interno della Chiesa Madre, imponendosi marziale e con lo sguardo duro come la pietra leccese (materiale oltretutto della statua) dal suo altare barocco datato 1664. In un’altra nicchia, a destra di chi guarda l’altare maggiore, si trova la statua in cartapesta di pregevole fattura: viso delicato (si direbbe angelico), panneggio in movimento, penne di struzzo sull’elmo, scudo con motto eloquente, drago beffardo e “linguacciuto”. È la scultura portata in processione due volte l’anno: l’8 maggio e il 28 settembre.
All’interno della chiesa madre si trova altresì la reliquia del santo: un pezzo di pietra della grotta della basilica-santuario di Monte Sant’Angelo, dove furono registrate le quattro apparizioni dell’Arcangelo.
Ma la descrizione più interessante della presenza a Noha del Santo Protettore ci viene tramandata dall’Arciprete Don Michele Alessandrelli.
“Nato a Seclì circa nel 1812 da Michele e Vita Picciolo è Arciprete di Noha dal dicembre 1847 fino alla sua morte avvenuta 17 Settembre 1882. Però negli ultimi 3 anni della sua vita (dal 1879 al 1882) chi compila i registri è un certo don Mario Resta (forse di Aradeo) che si firma sempre Economo Curato.. Fu sepolto nel cimitero di Galatina” [cfr. Francesco D’Acquarica, Curiosità sugli Arcipreti e persone di chiesa a Noha, ed. L’Osservatore Nohano, 2011].
Alessandrelli ci descrive in modo chiaro e preciso com’era la nostra Chiesa al tempo della sua Arcipretura, la versione precedente all’attuale. La descrive così bene a tal punto che è stato possibile ricostruirne l’immagine con una elaborazione grafica.
Nella relazione datata 15 aprile 1850 leggiamo:
La suddetta Chiesa sta situata e posta nel detto Comune di Noha, il frontespizio della quale esposto verso Borea in pubblica Piazza, confina per ogni lato la via pubblica.
Fu edificata nel 1502 sotto il titolo del glorioso S. Michele Arcangelo. E’ comunale, ed è solamente benedetta.
In essa vi sono due porte, una delle quali è piccola verso ponente, nella quale si sale da due lati con quattro gradini di pietra leccese. La porta è di legno fargio, e vi è il Cimitero. Da Borea vi è la porta maggiore, dove pure esiste l' altro Cimitero, e da ogni lato si sale con tre gradini di pietra leccese, ed il suo terreno franco che lo dimostrano due finite, che ivi stanno fissate nelli due lati di detto Cimitero.
Vi sono due colonne di marmo bianco appoggiate al pariete di detta Chiesa. Il detto frontespizio è di pietra leccese scolpito con due colonne scannellate con le loro basi, e capitelli sopra delli quali vi sono li rispettivi scartocci ben lavorati. Ed in mezzo delli medesimi vi sta la statua del glorioso S. Michele Arcangelo tenendo ai piedi il dragone infernale, e più basso vi è il seguente epitaffio:
SANCTE MICHAEL ARCHANGELE
DEFENDE NOS IN PROELIO
NE PEREAMUS IN TREMENDO IUDICIO. 1621.
Prosegue con la descrizione di ogni dettaglio sia delle parti strutturali della Chiesa che dei contenuti sacri.
La statua con il dragone infernale è la stessa che per oltre un secolo da quella data è rimasta conservata nel cosiddetto “Giardino dell’Acquaro”, il sito dove oggi si trova l’anagrafe di Noha (sulla cui parete esterna qualche giorno fa, a sprezzo del ridicolo, sono apparse e poi scomparse un paio di immagini di San Paolo apostolo ai Galati, anzi ai Galatinesi).
Il giardino che occupava la stessa area dell’anagrafe, era protetto da un vecchio muro di conci di tufo alto oltre due metri. Si accedeva all’interno da una porticina in legno superando tre gradini e la statua con il dragone era adagiata nei pressi della vera di un pozzo, o cisterna.
Poi venne trasferita al Museo di Galatina, e ivi di fatto abbandonata, visto che il bisturi e gli altri strumenti del restauratore sembra stiano facendo il loro turno di riposo. Da ormai troppi decenni.
Marcello D’Acquarica
mar042017
non ditemi poi che non ve l’avevo detto.
State per mettervi (e in molti casi rimettervi) in casa, vale a dire a Palazzo Orsini, una genia di cosiddetti politici uno meglio dell’altro.
Il simpatico faccione del loro capo, tal Gianpiero De Pascalis – il prossimo venturo sindaco di Galatina che vi accingete a eleggere in massa, anzi per acclamazione - campeggia sin d’ora su manifesti di ogni formato che tappezzano città e borghi, mentre sullo sfondo la povera chiesa madre di San Pietro sembra voler dire a tutti: “tienime ca mo’ casciu puru iu”.
Apparite tutti compatti nel pensiero unico, nella rassegnazione cittadina, nell’ancestrale ‘cupio dissolvi’, allineato e coperto: non s’alza un ciglio, alcun muso si storce, nessun dubbio attanaglia le locali intelligenze (si fa per dire). S’assiste invece solo ad alzate di spalle, allargamenti di braccia e a sospirati: “che ci vuoi fare” uniti a: “non ci sono alternative”.
Così la destra eterna passerà senza soluzione di continuità da Montagna ad Aprea a De Pascalis nella sua costante e sublime ricapitolazione, fatta dai sempreverdi e salmodianti paroloni ad effetto: “sviluppo”, “ricadute occupazionali”, “centri commerciali”, “aree mercatali”, “colacementi” e infine “asfalti bituminosi”. E già che, di questi ultimi, oltre che di discariche, se non altro per professione, il De Pascalis ne è un’indiscussa autorità, sicché, come automaticamente penserete con grandi sospiri di sollievo, spariranno finalmente dalle strade di Galatina e frazioni crepe, gobbe e crateri maledetti la cui vocazione sembra esser quella di complottare atti terroristici a semiassi e coppe dell’olio delle vostre auto. Un po’ più difficile sarà invece tappare le buche di bilancio del Comune - ma per chi crede, più che per chi sa, la divina provvidenza non ha limiti.
Così, per rinfrescarvi la memoria, vorrei rammentare il fatto che nel 2010, salvo errori e omissioni, il novello vostro futuro sindaco fu candidato alla Regione Puglia nella lista denominata “I pugliesi per Rocco Palese”. Era questa una costola del partito del frodatore fiscale di Arcore, da cui poi successivamente ha fatto finta di staccarsi uno dei suoi pupilli (in leccese: pupiddhri), anzi quasi-delfino (più o meno lesso), nonché sinistro di qualche suo governo, tal Fitto Raffaele, inseparabile amico e forse pure parente del suddetto Rocco e i suoi fratelli.
A suo tempo riusciste addirittura a dargli in una sola botta non meno di 2500 voti, ma nonostante la vostra buona volontà egli non giunse a conquistare l’agognato seggio, come invece fu per il compagno di merende Palese, candidato presidente, anzi candidato perdente, al mulino del quale De Pascalis aveva portato i vostri secchi pieni d’acqua.
Coraggio, se v’impegnate un pelo di più questa volta alle comunali ce la farà al primo turno.
*
Nell’allegra combriccola delle policromatiche sigle a sostegno di De Pascalis (le famose cinquanta sfumature di Gianpiero) s’annovera finanche il Partito Socialista.
Ora. E’ possibile che nella lettura degli otto volumi del Capitale di Marx e nella sintesi epesegetica del Manifesto del Partito comunista (scritto con Engels) mi sia sfuggita qualcosa, ma nel mondo di sottosopra in cui ci troviamo a vivere pare sia addirittura naturale che un partito socialista possa essere di destra. Ecco perché nessuno riesce a distogliermi dall’idea che Marx l’abbiano seppellito già rivoltato nella tomba.
Ovviamente, accanto ai socialisti di destra non poteva mancare il nostro Udc (Uscite del c…) Giancarlo Coluccia, il per fortuna ex-sindaco di Galatina, anch’egli transfugo da chissà quante sigle di partiti (“partito”, evidentemente, è voce del verbo), a suo tempo accoltellato alle spalle (politicamente, s’intende) da buona parte degli attuali compagni di cordata (o forse di sola corda) con i quali, per questa tragicomica campagna elettorale, sembra essere tornato culo e camicia.
Nel 2011, con il crollo della sua giunta, così sentenziava il Farmacoluccia all’indirizzo dei suoi vecchi e nuovi “alleati” che come al loro solito chiedevano maggior visibilità: “I Socialisti sono molto bravi ad individuare le persone che possono vincere le competizioni elettorali, ma hanno dimostrato di non avere cultura di governo, sono refrattari all’amministrare. È la terza amministrazione, dopo quella di Rizzelli ed Antonica, che fanno cadere”. [forza: non c’è tre senza quattro, ndr.].
Povero Coluccia: zero ne pensava e cento ne combinava. Eppure sarebbe stato sufficiente dar retta proprio ai “compagni socialisti” - nel senso di concedere loro la tanto agognata “maggior visibilità” - per farli sparire in automatico dalla circolazione: bastava ascoltare l’ars oratoria, l’eloquio forbito, che dico, la dialettica ma soprattutto il dialetto dell’assessore Garzia (un nome, una garzia) per metterci definitivamente una garza sopra.
*
Tra i bruti accoltellatori di spalle di Giancarlo nostro non poteva certamente mancare il “giovane e concreto” Antonio Pepe, un pOLITICO capace finalmente di far ingranare la marcia a Galatina e dintorni. La retromarcia, per la precisione.
Sì, perché Pepe sembra avere un programma politico al cui confronto il codice di Hammurabi è un avveniristico capolavoro di modernità. Memorabili le sue catilinarie sul Quotidiano, suo house organ preferito, a proposito dei bancomat da installare nelle povere frazioni.
Cosa diceva, a proposito di Antonio Pepe, il noto baffetto politico nohano, cioè sempre Coluccia, conosciuto da tutti per la sua perspicacia politica e per aver collezionato più fiaschi della cantina Santi Dimitri?
Eccovi qualche carineria: “Come primo firmatario della mia sfiducia c’è Antonio Pepe, che ha tradito la mia fiducia e ha tradito non tanto i valori della sua appartenenza, perché è passato dal Pdl all’Udc, ma quelli della mia coalizione”. E poi ancora: “Si è sempre caratterizzato per la sua voglia di arrivismo, tanto che aveva chiesto al Pdl la candidatura a sindaco. Poi non ottenendola, è passato dopo qualche mese nella maggioranza”. E infine: “Per quel che mi riguarda è una persona inaffidabile”.
*
Ecco, cari concittadini, con questi presupposti alti e nobili una novella armata Brancaleone s’accinge a governare la città di Galatina.
La quale, già bistrattata, indebitata, sputtanata, intossicata, nonché violentata da cemento e asfalto, era a un passo dal baratro, anzi dalla discarica.
Con De Pascalis & Co. potrà finalmente fare un passo avanti.
Antonio Mellone
[fonti giornalistiche mai smentite dagli interessati: Il gallo.it; Lecceprima.it; e i siti di Galatina e dintorni tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012]
http://www.lecceprima.it/politica/commento-del-sindaco-dimissionario-galatina.html
http://archivio.galatina.it/politica/palazzo-orsini/2339-conferenzastampacoluccia
http://www.ilgallo.it/news-salento/galatina-si-ripartira-da-coluccia/
lug012023
I nohani sapevano già da tempo (ché di certe cose tengono rigorosa contabilità) che domenica prossima 2 luglio don Francesco Coluccia festeggerà il venticinquesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, avvenuta appunto un quarto di secolo fa nella piazza principale di Sogliano Cavour, suo paese natale, all’ombra della bella chiesa seicentesca dedicata all’Annunziata, per l’imposizione delle mani e l’unzione sacra dell’allora arcivescovo di Otranto Francesco Cacucci, davanti a una moltitudine di suoi concittadini.
È inutile dire che la maggior parte del suo presbiterato (ventun anni su venticinque del suo ministero) è stato svolto a Noha nella parrocchia di San Michele Arcangelo, onde lo stemma cittadino scolpito sul fastigio della chiesa madre, le famose tre torri, potrebbe diventare per osmosi (se non proprio per usucapione) la simbologia preponderante della sua arma sacerdotale. Oltretutto la scienza araldica non impiegherebbe chissà quanto a interpretarne le immagini. Del resto tre è numero biblico fortemente simbolico: tre sono le persone della trinità, i vangeli sinottici, le virtù teologali, e le fasi di passione, morte e resurrezione del Cristo (che avvenne dopo i tre giorni di sepolcro), eccetera.
Ma provando a non andare oltre il seminato (stavamo per dire seminario), diciamo che un venticinquesimo di vita sacerdotale non è mai un evento privato o esclusivo, bensì, per sua natura, comunitario. E le comunità che festeggeranno insieme questo importante traguardo sono molteplici: prima di tutto (non potrebbe essere altrimenti) la comunità parrocchiale di Noha, in tutte le sue ramificazioni; a questa s’aggiunge ovviamente la comunità di Sogliano Cavour; certamente anche quella dei suoi confratelli nel sacerdozio (intra et extra diocesi); non mancherà la piccola comunità (il pusillus grex) de Il Galatino, il giornale che il nostro Don dirige dal 2020; sarà presente senz’altro la tanto amata Casa Betania, e sicuramente pure la comunità salentina dei medici cattolici italiani, oltre a quella dell’Oratorio Madonna delle Grazie, dell’orchestra di fiati San Gabriele dell’Addolorata, delle Suore di Noha, e numerose rappresentanze di altre comunità.
A tutte queste s’aggiunge la ancor più piccola (ma resistentissima) comunità del blog Noha.it e della pagina Nohaweb: la quale, certa di interpretare il pensiero di tutte le altre comunità amiche (incluse quelle che s’è scordato di citare, e sono tante), formula a don Francesco Coluccia il più semplice, francescano, scalzo, ma efficacissimo augurio di Pace e Bene.
La Redazione di Noha.it
p.s. La Messa di ringraziamento verrà celebrata dal neo-arcivescovo di Otranto, P. Francesco Neri, sempre a Noha nella chiesa Madonna delle Grazie, domenica 2 luglio 2023 alle ore 20.
ott082023
A proposito di "murales" e "cippi mistici", di cui tanto si è discusso in questi ultimi giorni fra le parti della politica di casa nostra, si può dire che forse quanto è accaduto è servito a chiarire alcuni concetti apparentemente banali, ma che hanno invece una notevole importanza: quella dell’identità di una comunità e della sua storia.
Stiamo parlando dell’improvviso tsunami manifestatosi con spasmodici "spargimenti" di colori sulla facciata esterna dello stabile dell'anagrafe di Noha che hanno lasciato basiti molti cittadini, non solo nohani ma anche galatinesi.
Appare finalmente chiaro quanto l'attuale amministrazione Vergine abbia semplicemente completato un programma confezionato dalla precedente nel corso della sua legislatura (nel mentre si attendono con trepidazione le novelle iniziative con relativi finanziamenti, ndr.), mettendoci di suo soltanto la ciliegina sulla torta.
Stiamo parlando degli sviluppi grafici del famigerato murales sulla via del Calvario (mai metafora fu più azzeccata di questa), quantomeno discutibili, non soltanto dal punto di vista diciamo artistico, quanto da quello contenutistico e direi soprattutto politico, dacché la popolazione era all’oscuro di tutto, fino alla miracolosa apparizione del san Paolo (fuori le mura).
Si è parlato di “fondere” la storia di Noha con il fenomeno del tarantismo tramite un murales, o addirittura di una forma di “gemellaggio” fra due comunità. Ora, se è vero che Galatina fosse “immune” dagli effetti nefasti del morso di una taranta, è anche vero che Noha, salvo errori, non ha mai avuto a che fare con storie di pizzicati, balli, suonatori e tamburelli: a meno che non si voglia riscrivere la storia soltanto per inverare un teorema, insistendo con la narrazione assillante frutto dell’ormai stucchevole marketing territoriale cinico e rozzo, insofferente a ogni differenza, tutto chiacchiere senza distintivo, volto a eliminare ogni sapere non finalizzato a uno scopo pratico, utilitaristico e consumistico. È anche questa la famosa Cancel Culture, con la preghiera di non tradurre “cultura della cancellazione” ma, al contrario, “cancellazione della cultura”.
Del resto è scritto su centinaia di pagine di libri che nel corso della storia Noha ha avuto ben poco o quasi niente da spartire con le sorti di Galatina, almeno fino al tardo 1700. Oltretutto, fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, financo la parrocchia nohana era incardinata in una diocesi affatto diversa rispetto a quella di pertinenza del capoluogo.
A questo punto viene da chiedersi quale beneficio potrà mai generarsi nelle giovani menti delle nostre comunità, se si continuano a seminare (anche inconsapevolmente) confusione, voglia di omologazione, riduzionismo globale, damnatio memoriae, e incertezza con meschini stratagemmi tendenti tutti a cancellare il nome di Noha ad ogni piè sospinto.
Noha è orgogliosa di essere parte del comune di Galatina, ci mancherebbe altro: ma una cosa è dir questo, un’altra è fare di tutto per corroborare la presunzione onde sia il presente a giudicare la storia passata, disponendone la condanna o la sua cancellazione.
Ma non è l’oggi a dover insegnare al passato come avrebbe dovuto comportarsi. Semmai esattamente il contrario.
Marcello D’Acquarica
feb112017
Il fatto che il tronchetto della felicità, anzi della feudalità - cioè quell’enorme ramo di Pino domestico staccatosi dal fusto e precipitato all’ingresso della Masseria Colabaldi, occludendone da tempo la vista dell’antico portale – sia ancora là, nonostante il mio pezzo di denuncia pubblicato su Noha.it il 22 gennaio scorso, la dice lunga su quanto vengano prese in considerazione le segnalazioni dei cittadini (e soprattutto quanto le mie parole siano scritte sull’acqua o vaganti nell’aere, disperse dal vento sinistro degli insipienti e degli ottusi. Tiè).
Io ormai non me la prendo più con i proprietari della Masseria che si fanno i cazzi propri (con la speranza però che non vengano a rompere oltremodo i nostri), quanto con i nohani che passano mille volte al giorno davanti a quel bene culturale - che si staglia ancora oggi sull’acropoli di Noha dopo cinque secoli di storia quasi per quotidiano miracolo - senza muovere un muscolo della faccia, alzare ciglio, battere i pugni sul tavolo, balbettare una frase una di senso compiuto per chiedere il loro rispetto.
Niente di niente. Tabula rasa al suolo.
Del commissario prefettizio e dei suoi dirigenti/digerenti nemmeno a parlarne: sua eccellenza e codazzo di accoliti, dopo la posa della prima pietra (o, il che è uguale, di quella tombale) saranno evidentemente tutti impegnati nella ricerca dei nastri tricolori da tagliare in occasione dell’inaugurazione del mega-porco commerciale Pantacom, in contrada Cascioni, nei dintorni di Collemeto, vista la solerzia con la quale han fatto fare a Galatina un altro passo in avanti verso il calvario della sua crocifissione.
E i nostri rappresentanti politici locali, mi chiedete? Macché. Non pervenuti. Presi come sono con coalizioni, apparentamenti, affiliazioni, architetture di alleanze, “discussioni programmatiche”, glandi progetti politici, tu-dai-una-poltrona-a-me-io-do-un-voto-a-te, ricerca di un posto al sole, speranze di candidature buone per le prossime amministrative, e così via con questo schifo che sa tanto di vecchio che avanza, non hanno mica tempo da dedicare ai problemi del paese, e men che meno a queste inezie (si sa, “con la cultura non si mangia”, asserì un loro compagno di merende che gli empi onorarono con il titolo di ministro).
Quindi per favore non disturbiamo i manovratori, che tra l’altro stanno risparmiando tutte le loro energie per gli imminenti, sfiancanti porta-a-porta alla ricerca del voto perduto.
A proposito. Chissà perché da me non si presenta mai nessuno a chiedere voti: vuoi vedere che temono di trovare pane per le loro dentiere?
So per certo, invece, che continueranno nei secoli dei secoli a recarsi in processione nelle vostre case, accolti a braccia aperte, come il prete per la benedizione pasquale.
Continuate pure così, nohan-galatinesi, a credere a tutto quello che vi raccontano e promettono con la mano sul cuore. Siete liberi di continuare come sempre a farvi del male, di recitare la parte dei camerieri, di interpretare il ruolo dei valvassini, anzi dei servi della gleba di questo novello infinito medioevo, di vestire i panni dei lacchè anziché quelli dei cittadini liberi e pensanti. E dunque di dare loro il vostro suffragio universale diretto, basandovi sostanzialmente sul più facile credere che sul più ostico sapere.
Però, per l’anima dei morti vostri, dopo non venite a rompermi le scatole dicendomi che questo non va, che ci hanno dimenticati, che noi siamo cittadini di serie B, che io dovrei scrivere un articolo (che tra l’altro non leggerete mai) su questo e su quell’altro argomento (vi ho appena dimostrato a cosa servono i miei articoli: a nulla. E poi non scrivo sotto dettatura: che fa rima con tortura).
Non mi rimane che la curiosità di sapere se ci sono ancora speranze per Noha e dintorni, oppure no. Mi chiedo cioè se in giro ci sia ancora qualche nohano con un pizzico di dignità residua, uno che alla pressante richiesta di una preferenza da parte del notabile candidato di turno, in uno scatto di orgoglio sia in grado di rispondergli scandendo bene le parole: “Scusami, ce l’hai con me? Sì? Ma vaffanculo, va”.
Antonio Mellone
giu292009
Su "Il Titano" di quest'anno 2009 a pag. 45 troviamo l'articolo di Antonio Mellone che recensisce il libro "I beni culturali di Noha" di Marcello D'Acquarica. Ve lo riproponiamo di seguito. Il libro, che verrà presentato con una grande festa nel mese di settembre è disponibile presso la bottega d'arte di Paola Rizzo.
E’ da poco venuto alla luce dai torchi del bravo editore galatinese Panìco un libro dal titolo “I beni culturali di Noha”, il cui autore è Marcello D’Acquarica, un nohano che come tanti altri ha come domicilio un avverbio di luogo: fuori.
Marcello D’Acquarica infatti si guadagna il giorno a Rivoli, alle porte di Torino; ma appena può con moglie e figli torna a Noha, il borgo che gli ha dato i natali e che si è afferrato alla sua infanzia, quasi come gli ami si conficcano nella carne.
I beni culturali sono quei beni materiali ed immateriali che hanno qualcosa da insegnarci e che dovrebbero essere a disposizione di tutti. Al di là dei banali luoghi comuni che lo snob di turno possa formulare, Noha è ricca di beni culturali: ne ha molti di più di quanti non possano essere inclusi in un libro come questo di 135 pagine; anzi ne ha molti di più di quanti non si possa immaginare. E sono belli; alcuni originalissimi, e unici al mondo.
I beni culturali non hanno un valore puramente filosofico e teorico, ma si riflettono in tutte le trasformazioni ed il progresso di un popolo, il quale quanto più sa valutare e conservare il suo patrimonio d’arte, tanto più si sente spinto a rendere l’ambiente in cui abita più prezioso e civile. Il monumento non è soltanto una testimonianza del passato ma vive nel presente, svolge la propria missione sociale e rappresenta uno sprone a meglio operare per il bene della comunità. I beni culturali di fatto sono anche una latente energia che può trasformarsi in crescita e sviluppo valutabile pure in termini di ricchezza economica.
Questo libro rivoluzionario, fatto di parole ed immagini colorate, spinge a guardare Noha sotto nuova luce: che finalmente non sarà più quella della solita cronaca nera, della malavita, della mafia capace soltanto di tranciare gli alberi d’ulivo che lo Stato le confisca, ma quella della libertà, quella degli uomini dal cuore forte che non si piegheranno mai di fronte alla stupidità ed alla violenza dei talebani di turno.
Il libro dell’indomito Marcello D’Acquarica dedicato alle bibbie di pietra del nostro paese cerca di mettere al sicuro ciò che la trascuratezza minaccia continuamente di annientare attraverso omicidi colposi o premeditati della memoria: serve a foderare di carta i nostri beni culturali che sovente sfuggono dal nostro cervello per una distrazione che diventa distruzione, bombardamento, atto di terrorismo.
Il libro sui beni culturali di Noha è un congelatore, una cella frigorifera nella quale immagazzinare parole ed immagini per l’avvenire; parole e immagini che radicano un’appartenenza, una dignità, un’identità e spronano il lettore a non andare mai in pensione epistemologica.
L’obiettivo di questo libro-lotta allora non è quello di addobbare Noha a museo di storia fulminata, né quello di fermare il tempo intorno ai suoi pezzi di antiquariato, ma quello di farci comprendere che esiste una nuova grammatica dello stare insieme, e che l’investimento in cultura è forse quello che paga le cedole di interessi più alti, nonostante il capitalismo in buona salute tratti oggi la nostra società a merci in faccia e ci spinga a credere che l’unico metro dello sviluppo sia il PIL del cemento e dell’asfalto.
Questo libro non è già di per sé un restauro di beni culturali, che a Noha hanno calli, rughe ed osteoporosi, ma un pagamento di ticket, anzi una ricetta medica, quella rizzetta rossa preliminare, necessaria perché all’ASL (o alla Soprintendenza) ti facciano le analisi, i raggi, o le visite specialistiche. Questo libro spalanca le finestre per rinfrescare l’aria intorno ai beni culturali nohani: che sono pazienti, nel senso di degenti, infermi con bisogno di flebo ricostituenti o di ancor più invasive operazioni chirurgiche.
“I beni culturali di Noha” di Marcello D’Acquarica non serve solo da contenitore, da ricettacolo, ma anche da grandangolo attraverso il quale, con occhio libero da cataratta, tutto osservare e raccontare, e molto forse anche decidere.
Antonio Mellone
set152015
Visto che la prima (cioè l’ennesima) lettera indirizzata all’assessore Andrea Coccioli il 24 luglio scorso non ha avuto esito alcuno (capirai che novità, sicché la luce in fondo al tunnel del centro polifunzionale di Noha la vedremo con il binocolo), proviamo ad indirizzare alla nostra carissima delegata dal sindaco, al secolo avv. Daniela Sindaco, queste domandine semplici semplici. Ma, giacché ci siamo, vorremmo che sul tema battessero un colpo (non apoplettico, per carità di Dio) anche gli altri politici nohani, vale a dire: Antonio Pepe, Giancarlo Coluccia e Luigi Longo, tutti esponenti, insieme alla collega di cui sopra, del partito unico PD-NCD-RC (Pancia Dilatata, Non C’è Dubbio , Riposo Cerca).
*
Cari D-A-G-L, lo sapevate che, salvo errori od omissioni, sarebbero a disposizione dei comuni pugliesi 17.000.000 di euro per la ristrutturazione, il restauro e la riqualificazione del patrimonio architettonico e artistico del comune? Che questi fondi pare siano stati messi a disposizione dall’assessorato all’Industria turistica e culturale della Regione Puglia (e non, per dire, del Friuli Venezia Giulia)?
L’uccellino, cioè Internet (basterebbe bazzicarvi un poco, lasciando perdere ogni tanto le baggianate di FB, specie quelle sgrammaticate e oziose) ci ha rivelato che c’è un avviso pubblico, dunque senza segreto di Stato, rientrante nell’accordo di programma quadro (Aqp) “Beni e Attività culturali”, FSC Fondo di Sviluppo e Coesione 2007/2013, sottoscritto dalla Regione Puglia, dal Mibact e dal Mise il 13 novembre 2013, ratificato con delibera di Giunta regionale n. 2165 del 19 novembre 2013 (pubblicato sul Burp n. 158 del 3 dicembre 2013) e successivamente modificato con procedura scritta, avviata il 18 dicembre 2014 e conclusa l’8 gennaio 2015 (Dgr n. 461 del 17 marzo 2015).
Ebbene, lo sapevate che potrebbero (o, ahimè, avrebbero potuto) presentare le istanze di finanziamento gli Enti pubblici locali territoriali come i Comuni, singoli o associati, le Province, le Città metropolitane della Regione Puglia?
Cari D-A-G-L, volevo chiedervi, da semplice cittadino stanco della solita fuffa, se per caso aveste pensato e magari presentato (o sollecitato la presentazione di) un qualche progetto di “restauro, riqualificazione e valorizzazione” di qualche bene culturale di Noha, come per esempio la torre dell’orologio, svettante nella pubblica piazza (non si sa bene per quanto tempo ancora viste le sue condizioni statiche).
Se sì, perché non ce l’avete detto? E se no, perché no?
Ah dimenticavo: lo sapevate (ma sì che lo sapevate) che le domande dovrebbero essere inoltrate, pena esclusione, unicamente via Pec all’indirizzo beni culturali.regione@pec.rupar.puglia.it, a partire dal 1° settembre 2015 e fino alle ore 24 del 15 settembre 2015?
Dai, ditemi che ce l’abbiamo fatta.
Bene: ora avanti con la solita bufala. Di cui si sente già, lontano un miglio, un olezzo di stalla.
Antonio Mellone
ago262018
Certe volte il mio amico Dino mi mette in difficoltà. Lui, attento osservatore, ricorda tutto, i nomi delle persone, i loro gradi di parentela, la sequenza dei fatti del tempo che fu e molto altro ancora.
Io no, ma ogni tanto ci provo.
*
Dino, vale a dire Gerardo Paglialonga, è un anno più piccolo di me, ma abbiamo frequentato le stesse scuole e dunque condiviso alcuni insegnanti.
I suoi genitori erano troppo giusti, proprio dei bravi cristiani: Michelino (Pichinnànni), sempre gioviale, amico di mio padre, aveva costruito casa mia e quella di molti nohani; sua mamma, la Mimì, se n’era improvvisamente volata sulle nuvole molto prima di suo marito, quando Dino frequentava ancora le elementari.
Ricordo come fosse ieri il giorno in cui a Noha, per l’ultimo saluto alla povera Mimì, piansero pure le pietre.
Il dì dei funerali io avevo la febbre alta. Il termometro non voleva saperne di scendere al di sotto dei 40°. Per la debolezza non ce la feci nemmeno ad affacciarmi per vedere il corteo con tutti i compagni di classe che sfilavano proprio sotto la finestra della camera da letto dei miei dov’ero, nel talamo, ospite temporaneo. In quel pomeriggio con me c’era solo mio padre. Mia madre, invece, non mancò alle esequie della sua amica. Passato il feretro, e le salmodianti preghiere del parroco, mio papà si voltò verso di me e mi toccò la fronte scottante senza dire nulla. Mi accorsi che più di una lacrima aveva imperlato i suoi occhi rigandogli poi il viso.
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Dino è un pezzo di pane. Ne ha la stessa fragranza. E non solo perché è buono come il nostro alimento per eccellenza, ma anche perché fa il fornaio ormai da tanti anni presso la Panetteria Filieri/De Donno di Noha, dalla quale ogni mattina (prima ancora del furgone che lo distribuirà alle botteghe) parte il profumo che avvolge il paese.
Compri il pane da quel forno ma non riesci a portarlo integro a casa: durante il tragitto cadi inesorabilmente nella tentazione di accaparrarti di un pizzu, la coda della baguette, o la parte più crostosa di una rosetta. Stessa sorte subiscono le altre bontà come taralli, focacce e biscotti.
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Ma dicevo delle mie difficoltà quando m’incontro con Dino. Sì, perché a volte le sue non sono domande, ma test Invalsi a bruciapelo. Avete presente i problemi di Matematica della serie: “Sapendo che il lato minore è 9/11 del maggiore e che l’area del parallelogramma è di 594 cmq, calcola la misura delle altezze relative ai due lati”? Ecco, siamo a questi livelli. E tu ti scervelli nel trovare la soluzione con l’ausilio della calcolatrice contenuta in quell’aggeggio che un tempo si usava per telefonare, mentre Dino [che conosce già la risposta, e cioè che stavolta non c’è soluzione in quanto manca un altro dato essenziale, ndr.] ti incalza impietoso. Mannaggia sua.
Sulle prove d’Italiano cerco invece di tenergli botta, giacché su Foscolo, Manzoni e Leopardi non incontro chissà quali impedimenti - onde non ci rimane che convenire sulla bravura dell’insegnante per antonomasia, la nostra professoressa delle medie Franca Masi di Galatina, che evidentemente ha lasciato un segno positivo e indelebile in quasi tutti i suoi allievi [a questo proposito chiedo a chiunque abbia contatti con la suddetta prof. di riferirle che il suo ex-alunno Paglialunga Dino di Noha non vede l’ora di riabbracciarla, dopo giusto qualche decennio di distanza, ndr.].
Ma c’è un altro filone (stavolta non di pane) in cui Dino mi lascia letteralmente interdetto. Ed è il settore del calcio.
Ora. Come faccio a dirgli che io non ne capisco punto, che non sono tifoso di alcuna squadra, che non m’interessano gli sport praticati dagli altri (soprattutto se milionari, in mutandoni e alla rincorsa di un pallone), e che sì, possedevo la bandiera del Milan, ma sol perché mio cugino - ritornato finalmente a casa (grazie anche alla mediazione di mia madre) dopo essersene allontanato alla volta di Milano in polemica con il padre, come ogni buon figliol prodigo che si rispetti – me ne aveva portato in dono una acquistata direttamente allo stadio: ma io a quell’età non avevo ancora gli anticorpi necessari per imbastire strategie difensive contro pensieri, mode, e religioni mercatistiche soggioganti.
Sì, ok, lo ammetto, ho pure frequentato San Siro durante gli anni dell’università. Mea culpa. Però era gratis, grazie allo striscione del Milan Club di Niguarda che dovevamo esporre legato alla balaustra di una delle gradinate del Meazza; e poi questo fatto mi permetteva anche di studiare il fenomeno sociologico delle tifoserie più da vicino, anzi proprio dall’interno del campione bernoulliano di riferimento. Per essere più precisi, dalla Fossa dei Leoni del terzo anello della curva sud. Roba da Antropologia pura, anzi applicata.
*
Comunque sul calcio anche Dino, come tanti altri tifosi, ha le sue fisime: come quella di giocare ogni tanto la schedina del Totocalcio quando sa perfettamente che si tratta di un gioco d’azzardo, in quanto (come m’insegna lui medesimo) la probabilità di beccare un tredici è pari a uno fratto tre elevato alla tredicesima potenza, vale a dire un caso favorevole su oltre un milione e mezzo di casi equipossibili (1/1.594.323 per la precisione), con l’aggravante di puntare per scaramanzia, lui di fede rossonera, sempre sulla sconfitta del Milan.
Insomma qualche lato debole ce l'ha anche Dino. Per dire che non faccio solo sviolinate.
*
Per fortuna a Noha ci sono donne e uomini, come il mio amico Dino Paglialunga, che mi permettono di coltivare ancora il vizio (o la virtù) che purtroppo molti concittadini - per inerzia o assuefazione - sembra abbiano smarrito per strada: vale a dire quello di ammirare e possibilmente custodire il proprio paese e le sue persone migliori.
Antonio Mellone
mag172010
"E' di Noha il campione de "L'Eredità", il programma di Rai Uno.
Si chiama Federico Notaro, studia medicina a Roma e suona anche l'organo nella chiesa Madonna delle Grazie di Noha.
Congratulazioni da parte dei tuoi concittadini nohani.
video a cura di Dino Valente del sito galatina.it
dic142013
Se un giorno vi dovesse capitare di trovarvi a Padova, dopo aver naturalmente visitato la grande Basilica del Santo, fate una tappa alla Cappella degli Scrovegni. Vi potrebbe succedere, come è successo a me, di incontrate alla biglietteria una simpaticissima signora leccese. La visita dura pochi minuti per permettere a tutti i numerosissimi visitatori di poter ammirare i meravigliosi affreschi di Giotto. Se poi, come me, avrete anche la fortuna di fermarvi qualche minuto in più, avvalendovi di qualche lecito escamotage, non potrete fare a meno di trattenervi sulla personificazione dei vizi sulla parete nord e delle virtù su quella sud. I vostri occhi, obbligati dalla forza di gravità, incontreranno la Iustitia, così spiegata in latino “giusta esamina ogni cosa col piatto della bilancia, la giustizia è perfetta nel premiare il bene, usa con vigore la spada contro i vizi. Tutte le cose godono della libertà se questa regnerà, agirà con benevolenza chiunque compirà qualcosa”. Per Giotto la Giustizia è una regina che siede su un trono prezioso, all’ingresso della città. Regge una bilancia con la quale governa con grande equilibrio. Sul piatto destro vi è un angelo che incorona il bene mentre sul sinistro uno sta giustiziando il male. Sotto, quattro cavalieri procedono verso un villaggio dove si danza, si suona e si gode dell’ottimo frutto del giusto governo. Nella parete opposta, invece, vi è l’Iniustitia, un tiranno con gli artigli come Lucifero, la rappresentazione del caos. È armato di spada e di lancia uncinata e la porta della città alle sue spalle sta venendo giù a pezzi. La natura di fronte a lui è inselvatichita, come se ogni cosa sfuggisse all’ordine morale dell’esistenza. La strada sotto di lui è infestata da predoni che commettono ogni genere di violenza. Fortunatamente però sopra la porta d’ingresso della cappella il giudizio universale domina su tutto e prefigura quello che spetta ai virtuosi e ai viziati.
Mentre un mio carissimo amico mi faceva da Virgilio al cospetto di tutta questa bellezza, non vi nascondo che la mia mente, nel riflettere sulle conseguenze dell’ingiustizia e del cattivo governo, balzava a Noha. Immaginavo le fantomatiche porte del nostro piccolo paese cadere a pezzi sotto i colpi inferti dalla pessima amministrazione che da tempo tormenta noi nohani e il nostro paese. La natura selvaggia, che rappresenta ogni sorte di individualismo e corruzione, ha ormai preso il sopravvento su tutto, invadendo ciò che fino a poco tempo fa sembrava immune. E magari per terra ci fosse veramente erba invece di asfalto malridotto! Qua mi sa che le erbacce, intanto, crescono indisturbate nella mente di qualcuno. I predoni continuano a fare scempio di ogni zolla che calpestano e scendono in paese come bande di teppisti a volto scoperto. Occupano le prime file nelle processioni, siedono sui primi banchi dei convegni e delle manifestazioni ed è loro il primo intervento di ogni discussione. Gettano, come muratori impazziti armati di cazzuola, cemento e malta a destra e a manca, imbrattando l’ambiente e il sano pensiero. L’immondizia spadroneggia ai bordi delle strade e sugli abbozzati rondò, realizzati dai più squattrinati artisti decadenti. Gli artigli spregevoli della malagiustizia e della cattiva amministrazione li vedo dovunque, e non perché io sia un isterico, ma perché non c’è un angolo di Noha che non sia stato oggetto di “graffi” reiterati dalla mala politica locale e dall’insensatezza di alcuni nostri concittadini. E altro che rivolta dei forconi: qui non basterebbe neanche un esercito incazzato dell’impero romano, forgiato dalla più avanzata tecnica di guerra mai concepita, per smantellare anche di un solo centimetro la trincea della cocciutaggine cittadina e dell’insofferenza di tutto l’apparato municipale.
Quando la sera si rincasa e si chiude la porta, Noha rimane sola, in pasto ai predoni. E quanti si aggirano di questi tempi come bestie randagie e rabbiose! Signor sindaco, assessori e consiglieri tutti, visto che sto per venire a passare il Natale a Noha, nella macchina, insieme ai bagagli, ho caricato anch’io qualche forcone. Ho intenzione, insieme a qualcun altro più arrabbiato di me, di venire a Galatina a prendervi dalla poltrona per accompagnarvi a Noha, strattonandovi per un orecchio come il più asino degli scolari (con tutto il rispetto che ho io per i muli che non sono asini), per farmi spiegare cosa avete in mente di fare per questo paese. E ogni volta che alle mie domande incalzanti mi risponderete con la solita esclamazione psicopatica “non ci sono soldi”, una scarica di calci pioverà sulle vostre natiche perché quello che c’è da fare poco ha a che vedere con il danaro. Qui non si tratta di mancanza di fondi o casse vuote; qui si ha a che fare con la più grave forma di peccato esistenziale: l’accidia. A proposito di soldi: poiché è stato stanziato qualche milione di euro per rimettere in sesto le strade, non appena un centesimo si volatilizzerà nell’etere, qualche forca questa volta bucherà veramente qualche natica. Di cosa stiano facendo per Noha, Galatina, Collemeto e Santa Barbara (che continua a mandargli benedizioni dal cielo), nessuno sa niente. L’importante per loro è che anche quest’anno sia stato innalzato l’albero di Natale in piazza San Pietro. E come stanno sguazzando in questi ultimi tempi, cullandosi nella scusa che tutta l’Italia vive un periodo di austerità! Peccato per loro però che è proprio in questi momenti difficili che si vede chi è propenso al buon governo. E se questa è l’accezione del buon politico, allora vuol dire che palazzo Orsini è occupato ancora da proci. Ma la tela di Penelope è già stata ultimata da tempo, e guai a loro appena si scorgerà l’ombra di ulisse in lontananza.
nov302014
Giorni fa è apparso su questo sito un laconico comunicato-stampa da parte del nostro amatissimo assessore con delega ai contorsionismi, ing. Andrea Coccioli, già noto ai nohani come il promotore finanziario delle loro sepolture.
Nella prima parte del pezzo l’assessore - che a quanto pare ha preso a cuore la storia della vecchia-e-a-tratti-ristrutturata scuola elementare di Noha (ma così a cuore che gli dispiace evidentemente di liberarsene risolvendo una buona volta i problemi creati da chi sa chi) - ha ribadito che quel centro polivalente è collaudato ed agibile (chi mai avrebbe osato dire che non lo fosse rimane un mistero) e che è affidato al Cesfet (cioè a quei ragazzi-eroi che, nonostante tutto, cercano di far funzionare al meglio quella struttura).
Se il suddetto assessore ai lavori cubici si fosse limitato a puntualizzare l’ovvio ed il già noto di cui sopra noi non avremmo osato batter ciglio, né storcere il muso. E’ che purtroppo per lui, ma soprattutto per noi, si è dilungato sciorinando in politichese stretto delle ossimoriche incommensurabili corbellerie, tipo che “la struttura assegnata al consorzio C.E.S.F.eT. è perfettamente funzionante con l’allaccio elettrico provvisorio sufficiente per un suo efficace utilizzo”, e che “E’ tuttavia necessario ampliare la potenza elettrica come previsto”.
Di grazia, se la struttura è “perfettamente funzionante” perché mai “è necessario ampliare la potenza elettrica come previsto”? E in quel “perfettamente funzionante” - chiediamo - sono per caso inclusi anche l’impianto di riscaldamento, l’ascensore e il fotovoltaico installato in terrazza? In caso contrario, cosa intende il nostro arrampicatore sugli specchi pubblici per “perfettamente funzionante”?
Pensando ancora di prenderci per il loculo, l’assessore continua imperterrito nelle sue iperboliche castronerie affermando che “non è stato possibile dar corso al completamento in quanto non erano disponibili le somme necessarie alla costruzione della cabina elettrica propedeutica ad un aumento di potenza”. Al poveretto sfugge forse che per la ristrutturazione della vecchia scuola elementare di Noha furono stanziati e spesi all’incirca 1.300.000 euro di soldi nostri; che quella cifra non proprio modestissima comprendeva la consegna della struttura “chiavi in mano”, cioè funzionante di tutto (non tutto tranne qualcosa come attualmente purtroppo ancora è); e che il lemma “propedeuticità” connesso alla cabina elettrica avrebbe dovuto assumere un significato letterale e non letterario, vale a dire che qualcuno avrebbe dovuto pensare ad una cabina elettrica un po’ prima di inaugurare quel centro polivalente, e non invece accorgersi, a scoppio ritardato, che qualcosa non andava per il verso giusto.
Poi finalmente il nostro assessore del fare (giri di parole) chiude il suo tractatus con il più classico dei giuramenti politici (altro ossimoro), da proferire solennemente con la mano sul cuore: “L’attenzione sul tema non è mai calata [chissà se grazie anche alla trentina di nostri articoli sul tema, ndr] tanto che ora sono state individuate le risorse economiche [ah sì? Bene, bene. E a quanto ammonterebbero queste “individuate risorse economiche”? Si potrebbe venire a saperlo o questi numeri rientrano nel quinto mistero di Fatima, anzi di Galatina? Ndr] e quindi l’ufficio lavori pubblici provvederà [si ha per caso un’idea dei tempi? Diciamo tra giugno e settembre 2015? Ndr] di concerto con Enel [i famosi concerti del mostro, ndr] ad effettuare i lavori [stavolta, speriamo non pubici, ndr].
Qui è come se un collaudatore di biciclette (posto che questi, nonostante i convegni sul tema, sappiano cosa sia una bicicletta) avesse voluto rifilarcene una senza sella per la modica cifra di 1.300.000 euro, cercando di vendercela come “collaudata ed agibile” ovvero “perfettamente funzionante”, e con la pretesa di vederci addirittura contenti e soddisfatti, come tanti lecculi.
Antonio Mellone
nov012021
E’ tempo di vendemmia e Lino, un carissimo amico di Noha, mi invita a rivedere le procedure per la preparazione del vino, di cui qualcuno dice: uno dei tanti doni di Dio per la gioia degli uomini (e anche delle donne).
Quindi fra una prima rimessa di rosato, un rimescolamento del mosto e una spremitura ci scappa una specie di assolo musicale: il suono metallico del torchio che pressa a forza di vite, in questo caso senza fine. Sono sensazioni che fanno parte del profondo di ognuno di noi, indescrivibili.
Sono tante le storie che passo dopo passo emergono come suppellettili da un Titanic affondato.
E’ l’esercizio della memoria, quella cosa che diventa storia per cui se non la esercitiamo non impariamo mai la lezione.
Rosina, la zia del mio amico, è una protagonista importante di questa piccola storia, perché porta con sé le gioie del suo tempo e abbandona il resto, costringendo il tutto in un bel bicchiere di vincotto che ci prepara con gioia e condividiamo per l’occasione: una pagina di ricordi anche questa, del vincotto, straboccante di cose semplici.
Ed è grazie a Rosina che spunta fuori come da un cilindro magico una bellissima testimonianza: una foto di venti splendide ragazze di Noha, appartenenti al gruppo di Azione Cattolica del 1950, e alle loro spalle a fare da sfondo, la maestosa cupola della chiesa madre di San Michele Arcangelo. Dalle scarne informazioni raccolte e dal cartello tenuto in mano dalle due ragazze centrali, pare si trattasse dei festeggiamenti per l’elezione di Giovanni XXIII, il Papa buono, al secolo Angelo Giuseppe Roncalli, eletto vescovo di Roma il 28 ottobre del 1958 e incoronato 261° pontefice il successivo 4 novembre.
Mi vengono subito alla mente certe lettere di Don Paolo, l’Arciprete Curato di Noha di quegli anni. Una strana sequela di lettere e comunicati fra Don Paolo e gli enti pubblici, che descrivono le peripezie della nostra bellissima cupola. Pare che con i suoi spicchi di vetro e maioliche riflettesse la luce del sole in mille frammenti luminosi tanto da sembrare una stella. Qualcuno volle vedere in quei bagliori i riverberi provenienti dai paesi lontani, dove molti figli nohani dovettero anche allora andare in cerca di fortuna.
Il 15 dicembre del 1936, per esempio, il nostro Don Paolo deve sollecitare ancora una volta un intervento urgente riguardante la stabilità della cupola, e difatti così scrive:
“Torno a pregare V. S. Illustrissima che voglia provvedere alle urgenti riparazioni della Cupola della Chiesa Parrocchiale.
L’inconveniente è grave perché in tutte le giornate piovose viene impedito il libero esercizio del culto a causa dell’acqua che viene giù abbondante. Inoltre per l’infiltrazione dell’acqua tutto il centro della cupola è seriamente danneggiato per l’umidità. Nella certezza che la S.V. vorrà provvedere onde evitare danni maggiori per l’avvenire, si abbia i miei distinti saluti.
Reverendissimo Arciprete Don Paolo Tundo”
Peccato che le cose belle, come anche la nostra cupola, stiano pian piano scomparendo, per essere sostituite da non si sa bene cos’altro.
Marcello D’Acquarica
feb172018
E' proprio il caso di dire che quando tutto gira bene si raggiungano grandi traguardi.
L’anno che ci siamo lasciati alle spalle è stato un anno straordinario; primo perché nel mese di Luglio abbiamo superato alla grande la prima visita ispettiva dell’ASL dopo due anni dall’accreditamento della nostra sede, e poi perché abbiamo raggiunto un traguardo che non ci aspettavamo: le 490 donazioni in un solo anno.
I nostri donatori in questo sono stati dei grandi protagonisti, insuperabili, bravi, è grazie a loro che certi traguardi si raggiungono. E quando parlo di traguardi non mi riferisco al mero risultato pocanzi detto, ma mi riferisco alle centinaia di vite salvate. Questo i donatori della nostra sezione (non solo nohani) lo hanno capito bene e rispondono ai nostri appelli ad oltranza, come una partita giocata ai calci di rigore, una volta io, una volta tu.
Questo penso che sia stato anche il motivo per cui nel 2017 siamo stati “premiati” diciamo così assegnandoci ben 12 giornate di raccolta tra cui 6 di Sabato pomeriggio e 6 di domenica mattina. “Premio” maggiorato per il 2018 con l’assegnazione di ben 14 giornate di raccolta, 5 pomeridiane e 9 di domenica mattina. A mio avviso questo ha favorito i nostri donatori che hanno più possibilità di organizzare le loro donazioni, perché se un donatore è impossibilitato una volta probabilmente sarà disponibile per la prossima. È chiaro che dal punto di vista trasfusionale, ogni raccolta deve essere produttiva per non disperdere le poche risorse che ci sono, sia quelle economiche , sia quelle umane. Possiamo dire però che la nostra sezione ha sempre garantito e registrato raccolte superiori alla media e a volte anche di gran lunga. Tiriamoci su le maniche quindi e iniziamo a darci da fare tutti insieme per un altro anno di vite da salvare, perché se un anno finisce un altro è già iniziato e come sempre è iniziato con la Festa del Donatore e di ringraziamento appunto, svolta Sabato 13 Gennaio, nella quale alla presenza di donatori e cittadini comuni, sono stati premiati ben 73donatori benemeriti, tra cui la donatrice Mariella Serafini premiata con la medaglia d’Oro, dal Presidente della Fidas Leccese Emanuele Gatto per aver effettuato 60 donazioni.
La nostra donatrice Mariella è la quinta tra i nostri donatori che hanno raggiunto tale traguardo ed anche la seconda tra le donne che ha donato di più, eccola ritratta nella foto scattata durante la Festa del Donatore insieme al Presidente Provinciale Emanuele Gatto.
Antonio Mariano
FIDAS News Febbraio 2018
giu022019
Non avrei mai immaginato che le mie perversioni mi portassero a compulsare i dati delle Europee 2019, per la precisione quelle del campione bernoulliano costituito dalle quattro sezioni nohane di raccolta voti (la n. 17, la n. 18, la n. 26 e la n. 28): campione direi sufficientemente rappresentativo dell’universo Salento, se non proprio dell’Italia intera.
Il primo dato che salta subito all’occhio è quello che Noha - e quindi anche il resto della provincia salentina (a meno del capoluogo) - è leghista. L’altro è che almeno il 60% dei votanti è rimasto a casa: in parte per il disgusto nei confronti di certi diciamo dibattiti, in parte per la delusione insita nella rappresentanza quasi automaticamente tradita dai di volta in volta eletti, e infine anche per un pizzico di ignoranza, nel senso che davvero molti esponenti dell’elettorato diciamo attivo non sapevano manco che nel mese di maggio 2019 si sarebbe votato per i deputati al parlamento europeo (posto che quelli che invece hanno espresso il loro voto lo sapessero, conoscendone pure meccanismi e funzioni).
Io tuttavia non riesco a vedere chissà quale rivoluzione copernicana rispetto ai numeri di cinque anni fa.
Intanto la percentuale dei votanti è sostanzialmente sempre quella, come pure le motivazioni: nel 2014, infatti, votarono 1274 nohani su 3197 aventi diritto (vale a dire il 39,84%), mentre nel 2019 1205 su 3176 (cioè il 37,95%).
E poi non è che chi chissà quale virata a destra abbia compiuto l’elettorato, essendo sempre stato nei secoli fedele al duce di turno. Sì, è vero che la Lega è passata da 8 voti (pari allo 0,62%) del 2014, agli attuali 336 (pari al 27,88%), merito anche del rosario che, a proposito di suffragio, continua a fare miracoli, ma non scordiamo che nel 2014 Forza Italia più NCD (“Nuovo” Centro Destra) raccolsero a strascico 407 voti (vale a dire il 31,94%). Non so voi, ma io ho la sensazione che la materia grigia - vabbè un po’ più scura - di FI, NCD e Lega sempre quella è.
Se poi vogliamo fare i pignoli, possiamo dire che si tratta di un effetto vasi comunicanti, o meglio del solito salto dalla padella all’orbace [l’orbace è un tessuto nero, di felpa, insomma una mussolina, ndr.].
Va bene che Salvini Matteo, nelle quattro sezioni in analisi (sarebbe meglio psicanalisi), ha raccolto 85 preferenze (a Galatina in totale sono 777), ma non scordiamoci che ben 46 nostalgici nohani (sui 117 che hanno votato il suo partito) hanno contribuito all’ennesima risurrezione di Berlusconi.
Siete curiosi di avere notizie anche di Fratelli d’Italia e dei voti pro-Fitto? CIN-QUAN-TUNO, signori miei: 51 preferenze (su un totale di 84 voti) al candidato questa volta meloniano (non melloniano, attenzione), noto recordman politico che ha cambiato più Maglie del calciatore Jefferson Louis.
Quanto a Casa Pound, quelli della casa editrice, a Noha abbiamo 9 novelli elettori, pari allo 0,75%. Troppi ossimori nel precedente periodo, dite? Può darsi, ma non fatemi fare altre battute satiriche sul tema, visto la querela facile di certi loro esponenti locali.
E veniamo al Movimento 5 Stelle, che in loco annovera ben due parlamentari i quali, poverini, si sacrificano per noi. Orbene, nel 2014 raccolsero 217 voti (il 17,03%), mentre quest’anno 266 (il 22,08%): diciamo che hanno mantenuto e racimolato qualcosina in più: evidentemente a Noha l’elettorato non si è ancora reso conto della virata a destra di questo Movimento (dimmi con chi ti allei e ti dirò cosa farai), dei suoi tradimenti sui temi dell’ambiente (Onestap, Onestap), e del suo confuso balbettio politico che dice tutto e il suo contrario (la chiamano post-ideologia, ma potevano fermarsi al solo concetto di post).
Poi c’è l’ineffabile PD che, nonostante Calenda, rispetto al 2014 perde 225 voti, da 474 a 249, passando cioè dal 37,20% al 20,66%.
Ora. Hai voglia a dirti di sinistra se non dirai e non farai mai una cosa di sinistra, tipo combattere il dogma neoliberista, iniziare a pensare a una patrimoniale seria, stimolare anziché anestetizzare il conflitto sociale ricchi-poveri, lottare per l’ambiente e non solo a chiacchiere, ritornare a rendere effettivi il diritto alla salute, al lavoro, all’istruzione e alla bellezza. Fino a quando il PD si farà trascinare al livello della destra perderà sempre (se non altro perché verrà battuto dall’esperienza).
C’è infine il Partito Pirata, che a Noha non ha preso nemmeno un voto. I miei concittadini non avranno ben compreso il fatto che Pirata è voce del verbo e che in vernacolo locale la parola è sdrucciola: cioè si legge con l’accento sulla i.
Se no gli avrebbero dato la maggioranza assoluta.
Antonio Mellone
feb142007
Eccovi le lezioni tenute da
P. Francesco D'Acquarica - il 29 gennaio 2007
e da
Antonio Mellone - il 1 febbraio 2007
davanti a vasta e competente platea, nel ciclo di lezioni dell'Anno Accademico 2006-2007 dell'Università Popolare "Aldo Vallone" di Galatina, nei locali del Palazzo della Cultura, in piazza Alighieri, cuore di Galatina.
E' ora che la nostra storia varchi i confini e gli ambiti più strettamente "provinciali".
1)Lezione di P. Francesco D'Acquarica
Lunedi scorso da questa stessa “cattedra” ha parlato P. Francesco D’Acquarica. Il quale m’ha riferito di aver preparato la sua lezione con slides e foto che poi per questioni tecniche non ha potuto utilizzare.
Oggi chi vi parla, non disponendo,… anzi - diciamo tutta la verità - non avendo tanta dimestichezza nemmeno con quella diavoleria elettronica altrimenti chiamata Power Point, non ha preparato slides, né foto, non vi farà provare l’ebbrezza di effetti speciali (a prescindere dal loro funzionamento) e non vi proietterà nulla. E dunque, pur avendo oltre trenta anni di meno di P. Francesco, essendo molto meno tecnologico di P. Francesco, dimostrerà, con questo, come la storia a volte… possa fare salti indietro.
*
Quindi da un lato non vi proietterò nulla; dall’altro vi chiederò uno sforzo di immaginazione (ma alla fine vi suggerirò un supporto, uno strumento portentosissimo per fissare, per memorizzare quanto sto per dirvi. Poiché come diceva il padre Dante “… Non fa scienza, sanza lo ritener l’aver inteso”. La scienza è cioè contemporaneamente “comprensione” e “memoria”. Sapere le cose a memoria senza averle capite non serve a nulla; ma non serve a nulla nemmeno comprendere e non ricordarle! Cioè se uno intende, comprende, ma non ritiene, cioè non memorizza, è come se non avesse fatto nulla: o meglio non ha – diciamo – aumentato la sua scienza).
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Questa sera cercheremo però in un modo o nell’altro di fare un viaggio nel tempo e nello spazio. E’ come se questa stanza si trasformasse in una macchina del tempo (ma anche dello spazio: ma non un’astronave!) che ci porti indietro nel tempo, nella storia, ma anche nella leggenda, nella favola, poiché, sovente, là dove scarseggia la documentazione, là dove il piccone dell’archeologo tarda a farsi vivo, è necessario supplire con altri dati, in molti casi con delle “inferenze” (che non sono proprio delle invenzioni) ma, diciamo, delle ipotesi ragionevoli.
Così dice il Manzoni nel capitolo XIII, allorché parla dello sventurato vicario – poi, bene o male, salvato, dalla inferocita folla, da Antonio Ferrer – “ Poi, come fuori di se, stringendo i denti, raggrinzando il viso, stendeva le braccia, e puntava i pugni, come se volesse tener ferma la porta… Del resto, quel che facesse precisamente non si può sapere, giacché era solo; e la storia è costretta ad indovinare. Fortuna che c’è avvezza.”
La storia è costretta ad indovinare; la storia s’inventa sovente le cose: fortuna che c’è avvezza.
La storia è avvezza ad inventar le cose!
E se lo dice il Manzoni stiamo tranquilli.
Dunque a volte nella storia può funzionare (e funziona: tranne che per qualche sofisticato prevenuto o per chi voglia leggere la storia con pretese inutilmente tormentatrici) la “ricerca interpretativa”; quella, per esempio, che porta un autore a dire esplicitamente quello che non ha detto, ma che non potrebbe non dire se gli si fosse posta la domanda.
Così in mancanza di documentazione la storia può servire non a darci delle risposte, ma a farci porre delle domande.
Le risposte ragionevoli a queste domande altro non sono che la costruzione della storia, nella quale – come dice Antonio Antonaci - il territorio, il folclore, la trasmissione orale, il dialetto, il pettegolezzo finanche, la leggenda il dato antropico, quello religioso, quello politico, ecc., si intersecano, uno complemento dell’altro…
E’ ormai pacifica un’altra cosa: lo storico, nelle sue ricostruzioni, inserisce il suo punto di vista, la sua cultura, finalità estranee ai testi ed ai fenomeni osservati. Per quanto cerchi di adattare il suo bagaglio concettuale all’oggetto della ricerca, lo storico riesce di rado a sbarazzarsi del filtro personale con cui studia le cose.
*
Ma prima, di procedere in questo viaggio fantastico, visto che vedo qualche volto perplesso (della serie: a che titolo questo sta parlando?) volevo dirvi chi è l’autista di questo autobus, chiamiamolo pure pulman turistico diretto verso Noha: la guida, se volete, di questa sera.
Dunque mi presento intanto dicendovi che sono Antonio Mellone. E su questo non ci piove.
E poi come constato con piacere, in mezzo a voi questa sera ci sono tanti miei cari ed indimenticati maestri che mi hanno avuto alunno alle scuole superiori: oltre al prof. Rizzelli, vedo la prof.ssa Benegiamo, la prof.ssa Baffa, la prof.ssa Giurgola, il prof. Carcagnì, la prof.ssa Tondi, la prof.ssa Masciullo, il prof. Beccarrisi, il prof. Bovino conterraneo, il preside Congedo, vedo l’ing. Romano, e tanti altri illustri professori delle medie, dei licei, della ragioneria ed anche dell’Università di Lecce, come il prof. Giannini, che ringrazio per le parole a me indirizzate. Sicché stasera più che in cattedra, mi sento interrogato, diciamo.
Grazie per l’onore che mi concedete nel parlare a voi, siate indulgenti con me, come tante volte lo siete stati allorché sedevo … dall’altra parte della cattedra!
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Dunque per chi non mi conoscesse…
Sono di Noha, 39 anni, laurea cum laude in Economia Aziendale presso la Bocconi di Milano, dottore commercialista e revisore ufficiale dei conti, attualmente impiegato alle dipendenze di un importante istituto di credito (importante è l’istituto di credito: non io!) con la carica di Direttore della filiale di questa banca in quel di Putignano, in provincia di Bari.
Ecco: finora questi dati sono soltanto serviti a confondervi ulteriormente le idee, perché da subito spontanea sorge in voi la domanda: e questo Mellone cosa c’azzecca con la storia di Noha?
Allora aggiungo qualche altro dato: e vi dico che sono di Noha e che quell’Antonio Mellone che scrive su “il Galatino” (e gli argomenti nella maggior parte dei casi vertono su temi nohani) da ormai oltre 10 anni, è il sottoscritto.
Non solo, aggiungo e quadro il cerchio, dicendovi che ho curato e scritto insieme a P. Francesco D’Acquarica per l’editore Infolito Group di Milano nel mese di maggio 2006, il libro “Noha. Storia, arte, leggenda”, sul quale ritornerò qualche istante alla fine della nostra conversazione.
Fatta tutta questa premessa di carattere metodologico (che se volete potete considerare pure come “excusatio non petita”) entriamo nel vivo della discettazione, o lectio, o “lettura” che dir si voglia (così come un tempo veniva chiamata una lezione universitaria).
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Per la Storia di Noha, questa sera, non faremo un exursus: salteremo da palo in frasca, parleremo di tutto di più, ma vedrete che, senza dirvelo, un filo conduttore, un disegno, fra tutte queste disiecta membra ci sarà.
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La prima domanda che sento rivolgermi da tutti quelli con cui discetto di Noha è la seguente: da dove deriva questo nome?
Risposta a voi qui presenti: ve ne ha già parlato P. Francesco D’Acquarica lunedì scorso.
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Una curiosità intanto: sapete cosa significa Noha nell’arcaico linguaggio degli indiani d’America? Il lemma “Noha” significa: auguri di prosperità e gioia. L’ho scoperto sentendo un CD dal titolo The sacred spirit - Indians of America. Collezione Platinum Collection 2005. Quindi a qualcuno se volete augurare salute, prosperità e gioia, d’ora in avanti, al compleanno, a Natale o al compleanno, potete dirgli “Noha”. Noha: e non sbagliate!
* * *
P. Francesco la volta scorsa vi ha parlato di una serie di ipotesi a proposito del nome Noha. Io questa sera vi racconto un mito: quello della principessa Noha, che poi avrebbe dato il nome al nostro paese, che prima si chiamava NOIA..
… Noha era una bellissima principessa messapica, che per amore di un giovane principe-pastore, Mikhel, principe di Noia, si stabilì in quel paese cui poi diede il nome.
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Nei campi dell’antica Messapia, per una traccia di sentiero, segnata da innumerevoli piedi nudi tra le erbe, (solo le più abbienti portavano i calzari) le donne messapiche, sguardo fiero di occhi neri e pelle bruna, capelli lucidi aggrovigliati e andatura energica, portavano con sé panieri pieni di cicorie e formaggio.
Andava, sì, scalza, anche la principessa Noha, mentre le piante dei piedi si espandevano illese sul sentiero, ma il suo portamento, il piglio, il tintinnio dei suoi monili e la cura con cui annodava i capelli e li fermava con cordelle di seta colorata, manifestavano la sua origine regale, nonché la sua voglia di essere bella.
Quando fu il tempo deciso dal re suo padre, Noha si trovò a dover scegliere quale compagno di vita uno fra i molti pretendenti invitati a palazzo…
Ogni pretendente portò con se un dono, secondo le proprie possibilità. Ora, uno portò collane di diamanti costosissime, un altro un anello d’oro molto prezioso, un altro ancora in dote avrebbe portato terreni e palazzi…
Ma la saggia principessa Noha, fra i tanti corteggiatori, per condividere la sua vita, scelse Mikhel, principe di Noia, che le aveva portato in dono solo ciò di cui egli era dotato: e cioè il sorriso, la gentilezza, la semplicità, il rispetto dell’ambiente, l’altruismo, la gratitudine, il senso del dovere e tutto quanto fa vivere in armonia con se stessi, con gli altri e con il creato. Noha reputò che questo era un vero e proprio scrigno di tesori.
Noha rinuncia così per amore allo sfarzo ed agli agi del castello della “Polis” di suo padre (che viveva nella importante città di Lupiae), vivendo felice e contenta nella cittadina del suo Mikhel.
Mikhel e Noha celebrarono le loro nozze a palazzo reale, ma poi vissero la loro vita coniugale nella piccola Noia, nella semplicità, nella concordia e nell’armonia e la governarono così bene da rendere tutti felici e contenti.
Fu così che il popolo, grato, scelse democraticamente di cambiare il nome della cittadina da Noia in Noha.
* * *
Ora allacciate ben bene le cinture di sicurezza: andiamo finalmente a Noha!
La volta scorsa avete avuto modo di conoscere la chiesa piccinna, il Pantheon della Nohe de’ Greci, una chiesa che si trovava proprio in centro, accanto alla chiesa madre, dedicata a san Michele, patrono di Noha.
Questa chiesa piccinna era dedicata alla Madonna delle Grazie, compatrona di Noha, e presentava all’interno degli affreschi. Non esistono delle foto che la ritraggono nella sua interezza: ma soltanto dei disegni di chi la ricorda bene, e qualche foto di piccoli brani dell’interno e dell’esterno di questo monumento.
Era di forma ottagonale. Io non l’ho mai vista (se non in disegno e nelle foto di cui dicevo).
Ma se vi volessi dare una mano o qualche idea ad immaginarla, vi direi che era molto somigliante alla vostra chiesa delle anime (aveva una cupola, però, con dei grandi finestroni).
Ma questo monumento non c’è più: abbattuto, come molti altri…
Ma è inutile ormai piangere sul monumento abbattuto, così come è inutile piangere sul latte versato. Ma questo non è l’unica chiesa abbattuta. Le chiese di Noha abbattute furono molte… Ve ne ha già parlato P. Francesco…
Ma non vi preoccupate. Non sono state abbattute proprio tutte. Qualcuna rimane ancora e qualcun’altra è stato costruita ex novo.
Oggi ne rimangono in piedi, (molte rifatte ab imis) - oltre alla chiesa Madre, dedicata a San Michele Arcangelo, la chiesa della Madonna delle Grazie inaugurata nel 2001, la chiesa di Sant’Antonio di Padova, (che per la forma ricorda in miniatura la basilica del Santo a Padova), la chiesa della Madonna di Costantinopoli, e la chiesa della Madonna del Buon Consiglio e la grande chiesa del cimitero, il quadro del cui altare maggiore, ricordo da ragazzino allorchè ero chierichietto, rappresentava la Madonna del Carmine.
Ma questa sera non voglio portarvi in giro per chiese… che magari vedremo una prossima volta.
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Ma si diceva: un tempo le persone non capivano erano iconoclaste incoscientemente; non si dava importanza ai beni culturali, si abbatteva tutto con facilità.
Può darsi.
Ma questo poteva essere vero quaranta o cinquanta anni fa.
Ma oggi?
Un delitto contro la cultura e la storia, lo stiamo compiendo noi (non il tempo!) oggi: nel 2007! Noi di Noha; voi di Galatina: anche voi che mi state ascoltando, nemmeno voi ne siete esentati.
Perché? Perché tutti siamo responsabili di qualcosa.
Per esempio siamo responsabili se non conosciamo questi luoghi e questi fatti che si trovano ad un fischio da noi. Dovremmo cioè smetterla di pensare al mondo, solo quando al mondo capita di transitare dal tinello di casa nostra!
Il piccone della nostra ignavia si sta abbattendo giorno dopo giorno su quale monumento? Sulla torre medievale di Noha.
Si, perché, signori, se non lo sapete a Noha c’è una torre medioevale le cui pietre gridano ancora vendetta. E questa torre si trova proprio in centro. Dentro i giardini del castello.
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Al di là di un muro di cinta, in un giardino privato (ma trascurato: quindi non sempre il privato è meglio del pubblico), dunque in un giardino tra alberi di aranci mai potati. Questa torre si regge ancora, da settecento e passa anni, come per quotidiano miracolo: la torre medioevale di Noha, XIV secolo, 1300.
Da quella torre, addossata al castello, riecheggiano ancora le voci lontane di famiglie illustri nella vita politica del mezzogiorno d’Italia. A Noha abitarono i De Noha, famiglia nobile e illustre che certamente ha avuto commercio con i Castriota Scanderbeg e gli Orsini del Balzo, signori di San Pietro in Galatina (città fortificata chiusa dentro le sue possenti mura), ma anche con Roberto il Guiscardo e chissà forse con il grande Federico II, l’imperatore Puer Apuliae, che nel Salento era di casa.
Da Noha passava una strada importante, un’arteria che da Lecce portava ad Ugento, un’autostrada, diremmo oggi, che s’incrociava con le altre che conducevano ad Otranto sull’Adriatico o a Gallipoli, sullo Ionio.
Da Noha passarono pellegrini diretti a Santa Maria di Leuca e truppe di crociati pronti ad imbarcarsi per la terra santa, alla conquista del Santo Sepolcro…
La sopravvivenza stessa e lo sviluppo dell’antico casale di Noha debbano molto a questa torre di avvistamento e di difesa, situata su questo asse viario di cui abbiamo già parlato (così come riconoscenti ai loro edifici fortificati devono essere Collemeto e Collepasso; mentre a causa della mancanza di tali strutture difensive vita breve ebbero i casali di Pisanello, Sirgole, Piscopio e Petrore).
La “strada reale di Puglia” ed in particolare la sua arteria che congiungeva Lecce ad Ugento, nata su un tracciato di strada preromana, aveva proprio nelle alture di Noha e Collepasso, e nelle rispettive torri, due punti strategici di controllo e difesa del percorso.
Come si presenta dal punto di vista architettonico?
La torre di Noha, che raggiunge i dieci metri d’altezza permettendo così il collegamento a vista con le altre torri circostanti, si presenta composta da due piani di forma quadrangolare. Una bella scala in unica rampa a “L” verso est, poggiata su un arco a sesto acuto, permetteva l’accesso alla torre tramite un ponte levatoio (una volta in legno oggi in ferro).
La torre è stata realizzata con conci di tufo regolari, un materiale che ha permesso anche un minimo di soluzioni decorative: la costruzione infatti è coronata da un raffinata serie di archetti e beccatelli.
Dei doccioni in pietra leccese permettevano lo scolo dell’acqua della terrazza (con volta a botte).
*
Chiuso anche questo argomento della torre.
* * *
Nel complesso del castello si trovano (oltre al castello stesso: ma di questo non ve ne parlo) altri monumenti: il primo è curiosissimo. Si tratta delle “casette dei nani o degli gnomi”, anche queste un mistero. (Il secondo è un ipogeo; il terzo la “casa rossa”)
Le casette dei nani.
Le avete mai viste? Qualcuno di voi le ha mai viste? Sapete cosa sono? E dove si trovano?
E’ una specie di villaggio in pietra leccese, un capolavoro di architettura, fatto di tante casette piccole, che sembrano tante case dei nanetti. Si trovano sulla terrazza di una casa che fa parte del complesso del castello di Noha. Una delle case dove abitavano i famigli, i servi dei signori del palazzo.
Il villaggio di Novella frazione di Nove è fatto di casette piccine e leggiadre: un piccolo municipio, la piazzetta, la chiesetta con un bel campanile, la scuola, la biblioteca, le casette degli altri gnomi, il parco dei giochi, ecc.
Nel paese di Novella non vi erano mega-centri commerciali, aperti sette giorni su sette e fino a tarda ora; ma negozietti e botteghe a misura d’uomo… anzi di gnomo… di gnomo.
Così, da basso (lasciando alle spalle la farmacia di Nove) basta alzare lo sguardo e tra la folta chioma di un pino marittimo, si riesce ad intravedere il campanile ed il frontespizio di una “casetta” dalla quale sporge un balconcino arzigogolato, finemente lavorato.
Ma per poter vedere tutto quanto il paese di Novella bisogna salire sulla terrazza di quella casa - chiedendo il permesso alle gentilissime signore che attualmente abitano il primo piano del castello.
Quando passate da Noha, fermatevi un attimo ad ammirare i resti di queste casette. Sono ricami di pietra, lavoro di scalpellini e scultori che hanno creato opere d’arte. Anche queste casette-amiche ci chiedono di essere restaurate.
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Ora facciamo quattro passi a piedi (abbiamo lasciato il nostro pulman virtuale) e attraverso via Castello dirigiamoci verso il centro della cittadina.
Stiamo calpestando un luogo antico ed un manto stradale che cela un sotterraneo: è un ipogeo misterioso.
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Nella primavera del 1994 a Noha, fu una ruspa, impegnata in lavori alla rete del gas metano, durante lo scavo di una buca, sfondandone improvvisamente la volta, a portare alla luce un mondo sotterraneo, un ipogeo misterioso di notevoli dimensioni.
Il gruppo speleologico leccese "'Ndronico" invitato dall’allora sindaco prof. Zeffirino Rizzelli, provvide alla perlustrazione, ai rilievi ed alle analisi di quegli antri. E conclusero che si era in presenza di un reperto di archeologia industriale di Terra d'Otranto: un frantoio ipogeo.
Concordo con questa conclusione e con la relazione degli speleologi. Però aggiungo che è proprio della scienza la ricerca continua di elementi che possano confutare o confermare una tesi.
La tesi in questo caso è quella della vox populi che narra di un passaggio segreto in grado di collegare il palazzo baronale di Noha con la masseria del Duca nell'agro di Galatina.
E come in molti altri Castelli italiani o stranieri avviene, è ragionevole ipotizzare che anche in quello di Noha possano esserci anfratti, nascondigli, passaggi, dei trabucchi, carceri e bunker sotterranei, al riparo da occhi indiscreti, o di difesa dalle armi nemiche, o assicurati contro facili evasioni, o in grado di imporre dura vita ai prigionieri.
Vi sono in effetti alcuni elementi contenuti nella relazione e confermati da una nostra visita che abbiamo avuto la fortuna di compiere proprio in questo ipogeo, durante l'estate del 1995, insieme ad un gruppo di amici (tra i quali P. Francesco D'Acquarica: non pensavamo dieci anni fa di scrivere un libro a quattro mani) elementi, dicevo, che fanno pensare che ci sia un collegamento tra il Palazzo Baronale, l'adiacente Torre medioevale, l'Ipogeo stesso e chissà quali altri collegamenti.
Dalla relazione degli speleologi si legge: "sul lato Nord si diparte un corridoio che, dopo alcuni metri, si stringe e permette di accedere ad un pozzo d'acqua stagnante sotto una pittoresca piccola arcata bassa, di elegante fattura e dolcemente modellata e levigata, dinanzi alla quale siamo costretti a fermarci…". Poi ancora un altro brano dice: "…la pozza sull'altra sponda presenta una frana in decisa pendenza accumulata fino alla sommità superiore di un arco ogivale che a sua volta sembrerebbe nascondere un passaggio risalente in direzione del Palazzo Baronale..". In un altro stralcio leggiamo: " …esiste un cunicolo a Sud. Tale galleria risulta riempita, al pavimento e sino ad una certa altezza, di terriccio, per cui abbiamo proceduto carponi. Il corridoio di mt. 11,00 circa, largo mt. 1,10 ed alto nel punto massimo mt. 1,30, mette in comunicazione i due ipogei, come se il primo volesse celare il secondo in caso di assedio…". Infine in un altro pezzo è scritto: "Ripartendo dalla scalinata Sud ed inoltrandoci nella parte destra, a circa 6,00 mt., vi è un tratto di parete murata come se si trattasse di una porta larga circa mt. 1,30…"
Dalle mappe abbozzate risultano a conferma "porte murate", "probabili prosecuzioni", "cunicoli da utilizzare in caso di assedio".
Se questi elementi da un lato, non dandoci certezze, ci permettono di fantasticare e nutrire mitiche leggende di "donne, cavallier, arme e amori” o il mito dell’Atlantide sommersa proprio a Noha; dall'altro potrebbero servire agli addetti ai lavori, agli studiosi, per proseguire, nella ricerca di altre tessere importanti del mosaico di questa storia locale. Per ora questo ipogeo è chiuso e dimenticato da tutti.
*
Un altro mistero. Vedete quanti misteri. Questa sera più che Antonio Mellone sembro Carlo Lucarelli, con la sua trasmissione Bluenotte, quella che va in onda su Rai tre.
Ora un cenno ad un altro mistero, un monumento: la Casa Rossa.
La Casa Rossa è una costruzione su due piani, che un tempo era parte del complesso del palazzo baronale di Noha (o Castello). E’ così chiamata a causa del color rosso mattone delle pareti del piano superiore. La Casa Rossa ha qualcosa che sa di magico: è un’opera originale e stravagante.
Da fuori e da lontano, dunque, si osserva questa specie di chalet, rosso, dal soffitto in canne e gesso, con tetto spiovente (cosa rara nel Salento), con due fumaioli, una tozza torre circolare, a mo’ di garitta a forma di fungo, con piccole finestre o vedute.
L’ingresso alla Casa Rossa si trova sulla pubblica strada, continuazione di Via Michelangelo, nel vico alle spalle della bella villa Greco (oggi Gabrieli).
Il piano terra invece pare ricavato nella roccia: all’interno si ha l’impressione di vivere in una grotta ipogea, scavata da una popolazione africana. Le pareti in pietra, prive di qualsiasi linearità, hanno la parvenza di tanti nidi di vespe, con superfici porose, spugnose, completamente ondulate, multicolori (celestino, rosa e verde), ma dall’aspetto pesante: somigliano quasi a degli organismi naturali che sorgono dal suolo.
In codesta miscela d’arte moderna e design fiabesco, ogni particolare sembra dare l’idea del movimento e della vita.
I vari ambienti sono illuminati dalla luce e dai colori che penetrano dalle finestre e dalle ampie aperture da cui si accede nel giardino d’aranci.
In una sala della Casa Rossa c’è un gran camino, e delle mensole in pietra.
In un’altra v’è pure una fonte ed una grande vasca da bagno sempre in pietra, servite da un sistema di pompaggio meccanico (incredibile) dell’acqua dalla cisterna (cosa impensabile in illo tempore in cui a Noha si attingeva con i secchi l’acqua del pozzo della Trozza o dalla Cisterneddhra, che sorgeva poco lontano dalla Casa Rossa, mentre le abluzioni o i bagni nella vasca da bagno, da parte della gente del popolo, erano ancora in mente Dei).
Le porte interne in legno, anch’esse, come le pareti, sembrano morbide, come pelle di vitello. Il cancello a scomparsa nella parete e le finestre che danno nel giardino sono grate in ferro battuto e vetro colorato. I vetri (quei pochi, purtroppo, superstiti) rossi, blu e gialli ricordano per le loro fantasie iridescenti le opere di Tiffany.
Al piano superiore si apre un ampio terrazzo, abbellito con sedili in pietra, che permetteva di godere del panorama del parco del Castello o del fresco nelle calde serate estive.
Ma cosa possa, di fatto, essere la Casa Rossa (o a cosa potesse servire) rimane un mistero.
Alcuni la ritengono come il luogo dove venivano accolti gli ospiti nel periodo estivo, del solleone; altri come la casa dei giochi e degli svaghi della principessina (proprio come era la Castelluccia che si trova nel parco della Reggia di Caserta); altri ancora ipotizzano che si tratti di un “casino” di caccia.
Qualcuno maliziosamente afferma che fosse adibita a casa di tolleranza.
Le leggende sul conto della Casa Rossa s’intrecciano numerose: storie di spiriti maligni e dispettosi, di persone che sparivano inspiegabilmente, di briganti che là avevano il loro quartier generale, di prigionieri detenuti che nella Casa scontavano, castighi, torture, o pene detentive.
Qualcuno azzarda anche l’idea che fosse abitata dalle streghe, o infestata dai fantasmi; qualcun altro dice addirittura che fosse occupata dal diavolo in persona (per cui un tempo la Casa Rossa di Noha era uno spauracchio per i bambini irrequieti)…
* * *
La Casa Rossa di Noha a me sembra un vero e proprio monumento in stile Liberty.
Il Liberty è il complesso e innovativo movimento stilistico europeo che si diffuse tra il 1880 e il 1910.
Elemento dominante di questa “moda” sono le linee curve ed ondulate, spesso definite con l’espressione coup de fouet (colpo di frusta), ispirate alle forme sinuose del mondo vegetale e combinate ad elementi di fantasia. Non fu un unico stile: ogni nazione lo diversificò, lo adattò, lo arricchì secondo la propria cultura.
Il modernismo o arte nuova (art nouveau) toccò anche Noha e Galatina. E la Casa Rossa, quindi, costruita con molta probabilità tra l’ultimo ventennio del 1800 ed il primo del 1900, è la massima espressione di quest’epoca, che diventerà in francese belle epoque, in nohano epoca beddhra.
*
Allora vi ho parlato fino a questo momento di monumenti. Vi avrei potuto parlare dei personaggi di Noha. Ce ne stanno. Ce ne stanno. E molti pure!
Se vi va lo faremo una prossima volta.
Ora permettetemi solo di fare un cenno ad un solo personaggio di Noha, scomparso recentissimamente. Lo merita. E’ venuto a mancare a Firenze all’età di 53 anni. Era un artista. Un grande.
Era il grande Gino Tarantino, architetto, scultore, pittore, fotografo: un maestro, un esteta.
Ha vissuto gli anni della giovinezza a Noha e dopo ha studiato architettura a Firenze, dove è rimasto e dove ha creato la maggior parte delle sue opere d’arte. Originali e geniali. Gino Tarantino era un artista, ma, prima di tutto, un uomo intelligente e sensibile. Un uomo che ha dato lustro a Noha ed al suo Salento (la sua opera fu perfino pubblicata da “Flash-art”, rivista d’arte e cultura, conosciuta in tutto il mondo, se non altro dagli addetti al settore)…
Qualcuno lo definiva un tipo “eccentrico”.
Io l’ho conosciuto nel corso della scorsa estate. Gino Tarantino aveva piacere di trascorrere le vacanze a Noha, nella sua terra natale, ne amava il sole, il mare, la luce ed in fondo anche la gente. Colse molti volti salentini, specialmente di adolescenti e giovani. Creava e lavorava anche in vacanza: disegnava, fotografava, impastava, scolpiva, plasmava.
Creava. Elaborava interiormente immagini su immagini.
Era il Gaetano Martinez di Noha.
Diciamo che era un tipo originale, anticonformista, estroso, creativo, uno spirito libero, uno che volava alto con il pensiero, non influenzato dalla banalità delle immagini televisive (“non ho la televisione. Non ho neanche un’antenna” – diceva. E veramente, nemmeno la macchina e nemmeno la patente: per scelta di vita).
Era cordiale, sorridente e (anche a detta di molte donne) un tipo affascinante.
Le sue opere stupiscono e incantano, seducono ancora e riescono, con combinazioni inedite di elementi noti, a dare idea di quanto la mente umana sia in grado di inventare.
Con la sua arte e le sue capacità intellettive ha lottato per integrarsi in quel mondo (chi è del giro sa) così duro e ristretto degli artisti, e delle gallerie; un campo difficile, e ancor peggio, in una città come Firenze: culla dell’Arte Italiana.
Uno spirito così libero ed estroverso come Gino non avrebbe mai accettato di fare altro. A volte partecipava a progetti di architettura (ha arredato case di illustri personaggi a Roma, a Parigi, in Spagna ecc.) ma esclusivamente per ragioni economiche: preferiva dedicare il suo tempo e le sue energie alle sue sculture, alle sue opere la cui rendita economica, come sempre accade per l’arte in genere, si proietta quasi sempre in un futuro estremo.
Ci auguriamo che quanto prima molte sue opere rimesse sul vagone (anzi su più di un vagone) di un treno tornino a Noha. E che presto trovi giusta collocazione nella storia, nell’arte e nella leggenda anche Gino Tarantino e la sua opera, finalmente catalogata e rivalutata.
Purtroppo, dobbiamo constatare ancora una volta che anche per Gino Tarantino vale la legge della morte quale condizione necessaria per l’immortalità della fama!
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A mo’ di notizia in anteprima (questa non è storia, non è attualità è futuro… prossimo) vi comunico che con un gruppo d’amici abbiamo dato vita ad una redazione che sta per dare alla luce un nuovo periodico (di cui non conosciamo, pensate un po’, neanche la periodicità!) on line dalla testata che suona così: L’OSSERVATORE NOHANO. Somiglia per assonanza, ma solo per assonanza all’altra testata ben più famosa: l’organo della Santa Sede. Ma rispetto a quello il nostro è di matrice puramente laica. Rispetteremo la chiesa cattolica così come rispetteremo, né più né meno, le altre Istituzioni.
Abbiamo dedicato il primo numero a Gino Tarantino, del quale vorremmo poter emulare la libertà del pensiero e dell’azione (sempre nel rispetto degli altri, s’intende). Potete accedere al nostro Osservatore attraverso il sito www.Noha.it e buona navigazione. Come dicevo non sappiamo dove tutto questo potrà portarci: a noi interessa partire con entusiasmo e dirigerci ed andare là dove ci porterà il cuore.
* * *
Lo strumento portentosissimo di cui vi parlavo all’inizio di questa mia relazione che volge al termine (vi ricordate quando dicevo: non fa scienza sanza lo ritener l’aver inteso?), dunque questo strumento è (non poteva essere altrimenti) un libro. Il libro scritto a quattro mani dal sottoscritto e da Padre Francesco: il titolo: “Noha. Storia, arte e leggenda”. Un libro prezioso, per il contenuto, e pregiato per il contenitore. Che questa sera chi lo volesse potrebbe farlo ad un prezzo speciale. Prezzo speciale Università Popolare 30 euro, anziché 35.
Ma non voglio fare la Vanna Marchi della situazione. E non vorrei approfittarne. Se lo volete me lo chiedete. Altrimenti non fa nulla.
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Cari amici concludo.
Questa sera vi ho parlato di Noha.
Ve ne ho parlato per contribuire solo un poco alla sua conoscenza. Perché si sa che la conoscenza è condizione necessaria (e sufficiente, dico io) per il rispetto e per l’amore dei luoghi, delle persone e della loro storia.
La conoscenza ci rende un po’ più umili. E l’umiltà ci permette non di giudicare, non di guardare dall’alto verso il basso, ma di guardare dentro, di sintonizzarci, di imparare, di capire, di rispettare.
Solo con questi atteggiamenti miglioreremo: e staremo bene con noi stessi e con gli altri.
Mi auguro che non pensiate soltanto che Noha sia come la cronaca nera ci fa leggere sui giornali soltanto la cittadina della mafia o della sacra corona unita. Non è questo. Non è solo questo. Come ho cercato di raccontarvi fino a questo momento.
Mi auguro dunque alla fine che amiate un po’ di più Noha, i suoi monumenti, la sua storia, i suoi abitanti, e - se questa serata non v’è dispiaciuta affatto – anche chi vi ha parlato finora, tenendovi incollati o inchiodati alla sedia.
Se invece fossi riuscito soltanto ad annoiarvi: guardate non l’ho fatto apposta!
Grazie.
mar262016
Ci sono delle parole, la maggior parte tronche, cioè accentate sull’ultima sillaba, che si utilizzano sovente per sintetizzare l’identità civile di una popolazione. Si parla così di napoletanità per indicare il complesso dei valori spirituali, culturali e tradizionali caratteristici della città partenopea e della sua gente; così come si parla di romanità per esprimere la caratteristica di chi (o di cio che) è romano. Ancora, si usa meridionalità, milanesità, o leccesità, per indicare quelle rispettive (intuitive) peculiarità.
Abbiamo finanche trovato in qualche scritto galatinesità per indicare il modo specifico di essere cittadini di Galatina: si fa riferimento alla cadenza della lingua, alla flessione stessa della voce, a determinati comportamenti, addirittura al modo di pensare e di agire.
E’ ovvio qui ribadire che non sarebbe scientifico generalizzare e che è difficile pensare ad esempio che un ideal-tipo galatinese abbia caratteristiche specifiche che lo possano distinguere nettamente da un collepassese o da un abitante di Strudà. Ma, in molti casi, pur non disponendo di categorie sociologiche basate sull’osservazione empirica o matematico-rigorosa, quando siamo di fronte ad un galatinese, ma questo vale per chiunque anche per un trentino o un calabrese, riusciamo il più delle volte ad indovinarne la provenienza per quel non so che di noumeno che da qualche parte dovrà pur derivare.
Ma poniamo che in un ipotetico esercizio accademico sia possibile ricercare anche delle peculiarità specifiche di Noha, la nostra cittadina (ché di questo ci stiamo occupando); quale sostantivo, quale parola tronca potremmo utilizzare? Ebbene, in un processo di deduzione logica, se per Napoli questo sostantivo è napoletanità, se per Galatina è galatinesità, per Noha (che in dialetto è Nove) non potrà che essere NOVITA’.
Tutta questa premessa (chi vuol leggere i miei articoli deve portare un po’ di pazienza) per dire che la pasquetta nohana quest’anno non sarà la sublime e costante ricapitolazione di una lunga tradizione (come è anche giusto che sia), fatta di Fiera dei Cavalli (dal mattino e fino all’ora del pranzo), di processione post-prandiale della statua della Madonna delle Cuddhrure portata in spalla dalle donne nohane, di presa della Cuccagna, di scoppio di fuochi artificiali, di rogo delle Curemme nei diversi quartieri di Noha con distribuzione a tutti di fette di colomba pasquale e spumante…
Non è solo questo. La pasquetta nohana a partire da questo 2016 ha, appunto, una NOVITA’ straordinaria (incredibile fino a qualche mese fa): l’apertura al pubblico del “Parco del Castello”. Quest’anno nohani, ospiti e viaggiatori tutti (non ci piace d’appellarli come “turisti”) avranno la possibilità di compiere un viaggio nel tempo, accedendo ai Fori Imperiali di Noha per riappropriarsi di un luogo del cuore per troppi decenni relegato nell’oblio.
Qui si avrà modo di godere dei beni culturali più significativi della nostra cittadina, come l’originalissima vasca ellittica di fine ‘800 in perfetto stile Liberty (coeva e probabilmente disegnata e costruita dalle stesse maestranze che si occuparono della dirimpettaia Casa Rossa, la misteriosa casupola delle meraviglie che ricorda la Casa Pedrera di Barcellona, opera di Gaudì); la Castelluccia del parco, a forma di torre, eretta nei primi anni dell’900 del secolo scorso (con l’interessante impianto idraulico ed elettrico, con marmi, isolanti in ceramica, interruttori a leva ed altri sistemi di trasmissione dell’elettricità); le cantine con le botti di rovere o di altri legnami dove s’invecchiava il Brandy Galluccio; e infine il bene culturale più antico e interessante di Noha, bello da mozzare il fiato: la torre del XIV secolo (1300 d. C.) con il suo ponte levatoio, collegato a rampa con arco a sesto acuto. Ah, dimenticavo il dulcis in fundo e ultimo arrivato: un pezzo dell’“affresco di Albino” scoperto di recente dagli Indiana Jones nohani che rispondono ai nomi di Marcello D’Acquarica e, appunto, l’Albino Campa.
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Nel parco del Castello di Noha il lunedì in albis si potrà in tutta libertà scorrazzare, giocare al pallone, poltrire, gareggiare a carte o con altri giochi di società, e soprattutto apprezzare le leccornie della pasquetta salentina, anche utilizzando liberamente i barbecue predisposti dal gruppo “Ragazzi della Masseria Colabaldi”.
Non mancheranno - ci dice l’uccellino - nemmeno le incursioni della Banda armata (di strumenti musicali) diretta dalla Lory Calò.
Chissà, infine, se riusciremo a degustare le cuddhrure appena sfornate dai due forni del Castello? Chi vivrà vedrà: non possiamo mica svelarvi tutto e subito. Sennò che sorpresa di Pasqua sarebbe?
Antonio Mellone
P.S. Il Parco del Castello è la parte più sana, intonsa e biologica di Noha, ricca di erbe spontanee (è pieno di sucamèli e di altre autoctone varietà di “verdure naturali”, per dire), scampata, com’è da decenni, dall’invadenza dell’uomo. Per fortuna qui non è stato spruzzato alcun erbicida, come invece purtroppo è avvenuto altrove con il silenzio-assenso degli Unni di Palazzo Orsini con l’ausilio delle loro trippe corazzate.
feb202016
Il 22/10/2015 abbiamo pubblicato su questo sito un fervorino rinvenuto tra gli appunti di don Donato Mellone (1923 – 2015) quale “primo discorso” pronunciato dal nuovo parroco di Noha in occasione del suo ingresso nella parrocchia di San Michele Arcangelo, avvenuto una sera del mese di ottobre 1963 senza celebrazioni solenni, nonostante per la sua nomina nell’arcipretura nohana si fosse scomodato il papa Paolo VI (1897 – 1978) in persona. Qualche giorno fa, rovistando tra le carte dell’antico parroco di Noha abbiamo trovato quest’altro brano inedito (se l’avessimo scoperto a suo tempo, l’avremmo inserito nel volume da noi curato e pubblicato per i tipi di Panìco Editore nel 2008 dal titolo “Il sogno della mia vita”).
Si tratta del primo discorso ufficiale intitolato: “Primo saluto a voi, carissimi fedeli di Noha”. Lo riproponiamo di seguito, in occasione del primo anniversario della scomparsa del suo reverendo autore (che Dio l’abbia in Gloria), per quanti lo conobbero e l’amarono.
Antonio Mellone
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Primo saluto a voi, carissimi fedeli di Noha
Rivolgendo il mio primo saluto a voi, carissimi fedeli di Noha, non posso non esprimervi la trepidazione del mio animo per la difficile e ardua missione che io vengo a svolgere in mezzo a voi.
Al parroco infatti spetta in primo luogo il dovere di insegnare. E’ il maestro di verità che giorno per giorno deve spezzare ai fedeli il pane della Parola di Dio. Ascoltando il proprio parroco i fedeli possono rivolgere a lui le parole che S. Pietro diceva a Cristo: “Tu solo hai parole di vita eterna”.
La parola del parroco infatti è la stessa parola di Cristo, l’insegnamento del Parroco è lo stesso insegnamento del Vangelo del Figlio di Dio. Ma quante difficoltà, quanti ostacoli deve, il parroco, superare per far giungere agli uomini di oggi la sua parola.
Assorbiti dagli affari, distratti dai divertimenti, storditi dai piaceri della vita, gli uomini di oggi, dimenticato il cielo, si sono aggrappati alla terra e si affannano nella ricerca del raggiungimento del Paradiso sulla terra. Le stesse istituzioni sociali, quali la famiglia, la scuola, la vita civica, che dopo duemila anni di cristianesimo dovrebbero portare ben visibile l’impronta evangelica, anche queste istituzioni – dicevo – sono diventate spesso laiciste, senza alcuna anima religiosa o soltanto con una superficiale vernice esterna.
Compito del parroco dunque è quello di far penetrare nelle persone e nelle istituzioni la parola di Dio, la dottrina del Vangelo, in modo che il mondo moderno, diventato paganeggiante nei costumi e nella vita, possa ritornare a Dio.
Ma non soltanto maestro, il parroco è anche dispensatore dei misteri di Dio. E’ lui che amministrando i sacramenti, comunica ai fedeli la vita divina alle anime. Al parroco dunque spetta il compito di battezzare i bambini, dispensare il pane della SS. Eucaristia, a lui benedire i matrimoni, a lui consolare i vostri infermi, pregare per i morti.
Se la parrocchia non è solo una circoscrizione territoriale, non è solo un insieme di case attorno ad una Chiesa, se la parrocchia è una comunità di fede e di amore, che dell’altare fa il centro della propria vita e della propria attività, spetta al parroco il compito sublime di far comprendere ai suoi fedeli il santo sacrificio della Messa, a cui partecipando i fedeli prendono coscienza di essere membra vive della Chiesa.
Se la parrocchia è una famiglia, il padre ne è il parroco; se la parrocchia è un gregge, il parroco ne è il pastore. Come il padre vive per la sua famiglia ed è pronto a sacrificarsi per i suoi figli, come il pastore è pronto a difendere il suo gregge dagli assalti dei lupi anche con il sacrificio della sua stessa vita, così il parroco vive per la sua parrocchia ed è pronto a sacrificarsi per i suoi fedeli.
Cura particolare del parroco sono i bambini, i giovani, gli ammalati, i lavoratori. Avvicinando il parroco, tutti troveranno in lui una parola di luce, una parola di conforto.
Entrando quest’oggi in questa chiesa parrocchiale, rivedo la figura buona del mio predecessore [mons. Paolo Tundo (1888 – 1962) ndr.], che voi per tanti anni avete amato e da cui foste ricompensati con tanta buona paternità. La sua via sarà la mia via, il suo programma sarà il mio programma.
Non posso non ringraziare dell’opera finora svolta il carissimo Economo Curato [don Gerardo Rizzo (1922 – 2007), ndr.], che in tutti questi mesi di sede vacante mi ha spianato il terreno, e mi sento veramente fiero di continuare il suo lavoro e di trovare in lui un bravo collaboratore.
Rivolgo il mio saluto a voi Soci e Socie di Azione Cattolica, e a tutti gli iscritti alle altre pie unioni e associazioni di Noha.
Rivolgo il mio saluto alle Autorità Comunali presenti, alle quali chiedo sin d’ora comprensione e collaborazione.
Per quanto io porti tutta la mia buona volontà, tutte le mie forze, tutto me stesso al servizio di questa parrocchia, ho la coscienza di nulla potere senza l’aiuto della Grazia di Dio, della protezione della Vergine Santissima e di San Michele Arcangelo. A loro affido me stesso, e tutti quanti voi.
Con il loro aiuto e la loro protezione procediamo in pace, in nomine Christi. Amen.
Sac. Donato Mellone
set222018
Un paio d’anni fa, al termine di un laboratorio sulla Costituzione italiana tenuto con i bambini delle quinte elementari di Noha, volli che, nella presentazione del lavoro che ebbe luogo al centro polivalente, Vincenzo Campa non solo sfilasse con noi tra due ali di invitati, ma ne fosse addirittura il vessillifero: l’alfiere, dico, del nostro tricolore.
Facemmo un figurone, e Vincenzo tutto impettito ne gongolava.
Non so più quanti colpi di scalpello ho dato nell’abbozzo di profili di nohani, alcuni viventi, altri non più (ma sovente più vivi dei vivi). E s’intende che non sono un Bernini o un Michelangelo, bensì un semplice (spesso rozzo) scalpellino che ama arricchire viepiù la sua galleria di nomi, affinché un dì rimanga traccia “de li vizi umani e del valore” (soprattutto del valore) dei miei concittadini migliori. Sui peggiori, invece, spesso sbraitanti, di più, intontenti, meglio stendere il noto velo pietoso.
Vincenzo, dunque, fa parte dei primi, ed è ovviamente un mio amico.
Lo conosco praticamente da sempre. A lui è associata la mia infanzia delle vecchie epiche scuole elementari di piazza Ciro Menotti, quella del monumento ai caduti. Ci abita accanto con gli amati genitori. No, non veniva in classe mia, ma lo vedevo tutti i giorni all’ingresso e all’uscita da scuola, e anche durante la ricreazione.
Quando t’incontra, Vincenzo non ti saluta con freddezza, ma prima ti dà la mano e subito dopo ti abbraccia affettuosamente. E tu, davanti a tanta tenerezza, non puoi fare a meno di ricambiare con altrettanta simpatia e cordialità. Sissignore, gli abbracci gratis (o free hugs) non li hanno mica inventati una quindicina di anni fa in Australia: li abbiamo invece scoperti a Noha molto tempo prima, grazie proprio al compagno di scuola Campa Vincenzo.
Dopo i convenevoli, Vincenzo mi racconta i fatti che succedono nel nostro paese, i giochi e i lavori che insieme agli altri ragazzi speciali svolge nel salone del polivalente; io invece gli parlo di quello che faccio, delle iniziative, degli articoli che scrivo sul sito dell’Albino, delle battaglie che conduco e delle (più numerose) sconfitte che colleziono.
Quando m’indignavo con i cosiddetti politici locali e con i loro toni trionfalistici a proposito del restauro delle nostre ex-scuole elementari, fatto con quel pizzico di disattenzione che bastò a far scordare nel progetto esecutivo una cabina elettrica per il necessario allaccio alla rete - onde l’immobile rimase serrato per anni, e successivamente si dovette pure procedere ad altra spesa pubblica per installarne una posticcia - Vincenzo era a fianco a me e agli altri sognatori resistenti, intanto che molti tra i rimanenti nohani erano comodamente spaparanzati sui rispettivi divani Grönlid e sulle poltrone Poäng, probabilmente nell’attesa dell’atterraggio degli asini aerei.
E come rideva Vincenzo quando gli dicevo, celiando, che se fosse stato lui in persona il direttore dei lavori, o se le maestranze gli avessero dato retta per filo e per segno, non ci saremmo trovati in quella situazione poco chiara, anzi, vista la mancanza di un contatore, davanti al buio pesto.
Soprattutto il buio della ragione.
Sì, Vincenzo è spiritoso e ride di gusto alle battute umoristiche. Non si può dire altrettanto di alcuni (ma sempre troppi sono) concittadini di indole greve quanto di traballante formazione, cui sarebbe ormai consigliabile un corso elementare di sorrisi, autoironia e giacché anche di satira.
La mattina di domenica 9 settembre scorso, vidi Vincenzo all’angolo di casa sua, stava lì a non far nulla. Gli chiesi se volesse venire con me alla fiera dei cavalli. Non ci pensò due volte. Mi disse di attendere un attimo, il tempo di avvisare sua madre.
E così a piedi ci recammo insieme all’area fieristica, facemmo un sacco di foto (con la macchinetta professionale di Albino, mica con il telefonino), accarezzammo molti destrieri, salutammo un bel po’ di persone, e ci godemmo lo spettacolo che fa di Noha la più bella “Città dei Cavalli” di Puglia.
Fu tutto fantastico, in quella splendida mattinata di sole settembrino. Soprattutto perché insieme a me, con gli altri, c’era anche il mio amico Vincenzo.
Sì, W Vincenzo.
Ovvero: Vincenzo, Campa.
Antonio Mellone
feb152014
Basta vedere chi votiamo per capire il livello di torpore nel quale siamo caduti da qualche decennio a questa parte. E fosse solo torpore.
set102013
Oggi, sciroppo nohano, ops... volevo dire scirocco nohano. Quando l’aria si fa irrespirabile e soprattutto alla sera, quando cala la cappa di umidità, arriva il cosiddetto “faugnu”. “C’è cu mmori” si dice dalle nostre parti. Il caldo torrido di Agosto fa il resto. Ma a questo, per fortuna, ci pensa Qualcun altro, diciamo il più altolocato. Il clima, come anche tante altre cose, non le decidiamo noi.
“Tu sei un fenomeno…” - mi dice Gianluca Misciali, neofita nohano alla ricerca delle sue origini (un altro che non ascolta le prediche nostrane dove viene abiurato il passato, quale testimone dell’antiprogresso) - “…capisco amare una donna, un Santo, il lavoro, ma un paese.”
In effetti, al contrario degli altri anni, quest’anno mi sono sorpreso pensando ad alta voce, “ma chi me lo fa fare!”. Tranquilli. Mi è capitato una sola volta. Forse vinto dalla puzza nauseabonda di cani morti che regna a Noha da qualche tempo. D'altronde, se fosse solo un romanzo, sarebbe tutto normale, così finiscono buona parte dei racconti di storie d’amore: annegati nel tradimento da parte di chi hai sempre amato e rispettato. Per convincermi che sbaglio a pensare questo, provo di nuovo a cercare la meraviglia che da sempre mi riporta in questo meraviglioso paese:
il silenzio che regna nelle vie, gli orizzonti a portata di mano, i colori del tramonto e il suono delle campane che, anche se impostate da un banale programma di neo-battenti, si ostinano a rammentarci il fascino misterioso di riti antichi e menzadie cadenzate. Cose di un altro mondo.
Guardando le facce beate dei nostri politici (e ci li vide mai? Bisogna cercarli su face-book, o nei “santini” pre-elettorali) sembrerebbe che nulla accada, se non le loro faccende in cui sono affaccendati.
Ho chiesto agli abitanti di via Aradeo, a cosa si deve l’olezzo di cadavere che si sente in giro per il paese, soprattutto nei pressi della grotta della Madonna di Lourdes. Qui la puzza è davvero insopportabile. Vengo così a conoscenza che la signora Maria Rosaria Mariano, contitolare del negozio di ferramenta, con l’aiuto di alcuni cittadini, si è data da fare con una petizione popolare per informare del cattivo odore il sindaco Montagna e gli amministratori de-localizzati altrove (tanto, anche se abitassero a Noha, come i nostri 4 consiglieri eletti, cambierebbe poco o nulla). Dopo alcune cantonate lapalissiane (del tipo: pulire dalle foglie solamente il tombino davanti al negozio di ferramenta, oppure inviare una squadra di tecnici sprovvisti del più banale attrezzo per aprire un tombino), finalmente si è concluso di demandare la questione all’azienda incaricata al completamento dei lavori della fogna bianca (ca puzza cchiui de a nera). Intanto una buona parte di Noha, tutta la zona del Calvario per intenderci, da anni soffre dello stesso problema a causa dell’ennesima vigliaccata perpetrata approfittando della buona fede della gente: la discarica dell’impianto fognario adiacente alla villetta dedicata a Padre Pio. Siamo nel terzo millennio, a Galatina ci si vanta d’essere “Città d’Arte” e traboccante di cultura, ma quando non si sa che fare si ricorre sempre all’aiuto dei Santi. E sarebbe pure una cosa giusta, basterebbe però riconoscere i propri limiti, che nel nostro caso si sciolgono in vaveggianti e perenni indecisioni. Povero Padre Pio. Tutte le disgrazie spettano a lui. E ai cittadini di Noha. Ma che avranno fatto mai per meritarsi tutto questo? Insomma non possiamo dire che a Noha ci si annoi.
Ogni giorno che passa i problemi aumentano e l’ultimo scaccia sempre quelli già esistenti: chiodo scaccia chiodo. A questo punto diciamo che Noha è diventato un paese dove si mangia con la puzza di fogna, ci si lava con la puzza di fogna, si dorme con la puzza di fogna, si vive sempre con la stesa puzza, che importa se l’orologio della piazza - fiore all’occhiello di ogni paese - è una taroccata, se i beni culturali di Noha sembrano quelli che erano sepolti sotto la città di Acaya fino a qualche anno addietro, se la casa Rossa è solo un ricordo sbiadito, se il frantoio ipogeo più originale del Salento diventa una discarica di rifiuti, se le casette di Cosimo Mariano non reggono più nemmeno le luminarie pietose della festa di San Michele, se le pantegane girano indisturbate dentro e fuori del Castello, se la campagna de lu Ronceddhra è un ammasso di pannelli fotovoltaici riparati da pochi scheletrici ulivi trapiantati per nasconderli alla vista, se un faro da 5000 watt acceca gli automobilisti che transitano su quella via, se il viale che porta al cimitero sembra un residuato del dopoguerra, se si spendono milioni di euro in ristrutturazioni di edifici confiscati alla mafia e in vecchie scuole elementari (senza manco pensare all’allaccio elettrico come si deve)…
Se potessi continuare non basterebbe un’enciclopedia, tanti sono i fenomeni nohani dipendenti dalla trascuratezza e dalla dabbenaggine dei nostri rappresentanti (che a questo punto penso rappresentino solo se stessi). Speriamo che il vento cambi al più presto, e la tramontana non ci porti altre sorprese visto che ultimamente sono di moda i cosiddetti “termovalorizzatori” e a pochi passi da Galatina ne abbiamo uno che, forse, non aspetta altro.
set032017
Non è mai stata mia intenzione di pontificare sulle sorti sempre magnifiche e progressive dell’Italia intera (poveretta). Nelle mie modeste note sfregate sulla carta (viepiù virtuale), mi son limitato a qualche denuncia concernente le cose di casa nostra (e talvolta di Cosa Nostra), che molti finti tonti locali han sempre considerato come la topica filippica a firma del sottoscritto cui non dare seguito alcuno (e dimostrando così quanto superfluo fosse quel “finti”).
Confesso subito che spesso ho dovuto contare fino a cento prima di vergare certe chiose che avrebbero rischiato altrimenti di essere composte soltanto da espressioni indistinguibili da quelle proferite da uno scaricatore di porto infuriato formate da improperi, invettive e 'castime' tra le più triviali (benché il mio idioma aborra certi scurrili frasari).
E’ che non ce la faccio proprio a bendarmi gli occhi, turarmi le orecchie, imbavagliarmi la bocca, incerottarmi le dita e stravaccarmi sopra un divano (che tra l’altro non possiedo: sarebbe del tutto inutile a casa mia), come invece usano fare molti nohani e altrettanti loro compari di merende galatinesi.
Prendiamo, ad esempio, la torre dell’orologio di Noha.
Ebbene, mi son consumato le dita su questa tastiera per certificare l’estremo degrado in cui versa da diversi lustri codesta specie di torre di Pisa - o meglio degli asinelli (in minuscolo) - oltre al mancato rispetto delle più elementari condizioni di sicurezza.
Quel complesso monumentale si regge ancor oggi quasi per quotidiano miracolo, mentre le stanze ubicate al primo piano - la casa comunale del tempo che fu - sembrano essersi trasformate in un ricettacolo degno di una torre colombaia. Vi lascio immaginare il sudiciume, l’aria mefitica, l’olezzo pestilenziale che si sprigiona da codesto novello B.&B. per topi e piccioni stanziali più che viaggiatori, tanto che davvero non si ha più il coraggio di pensare a cosa possa nascondersi sotto il primo corposo strato di guano, altrimenti detto merda.
*
A proposito di effluvi immondi, c’è da ricordare che intorno alla torre civica e all’orologio pubblico nohani sono state condotte intere campagne elettorali.
C’è infatti chi vi ha costruito la sua fortuna pOLITICA locale (e quindi specularmente la nostra sfiga), grazie al cielo durata giusto il tempo (pur sempre lungo) che i cittadini aprissero un pochino gli occhi e - visti certi discorsi altamente cul-turali sparati a palla (anzi a palle) dal palco dei comizi - anche le orecchie.
Io non vedevo l’ora che certi personaggi in cerca di elettore se ne ritornassero finalmente a casa loro, anzi in villa. E, per fortuna, visti i risultati, ero in buona compagnia.
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Sapete bene che l’archivio non perdona.
In questo momento ho per le mani un dépliant (o depilant) molto interessante. Si tratta del volantino di propaganda elettorale per le amministrative del maggio 2006 dell’ex-PDS (Promesse Da Sailor), ex-DS (Deludere Sempre), e finalmente PD (Programmi Disattesi). Sì, insomma, è sempre il solito partito, con l’aggravante che ultimamente, oltre a essere fintamente spaccato, è pure renziano e trova indigesta la Costituzione.
Insomma, voi non ci crederete, ma tra le svariate cazzate riportate in codesto orripilant - tipo la creazione a Noha di una “zona artigianale” [cioè un enorme cimitero da costruire proprio di fronte al cimitero, ndr.], il “rifacimento totale dell’attuale Monumento ai Caduti sostituendolo con una stele in pietra leccese e includendo i caduti [sic] delle due guerre” [e magari anche i nomi dei politici delle due/tre successive legislature de-caduti per insufficienza di voti e per sufficienza di prove, ndr.], “sistemare le vore e i canali” [per esempio cementificandone l’imboccatura e rovinando definitivamente una delle vore naturali più importanti del Salento, sicché al prossimo venturo disastro da alluvione dovremmo pure sorbirci un bel po’ di lacrime di coccodrillo dei soliti noti, ndr.] - oltre a tutto questo, dicevo, vi è nientepopodimeno che la Torre dell’Orologio di Noha: “Non è accettabile – scrivono i promittenti marinai – che lo storico orologio della Torre Civica rimanga ancora muto. Necessita [di] un intervento di manutenzione e restauro della facciata per riascoltare i rintocchi e abbellire l’intera piazza” [sissignore, i DS-PD ci avevano messo la mano sul fuoco. E se la sono bruciata pure sulla torre dell’orologio, ndr.].
A ulteriore dimostrazione del fatto che con certi chiari di luna politici a Noha l’ora legale non sarebbe mai scoccata, men che meno da quel cronometro pubblico, nel mese di luglio del 2016 mi perviene una telefonata da parte dell’ufficio Lavori Pubblici (o come cavolo si chiama) del Comune di Galatina.
E qui stramazza l’asino.
Avrò parlato con due esponenti di quell’ufficio [ubicato evidentemente su Marte o su qualche nuvola dalla quale ogni tanto qualche funzionario-dirigente si degna di cadere, ndr.].
Codesti responsabili, di cui davvero non ricordo il nome, mi chiedevano informazioni, guarda un po’, in merito a torre e orologio civico di Noha e soprattutto se avessi un progetto di sistemazione da presentare non ho ben capito se alla Sovrintendenza o ad altro ente pronto a finanziarne il restauro più o meno conservativo. Ovviamente il progetto ce l'avevo. Io.
Questo tanto per dirvi che certi (finalmente ex) delegati locali, al di là delle chiacchiere da discoteca, durante la loro legislatura non avevano trasmesso un bel nulla agli uffici comunali preposti [non avendo evidentemente alcuna documentazione per le mani, e soprattutto alcuna idea per la testa, ndr.], e se l’avessero fatto sarebbero stati così generici, così all’acqua di rose, così poco attendibili, o di così scarso peso politico da esser considerati poco più che delle macchiette sbraitanti e gementi in questa valle di lacrime. Tanto che i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Per farla breve, e con l’aiuto di san Marcello D’Acquarica martire, nel giro di un paio di giorni ho predisposto un elenco per punti [nove punti per la precisione, visto che siamo a Nove, ndr.] delle cose indispensabili da fare su quel bene culturale, corredandolo di fotografie, di planimetria catastale, e anche di alcuni preventivi che m’ero premurato di richiedere a qualche ditta specializzata nel settore dell’automazione elettronica dei campanili. Questo, così, tanto per provare a ridare un pizzico di dignità non alla torre, non all’orologio, non alla piazza, ma ad un paese intero: il mio.
Per la cronaca, ad oltre un anno da quell’invio di documentazione, ancora nessuna buona nuova in merito al suddetto progetto.
*
Io non so come sia la nuova classe dirigente testé insediatasi a Palazzo Orsini: troppo presto per esprimerne un giudizio.
Vabbè, non si può sentire da un Assessore alla Cultura un’idiozia del seguente tenore: “[…] E questo lo si impara non sui libri ma nelle stanze, sulle scale e nei corridoi degli uffici comunali.” [sic]. Spero che non lo pensi realmente, e che codesta uscita assessorile sia frutto soltanto della foga di un neofita politico nel rispondere a caldo a una lettera aperta che oltretutto si commentava da sé.
Ma al di là di questo, mi auguro che i nostri nuovi amministratori non siano come certi loro predecessori, pronti a passare dalla favella all’orbace [questa è sottile, lo so, ndr.] in men che non si dica, e che considerino i nostri beni culturali come una delle priorità della loro azione politica.
Noi altri abbiamo imparato (invero un po’ tardi) la lezione. E ormai, con orologi fermi oppure in movimento, abbiamo capito come non perdere altro tempo per mandarli a cagare.
Antonio Mellone
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BOZZA DEL PROGETTO DI SISTEMAZIONE E RESTAURO DELLA TORRE E DELL’OROLOGIO CIVICO DI NOHA (di Antonio Mellone)
Al di là della messa in funzione dell'orologio pubblico di Piazza San Michele a Noha, per il quale possediamo un preventivo, ricapitoliamo qui di seguito, e per punti, i lavori propedeutici necessari per il buon esito del restauro del bene pubblico "Torre civica di Noha".
1) E' necessario innanzitutto il consolidamento e il ripristino di alcune parti già franate della torre campanaria del 1861 (come ad es. la sfera in pietra locale ubicata in cima alla guglia). Si notano altresì delle crepe nei cornicioni in pietra leccese. Esiste cioè il serio rischio che si stacchino dei pezzi interi di materiale lapideo costituente la torre: è richiesto pertanto un intervento urgente per scongiurarne ulteriori lesioni e crolli;
2) Il balcone prospiciente piazza San Michele, con base in pietra leccese necessita di consolidamento (e questo a prescindere dall'estetica: l’intervento è richiesto per la pubblica incolumità);
3) Il solaio pericolante delle due stanze al primo piano di pertinenza del complesso monumentale dovrebbe essere consolidato o, alternativamente, abbattuto e rifatto ex-novo;
4) La creazione di un bagno di servizio non sembra strettamente (o immediatamente) necessaria. Le due stanze potrebbero essere adibite a piccolo museo dove esporre al pubblico l’antica macchina dell’orologio (attualmente depositata presso i locali della scuola media di Noha), insieme ad altri oggetti di sicuro interesse storico;
5) Non si può prescindere da un’attività di pulizia di tutta la casa comunale, del frontespizio della torre e delle parti scolpite in pietra leccese (come ad esempio il corpo dell'aquila, lo stemma gentilizio del mecenate donante, gli archi del campanile).
6) E’ richiesta la sostituzione delle porte e delle finestre del fabbricato, ormai fatiscenti (da riprodurre rispettando possibilmente il disegno originario, e in materiale rigorosamente ligneo, avuto riguardo alla fattura e all’armonia della facciata monumentale del complesso edilizio);
7) E’ necessaria l’installazione di un parafulmine con banderuole segnavento in ferro battuto (magari riutilizzando le originali già esistenti), da issare sulla sommità del campanile;
8) L’illuminazione della torre con nuove tecnologie ("sculture di luce") renderà più decoroso il monumento e tutta la piazza San Michele;
9) I lavori dovrebbero concludersi con la messa in funzione dell'orologio, la pulizia delle campane e l’installazione di martelli percussori (uno per le ore, l’altro per i quarti), da azionare con un nuovo sistema elettromeccanico (con esclusione del suono pomeridiano e notturno).
Per quanto ovvio, e per un discorso più generale sarebbe d'uopo che i finanziamenti fossero richiesti eventualmente anche per la rimozione dell’asfalto presente in tutta la piazza e in via Castello, e la sua sostituzione con un basolato (come era in passato – il cosiddetto Basolato del Barone - e come avviene in molti comuni e frazioni salentine), nonché per l'illuminazione del frontespizio della chiesa madre, della sua cupola monumentale (con luci dal basso) e ovviamente di tutta la piazza, cuore storico del paese.
A.M.
nov212020
La redazione di Noha.it, certa di interpretare il pensiero di molti, purtroppo non di tutti, esprime: la sua solidarietà a tutti i nohani (ma anche a chi di Noha non è) che in un modo o nell’altro sono (stati) toccati dal Covid 19; vicinanza a chi si è ammalato e a chi, pur positivo, non abbia i sintomi, sia che riesca e sia che non riesca spiegarsi come sia potuto succedere: il contagio il più delle volte non è una colpa, ma un effetto collaterale di quella cosa che si chiama vita; appoggio a chi si vede puntare contro il dito adunco dell’inquisitore di turno, e quello più subdolo del pettegolezzo; sostegno a chi per precauzione abbia paura di gettare le braccia al collo di figli, genitori e fratelli, o a chi è addirittura costretto ad allontanarsene; supporto morale a chi è in trepidante attesa di un tampone, del suo esito, e a chi non avrebbe mai immaginato di doverne fare uno; affetto a chi è rimasto solo in casa in attesa del ritorno di un proprio caro dalla terapia intensiva, e conta i giorni, le ore e i minuti che non passano mai (proprio perché costretto a contarli); gratitudine nei confronti di medici e infermieri e degli altri lavoratori in ambito sanitario che non ce la fanno più, vittime, molti di loro, di una Sanità pubblica punita da decenni di riordini ospedalieri e quindi di tagli di posti letto e personale, molto spesso a favore di una sanità diversa fatta apposta per fare cassa più che altro; partecipazione nei confronti dei lavoratori costretti a svolgere le proprie mansioni a volte con false protezioni e sempre più frequentemente con minori diritti, e al contempo a chi non può prestare la sua opera pur avendone estremo bisogno; stima nei confronti di insegnanti, alunni, studenti e amministrativi che non sanno se la propria scuola verrà o meno riaperta all’indomani; condoglianze, infine, ai congiunti di chi se n’è andato a causa del virus, a volte pur senza averlo contratto.
La redazione di Noha.it
E’ il grande prato adiacente la cappella della Madonna di Costantinopoli, o come la chiamano i nohani, della Madonna “delle cuddhrure” a ospitare la tradizionale Pasquetta con la consueta fiera e la sfilata dei cavalli. E’ infatti una vera e propria “Pasquetta equestre”, quella che si svolge nella caratteristica frazione di Galatina, ormai da tempo ribattezzata “Città dei cavalli”.
I bei destrieri cominciano a confluire sul verde prato da ogni parte del Salento già dal mattino presto, strigliati e agghindati di tutto punto per la sfilata che ogni anno li vede protagonisti e per i numeri di alta scuola equestre che suscitano gli applausi della folla assiepata tutto intorno.
Dopo i nitriti, le criniere, i finimenti e traini, alle 17 si svolge anche il gioco della cuccagna. L’alto palo ingrassato a dovere, con in cima il bottino da conquistare, si erge in questa festa dal sapore genuino a dispetto dei “tempi moderni” senza perdere il suo fascino.
Chi riesce a scalarne la vetta si aggiudica anche l’applauso del pubblico sottostante, mentre una pioggia di caramelle cade allegra e festosa dall’alto. Come nelle favole.
[fonte: quiSalento, Aprile 2017]
giu092009
dic312018
Mi chiama Emanuele Vincenti, vabbè don Emanuele, il parroco di Sanarica, per invitarmi o meglio invitarci al presepe che quest’anno celebra il suo trentennale: “Allora, venite al presepe vivente di Sanarica? Dai, vi aspetto”.
“Boh, Emanuele: io sono raffreddatissimo, e oltretutto devo assistere mia madre che è caduta: non ti dico. Comunque fammi sentire Giuseppe Cisotta, che ha un telefonino nuovo con una suoneria finalmente funzionante”.
Compongo il numero di Giuseppe che, incredibile a dirsi, mi risponde al secondo squillo: e da lì parte il tutto (incluso l’acquisto della Tachipirina per me).
Nello stesso giorno, di pomeriggio, una carovana di non so più quante auto si dà appuntamento all’autolavaggio di Noha in via Carso, per poi dirigersi alla volta della dolina carsica di Sanarica [da via Carso alla dolina carsica, quando si dice la combinazione, ndr.], una specie di conca di rocce calcaree, una Vora diremmo in vernacolo, molto probabilmente formatasi nel corso di migliaia di anni in seguito alla dissoluzione del carbonato di calcio di cui sono composte le pietre: in quel dirupo è allestito lo stupendo presepe vivente della ridente cittadina sanarichese [comune di 1500 abitanti, meno della metà degli abitanti della frazione di Noha, ndr.], ubicata a metà strada tra Maglie e Poggiardo.
E proprio nell’ampia grotta della natività avviene la restituzione di cortesie tra l’Associazione Amici del Presepe Vivente di Sanarica e il Gruppo Masseria Colabaldi di Noha: certe visite si ricambiano, per buona creanza. Lo scorso anno si son fermati loro, e una corposa delegazione di quell’associazione venne a visitare il presepe apparecchiato nei fori imperiali nohani; quest’anno, invece, il Pit Stop è il nostro e siamo andati noi da loro: si fa così, si chiamano scambi culturali, amicizia, solidarietà.
La contentezza di Emanuele, vabbè don Emanuele, al termine dell’incontro si è tramutata nella richiesta via filodiffusione di un battimani da parte dei presenti all’indirizzo degli amici di Noha: applauso che è arrivato immediato e scrosciante dagli organizzatori con tanto di cartellino al bavero, dagli attori protagonisti, dalle numerose comparse, dalle maestranze ospiti, dai visitatori di ogni dove, nonché da sindaco e assessori presenti in loco.
Anche il Bambino (vero), in braccio alla Madre, ha battuto le mani compiaciuto, sotto quei due tetti di stelle: rispettivamente predisposti dagli umani e dai celesti.
Antonio Mellone
set022013
ago102013
C’è una parola sconosciuta ai più, ma soprattutto ai politici. Questa parola è parresìa. La parresìa è il coraggio della verità di colui il quale parla assumendosi il rischio anche di un’eventuale reazione negativa da parte dell’interlocutore.
Purtroppo sembra che la verità debba essere tenuta ben nascosta ai cittadini. Non bisogna raccontarla, neanche per sbaglio. Così continuano a prenderci in giro, ad ingannarci come se il futuro possa costruirsi sull’inganno. Manca il coraggio della verità, sia al vertice e sia alla base della nostra comunità. E questo è ormai assodato.
Io, però, non me ne capacito ancora. Non riesco proprio a capire come sia stato possibile che consigliera, sindaco ed ineffabile assessora, nel corso del convegno di presentazione del “Nuovo Centro Aperto Polivalente per Minori”, siano riusciti a dire tante cose senza dir nulla (e senza sganasciarsi dalle risate), e soprattutto ad essere applauditi dalla platea.
Mi chiedo davvero come si possa avere la faccia tosta di dire sempre (ed anche in maniera prolissa: cfr. i video su questo sito) che tutto va ben madamalamarchesa.
Ma cosa costa ai suddetti sindaco, consigliera delegata, e assessora presenzialista proferire per una sola volta, dico una, la verità così com’è, nuda e cruda, senza la pantomima del trionfalismo cui non crede (o non dovrebbe credere) più nessuno?
Quanto sarebbe stato meglio se, provando a guardare in faccia alla realtà, i nostri rappresentanti comunali avessero detto papale papale quanto segue:
“Cari concittadini di Noha, stiamo inaugurando una bellissima struttura per la quale è stata fatta una grandissima cazzata. E’ inutile che vi diciamo (perché certamente lo sapete già, se avete avuto modo di consultare Noha.it) che l’allaccio elettrico che ci permette in questo momento per esempio di usare questi microfoni non è quello definitivo, ma quello provvisorio. Purtroppo si tratta di una provvisorietà che durerà un bel po’, eh, eh, eh [risata con ammiccamento, ndr].
Non sappiamo a chi imputare la colpa di tutto questo. Anzi, a dirla tutta, lo sappiamo benissimo, ma dobbiamo far finta di non sapere. Dobbiamo far finta che tutto fili a gonfie vele, e a noi [soprattutto dal punto di vista politico – con la p minuscola ovviamente, ndr] conviene continuare nell’arte nella quale siamo dei maestri insuperabili: lo scaricabarili.
Cari nohani, mettetevi l’anima in pace: questo problema dei 50 kwh non si risolverà né oggi né mai. Dobbiamo, anzi dovete arrangiarvi, nonostante 1.300.000 euro di soldi pubblici spesi senza troppi problemi (infatti mica erano i nostri).
Detto questo vorremmo aggiungere una preghiera: per favore, ora non venite a romperci con questa storia della cabina elettrica. Nelle casse comunali non c’è il becco di un quattrino. Quindi, amici di Noha e dintorni, non veniteci a fracassare timpani e scatole, ché noi non sapremmo manco da dove iniziare. Tenetevi dunque ‘sta benedetta scuola così com’è, senza ascensore, senza impianto fotovoltaico funzionante, senza aria condizionata (che come ben sapete fa male alla cervicale). Vi basti per ora la nostra aria fritta: tanto ci siete abituati. Soffrite in silenzio, come avete saputo fare fino ad oggi e come, di questo passo, continuerete a fare nei futuri secoli dei secoli, amen.
Ci dispiace per questi poveri ragazzi della cooperativa aggiudicataria [ai quali va tutta la nostra solidarietà, ndr] che dovranno arrabattarsi tra mille difficoltà: noi abbiamo fatto quel che potevamo, cioè vendergli questa struttura come se fosse l’oro del mondo. Poveretti, ci sono cascati e se la sono bevuta. Ed ora saranno cavoli loro, mica nostri.
Farà caldo negli ambienti? Farà freddo nelle aule? Non funzionerà l’ascensore in questa scuola? Pazienza, fatevene una ragione tutti quanti, cittadini, utenti, e soprattutto gestori di questa bellissima “Ferrari” - come l’ha definita qualcuno - ma senza possibilità di far funzionare il motore in quanto hanno scordato di fare al serbatoio il buco in cui introdurre la pompa della benzina.
Suvvia, non fate quella faccia e cogliete il lato positivo della cosa. Qui i ragazzi potranno sviluppare una mentalità nuova per affrontare le emergenze o gli imprevisti, qui impareranno il coordinamento motorio e soprattutto tecniche e capacità di adattamento: insomma questa sarà una vera e propria scuola di sopravvivenza. Che altro volete da noi? Una puccia con le olive?
Grazie per l’attenzione”.
Ecco, se ci fosse stato un discorso sulla falsariga di questo, probabilmente i cittadini di Noha avrebbero pure ingoiato il rospo (non è il primo e non sarà nemmeno l’ultimo), ma di fronte alla sfacciataggine di questi personaggi e all’ostentazione di un ottimismo fuori luogo e fuori tempo massimo, ti vien proprio voglia di far aprire un bel fascicolo di indagini al Giudice preposto (abbiamo ormai materiale a sufficienza da inviare al magistrato) in modo tale che si accerti una volta per tutte la verità, e soprattutto si individui il responsabile di questo scandalo, chiedendogliene in qualche modo conto.
Ecco perché quel contatore continuerà a campeggiare sulla home page di questo sito misurando il tempo, in mesi, anni, e forse anche in ere geologiche.
Se noi non interveniamo in qualche modo quel contatore non la smetterà mai di segnare il tempo.
Non so se tra qualche secolo qualche scienziato studierà l’epoca attuale, la nostra civiltà, il nostro modo di pensare e di agire come cittadini. In caso positivo gli studiosi che potrebbero occuparsene sarebbero pur sempre gli archeologi. Ma con l’imprescindibile ausilio degli psichiatri.
P.S.
Purtroppo tutto questo è il risultato, oltre a tutto il resto, anche del pragmatismo di maniera del Pd (pragmatico devoto) di turno.
E a proposito di pragmatismo proprio in questi giorni vado a leggere da qualche parte, tra le altre, anche questa frase: “… anche i sacerdoti hanno bisogno di andare contro la corrente dell’efficientismo e del pragmatismo”.
Uno pensa che queste parole siano state scritte plagiando quello scomunicato del sottoscritto. Invece sono state proferite, e con enfasi, guarda un po’, proprio da papa Francesco in persona, nel corso della GMG che ha avuto luogo giorni fa in Brasile.
Vuoi vedere che prima di essere un osservatore nohano e dunque un osservato speciale lo scrivente è (sempre stato) un cattolico osservante?
Roba da Pd (pragmatiche delusioni).
Antonio Mellone
mag272009
1° La macchina dell’orologio risale al 1911, costruita dalla Premiata Fabbrica Orologiai di Fontana Cesare di Milano, come potrete vedere dalla targhetta originale fissata sul telaio che la sostiene.
2° Era collocata dietro il quadrante, sulla torre. Dal 1911 fino agli anni’80 ha fatto funzionare l’orologio, in piazza S.Michele, ricordando a tutti i nohani l’ora, con il battito delle campane ogni quarto d’ora (1 battito), mezz’ora 2, tre quarti tre e le ore con il relativo numero.
Oggi dietro il quadrante dell’orologio c’è un congegno elettronico moderno, attualmente guasto, che, speriamo, venga al più presto riparato.
3° Nella terza slide vediamo la macchina al momento del suo recupero dal magazzino in cui era stata archiviata, ancora sporca di polvere e grasso secco e indurito. A destra in basso, la vediamo dopo il restauro eseguito con pulizia e vernice trasparente, lavoro eseguito con l’aiuto di G.P. Serafini.
Questo recupero è avvenuto grazie anche all’aiuto della nostra Daniela Sindaco che si è prodigata insieme a me, grazie al sindaco, Sandra Antonica, che ci ha concesso il trasferimento nella nostra Noha, ed infine grazie alla preside, prof. Silvana Ferente, che ci ha offerto la disponibilità del luogo in cui ospitarla e renderla utile a voi dal punto di vista didattico.
4° Nella quarta slide notiamo la data della costruzione della torre, 1861, mentre la nostra macchina, come si è visto prima, è del 1911. E’ probabile che fra il 1861 ed il 1911 vi fosse una macchina della prima versione di orologi da torre, come questo modello, che ho fotografato nella scuola degli orologiai di Torino, è evidente la tecnica più semplice sia nell’uso di chiodi invece che dadi e bulloni per l’assemblaggio delle parti, sia nel modo di costruire gli ingranaggi, sia nelle dimensioni.
5° Come potete vedere da questa immagine, intorno alla nostra macchina si susseguono 4 parole chiave, fondamentali, tutte della stesa importanza e che commentiamo insieme:
PROTAGONISTA
-il termine protagonista deriva dal greco ed è una parola composta, vuol dire semplicemente due cose: pròtos (primo) e agonistes (lottatore, combattente). Essendo voi la generazione futura,
siete i protagonisti di Noha, i combattenti per Noha. Oggi lo siete in forma meno responsabile, in proporzione con il vostro impegno di ragazzi, ma presto lo sarete in prima posizione, quando salirete sul podio del mondo degli adulti. Allora da lottatori (protagonisti) per Noha vi prenderete cura della sua immagine. Ovviamente nel frattempo dovrete imparare a conoscerla, perché se non sapete che cosa è Noha, di che si tratta, non potrete rispettarla e soprattutto amarla.
IMMAGINE
Quando incontriamo una persona che non conosciamo, la prima cosa che notiamo e che ci colpisce cos’è? E’ la sua immagine, il suo aspetto esteriore, se è curato o trascurato.
Quindi la prima cosa che ci colpisce, dicevo, è l’immagine. La stessa cosa vale per una classe, per una famiglia, per una comunità e per una città.
Così come è capitato per la macchina che ha cambiato aspetto ed è diventata interessante per tutti dopo il restauro.
L’ immagine di Noha è ciò che pensano le persone quando ne parlano. Se ha una bella immagine non possono che dire che è una bella cittadina. Per dare a Noha una bella immagine, bisogna mantenerla ordinata, pulita ma soprattutto deve avere l’abito della festa ben stirato e lucido.
Cos’è l’abito della festa di una cittadina? E’ il centro, la piazza, i monumenti, come per esempio la torre medievale, la torre dell’orologio. Lo sapete che in quasi tutti i paesi del Salento ci sono castelli, frantoi jpogei, torri medievali, ma nessuno ha beni come le nostre casiceddhre e la casa rossa?
IDENTITA’
Quando siamo chiamati per una iscrizione ad un esame, oppure ad un concorso, o in altre circostanze simili, dopo il nome ed il cognome cosa ci viene chiesto? La data di nascita ed il luogo di origine. Vedete quindi che importanza assume il paese di origine? (Quello è di Roma…?! E quell’altro è di Milano…! Quello è di Noha,…!) Addirittura importante quanto il nostro cognome e nome. Ecco perché è importante che ci preoccupiamo della nostra identità.
Per il fatto che è parte integrante del nostro stesso futuro.
BENE CULTURALE
Un bene lo è perché lo dice la parola stessa: “bene, in economia è qualcosa che soddisfa un bisogno”. Rappresenta la cultura a cui voler bene.
Culturale lo è perché esprime, oltre alla storia della sua presenza nelle vicende del paese, anche concetti di tecnologia, E’ un esempio visivo di come è disegnato un ingranaggio, del rapporto di Pesi, forze, geometrie e metodi di montaggio. Un tesoro di tecnologia storica.
Possiamo concludere ricordando:
che essendo noi i protagonisti di Noha, dobbiamo curarne i beni culturali, per avere una buona immagine e difendere la propria identità.
Marcello D’Acquarica
gen082015
Il Presepe vivente di Noha in questi giorni non lascia tregua. E' tale la gioia per questa festa, tutta nostra, che pare non finisca mai. Tutto questo, grazie naturalmente alle persone che lo hanno realizzato e al sito Noha.it che continua ad immortalarlo nella rete degli internauti vicini e lontani, tutti uniti come in un incantesimo. Ed è proprio qui, su Noha.it, che scopro attraverso le video-interviste di Antonio Mellone una cosa alquanto sorprendente: le risposte della professoressa Daniela Vantaggiato, fra l'altro anche Assessore alla Cultura.
In occasione della presentazione del mio libro "In men che non si dica", a fine dicembre 2012, consegnai personalmente una copia del Catalogo dei Beni culturali di Noha alla suddetta gentile professoressa in visita a Noha. Non pago di ciò, tempo fa ho vergato una lettera aperta indirizzata a lei e al Sindaco di Galatina pubblicandola sul sito Noha.it (http://www.noha.it/NOHA/articolo.asp?articolo=868). In questa missiva evidenziavo quanto la Soprintendenza ai Beni Culturali avesse richiesto chiarimenti sul “progetto” del Comune di Galatina a proposito dei Beni Culturali di Noha (chiarimenti che purtroppo la Soprintendenza non ha mai ottenuto da parte dei nostri amministratori per chi sa quale strampalato motivo).
Ecco, non fosse altro che sulla base di queste prove, mi chiedo come faccia la professoressa e Assessore alla Cultura del Comune di Galatina a venire in visita al Presepe vivente di Noha e addirittura candidamente proferire le seguenti parole: "... diversamente non avrei capito quello che c'era qua intorno da vedere e da visitare...".
La stessa prof. considera (se lo dice lei!) come un "suo grosso limite culturale" il fatto di ignorare la presenza in questo territorio di un bene straordinario come la Casa Rossa. Ora mi chiedo: ma siamo davvero ancora a questi livelli? Come mai un Assessore alla Cultura così attento e così “presente” arriva a formulare queste inaudite asserzioni, nonostante i libri in merito, gli infiniti nostri interventi sul sito di Noha (lettere aperte, denunce, articoli, interrogazioni popolari, raccolta di firme..,), e, non ultimo, le trasmissioni televisive sul tema dei beni culturali nohani?
Siccome la cosa mi lascia alquanto perplesso, e a tutto c'è una spiegazione sarà possibile avere delle delucidazioni in merito? Speriamo che la stella cometa faccia luce a sufficienza prima di un altro Natale. Sempre a NOHA, ovviamente.
Marcello D'Acquarica
apr232009
Presentazione del libro: “Una vita non basta”
(Mario Congedo Editore, Galatina, 2008)
Noha, sabato 4 aprile 2009
Presso la sala del Circolo Culturale Tre Torri
Buonasera a tutti voi e buonasera al senatore Giorgio De Giuseppe. Benvenuti a questo quarto “dialogo di Noha”.
Il primo fu presso la Scuola Elementare, nello scorso dicembre 2008 nell’occasione della presentazione dell’antico orologio della torre civica di Noha, ripulito e rimesso a nuovo ed in bella mostra dal nostro amico Marcello D’Acquarica; il secondo ha avuto luogo in questa stessa sala ed ha visto quale protagonista il prof. Giuseppe Taurino, presidente del Consiglio Comunale di Galatina, che ci ha raccontato la sua storia umana e politica ed il suo pensiero, rispondendo anche a numerose nostre domande; il terzo dialogo - indegnamente curato dal sottoscritto - ha avuto luogo nello studio d’Arte della pittrice Paola Rizzo, ed ha avuto quale protagonista Dante Alighieri e la sua Comedia, con il V canto dell’Inferno…
Questo quale doveroso riassunto delle puntate precedenti.
Ma cosa sono “I dialoghi di Noha”?
Per chi non lo sapesse ancora, i dialoghi sono dei momenti di incontro, di crescita culturale, e ove possibile di confronto: se non altro tra le nostre idee e quelle del relatore di turno. I dialoghi di Noha non sono qualcosa di preconfezionato, ma una modalità tutta ancora da inventare, e da scoprire vivendo. I dialoghi sono un’idea, un marchio se vogliamo, per esempio per una conferenza, un concerto, la visione di un film in comune, un’opera teatrale, il racconto dei fatti di una volta, la degustazione di un prodotto, un corso di storia o di matematica o di diritto, la declamazione di alcuni versi poetici…
L’unico obiettivo è sempre quello di far dialogare, discutere, pensare.
In una lettera di risposta ad alcune richieste di delucidazioni sui dialoghi nohani inoltratemi da Biagio Mariano, così scrivevo: “… noi siamo alla ricerca di qualcuno che abbia qualcosa da raccontare al fine di edificare meglio la nostra comunità. Se avessimo dei buoni motivi (e se ci credessimo davvero) noi potremmo invitare a Noha (perché no?) finanche un premio Nobel, o un Premio Oscar, ma anche il Presidente della Repubblica o il Papa in persona.”
Ecco questa sera, in mezzo a noi, non c’è il Presidente della Repubblica. Ma quasi!
Non sto dicendo delle corbellerie. Insomma nel 1992 al primo scrutinio per l’elezione del Presidente della Repubblica, De Giuseppe ottenne 296 voti (non sufficienti però per la massima magistratura).
* * *
Questa sera avremo l’onore di dialogare dunque con il qui presente senatore Giorgio De Giuseppe, che presenterà il suo recente libro: “Una vita non basta”, sottotitolo: “Ricordi politici dell’Italia Repubblicana (1953 – 1994)”, Mario Congedo Editore, Galatina 2008, 424 pagine.
Ma vediamo un po’ chi è Giorgio De Giuseppe.
Classe 1930, magliese purosangue, De Giuseppe è politico e avvocato. E’ stato Provveditore agli studi di Lecce e professore di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università di Lecce (oggi si chiama Università del Salento).
Per sei legislature è stato Senatore, eletto nelle liste della Democrazia Cristiana nel collegio Gallipoli-Galatina (e quindi anche di Noha).
Ha ricoperto svariati compiti negli organismi istituzionali dello Stato come per esempio Presidente del gruppo parlamentare dei senatori della DC, Vicepresidente Vicario del Senato per tre legislature dal 1983 al 1994.
E’ cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica Italiana, onorificenza concessa dal Presidente della Repubblica.
E’ stato insignito di molti altri attestati, lauree ad honorem e benemerenze, ma non ci dilunghiamo oltre nell’elencarli tutti, per lasciare spazio e tempo alla sua parola.
* * *
Diciamo subito che abbiamo molte domande da porgli. Io ne ho appuntata qualcuna. Qualcun'altra arriverà strada facendo. Le domande, si sa, sono come le ciliegie: una tira l’altra.
Gli argomenti trattati nel libro sono così ricchi di accadimenti, personaggi, storie, curiosità, pensieri, riflessioni, che non si saprebbe da dove incominciare per prima (magari partiremo dalla fine, come vedremo). Una cosa l’abbiamo capita leggendo questo ponderoso tomo: la storia si studia, non si giudica.
Qui abbiamo a che fare con chi ha vissuto da vicino eventi, visti con un’ottica particolare quella del politico protagonista; eventi che hanno inciso ed hanno influito su ciò che oggi siamo. Nel bene e nel male.
Ci piacerebbe allora che questa sala si trasformasse per un po’ (si parva licet componere magnis) in un aula del Parlamento, diciamo del Senato, in cui si dà corso a quella cosa definita question time: botta e risposta. Magari in maniera lapidaria e granitica da parte di noi altri. E soprattutto evitando il politichese, quello che Ella, caro Senatore, a pag. 73 del suo tomo definisce: “…linguaggio poco chiaro, ambivalente, contorto, che contribuì a disorientare i cittadini e ad attenuare l’interesse da parte loro per la politica”.
* * *
E veniamo al libro: “Una vita non basta” ed alle nostre curiosità. Scorrevole, ben scritto, ne ho sottolineato diversi punti. E gli argomenti sono tantissimi. I temi sono incredibilmente interessanti. Vi dicono niente alcuni accadimenti come il terrorismo ed il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, la strage dell’Italicus o l’omicidio di Ezio Tarantelli; il compromesso storico o il pentapartito; l’attentato al Papa Giovanni Paolo II o la caduta del muro di Berlino; la questione morale o tangentopoli? O personaggi come (cito a casaccio e senza consecutio temporum) Carlo Alberto dalla Chiesa o Oscar Luigi Scalfaro o Gorbaciev o Fanfani e Forlani o i giudici Falcone e Borsellino o Giovanni Leone, Sandro Pertini, Ciriaco De Mita o Giovanni Spadolini o Francesco Cossiga, o Enrico Berlinguer e mille altri, riportati, tra l’altro, nel fitto indice dei nomi riportato nelle ultime pagine, tutti visti da vicino e conosciuti dall’autore che con loro ha avuto in qualche modo commercio di pensieri e parole?
Ma mi fermo qui. E parto senza indugio con una raffica di domande, alcune appuntate su questo foglio.
* * *
Ecco alcune delle domande poste al senatore Giorgio De Giuseppe
(le risposte purtroppo non sono state registrate su supporto magnetico, e quindi non stato possibile riportarle).La prima domanda ovviamente non può che partire dalla fine del libro. Ma mi permetta un prologo di geografia più che di storia:
* Noha: che cosa le rievoca questo nome, questo luogo, magari nelle sue battaglie politiche?
* A pag. 371 così scrive Giorgio De Giuseppe: “A Maglie si dice: una buona casa va costruita due volte. Ricostruire, per me, non era più possibile. Si vive una sola volta, anche se una vita non basta a completare l’opera e rimediare agli errori”.
Caro senatore, quali potrebbero essere questi errori, se ci sono stati?
* Cosa ha lasciato in eredità la Democrazia Cristiana? E chi l’ha raccolta questa eredità? Sono anche scomparse realmente le correnti?
* Lei ha fatto di persona, a bordo della sua auto e con l’aiuto di tanti amici le sue campagne elettorali. Ci ha messo del suo, s’è guadagnato i voti. Le piace la nuova legge elettorale, quella, per intenderci, che non ci permette di scegliere il candidato, non c’è il voto di preferenza, sicché il candidato di fatto è scelto dalle segreterie dei partiti?
* Senatore De Giuseppe, che cosa è per lei e come si combatte la mafia?
* Lei propose un massimo di tre mandati onde evitare il professionismo politico. Pensa ancora oggi che quindici, ma anche dieci anni, siano un periodo sufficiente per offrire il proprio contributo al bene comune, in modo tale da lasciare all’elettore la scelta del destino del candidato, scoraggiando, così, tentazioni clientelari? C’è in Italia la cosiddetta gerontocrazia?
* Si chiede Gianluca Virgilio nell’articolo di recensione del suo libro su “il Galatino” (30/01/2009): La logica dei blocchi contrapposti, la guerra fredda, l’inaffidabilità del PCI alle dipendenze dell’Unione Sovietica spiegano tante cose, ma l’immobilismo politico dei partiti di governo, in primis la DC, in che misura deve essere attribuito ai suoi dirigenti?
* E ancora: se la politica estera filo-atlantica della DC ha garantito all’Italia un regime di libertà e la prosperità economica per un quarantennio, quale costo l’Italia ha dovuto pagare per tutto questo?
* Cosa ci dice della Lega Nord?
* Un breve ricordo dell’onorevole Beniamino De Maria.
* Cosa intende per secolarizzazione della società? Cosa pensa del motto: libera chiesa in libero stato (laico)?
* Caro senatore, siamo un paese moderno? La democrazia è compiuta? Ritiene che la cosiddetta informazione stia facendo il suo dovere oppure o c’è qualcosa che deliberatamente non ci viene riferito? Mi spiego meglio facendo un esempio: è vero secondo lei che la televisione un tempo insegnava a parlare, oggi invece insegna a tacere?
* Il dramma Aldo Moro.
Antonio Mellone
feb072017
Ci chiediamo tutti se per le nostre bellissime e uniche casiceddhre sia arrivata l'ora del maquillage oppure si sta procedendo ad altro?
Non vogliamo nemmeno pronunciarla la parola "DEMOLIZIONE".
Capisco benissimo che si debba il rispetto più totale sul diritto di proprietà privata, ma visto che si tratta di un bene culturale e storico, molto amato dai nohani e dal resto dell'umanità, sarebbe corretto e doveroso che i cittadini siano informati prima di effettuare qualsiasi modifica.
Marcello D'Aquarica
Lucia Masciullo Notaro ha sempre fatto tanto (e gratuitamente) per Noha.
Ricordiamo che nel corso degli anni ’80 del secolo scorso, sempre a Noha, ebbe luogo una (ma forse più d’una) meravigliosa sfilata di costumi carnascialeschi che avrebbe fatto invidia alle più belle e costosissime maschere veneziane, visitate nella città lagunare durante il carnevale e ritratte dai flash dei visitatori di tutto il mondo.
In quella parata, dame e cavalieri nohani, imparruccati, elegantissimi, facevano sfoggio di sontuosi abiti, manufatti da questa sarta straordinaria. Pizzi, merletti ricercati e ricami di finissima fattura si alternavano a morbide sete, velluti multicolori e stoffe damascate di magnifica lucentezza. Una sfilata di solo un paio d’ore aveva richiesto il lavoro indefesso di mesi interi. Ma la Lucia non se ne curava: quando si fa una cosa con il cuore, non si bada all’impegno, alla fatica, e tanto meno agli attestati di benemerenza o alle medaglie al valore (che seppur fossero arrivati – il che non è - sarebbero stati comunque una ricompensa da tre soldi).
La Lucia poi ha sempre allestito l’altarino per il Corpus, che a Noha (ma anche altrove) era, fino a poco tempo fa, una forma molto seguita di devozione popolare. Infatti, un tempo nella processione del Corpus Domini a Noha per tradizione venivano addobbate, con fiori, striscioni, stoffe e tappeti, sette o otto “soste” che quasi gareggiavano fra loro per bellezza e cura. Queste soste servivano, tra l’altro, anche a far riposare le braccia del parroco, impegnate a reggere per tutta la durata del lungo corteo l’ostensorio con l’Ostia consacrata. E’ inutile dire che l’altarino di via Cadorna preparato dalla Lucia era uno tra i più belli ed accurati… Nell’intorno di quegli anni, sempre a Noha (la nostra città a pensarci bene è ricca di energie che, quando espresse, danno spettacolo), la Lucia si occupò dei costumi degli attori che realizzarono la rappresentazione della Via Crucis, che si snodò, con tanti figuranti - alcuni a cavallo - per le vie del paese. Vestì dal Centurione alla Veronica, dalle pie donne al Cireneo, dai soldati allo stesso Gesù (che in una di quelle edizioni fu suo figlio Fernando). Quella costumista in quell’occasione fece di Noha una novella Palestina. Dietro le quinte di questa ennesima manifestazione, c’era ancora una volta l’estro, la creatività ed il lavoro della Lucia e quello della sua macchina da cucire.
In occasione del Natale, poi, la Lucia (già qualche giorno prima del suo onomastico, così come si suole) con l’aiuto dei suoi allestisce da anni un grande presepe nell’ampia (e affrescata) veranda della sua casa di via Cadorna angolo via Giotto, protetta da pannelli di vetro. Un presepe non chiuso tra le mura di una dimora privata, ma visibile al passante che non può non ammirare il frutto di tanto lavoro. Un presepe unico nella scenografia, ricercato nei particolari, un’opera d’arte che incanta ancor oggi. Un presepe da far invidia ai più bei presepi napoletani.
Vi è una ricerca continua, una ricostruzione di luoghi e di protagonisti, una riproduzione dell’atmosfera dell’evento che cambiò il corso della storia: Betlemme sembra traslocata nella veranda della Lucia.
Non solo sono fatti a mano i costumi, ma anche gli stessi protagonisti, anche gli accessori, anche i doni che i pastori recano al Bambinello. Le statuine della Lucia sono sculture belle, colorate, e di stupefacente espressività. Sono opere di cartapesta con l’anima di terracotta, umili nella materia, raffinate nella realizzazione.
La Lucia, dal suo letto, ci sorprende ancora e ci dà forza. Le sue non sono statuette senz’anima, ma miracoli veri e propri.
In questo Natale, allora, tutta Noha, grata anche per questo, si fermerà un attimo davanti al presepe, implorerà Gesù Bambino, e Gli chiederà di alleviare le sofferenze della Lucia. Poi, insieme alla Lucia tutti noi diremo: “sia fatta la Sua volontà”; o come meglio si direbbe nel nostro (stupendo) dialetto nohano: “cu fazza Diu”.
Antonio Mellone
(Fonte: Osservetore Nohano n.9 Anno I, 07 dicembre 2007)
dic312013
L’arrivo del nuovo anno è occasione per bere alla salute di qualcuno o di qualcosa.
Io brindo a chi è al servizio dell’altro, a chi è di turno in ospedale, in caserma, in carcere, nei capannoni delle fabbriche; brindo a chi transita nel nuovo anno senza un saluto e a chi non è invitato ad alcun cenone; brindo agli amori passati e a chi è nessuno per la persona amata.
Brindo ai lavoratori scrupolosi, ai professori preparati, ai pubblici dipendenti responsabili, agli imprenditori onesti, ai medici per passione, ai politici perbene, a chi, nel suo ambito, non si risparmia.
Brindo ai cassintegrati, ai precari in attesa di sicurezza, ai disoccupati in cerca di lavoro, agli scioperanti per i propri diritti calpestati. Brindo ai malati senza ospedali, ai soldati inviati a combattere guerre spacciate per missioni di pace, agli studenti senza sussidi, ai ricercatori senza fondi.
Brindo a chi si fa in quattro per presidiare il territorio, ai tribunali senza personale e senza fotocopiatrici, ai muri delle tante Noha-Pompei che crollano sotto i nostri occhi.
Brindo alle vittime delle frane e dei disastri ambientali amplificati dal cemento e dall’asfalto senza limiti; brindo all’acqua pubblica, alla sanità pubblica, alla felicità pubblica; brindo alla laicità dello Stato, alla Costituzione della Repubblica Italiana, a chi rispetta le leggi e non se le fa cercando di adattarsele a proprio uso e consumo.
Brindo a chi combatte la mafia e a chi ne è vittima; brindo a chi non ce la fa, a chi sa perdere, a chi cade e cerca di rialzarsi, a chi non smette di combattere, a chi si ribella all’ingiustizia, a chi è stecca nel coro belante, a chi crede che la parola lotta sia voce del verbo amare.
Brindo a chi tutela la campagna dei nostri avi, a chi protegge i prati, le piante, gli alberi, l’aria e le nuvole; brindo a chi pratica la frugalità individuale per l’abbondanza di tutti, a chi non respinge i sogni, a chi compie il reato d’utopia, anzi ne è tendenzialmente colpevole e recidivo.
Brindo a chi allestisce un presepe vivente nonostante tutto, agli attori che vi partecipano, a chi si mette in fila al freddo ed attende il suo turno.
Brindo a chi non è ancora con noi, e a chi non c’è più.
Brindo a Noha, ai suoi figli vicini e lontani, ai suoi beni culturali, a chi pubblica su questo blog, e a chi lo consulta.
E brindo, infine, anche alla salute ed alla buona sorte di chi ho scordato di annoverare tra questi brindisi.
apr272023
Non ci aspettavamo anche quest'altra ferale notizia: la dipartita, pure questa prematura, di Giuseppe Gabrieli (Carcassa).
Intere generazioni di nohani hanno ottenuto la patente di guida grazie alle sue lezioni di teoria (divertentissime) e di pratica su strada.
Ci mancherà la sua presenza mattutina (non riusciva a farne a meno) in piazza San Michele, prima dell'inizio delle lezioni, e la sua sempre squisita cordialità.
Condoglianze alla moglie, ai figli, agli altri parenti, agli amici e tutti quelli che lo conobbero e gli vollero bene.
E furono in tanti, se non tutti.
Noha.it
apr042015
L’appuntamento è da oltre sessant’anni nel grande prato accanto alla cappella della Madonna di Costantinopoli o, come la chiamano affettuosamente i nohani, “delle cuddhrure”. E’ qui che animali da cortile e commercianti si ritrovano il Lunedì dell’Angelo per la fiera del bestiame e per mettere in mostra e vendere anatre, pulcini, papere, galline e ogni tipo di utensile per l’allevamento. Ma i veri protagonisti sono loro: i cavalli che fin dal mattino animano le strade della piccola frazione di Galatina per la kermesse che li vede sfilare in tutta la loro eleganza.
Se ne possono ammirare di bellissimi, bardati di tutto punto con nastri colorati, campanellini, finimenti argentati e criniere al vento o, ancora, seguiti da carri, birocci e calessi di ogni dimensione fino ai coloratissimi traìni, finemente decorati in punta di pennello con colori sgargianti.
La fiera, che apre i battenti alle 8.30 e si conclude alle 13, e che quest’anno è dedicata al suo storico organizzatore recentemente scomparso, Tonio Rossetti, comprende anche prodotti tipici e un mercatino di finimenti.
Nel pomeriggio, invece, si rende onore alla Madonna di Costantinopoli: intorno alle 18 la bella statua con il mantello blu viene condotta in spalla dalle donne del paese dalla chiesa di San Michele alla sua piccola cappella in fondo a via Calvario, scortata dalle note della banda di Noha diretta dal maestro Lory Calò. Dopo le laudi ci si sposta nel grande prato per assistere alla “presa della cuccagna”.
Proprio come un tempo, l’alto palo doverosamente ingrassato si erge dritto e carico di provoloni, salumi e altre ghiottonerie in attesa di essere conquistato. Pare che da diversi anni il vincitore sia sempre lui, un arzillo cinquantenne nohano che una volta “espugnata” la cima dà il via allo spettacolo dei fuochi d’artificio gettando caramelle dall’alto e sventolando la bandiera italiana, sempre con la colonna sonora dell’inno nazionale.
Il pomeriggio di festa si chiude con l’incendio della “Curemma” appesa in ogni quartiere, il fantoccio di stracci che rappresenta il periodo di quaresima. Al termine fette di colomba pasquale e spumante per tutti.
(trafiletto apparso su “quiSalento”, aprile 2015)
A. M.
feb222016
No, purtroppo non è la recensione dell’unico romanzo di Emily Brontë (1818 – 1848), bensì un paio di considerazioni in merito al comunicato di revoca delle finte dimissioni di Cosimino Montagna dalla carica di sindaco di Galatina (l’attributo “finto” si riferisce alle dimissioni e non, sfortunatamente, alla loro revoca).
L’annuncio dell’auto-esonero è durato giusto il periodo del Carnevale (quando si dice il destino).
Martedì grasso, 9 febbraio 2016, termina dunque la carnevalata sindacale, e inizia (per noi) l’ennesimo periodo di Quaresima.
*
Il laconico testo montagnoso con il quale il sindaco di Galatina comunica di sacrificarsi (sempre per noi) inizia con: “Al fine di corrispondere all’invito rivoltomi dal PD e da ogni consigliere comunale del Partito [e fin qui ci siamo: figurarsi se qualcuno del Partito e men che meno i tre urlanti reprobi avrebbero potuto avere un seppur minimo scatto di dignità, ndr.], oltre che dal mondo culturale, sociale ed economico della Città [e chi sarebbero, di grazia, tutte queste decine, che dico, centinaia di esponenti del “mondo culturale, sociale ed economico della Città” che l’avranno convinto a restare? Mistero delle schede (elettorali), ndr.], ritengo di dover revocare le mie dimissioni per proseguire negli impegni rivolti:
Per quanto innanzi col presente atto, ritiro formalmente e ad ogni effetto di legge le dimissioni [lo fa per la Città. Si spende (ancora una volta) per noi. E senza badare a spese. Ndr.] dalla carica di Sindaco del Comune di Galatina presentate in data 26 gennaio 2016. - F.to Cosimo Montagna"
*
In tutto questo bailamme, l’unico a cadere dal pero è il solito gggiornalista del Nuovo Quodidiano di Puglia, che, sempre il 9 febbraio 2016, parla infatti di: Colpo a sorpresa [chi lo avrebbe mai detto, infatti, che Mimino avrebbe ritirato le dimissioni irrevocabili? Giacché, il suddetto scriba avrebbe anche potuto aggiungere (a proposito di Tempesta) “come fulmine a ciel sereno”, tanto un luogo comune vale l’altro. Ndr.] il sindaco di Galatina Cosimo Montagna ritira le dimissioni. La comunicazione della revoca delle dimissioni è giunta questa mattina al segretario comunale. Tutto nei tempi [ma pensa te: poteva revocare le dimissioni un paio di giorni dopo la scadenza, quel birichino. Invece niente. Un tiro mancino dietro l’altro (l’unica cosa di sinistra residua a Galatina e dintorni). Ndr.] a sei giorni dei venti giorni previsti dalla legge per il ritiro delle dimissioni [dunque davvero “tutto nei tempi”, ndr.]. A “convincere” il primo cittadino a rivedere le proprie posizioni sarebbe stata l'intera coalizione di centrosinistra [secondo me anche qualche esponente del centro destra, tanto cosa cambia tra gli uni e gli altri? Ndr.]; determinante l'intervento del coordinatore provinciale del Partito Democratico, Salvatore Piconese che, a quanto pare, in un incontro tenutosi qualche giorno fa con il gruppo di consiglieri dissidenti [“dissidenti”, è una parola grossa. Ndr.] del Pd Daniela Sindaco, Piero Lagna e Teresa Spagna nel Circolo del Pd di Noha [in campo neutro, non si sa mai. Ndr.] avrebbe raggiunto un preliminare di accordo, una sorta di compromesso [il famoso compromesso storico: su cosa, non è dato di sapere. Del resto la destra non sa quel che fa il centrodestra. Figurarsi la cosiddetta carta stampata locale, e i suoi subalterni. Ndr.].
*
Sappiamo, invece, da fonti certe quello che ha esclamato il coordinatore provinciale del PD, il Piconese di cui sopra, all’uscita dal circolo di Noha, mentre alzava lo sguardo al quadrante dell’orologio svettante nella pubblica piazza indicante le undici meno dieci, anzi per la precisione le 22.50: “Caspita, s’è fatta una certa! Come passa il tempo qui a Noha [per scendere a compromessi, Ndr.]”.
Nessuno degli astanti ha avuto il coraggio di replicargli che erano appena le 20.30 e che la riunione era iniziata una mezzoretta prima, non di più.
*
E pensare che tutta questa Tempesta di rabbia, anzi in un bicchier d’acqua, è nata dalla nomina del successore del quondam Andrea Coccioli (sanu me toccu) alla carica di assessore ai lavori pubici.
Quando si dice PD: Pantomima Dimissioni.
Antonio Mellone
lug262018
A Noha da giovedì 26 luglio l’Ufficio Comunale è stato riaperto e garantirà il servizio tutti i giorni. I cittadini nohani vi si potranno recare tutte le mattine dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle 12, e nel pomeriggio di martedì dalle 16 alle 18. A settembre gli orari verranno integrati con l’aggiunta del pomeriggio di giovedì (sempre 16-18).
L’Amministrazione Comunale, nell’ottica della riorganizzazione degli uffici in atto, si è adoperata per risolvere la situazione critica che si era creata a Noha in seguito al pensionamento di un dipendente.
Per tali obiettivi, una dipendente comunale è stata assegnata a tempo pieno negli uffici di Noha e garantirà l’apertura secondo gli orari previsti, venendo incontro alle richieste pervenute dai cittadini.
Ufficio Stampa Marcello Amante
ott192021
Dal momento in cui la Giunta di questa Amministrazione continua a pavoneggiarsi per la buona riuscita – a suo dire – dell’iniziativa riguardante l’istallazione della giostra in P.zza San Pietro (non riteniamo opportuno entrare nel merito nonostante ci sarebbe molto da sindacare, primo fra tutti l’assembramento che continua a crearsi), il Partito Democratico di Noha non smette di guardarsi attorno, cercando di porre rimedio, con l’aiuto di molte segnalazioni, all’incuria di una Amministrazione che vanta il “premio flop 2021”. E così, oltre allo sperpero di ben €40.000 di soldi pubblici per finanziare una mostra fotografica di cui dubbia è l’assegnazione, oltre ai €18.000 + IVA per finanziare le proiezioni sulla Chiesa Matrice in occasione della festa patronale, e - dulcis in fundo – oltre al pagamento che il Comune ha pensato bene di addossarsi per conto di terzi di €6.900 emesso dall’Acquedotto Pugliese inerente il consumo idrico del Palazzetto dello Sport “Fernando Panico”, questa Amministrazione non smette mai di sorprenderci. E non basta lo sperpero di fiumi di denaro nonostante un bilancio di per sé disastroso, si aggiunge anche la disattenzione, l’incuria e il menefreghismo.
Il nostro Partito continua a condurre battaglie per il territorio ma contro i mulini a vento, continua a denunciare e ad essere ignorato, carpendo da ciò il fatto che evidentemente tocchiamo il vero che non può essere smentito. Il nostro PD, particolarmente a Noha (per ciò che ci concerne) si è fatto carico di una situazione incresciosa come la questione della S.P. che dal centro abitato porta al Cimitero e non abbasserà lo sguardo finché le nostre richieste non saranno soddisfatte per il bene di tutti i nostri cittadini. Ma non basta, nella condizione di abbandono in cui versiamo, non ci facciamo mancare nulla, anzi, manca davvero tutto. Siamo circa 4000 cittadini che pagano le tasse ma senza riscontro per la collettività. Siamo la frazione più popolosa ma nonostante tutto, non abbiamo diritto ad avere tra di noi almeno una unità di Polizia Municipale che ne sorvegli la buona condotta e soprattutto diriga il traffico nelle zone di maggiore affluenza. Non è raro sentire fischi di clacson, frenate improvvise e “formule eleganti e fini” (si fa per dire) ad ogni ora del giorno in Piazza San Michele, dove i classici piloti di formula1 azzardano manovre pericolosissime, per non parlare della zona del plesso scolastico, dove la sicurezza dei ragazzi che entrano o escono da scuola è continuamente minata dalla guida spericolata di molti automobilisti. Cosa potrebbe fare un’Amministrazione allora? Essere attenta anzitutto, mostrando la sua presenza garante della sicurezza di tutti attraverso un Vigile che da anni ormai manca nella nostra cittadina. Come risponde l’Amministrazione? Semplicemente ignorando. Ai cittadini nohani chiediamo altresì di destarsi, di far sentire la propria voce e di non accontentarsi mai di ciò che sono i rimasugli di una politica incapace e saccente. Meritiamo di più, Noha merita di più. Al sig. Sindaco chiediamo invece non la sua presenza (sarebbe auspicabile al fine di sentire le voci del suo popolo, ma comprendiamo che il confronto arrecherebbe molto disagio) ma la soluzione di almeno uno dei tanti problemi che evidenziamo. Sarebbe un messaggio positivo, che il Sindaco mantiene le promesse che continua a fare da cinque anni, magari al termine del suo mandato, ma tant’è…
Nonostante tutto continuiamo a essere dalla vostra parte e siccome amiamo il confronto, ci trovate ogni domenica mattina presso il nostro Circolo in P.zza San Michele, dove insieme vogliamo progettare il nostro futuro.
Il Segretario PD – Noha
Dott. Michele SCALESE
ago092010
Non finiremo mai. Siamo come assediati. Ci stanno mettendo nel sacco ancora una volta.
Stanno preparando "il sacco di Noha".
Ebbene non ci crederete ma a Noha abbiamo un'altra emergenza (oltre al fotovoltaico selvaggio in svariati ettari di campagna nohana, oltre all'imminente Comparto 4 e le oltre 50 villette schierate come un plotone d'esecuzione, oltre a tutto il resto).
Avete visto il video di Dino Valente su galatina.it a proposito della cava De Pascalis? Sembra uno spot pubblicitario.
L'intervistatore si rammarica pure della burocrazia e dei suoi lacci e lacciuoli, anzichè chiedere regole lacci e lacciuoli anche per il suo bene e la sua salute.
(fonte Galatina.it)
Lo sapete che cosa verrà conferito in quella cava, a due passi dall'antica masseria Colabaldi, sito storico e archeologico importantissimo? Di tutto, di più. Leggete l'elenco. Ma andate oltre: dietro quell'elenco c'è un altro elenco invisibile e innominabile, tra l'altro, facilmente immaginabile.
Anche se non ce lo dicono ci saranno materiali pericolosi insieme a tutto il resto. Scommettiamo? Pensate che qualche eternit, o qualche altro materiale viscoso "ben chiuso" in qualche bidone, o qualche altra roba da sversare non ci sarà in mezzo alle altre schifezze che verranno portate qui da noi da tutto il Salento? Suvvia, non cadiamo dalle nuvole con le solite lacrime da coccodrillo che verseremo da qui a qualche anno. Cerchiamo di anticipare i tempi. E per favore andatevi a vedere il film "Gomorra" (proprio nelle scene delle cave dismesse), se proprio non riuscite a leggere l'omonimo libro di Roberto Saviano.
Sappiamo come vanno le cose in Italia e soprattutto qui, nel nostro Sud. Conosciamo bene il senso di responsabilità e la correttezza di molti imprenditori (spesso prenditori e basta).
E poi perchè tra la roba conferita deve esserci pure il vetro e la plastica? Non sono, questi ultimi, materiali da riciclare? Andatevi a vedere l'elenco delle cose conferibili (conferibili, ovviamente, a pagamento) e troverete anche plastica e vetro. Perchè buttarli in discarica?
Credono lor signori che noi siamo così fessi da non capire che dietro questa n-esima "scelta ecologica" non ci sia un piano diabolico? Che potrebbe essere questo: guadagnarci ovviamente nell'immediato (i conferimenti da parte delle ditte di tutto il Salento è a pagamento, un tot. di euro a tonnellata). Ma guadagnarci anche e soprattutto nel futuro. Come? Semplice. Una volta riempita la cava (non ci vorrà mica un secolo, basterebbe un decennio ma anche meno di conferimenti, con la fame di discariche che c'è) si farà diventare edificabile quella "nuova area", tra Noha e Galatina. Altro comparto, altra villettopoli. Altro giro altro vincitore, e molti perdenti: noi.
Mentre altrove le cave dismesse diventano centri culturali (tipo Le Cave del Duca a Cavallino, sede di concerti e di convegni, o l'area Verdalia a Villa Convento, area di freelosophy, eccetera eccetera), qui da noi diventano l'immondezzaio del Salento. A due passi dalla povera Masseria Colabaldi. Non c'è rispetto nè della storia nè del futuro. Siamo schiavi del presente purtroppo.
Manco i barbari permetterebbero certi scempi. Ma noi sì.
Bisogna allora avvisare tutti i nohani, ma anche i galatinesi della 167, quelli che abitano nell'intorno della parrocchia di San Rocco, i vicini ed i lontani, del fatto che anche loro ne sono coinvolti: ne va anche della loro salute. Bisogna far presto. Bisogna far girare queste informazioni, magari arricchendole con nuove notizie e nuovi dati.
Bisogna far svegliare i nostri rappresentanti (ma dove sono con i loro cervelli in fuga) cercando di far capire loro che con certe scelte e certe decisioni (prese all'oscuro e senza informare preventivamente i cittadini) stiamo andando con gioia verso il disastro. Stavolta annunciato.
Antonio Mellone
giu152020
Stamattina, seguendo il consiglio di Lino Sparafochi (Lino, tra parentesi, è il più ambientalista di Noha, perché oltre a dispiacersi delle oscenità dei perbenisti pronti a sparpagliare ovunque l’unica vera cosa che più sono in grado di produrre, vale a dire la spazzatura, si indigna a tal punto da venirmelo a raccontare), mi sono recato verso la Vora, dove Lino aveva avvistato dei rifiuti, tanti rifiuti.
E così, recatomi sul posto, mi sono reso conto che a partire dalla chiesa Madonna delle Grazie e poi verso sud, fino a Sirgole, nohani & co. esprimono tutta la loro “sensibilità” in tema di rispetto per l'ambiente e, dunque di loro stessi. Tanto, per lavarsi la coscienza, è sufficiente raccontare ai bambini delle scuole la favoletta degli alberi da piantare, del Piedibus, delle cartacce ai giardini, ecc. ecc.
Queste diciamo persone saranno così sensibili e così preparate da cogliere subito anche la gravità di un’altra ventina di ettari di pannelli fotovoltaici che stanno cercando di impiantare nelle campagne di Collemeto e, subito dopo, in quel di Porto Cesareo. Così come, qualche annetto fa, furono attente e pronte a fare le barricate, insieme ai loro degni rappresentanti al comune di Galatina, quando qualche SRL (società a responsabilità limitatissima, prima di pertinenza di alcuni spagnoli, poi la proprietà della società passò ai tedeschi) tentò di infilzare la campagna di Noha con una settantina di ettari di loculi solari.
Tanto per dirne un’altra, nel triangolo davanti ai giardini Madonna delle Grazie, i soliti ignoti, hanno prima gettato delle tapparelle; poi siccome sembrava brutto che le tapparelle soffrissero di solitudine ci hanno aggiunto dei copertoni di seconda mano e, per il meritato relax, qualche poltrona e divani. Però, siccome in giro c’era un bel po’ di Salvione crestu, e poi piantine di Camomilla, e Carote selvatiche, e altri fiori di campo (definite dal volgo: “erbacce”), il piromane di turno ha pensato bene “di far pulizia” appiccando un bel fuoco catartico.
Potevano lasciare in pace almeno la zona del Calvario? Nossignore. Se Calvario è, lo sia fino in fondo, anche in senso letterale. Ebbene in questa zona i volontari di NoiAmbiente (ex Fareambiente), avevano piantato tre Querce, e un Noce invece era spuntato da solo. Hanno bruciato tutto, e giacché c’erano anche ombrelloni, secchi di plastica e varie ed eventuali.
Continuando in questa specie di “passeggiata ecologica”, giungiamo nei pressi della Vora. Dove non hanno ancora appiccato il fuoco.
Strano. Si saranno esauriti i fiammiferi? O il gas dell’accendino?
Tranquilli. Che ci vuole. Per l’“igiene del mondo” (chissà chi ricorda i roghi nazisti) questo e altro.
Ultimamente non sono uscito di casa per via delle norme sulla pandemia, e speravo che questo incidente improvviso del Covid avesse fatto riflettere un po’ tutti sul guaio che stiamo combinando a questa benedetta Terra che ci dà la vita.
Evidentemente mi sbagliavo. Abbiamo ripreso come e peggio di prima.
Forse Lino Sparafochi ha ragione: siamo degli ottusi (per non usare l’espressione più colorita che forse renderebbe meglio l’idea).
Marcello D’Acquarica
ago182016
P. Francesco D’Acquarica è un uomo incredibile. Ha 81 anni ma ne dimostra 18. Ha una voglia di ricercare, studiare, catalogare, prendere appunti sulla Storia e le Storie, e finalmente pubblicare, che manco un dottorando in ricerca di nemmeno trent’anni d’età.
Ho già scritto altrove di lui, e più volte. E anche stavolta non posso fare a meno di metter mano su questa tastiera per raccontarvene un’altra.
Come qualcuno di voi ormai saprà, quest’anno ricorre il decimo anniversario della pubblicazione del monumentale volume “Noha, storia, arte & leggenda” (Infolito Group, Milano, 2006) da me curato e scritto a quattro mani con P. Francesco e pubblicato grazie al mecenatismo di Michele Tarantino (che Dio l’abbia in gloria).
Non so come (il marasma nel mio archivio personale è tale che cercare e trovare un qualsiasi oggetto è come recuperare un ago in un bosco di pini marittimi), ho rinvenuto le fotografie della consegna del suddetto libro fresco anzi ancora caldo di torchio, proveniente da Milano su furgone e scaricato con muletti e transpallet nohani, e della sua presentazione in forma privata nel soggiorno di casa mia (stanza enorme usata la penultima volta, credo, alla mia cresima: adoperata invece in maniera diuturna da mia madre a mo’ di palestra per l’arte marziale delle pulizie, di cui ella è cintura nera non so più di che dan). La presentazione ‘urbi et orbi’, invece, avvenne da lì a qualche giorno nella sala convegni dell’Oratorio Madonna delle Grazie gremita come non mai.
Dunque, in quella bella mattinata del maggio 2006 erano presenti a casa mia, come si vede dalle immagini, i compianti mons. Antonio Antonaci, il prof. Zeffirino Rizzelli e don Donato Mellone; nonché don Francesco Coluccia, parroco di Noha, e poi ovviamente il coautore P. Francesco, un suo collaboratore, e ancora Giuseppe Rizzo (che aveva scattato le foto di Noha dall’alto a bordo di un Tucano, un aereo ultraleggero decollato dalla pista di Ugento), la nostra Paola Rizzo, la maestra Bruna Mellone (che m’aveva dato una mano nella rilettura delle bozze), mio cugino Marcello, mio padre, mia madre e ‘the last & the least’ il sottoscritto.
Orbene, non ci crederete, un paio di mesi fa P. Francesco m’ha voluto fare un regalo straordinario per questo decennale.
“Senti, Antonio: sei a Noha? Ho una cosa da darti”. “Domani pomeriggio, dici?” “Io arrivo da Martina Franca verso le 18”. “Va bene, Antonio, ci vediamo alla ‘casa del popolo’?” “Molto bene, Antonio. A domani, allora”.
Puntualissimo come sempre - e non come l’orologio della pubblica piazza di Noha (staremmo freschi) - P. Francesco si presenta da me in quella specie di ufficio di piazza San Michele denominato, appunto, ‘casa del popolo’ (che non è un covo di comunisti, ma insomma). “Tieni – mi fa – questo è il mio testamento”. E mi consegna un plico da cui estraggo un libro.
E’ uno stupendo volume a colori, con elegante copertina rigida verde vivo, e l’immagine spettacolare della torre medievale di Noha e, in quarta, il bell’affresco dell’Arcangelo nostro protettore, opera di Michele D’Acquarica (1886 – 1971). Il titolo del tomo di 302 pagine, finito di stampare a tiratura limitatissima il 27 marzo 2016 a Martina Franca per i tipi di Pubblimartina srl è, guarda un po’: “Noha, la sua storia e oltre..”. Sì, con tre puntini di sospensione nel titolo. Chi mi conosce sa che non amo tanto l’utilizzo di codesta punteggiatura. Ma stavolta ho capito il messaggio di P. Francesco, che suona più o meno così: “to be continued”.
E sì, P. Francesco non si ferma mai: altro che “questo è il mio testamento”.
Quando c’è da scrivere un articolo per il sito di Noha, o effettuare qualche ricerca d’archivio per una pubblicazione a più mani (della serie AA.VV.), o una relazione sui nostri beni culturali, o la biografia di qualche personaggio locale, chiedo sempre una mano a P. Francesco. Lui si schermisce sempre, dice che è difficile che ce la faccia, che ci deve pensare, che non sa da dove iniziare, che teme di ripetersi, e mille altre scusanti del genere.
Ora, siccome ormai lo conosco bene, io so che è sufficiente che gli scriva la traccia da elaborare, e magari gli ponga qualche domanda a mo’ di chiave di lettura sull’argomento da trattare, o che gli chieda qualche curiosità o ricordo in merito. Ebbene, all’indomani mattina, puntuale come il sorgere del sole, quando apro la mia posta elettronica non solo vi trovo l’articolo bello e pronto per la pubblicazione, corredato di foto straordinarie d’archivio, ma anche con tanto di commenti, chiose e glosse per specificarne i dettagli.
E’ fatto così questo ragazzo. Un insieme di ricerca, passione e soprattutto fede (in Dio, e nell’Umanità).
Non so come faccia. La mia pagina è sofferta, letta e riletta, limata, e poi ancora cancellata, rifatta daccapo cento volte. La sua scorre che è una bellezza. Avevano evidentemente ragione i latini: “Rem tene verba sequentur”.
Non so se sapete – e chiudo - che P. Francesco D’Acquarica è un esperto informatico e che ha raccolto in un database tutti i dati, i nomi, le relazioni, e mille altre informazioni contenute nei registri parrocchiali di Noha. E’ stato lui, per dirne un’altra, a rinvenire il racconto del miracolo del nostro San Michele Arcangelo avvenuto a Noha nel 1740, scritto a margine di un registro dei battezzati dell’epoca dal viceparroco di allora, tal don Felice De Magistris, e molte altre ‘indiscrezioni’ pubblicate nell’agile libello: “Curiosità sugli Arcipreti e persone di Chiesa a Noha”, edito da L’Osservatore Nohano nel 2011.
P. Francesco, ha svolto un lavoro immane durato decenni, consumandosi gli occhi su dei pezzi di carta mezzo sgualciti e corrosi dal tempo, scritti con grafie cangianti e a tratti indecifrabili, e in una lingua e in una sintassi non sempre facilmente comprensibili.
Poche parrocchie in Italia e nel mondo posseggono una catalogazione così puntigliosa e precisa come quella “creata” da P. Francesco per la parrocchia di Noha. Senza quest’opera certosina non sarebbero nate tutte le pubblicazioni sulla Storia di Noha, prime fra tutte “La Storia di Noha” del 1973 (ed. Borgia di Casarano). Mentre l’ultima non sarà certamente quella di cui sto discettando in queste note. Infatti, Francesco D’Acquarica è l’Andrea Camilleri di Noha: non riesci a terminare la lettura di un suo libro (a proposito: di Camilleri è uscito il centesimo volume) che già ne è nato uno nuovo. Per dire.
Ci sono tanti motivi per celebrare con una monografia ad hoc il nostro P. Francesco D’Acquarica, Missionario della Consolata, giramondo per amore di Cristo (e dei poveri cristi d’America, d’Africa e soprattutto d’Italia), ma con il pallino della sua terra natia che in questo caso risponde al dolce nome di Noha. Sì, nel 2011 ha celebrato il cinquantesimo della sua ordinazione sacerdotale, lo scorso anno l’ottantesimo genetliaco, quest’anno i 55 anni di Messa, mentre si trova svolgere il suo apostolato a Martina Franca (Ta), come detto sopra.
Ma il nostro “Scritti in Onore” (come altri ne abbiamo pubblicati su altri personaggi nelle edizioni de “L’Osservatore Nohano”) sarebbe roba di poco conto rispetto al monumento che questo gigante della nostra Storia locale (scritta ormai con la maiuscola, grazie anche al suo certosino lavoro) meriterebbe.
E di questo passo, più che tributargli uno “Scritti in Onore”, sarà lui a dedicare a noi altri uno “Scritti in Memoria”.
Antonio Mellone
apr112022
Nessuno, proprio nessuno fra i nohani avrebbe mai voluto leggere una notizia del genere. Perché Angiolino era buono come il pane, e garbato e disponibile e generoso. Non potevi conoscerlo e non apprezzarlo, affidargli un lavoro e non rimanerne soddisfatto, frequentarlo e non diventarne amico, ascoltarlo e non imparare sempre qualcosa di nuovo.
Da quella scala non è ruzzolato soltanto lui, ma tutti noi.
Ci conforta pensarlo ora accanto ai suoi colleghi: gli altri Angeli.
Noha.it si stringe con affetto intorno alla famiglia Masciullo, ai suoi amici, e a tutta la comunità.
La redazione
ago072013
All'età di 83 anni si è spento serenamente il carissimo nunnu Gino Misciali (Maraiuli), storico fornaio di Noha.
Tutti i nohani hanno apprezzato la fragranza e la bontà dei suoi panetti, delle sue pucce, dei suoi biscotti e delle friselle di grano e d'orzo prodotti per diversi decenni nel suo bellissimo forno di piazzetta Trisciolo.
Buono come il pane che produceva, Gino non ha mai detto di no a chi gli chiedeva il favore della cottura (gratis, ovviamente) nel suo forno di pietra di panettoni, patate, e di quant'altro bisognasse, oltretutto, di un po' di calore umano.
Ora Gino è in cielo, già pronto ad infornare ed a distribuire a tutti il pane degli Angeli.
ago222020
Mica crederete che Harrods si trovi solo a Londra. Sì, va bene, non avrà i suoi 146 ascensori, gli 8 piani (di cui due interrati), e le famose 300 linee telefoniche, ma anche a Noha abbiamo un “grande magazzino” come il londinese, e di lusso pure: stiamo parlando del bazar (non saprei come meglio definirlo) di Claudio e Daniela, compagni di lavoro e di vita.
Rispetto a quello della capitale del Regno Unito che apre alle 10, il negozio nohano invece è operativo sin dalle 8 del mattino e da un pezzo; per il resto riceve più o meno le stesse 12.000 chiamate al giorno, e gli slogan sono sostanzialmente identici: “Dallo spillo all’elefante” o “Omnia omnibus ubique” (trad.: everything for everybody everywhere), quelli di Harrods; “Cerca & Dumanda” (vale a dire: seek and ask, o meglio: seek and find), quello degli empori di Noha York.
Non posso star qui a elencare le centinaia di articoli trattati dai negozi dei due coniugi nohani se no esaurirei tutte le fette di Mellone da qui al 2030, ma non posso fare a meno di accennare al fatto che tutto ebbe inizio intorno alla seconda metà del secolo scorso con la bottega di via Trisciolo di Gilberto Marra, papà di Claudio, e di sua moglie Pierina. Vendeva di tutto, lu Cibbertu, anche le case se capitava, ma soprattutto gli elettrodomestici: mo’ non date la colpa a lui se a Noha in molti ancor oggi non smettono di pendere dalle labbra della televisione, ché da Marra’s trovavi pure quaderni, penne, matite colorate, compassi, zaini, cinghie fermalibri, cioè tutto l’occorrente per lo studio.
Per chiudere la parentesi di Gilberto, aggiungo soltanto che le sue vetrine scandivano romanticamente il calendario civile e liturgico: Natale (con il presepe e i suoi pupi), seguito immediatamente dalla Befana (ci ho quasi rimesso il naso a furia di schiacciarlo su quei vetri per ammirarne i balocchi), e poi Carnevale (altro che le mascherine di oggi), le Grandi Cerimonie Primaverili (con i piatti da portata e le batterie di pentole per la dote o il corredo, e le idee regalo per comunioni, cresime e matrimoni), e ancora l’Estate (dai sandali al salvagente ai racchettoni, dalla maschera subacquea al frisbee alla sdraio: la mia sediolina mare richiudibile in legno massello, a distanza di trent’anni, forse più, utilizzata per “sassi acuti, ed alta rena, e fratte”, è tuttora in servizio permanente effettivo), e infine, come detto, tutto l’occorrente per la Scuola (oggi troveremmo perfino i banchi monoposto, e con tanto di rotelle, incluse quelle metaforiche).
Insomma Claudio e Daniela hanno ereditato questa valanga, ma non si sono mica fermati qui. Visto che nella loro giornata lavorativa di 48 ore abbondanti avevano qualche decina di minuti di buca, hanno pensato bene di integrare la gamma degli oggetti per uso domestico con l’arredamento, e siccome la già ampia sede di Largo Congedo era piena come un uovo, cucine, divani, tavoli, soggiorni, arredo giardino, letti e suppellettili hanno trovato alloggio in un’altra esposizione, quella di via Collepasso angolo via Castello, a qualche centinaio metri dalla diciamo sede principale. Daniela, all’uopo, è anche l’architettrice d’interni: armata di metro, lapis, riga e squadra riesce a trovarti la soluzione anche per gli ambienti dalla geometria più bisbetica; sarà Claudio, poi, a terminare il lavoro del montaggio (ma mai di domenica, o di giovedì pomeriggio, per carità, ché lu vagnone, armato di canna, deve andare a pesca per staccare la spina).
In questo quadretto famigliare non si può non fare un cenno ai tre rampolli di casa Marra: Pamela, Alessio e Ilenia. Tutti e tre bellissimi, fotomodelli proprio, ma di quella bellezza fisica e metafisica che risponde ai canoni estetici di Claritas, Integritas et Proportio. Ebbene, quando la prole ritorna a Noha dai quattro angoli della terra, il negozio di papà e mammà è per loro un porto sicuro: nel senso di sicuro lavoro (sicché il sospirato “Finalmente casa” diventa d’emblée “Finalmente casalinghi”).
*
Mentre ordivo queste note mi chiedevo: ma quand’è che capiremo che un negozietto a chilometro zero virgola, e con dei ragazzi così ‘ngarbati, pronti a darti una mano in tutto, è davvero un lusso? Com’è che non ci rendiamo conto del valore insito nell’essere riconosciuti come persone, e chiamati e salutati per nome, invece di venir considerati generica “spettabile clientela”? E ditemi voi dove altro potremmo trovare a guardia della merce esposta all’aperto, specie durante la pennichella pomeridiana dei principali, un bel gatto sdraiato sull’uscio che si fa pure accarezzare?
Nel frattempo, ignari del senso della locuzione latina “Nomen omen”, stiamo andando a ficcarci nei vari Carrefour (carri funebri), o peggio ancora direttamente nelle fauci di Amazon (che ci ammazza), di Aruba (che ci deruba) e di Alibaba (che non esisterebbe senza i suoi 40 ladroni).
Antonio Mellone
set232017
Dicono che dava fastidio a un camion parcheggiato, o qualcosa del genere.
Cioè non so se mi spiego: un albero di pino che si trovava a Noha in via Castello, lì buono buono da almeno un centinaio d’anni, tutto a un tratto gli è dato di volta il cervello, come si dice, e s’è messo a rompere i coglioni ai camion di passaggio. Ma vedi un po’ tu se qui, oltre alle persone, iniziano a impazzire pure gli alberi.
Dicono che il conducente non si fosse accorto del tronco che lambiva il cassone del suo enorme autocarro, sicché, ripartendo dopo la sosta, l’ha pure divelto.
Mi direte voi: “Vabbè, può capitare: tanto c’è l’assicurazione che ristorerà i danni alla collettività per il ramo strappato”. Ma manco per idea: nel mondo di sottosopra in cui stiamo facendo finta di convivere tutti quanti, sarà invece la comunità a dover risarcire il camionista svampito (e, immagino, anche il suo avvocato).
In più, per punizione, “la comune” dovrà munirsi di sega elettrica (o in subordine a mano), e rimuovere non solo il “colpevole” (come già fatto con il pino di cui sopra), ma – alla maniera dei migliori campi di concentramento nazisti – anche i suoi compagni bellimbusti, anzi arbusti, rei di non avergli impedito di nuocere al traffico stradale.
E niente. Dobbiamo farcene una ragione. Ormai son pericolosi gli alberi (che dunque, per alchimie sociologiche e forse anche psichiatriche, diventano “soggetto” e non più “complemento oggetto” di un danno), e non piuttosto l’asfalto, il cemento, i mattoni, i muri, gli autotreni o le moto che vi sfrecciano accanto e che talvolta vanno ad impigliarvisi con tutte le corna.
E pensare che gli antichi romani piantavano lungo le loro strade (come per dire la via Appia, regina viarum), per ombra e ornamento, nonché per prevenzione dai dissesti idrogeologici, i pini domestici ad ombrello ovvero gli italici a chioma alta (i Pinus Pinea – proprio quelli che vogliono segare a Noha e giacché pure a Galatina). Ma non solo fuoriporta (Orbi), anche in città (Urbi). Basti dare un’occhiata intorno al Colosseo, ai prospicienti Fori Imperiali, al piazzale della stazione Termini e a molti altri viali della città eterna dove svettano sereni molti pini della stessa specie, taglia e qualità, in un tripudio pittoresco di bellezza, natura e paesaggio senza incutere terrore ad alcuno.
Ma stavamo parlando giustappunto degli antichi romani, mica dei moderni nohani.
Quanto alle radici, esistono semplici soluzioni di ingegneria naturalistica e buone tecniche agronomiche per evitare problemi e scoppolamenti vari. Ma certe pratiche, a quanto pare, possono essere utilizzate altrove mica qui da noi dove sono considerate poco più che amenità, vaneggiamenti dei soliti “ambientalisti”, insomma fantascienza.
Il pino domestico, per dire, era tra le specie arboree narrate anche dal grande Cosimo De Giorgi - lo scienziato polivalente che meglio di ogni altro ha descritto il Salento da molteplici punti di osservazione.
Il De Giorgi – citato dal prof. Paolo Sansò non più tardi dell’altra sera a Noha nel convegno di FareAmbiente - sul finire dell’800, girovago nei dintorni di Supersano, così si esprimeva: «E verso l'orizzonte a sinistra si profilano gli ombrelli dei pini d'Italia, che sollevan le loro chiome pittoresche sulla bruna massa della quercia di Belvedere».
Invece, si parva licet componere magnis, per descrivere il Salento odierno, il Mellone, scienziato (del) polivalente (di Noha), constatato che i pini oltre a investire i camion portano pure la processionaria [magari in processione, ndr.] per cui “vanno scappati” senza indugio; visto che gli ulivi sono da eradicare tutti of course [di corsa, ndr.], pure quelli sani perché potrebbero ospitare qualche povero batterio di Xylella; considerato che le palme sono affette dal punteruolo rosso, per cui muoiono da sole senza il bisogno di staccar loro la spina; premesso che gli aranci e i limoni soffrono di cocciniglia e fumaggine, onde con un po’ di Seccatutto risolvi ogni problema [magari alla radice, ndr.]; atteso che gli eucalipti e i pioppi sporcano, signora mia, con tutte quelle foglie caduche, per cui bisognerebbe piantarla una buona volta [“piantarla” da intendere in senso letterario e non letterale, ndr.]; osservato che per tutto il resto c’è master fuoco - sicché s’invera anche quel detto di François-René de Chateaubriand per il quale “le foreste precedono i popoli, i deserti li seguono” -, il Mellone suddetto, dicevamo, non potrà che vergare per i posteri [o forse per i pospari, ndr.] le seguenti sentite note: “E verso l’orizzonte, a destra [che la sinistra è morta da un pezzo, ndr.] si profilano gli ombrelli degli abeti artificiali [o ebeti, è uguale, ndr.] che sollevan le loro chiome cafonesche sulla bruna massa della feccia [cioè noialtri, ndr.] da distruggere”.
E’ proprio vero che l’albero è il più grande successo della Natura. Mentre l’uomo, il cesso.
Antonio Mellone
mar022007
dic192022
E insomma, giovedì prossimo 22 dicembre 2022 alle 19 in punto, il Festival Organistico del Salento, ottava edizione, sarà a Noha in chiesa madre per festeggiare coram populo i primi cinquant’anni del Continiello, l’organo a canne di comunità. Il quale non sta più nella pelle per la contentezza [è inutile dire che in un organo a canne v’è anche della pelle: d’agnello alle guarnizioni dei somieri, di montone ai mantici; mentre il cuoio s’utilizza per il crivello, ndr.].
Non solo. Da quando ha saputo che il leone da tastiera (e da pedaliera) risponde al nome dell’organista Mattia Francesco Greco da Sava, ha pure iniziato a darsi delle arie, gonfiandosi tutto quanto (per la verità soprattutto il mantice).
Non ti dico poi le sue circa settecento canne al vento tutte in fibrillazione per ‘sto benedetto festival (il famoso Festival di Canne): per darsi un tono hanno smesso di sbuffare dedicandosi, così su due piedi, agli esercizi di respirazione diaframmatica. Mo’ non è che si son messe a ripetere il mantra Om ovvero Aum tipico dei corsi di yoga, ché con i brani pescati dalle grandi opere di Bach, ma anche di Albinoni, Lefébure-Wély, Beethoven e Fischer (le uniche grandi opere pubbliche degne di rispetto), avranno ben altro da fare che salmodiare sillabe monotone (e monotòne).
Sarà un concerto rapsodico, quello di Noha, e durerà in tutto 45 minuti, più il consueto quarto d’ora d’accademia. In pratica una toccata e fuga.
Troppo breve dite? Sarà. Ma non c’è mica bisogno di Giacomo Leopardi per sapere che le cose belle durano poco; e poi ai nohani basta un niente per dimostrare finalmente di non essere più figli di un Dio minore.
Tutt’al più di un Do minore.
Antonio Mellone
ago172016
Dopo 28 anni di assenza la ripartenza dalla Terza Categoria e’ ad un passo.
“A volte ritornano” è proprio il caso di dirlo. Finalmente, dopo un lungo periodo di “stallo calcistico” a Noha, in data 08 agosto 2016 è stata costituita l’ A.S.D. NOHA CALCIO; un’associazione nata grazie alla collaborazione di un gruppo di amici uniti verso un unico obiettivo, quello di riportare a Noha il calcio dilettantistico che manca circa dal lontano 1988. E’ appunto una notizia “di rilievo” sociale più che sportivo, perché com’è ben noto a Noha manca una squadra di calcio da circa 28 anni, quando appunto la mitica squadra del Noha in fusione coi celebri e colossali “Diavoli Neri” primeggiava nelle serie minori del basso Salento.
E’ un primo passo importante che permette ai cittadini, ma soprattutto ai giovani nohani, di sognare concretamente circa la realizzazione di questo obbiettivo, ma indubbiamente le difficoltà sono ancora tante, e la strada da percorrere è ancora lunga, considerato anche il periodo di seria difficoltà economica che ogni settore della nostra economia italiana sta affrontando. E’ opportuno sottolineare che la basi per questa “rinascita” sono maturate grazie alla collaborazione fattiva di un noto imprenditore laziale che ha offerto un kit di vestiario (comprendente maglie da gara ufficiali, tuta di rappresentanza, jacket e borsone) di tutto rispetto per la nostra “futura” (e si spera concreta) squadra. Pertanto bisogna partire da questo gesto per stimolare le nostre aziende e attività commerciali locali, ma anche chiunque abbia la possibilità di avvicinarsi con qualche piccolo contributo a questo piccolo grande progetto, perché come si sa’ i costi di gestione non finiscono mai e bisogna garantire l’iscrizione entro dei termini temporali precisi.
Non ultimo, il messaggio da trasmettere alla nostra piccola comunità è quello di creare principalmente un gruppo “di amici” solido e battagliero per portare in alto i colori e il nome del nostro paese; quindi
chiunque voglia mettersi in gioco “atleticamente” o anche per un semplice consiglio a questa nuova realtà è il benvenuto. A tal proposito, auspicando la partecipazione alla nuova stagione calcistica, saranno
organizzate delle partite amichevoli e/o tornei a scopo “selettivo” pubblicizzati a tempo debito con delle locandine o inizialmente anche tramite la pagina Noha Calcio su Facebook attivata in data odierna. Forza Noha!!!
ASD NOHA CALCIO
lug022016
Il brano che segue è stato rinvenuto di recente fra le carte dell’archivio di don Donato Mellone (1925 - 2015).
Scritto nel 1983 alla sua inseparabile Olivetti Lettera 22, è il discorso di commiato da Antonio Rosario Mennonna, vescovo di Nardò (e quindi anche di Noha prima del passaggio della parrocchia all’archidiocesi di Otranto) sin dal 1962.
Anche questa è Storia locale. Che, come ribadito più volte, non è mai Storia di serie B, ma Storia tout court, e con tanto di maiuscola. Storia, che molto spesso è scritta su pezzi di carta rinvenuti per caso.
Mons. Mennonna era un mito per lo scrivente. Il vestito paonazzo, le insegne episcopali (mitria, anello, croce e pastorale), i pontificali, il portamento ieratico e la sua 131 Mirafiori blu lucidissima con tanto di autista e segretario, facevano evidentemente una certa impressione su quell’imberbe osservatore nohano ante-litteram che ero. Ne osservavo, dunque, tutti i dettagli: i suoi occhiali da miope molto spessi, i decori artistici degli uncini dei suoi vincastri, finanche le calze rosso-violacee perennemente indossate, come del resto il suo abito corale con mozzetta.
Del mio vescovo conoscevo il suo stemma (i monti, la stella a sei punte e la fortezza turrita) effigiato all’ingresso dell’episcopio e sul portale dell’adiacente cattedrale neritina, ma anche ricamato sulle infule delle preziose mitrie aurifrigiate, lavorato a filet con l’uncinetto sugli orli della cotta, marcato sugli altri paramenti sacri, e ovviamente stampato sui documenti ufficiali di curia e sulle lettere pastorali.
“Ut ascendam in montem Domini” era il suo motto. Certo di non commettere sacrilegio, lo utilizzai a mo’ di slogan del Numero Unico, il giornalino della Scuola Militare per gli Ufficiali di Amministrazione di Maddaloni, di cui nel ‘92-‘93 fui pure direttore responsabile. Ma, come posso dire, laicizzandolo preventivamente: togliendo cioè quel “Domini”, e lasciando semplicemente “Ut ascendam in montem”. Volevo trasmettere agli altri, tramite il contenuto di quella pubblicazione con tanto di espressione latina, l’urgenza di sentirsi invincibili piuttosto che vincenti, sottolineando l’importanza della lotta e della fatica della salita a prescindere dal raggiungimento dell’obiettivo-vetta. Ma questa è un’altra storia.
Ricordo che nel corso di una delle feste del Ministrante che si celebravano annualmente a Nardò nel grande atrio polifunzionale del seminario diocesano (adibito a volte anche a campo di basket o di calcetto, quando non per convegni, cerimonie o sante messe all’aperto), ricevetti in dono dalle mani dell’eccellentissimo vescovo un libro premio che ancora conservo gelosamente. Era un libello delle Edizioni Paoline, scritto da Denise Barnard dal titolo “Sul tetto del mondo”: una storia sul Tibet e sul Dalai Lama (per dire l’ecumenismo, e soprattutto l’apertura mentale di quell’uomo di cultura, che ci spingeva proprio in quei ruggenti anni ‘70 ad andare oltre “questa siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”, e forse anche oltre la nostra stessa religione). Credo che fosse stata la signora Pata di Noha (al secolo Vituccia Specchiarelli), delegata all’iniziazione cristiana dei chierichetti, a fare il mio nome al “comitato-premi-libri-ai-chierichetti” per quella bella cerimonia.
Quando il vescovo era in visita a Noha era quasi una festa di precetto, i riti sempre solenni, con la presenza costante di almeno quattro sacerdoti (i due immancabili nohani, cioè don Donato e don Gerardo, e poi ancora don Giovanni Cardinale di Aradeo e infine il segretario-cerimoniere vescovile, mons. Mancina, anzianissimo, e sovente altri “preti ospiti”). Tutti attendevamo l’arrivo dell’ordinario diocesano sul sagrato della chiesa madre, pronti, subito dopo il saluto del parroco, a riceverne l’aspersione “urbi et orbi” (a Noha e al mondo).
Una volta, alla fine di una celebrazione eucaristica, mi trovai ad aprire completamente la porta dell’ufficio parrocchiale (dove era stato preparato il solito rinfresco con delle bibite) solo dopo il passaggio di sua eccellenza, non prima. Ecco che monsignore, tra il serio e il faceto rivolto a me – tra le risate degli astanti - mi fa: “Non preoccuparti. Pensa che anche Santa Chiara chiuse i cancelli dopo che i buoi erano scappati.” Non sapendo cosa rispondere (andavo meglio agli scritti che all’orale anche allora), credo che mi mimetizzai diventando rosso porpora, più o meno come la veste color magenta del mio illustre interlocutore.
Non sto qui a dirvi che imitavo la voce e la cadenza di mons. Mennonna come nessun altro. A dire il vero ero un (inimitabile) imitatore di persone non famose che manco un concorrente di “Italia’s got talent”. Sicché arrivai a fare la parodia di personaggi più o meno locali, quali don Donato stesso, ovviamente don Gerardo, finanche la mia maestra delle elementari… Più tardi arrivai a fare il verso anche ai miei professori delle superiori e quindi dell’università, oltre ovviamente quello di molti miei amici e colleghi, e di altri personaggi vari ed eventuali.
*
Antonio Rosario Mennonna (sopravvissuto a due suoi successori avvicendatisi sulla cattedra neritina), si è spento nella sua casa di Muro Lucano nel 2008, all’età di 103 anni. Ipovedente, è stato lucidissimo fino alla fine: pare che allenasse le sue sinapsi recitando a memoria interi canti della Divina Commedia (ergo lo scrivente, da questo punto di vista può considerarsi in una botte di ferro).
Lascia un ottimo ricordo in quanti lo conobbero in vita, ed una serie infinita di pubblicazioni, fra le quali: libri di favole per grandi e bambini, trattati di filosofia e di teologia, volumi di glottologia (per esempio sui dialetti gallitalici della Lucania), un piccolo dizionario del cristianesimo, e i famosissimi e stupendi “Dialoghi con i personaggi dell’antica Roma” (da Romolo a Tarquinio il Superbo, da Cicerone a Socrate, da Augusto a Costantino, ecc.), incisi anche su Cd.
Il vescovo-professore fu insignito dal Presidente della Repubblica della medaglia al valore di benemerito della scuola, della cultura e dell’arte.
Nel 2008, pochi mesi prima della sua dipartita, scriveva una lettera di ringraziamento a don Donato per il dono del suo volume “Il sogno della mia vita” (curato dal sottoscritto, ed edito da Panìco). In quella lettera (che mio zio buonanima mi fece leggere, e che ora non riesco a rinvenire – datemi tempo), Mennonna fa riferimento al sottoscritto quale insuperabile imitatore della sua voce.
Antonio Mellone
*
Eccellenza Reverendissima,
sono passati ventuno anni e qualche mese da quando Ella fece il suo ingresso nella nostra Diocesi. E ora è giunto il momento di lasciarci per ritornare nella sua terra d’origine (Muro Lucano, ndr.). Sono convinto che Ella se ne sarebbe andata in punta di piedi, senza dar fastidio a nessuno, se non ci fosse stato un dovere elementare da compiere: quello di congedarsi da noi sacerdoti e dalle comunità parrocchiali che per tanti anni Ella ha guidato con saggezza, spirito di sacrificio e soprattutto con grande bontà d’animo.
Non è nel mio stile, Eccellenza, abbandonarmi ai complimenti, ma la verità bisogna pur dirla. E la verità è che noi sacerdoti, come pure tutti i fedeli, abbiamo visto in Lei non l’uomo di cultura, non il dottore in Sacra Teologia, quanto il Buon Pastore che ha amato questa Diocesi di Nardò, non con le parole, ma con i fatti e in verità.
Non è questa la sede più adatta, e non sono io la persona più indicata per illustrare l’opera da Lei svolta a vantaggio di tutta la Diocesi neritina nel corso del Suo ministero pastorale: ci saranno altri più qualificati di me che non mancheranno di assolvere a questo compito. E tuttavia a me spetta il dovere di fare solo un cenno a quanto bene ha compiuto nei confronti di questa Comunità Parrocchiale di Noha.
E ricordo le numerose visite pastorali, da Lei compiute. Ricordo quando nei primi anni del Suo (e mio) Ministero venne nella nostra Comunità a benedire i locali della nuova casa parrocchiale; ricordo quando fece un sopralluogo per i lavori di restauro della chiesa madre e per consacrare successivamente questo altare maggiore, così come voluto dal Concilio; ricordo la benedizione delle campane della chiesa parrocchiale e quella del cimitero, e anche quando venne a Noha a benedire il nuovo monumento ai Caduti; e ricordo, infine, quando, proprio in quest’anno è venuta a benedire il nuovo campo sportivo. E non posso non ricordare, durante l’anno mariano diocesano, l’accoglienza festosa che proprio questa comunità tributò alla Madonna della Pace nel pellegrinaggio che Ella ha voluto indire partendo da Roma.
Sono queste soltanto alcune delle opere che Ella ha compiuto a nostro vantaggio, e proprio a nome di questa Comunità, e a nome mio personale sento il dovere di esprimere all’Eccellenza Vostra Rev.ma i sentimenti della nostra gratitudine più sincera e più devota, e al tempo stesso Le chiedo che non ci dimentichi.
Per questo le Associazioni parrocchiali hanno pensato di offrirLe in dono una statuetta della Madonna. Quando Ella pregherà davanti a questa statua sono certo che si ricorderà di noi.
Noi, dal canto nostro, non mancheremo di ricordarLa nelle nostre preghiere.
Per l’intercessione di Maria, il Signore Le conceda Grazie su Grazie, e tanti anni ancora di vita e salute.
Sac. Donato Mellone
[si ringrazia lo Studio Fotografico Pignatelli per la foto d’archivio]
lug092022
La comunità dei Padri Passionisti ci ha dato notizia della dipartita di padre Silvano Fiore.
P. Silvano era di casa a Noha, più volte invitato dal parroco del tempo quale "predicatore quaresimalista".
Memorabile fu la Missione popolare del 1988, della quale rimangono la Croce monumentale in via Collepasso (nei pressi dei giardini della Trozza), alcune foto e il discorso di commiato pronunciato da don Donato (che riportiamo di seguito), e soprattutto il ricordo di quegli Happy Days nella memoria di molti nohani.
Noha.it
Di seguito il discorso di don Donato:
Illustrissimo sig. Sindaco, Reverendi Padri Missionari.
Siamo giunti alla fine della Missione che Voi, Padri Missionari, avete svolto nella nostra Parrocchia. Ma prima di rivolgermi a voi, consentitemi di indirizzare al Sindaco on. Beniamino De Maria la mia parola di ringraziamento e l’augurio di una sollecita e completa sua guarigione, in modo tale che possa ritornare a svolgere in pieno la sua attività di primo cittadino in mezzo a noi.
Dopo queste parole di saluto al sindaco, mi rivolgo a Voi, Padri Missionari, per dirvi che in questo momento nel cuore di noi tutti s’intrecciano sentimenti di soddisfazione e di contentezza, e sentimenti di sofferenza e amarezza.
Ci sono sentimenti di soddisfazione per il lavoro da Voi svolto con tanta dedizione e spirito di sacrificio. Avete lavorato con intensità ed in profondità, ed i risultati si vedono: quel che si proponeva la Missione è stato pienamente raggiunto.
Si potrebbe dire che veramente in questi giorni, per mezzo vostro, il Signore è passato per le vie della Parrocchia, è entrato nelle nostre case, ha parlato ai nostri cuori, ha chiamato i lontani, ha rialzato i caduti, ha confermato i buoni, ha scosso gli indifferenti.
Davvero si può dire che il volto della nostra parrocchia da questa Missione ne esce completamente rinnovato. Per tutto questo lodiamo e ringraziamo il Signore, ma al tempo stesso ringraziamo di cuore Voi, Padri Missionari, strumenti attivi e validissimi nelle mani di Dio.
Ed il nostro ringraziamento va a Voi, considerandovi nell’insieme. Ma sento il dovere di dire una parola di ringraziamento a ciascuno di voi. In primo luogo devo ringraziare Padre Luigi, il quale ha saputo conquistare tutti i giovani di questa comunità. Negli incontri con i la gioventù, che ho seguito sempre con molto interesse, ho visto che Padre Luigi “non si perso in chiacchiere”: ha toccato i problemi del mondo giovanile con competenza e serietà. Potrei dire che nelle parole di Padre Luigi i giovani hanno trovato pane per i loro denti. I denti dei giovani sono sani e forti, ma anche le parole di Padre Luigi sono state un pane sano, saporito e nutriente. Grazie a te per tutto, Padre Luigi.
Diciamo “Grazie” anche a Padre Franco per le sue meditazioni sempre profonde e oltretutto convincenti. Mi riferisco alle meditazioni tenute la sera. Nonostante gli argomenti difficili, Padre Franco li ha saputi presentare sempre così bene nel corso delle conferenze che tutti rimanevano ad ascoltarlo con la massima attenzione. E’ proprio vero, carissimo Padre Franco che la gallina vecchia fa buon brodo: le tue parole sono state come la pioggia che cade lentamente nel terreno e lo rende fertile e fecondo. Le tue parole, non le dimenticheremo e anche a te diciamo grazie di cuore.
E per ultimo diciamo grazie anche a Padre Silvano, il direttore della Missione. Se i suoi superiori lo hanno posto a capo di questa piccola comunità di sacerdoti è perché hanno visto in Lui quello che abbiano visto anche noi: l’uomo sempre sorridente, sempre accogliente, sempre pronto, sempre disponibile. Abbiamo visto in Lui insieme l’entusiasmo di Padre Luigi e la saggezza di Padre Franco. E se tutto è andato per il meglio è perché a guidare le diverse attività vi è stato un animatore instancabile come Padre Silvano. Anche a Lui vanno i nostri ringraziamenti.
E avrei quasi ultimato, ma prima di passare la parola al sig. Sindaco, un ultimo pensiero devo aggiungere. Ed è questo. Se finisce oggi la Missione svolta dai Padri Passionisti, deve continuare la missione di evangelizzazione che siamo chiamati a svolgere tutti noi altri.
Non badiamo agli elementi che ci dividono, non pensiamo alla diversità di vedute, non al contrasto delle idee, non alle differenze tra le associazioni: concentriamoci piuttosto su quello che ci unisce. E ciò che ci unisce è la nostra fede e il nostro amore a Cristo.
Lavorando insieme si otterrà di più. Ed è questa la più grande soddisfazione che potremo dare ai Padri Missionari quando, anche da lontano, sapranno che il loro lavoro non è stato un fuoco di paglia, ma ciò che essi hanno seminato continuerà a dare frutti abbondanti di ogni bene alla nostra comunità parrocchiale.
E’ un impegno che prendiamo oggi, e che cercheremo di mantenere, nel nome di Cristo, nostro Signore. Amen.
Sac. Donato Mellone
“Il bar non porta i ricordi, ma i ricordi portano inevitabilmente al bar”, dice Vinicio Capossela.
Questa volta il bar è quello della Liliana.
Sì, certo, l’insegna riporta la denominazione ‘Bar Castello’, ma a Noha e dintorni si utilizza volentieri il genitivo sassone, quel particolare costrutto usato per indicare un esercizio commerciale omettendo il nome comune del locale posseduto (restaurant, shop, office, church, e quindi bar) ma indicandone il titolare, sicché per noi nohani la locuzione “Faccio un salto dalla Liliana” potrebbe significare “Vado a prendere un caffè al bar Castello”, ovvero “A leggervi il giornale”, oppure “A guardare Novantesimo minuto” [non so nemmeno se esista ancora codesta trasmissione calcistica: di certo, se anche l’avessero soppressa, secondo me dalla Liliana continuano a trasmetterla imperterriti, ndr.]. Insomma.
Peccato però che da qualche giorno Liliana’s (v. sopra il concetto) ha chiuso definitivamente i battenti dopo sessanta, che dico, quasi settanta anni di onorato servizio: pertanto molti verbi è d’uopo d’ora in poi coniugarli all’imperfetto.
Qualcun altro, prima di me, ha vergato righe sul caffè e l’ottima limonina del bar, non tralasciando la pasta di mandorle (rigorosamente baresi, non americane) che le mani d’oro della Liliana trasformavano in Paste Secche e, quando il caso, in Pecurieddhri pasquali. Vorrei aggiungere, tra le specialità/ricordi, pure il caffè freddo conservato in frigo nelle bottiglie di vetro verde scuro, dico quelle per la salsa, con il tappo di sughero: caffè che doveva essere agitato bene prima dell’uso o, per dirla alla barman anzi alla bar-tender acrobatico, shakerato.
Non potrei non menzionare qui (ma poi, giuro, mi fermo per davvero) anche la bontà delle sue zeppole: le più morbide e vellutate che io abbia mai mangiato. Liliana ne approntava a bizzeffe per il giorno di San Giuseppe. Si alzava di notte per farle, molto prima del solito orario cioè le cinque (sissignore, una vita intera a vincere la gara con l’aurora). Con l’aiuto della sua povera mamma, rompeva le uova, cartoni interi di uova fresche, e preparava l’impasto amalgamando gli ingredienti in un grosso recipiente di rame con l’utilizzo di un attrezzo in legno. Non vi dico poi la bontà della crema pasticciera con cui venivano guarniti questi grandi bignè fritti o al forno culminanti con un ciuffo di budino al cioccolato amaro. Altro che creme e Nutelle industriali. Il 19 marzo le incartate di zeppole prenotate riempivano ogni angolo del bar, dal bancone ai tavolini, dalle sedie al bellissimo biliardo in legno massiccio ubicato nella seconda sala, anche questa, come la prima, con volta a botte.
Bisogna ricordare infine che presso la Liliana era installato il centralino telefonico di Noha. Prima della diffusione dei cellulari - e ancor prima dei telefoni fissi che pian piano arrivarono nelle case nohane sul calare degli anni ’80 del secolo scorso - dalla Liliana potevi fruire del collegamento telefonico in una bella cabina insonorizzata, discreta, seminascosta alla vista dei più. Quante volte da ragazzo ho utilizzato il telefono della Sip, quello grigio attaccato al muro con il disco dei numeri, per telefonare alla morosa di turno conosciuta al mare d’estate e poi, a fine vacanza, ritornata in patria in qualche altra parte d’Italia diversa dal Salento. Nel passarmi la linea, scuotendo un po’ la testa, ma con saggio compatimento, la Liliana sembrava dirmi: “Figlio mio, gli amori a distanza sono croce e delizia: all’inizio di più croce, poi man mano di più delizia”. Ovviamente aveva ragione lei. Chissà che non per antica dimestichezza con la materia.
Forse non tutti sanno che Liliana, con lo pseudonimo di Liana, è anche uno dei protagonisti dello stupendo “Il Mangialibri” di Michele Stursi (L’Osservatore Nohano Editore, 2010), il primo romanzo ambientato a Noha, di cui riconsiglio la lettura; ma di certo tutti concordano sul fatto che Liliana nostra è ormai una delle pagine più belle della Storia di Noha. Questo non solo per il lavoro diuturno, le sue leccornie dolciarie, il gran cuore e le sue proverbiali accoglienza e disponibilità, ma anche (soprattutto) per la pazienza e la diciamo capacità di ascolto di ipotesi, tesi, antitesi, purtroppo quasi mai sintesi, di molti avventori del suo locale.
Mentre i novelli retori si esibivano nelle loro interminabili elucubrazioni sugli argomenti più disparati, con molte probabilità la Liliana avrà pensato tra sé e sé: “Ma cos’hanno il mio e gli altri bar italiani per far diventare opinionisti tutti o quasi quelli che ci entrano? E come faranno quando chiuderò il bar?”.
Tranquilla, Liliana: molti hanno trovato casa su Facebook. Altri addirittura in politica.
Antonio Mellone
feb082020
Da anni cerco di far comprendere a chi già non lo sapesse (specie fra i miei compaesani) che abitare a Noha è un lusso; e forse uno dovrebbe pure meritarselo.
In questo paese ci sono molte cose che non vanno, certo, basti pensare a quanti personaggi politici si sono alternati sui palchi dei comizi facendoci vergognare per loro, o i mille fatti di cronaca nera diventati quasi stigma di un’intera cittadinanza. Ma per fortuna nostra e loro, sugli uni, già irrilevanti, sembra ormai calato l’inesorabile oblio, sugli altri la consapevolezza che il senso di comunità, la cultura e la costante vigilanza della forza della ragione (contrapposta alla ragione della forza) possano quanto meno arrestare il propagarsi di certe cancrene.
E così da non so più quanto tempo vado proclamando la sacralità disoccupata del mio paese, provando a spiegare in qual misura la sua marginalità sia di fatto centralità, e la sua modestia dignità: che dico, nobiltà.
Da qualche lustro vado dunque spiegando ai nohani (ma il discorso varrebbe anche per galatinesi, cutrofianesi o canicattinesi) che la tutela del genius loci e la salvaguardia della sua economia passa anche dallo stile dei propri consumi. La regola di giurisprudenza economica da seguire, così invisa ai pescecani del capitale, è questa: se (proprio) devi spendere, almeno fallo rivolgendoti ai negozianti intorno a te, sceglili in maniera direttamente proporzionale alla loro dimensione (ovviamente partendo sempre dal più piccolo) e in funzione inversamente proporzionale al quadrato della loro lontananza. Acquista da chi conosci, ti chiama per nome, non ti considera un algoritmo, e da chi non devi rintracciare scaricando una App. Privilegia chi non fa sprecare a te e al mondo troppa energia, sostieni chi ti spiega le cose e non ti assegna a un Numero Verde, opta per chi ti fa acquistare il necessario, e non t’intasa la buca delle lettere e giacché pure il cervello con i suoi volantini.
Per questo ho già parlato e scritto di botteghe e negozi e artigiani e artisti e liberi professionisti del mio paese. Ne mancano ancora parecchi: pian piano arriverà anche il loro turno, secondo una priorità acquisita in base a un indice quali-quantitativo composto da saluti cordiali, parole gentili, sorrisi sinceri e non di circostanza rivolti al mio indirizzo.
Nel frattempo, sempre a proposito di micro-commercio, vorrei ricordarvi che ogni lunedì a Noha, in via Michelangelo, a due passi da piazza San Michele, c’è quella che un tempo tutti chiamavano “la chiazza”, vale a dire il mercatino delle bancarelle che vi assicuro è molto carino. Proviamo a mantenerlo in vita, non spegniamolo spegnendoci a nostra volta. Usciamo dai nostri telefonini e proviamo a incontrare quei piccoli commercianti all’aria aperta, eroi erranti che lottano come gli altri per la sopravvivenza contro i colossi della GDO e quelli dell’e-commerce (entità che prosperano sullo sfruttamento di molti, primi fra tutti i Riders: ah, se vedeste almeno il recente film di Ken Loach “Sorry, we missed you”).
Ma cosa vi costa aspettare il lunedì, invece di mettervi in fila al centro commerciale a rompere i coglioni di domenica ai lavoratori. Guardate che la differenza non sono sole 24 ore.
Antonio Mellone
nov122023
A Noha non fai in tempo a stupirti per un murales dal pennel fuggito che all’indomani te ne ritrovi un altro, sulla medesima parete, a mo’ di rattoppo a colori un tantino più kitsch del precedente. Assodato che il materiale usato è tutto men che inchiostro simpatico a scomparsa, assalito da vecchi e nuovi dubbi esistenziali ti chiedi: ma la fanno apposta a tirarti dietro i secchi di vernice per due soldi quando l’inflazione dell’Area Euro è ancora galoppante?
Per chi non fosse addentro al mistero di The Wall provo a riassumere i termini della Quistione. Un bel giorno di fine estate i nohani si ritrovano il muro dell’ufficio anagrafe di via Calvario pitturato di un azzurro pastello tendente all’acquamarina quando è scirocco squaiato. Per la verità all’inizio non ci avevano fatto tanto caso, son fatti così e molti di loro si fanno scivolare addosso questo e ben altro; poi qualcuno ha iniziato a blaterare, a ragion veduta, di Bonus Sfacciati, mentre qualche altro ha ipotizzato l’apertura in quei locali di una succursale del mercato ittico gallipolino (ebbene sì, ultimamente la realtà sembra librarsi sulle ali di un ippogrifo).
Insomma, pennellata dopo spennellata, appaiono in tutto il loro splendore una ragnatela, un’enorme taranta pelosa ca mancu li cani, e soprattutto l’immagine di un San Paolo fuori le mura, anzi due San Paolo (la famosa bilocazione, prima e dopo la conversione sulla via di Damasco), con tanto di aureola, spada, mantello, barba, ma questa volta senza nemmeno gli occhi (per piangere). Dopo le prime paralisi facciali con bocca spalancata e sopracciglio immobile degli astanti, le consequenziali considerazioni circa la discutibile reputazione delle nonne dei rispettivi protagonisti dell’affaire, le interrogazioni dell’opposizione e la prima e ultima reazione della virginea amministrazione cittadina che aveva tutta l’aria di un: “E mo’ che cazzo gli diciamo a questi?”, i Macchiaioli de nohantri, tronfi manco avessero dipinto il Giudizio Universale alla Sistina, dopo aver cancellato il tutto fischiettando come niente fosse, tirano fuori dal cilindro di tinta una falce senza martello, un carretto bonsai volante, un campo di cereali del foggiano (con il Gargano incorporato), un rettangolo oblungo che vorrebbe somigliare al puteale di un pozzo, una spigolatrice da fare invidia a quelle del Millet, e finalmente alcune piante di tabacco del tempo che fu, vegetali del tutto sconosciuti alle Generazioni Alpha e Z, e credo pure ai Millennials, i cui esponenti, al pari del noto gruppuscolo di scienziati à la page, confidando nelle sempreverdi varietà “resistenti alla Xylella”, avranno esclamato a gran voce e alquanto stupefatti: “Evviva Maria!”.
Nell’attesa dell’aggiornamento del nostro Murales a Ore con un nuovo affresco però a caldo da parte del Bansky di turno, e del connesso Vernissage tutto circenses senza panem di cui l’attuale Giunta postdemocratica sembra essere l’incontrastata paladina, per non farci mancare nulla, gli ormai popolarissimi collezionisti di fiaschi (recipienti fatti apposta per i Negramaro), piuttosto che perder tempo, che so io, nella convocazione di un consiglio comunale per il conferimento della cittadinanza onoraria a Julian Assange (perché mai spendere una parola a favore di chi osi documentare i crimini di guerra del democratico Occidente), dichiarano la loro formidabile controffensiva a suon di esposti in Procura a prezzi di saldo contro chiunque ardisca mettere in discussione una delle quattro P del loro Marketing Mix (vale a dire Prezzo, Promozione, Pubblicità e Puttanate).
Scomparsa dalla circolazione la quinta P (quella della Politica), nell’attesa di conoscere chi sarà il fortunato vincitore del Premio Querelato Autunno/Inverno 2023 da scolpire a perenne monito nel Famedio Galatinese [nessun accesso agli atti per scoprirne il nome: basterà un comunicato del locale Club Unesco, ndr.], il sindaco manager/imprenditore, e a tempo perso brillante istrione, continuerà a deliziarci sopra o sotto ogni genere di palcoscenico delle sue genialate, fatte di patti d’acciaio, o forse di cemento tra Galatina e Assisi (leggermente all’insaputa degli assisiati); di innocenti inchini (vassallaggio tuonerebbero i malpensanti) alle tanto bio-green-eco-inclusive ciminiere di pertinenza del filantropo per antonomasia nonché mecenate e ovviamente Cavaliere del Lavoro (a cavallo di un elicottero), senza dubbio in nome della povertà francescana; di “inizio di un percorso” più volte ribadito ma non si capisce esattamente per dove; di piatti di lenticchie chiamati ristori offerti da aziende pronte a fare Terna al lotto in queste lande promosse al rango di colonie; di video motivazionali per i Pollowers in visibilio, e quindi di tanta cultura in kermesse piene zeppe di “forte attrattiva”, di “appeal assolutamente sovranazionale”, e di “bollini di qualità” in “connubio perfetto” con la meglio “Galatina mia”.
Nah: da Galatina come eravamo, a Galatina come ci siamo ridotti.
Antonio Mellone
giu192022
Nell’ultima recente campagna elettorale per le amministrative del nostro povero comune ne abbiamo viste di tutti i colori. A partire dalle smanie plebiscitarie di un aspirante Sindaco dell’ultim’ora, del quale, prima di qualche mese addietro, non si conosceva neppure l’esistenza, anche perché, salvo errori e omissioni, negli annali della storia patria o nelle cronache del Dibattito Galatinese del soggetto non v’è traccia né di proposte, né di critiche, né di istanze rinvenibili in qualche articolo/convegno/intervista/riunione/comitato, ma nemmeno di un sussurro, un’alzata di ciglio, una presa di posizione, un video nei pressi del solito cespuglio di erba riottosa, non una fluttuazione neuronale in questa o in quell’altra direzione benché post-ideologica, ma soltanto battage martellanti (mancherebbero all’appello giusto l’advertising interstiziale e le chiamate dei call center a ogni ora), insomma un candidato tutto Marketing e Distintivo: sicché quando dici Vergine intendi il significato proprio del termine, benché nel suo slogan campeggi l’asserzione “Lo Sappiamo Fare” (tipico della classe manageriale buona per ogni stagione, e dei leader nati – “Leader si nasce, non si diventa”, l’ha detto davvero eh, e lui modestamente lo nacque - e devi fidarti sulla parola). Fortunatamente a dargli man forte un bel po’ di personaggi politici ma anche diversamente politici di città e dintorni, e qualche immancabile meteora della politica locale (il famoso meteorismo politico), nonché pezzi d’antiquariato e piazzisti dell’epoca che fu usciti e subito dopo rientrati nell’urna, vale a dire il sacello.
Commovente invece l’avventura della lista appellata Attiva, con più competitori che suffragi. In pratica un ossimoro. Due voti in totale da dividere tra i sedici diciamo contendenti il seggio. E qui entrano in ballo le frazioni, non nel senso di Noha, Collemeto o Santa Barbara, ma di numeri razionali (tipo 2/16 = 1/8), anzi facciamo irrazionali e chiudiamola qui. Certo se l’è vista brutta: rischiava addirittura di essere superata in retromarcia da quell’altro gruppo umoristicamente intitolato Nuovi Orizzonti per l’Italia, distintosi per la media di un voto a candidato, quantunque il 90% circa dei concorrenti non abbia nemmeno osato designare se stesso con una x. Forse sarebbe stato meglio completare la denominazione di quel collettivo con un più eloquente: Nuovi Orizzonti per l’Italia Viva.
Quanto al Movimento Cinque Schede (nel senso che ha racimolato in tutto cinque voti validi) v’è da riconoscere che ha finalmente realizzato un punto essenziale del suo programma iniziale, vale a dire la Decrescita felice, onde la riduzione dei parlamentari è iniziata sin da subito partendo dal consiglio comunale. Non che in questi cinque anni di legislatura l’opposizione non abbia brillato per dinamismo e soprattutto di luce propria, ché anzi a leggere i post dell’esponente Pentastars c’è da rimanerne estasiati (emblematico quello relativo allo stracciamento di vesti alla Caifa per una vignetta che mancu-li-cani, anzi manco Charlie Ebdo, per non parlare degli interventi di ammirazione incondizionata nei confronti del Draghidiciamopensiero). E occhio a non metterti mai a discutere con codesto portavoce, ché rischi di essere sommerso da un profluvio di links (le famose Fonti) che tu certamente non saresti in grado di reperire in rete senza le sue provvidenziali selezioni. Sia lieve dunque il crepuscolo a quel Movimento partito dal basso e finito ancor più sotto. Qual era la famosa locuzione idiomatica oscillante tra l’imperativo e l’invito cordiale rivolta agli altri e molto in voga tra gli “attivisti” di un tempo? Vaffanculo? Ecco, sì.
Quanto al PD qui è sufficiente ricordare che si è alleato “strategicamente” con il suddetto Movimento nel celeberrimo Campo Santo Largo, ha invitato in loco il Conte-Duca tanto per riempire una piazza, forse ha isolato un pochino Sandra & Company (nel senso di compagni) sparpagliandosi in mille rivoli in questa o in quella coalizione e creando ancor più confusione su cos’è la destra e cos’è la sinistra: temo sia ancora alla ricerca di un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l’ha.
Due parole van dette nei confronti di Antonio Antonaci che si sente tanto il Vincitore Morale Di Questa Competizione, e forse è vero, nonostante sia arrivato quarto su quattro. Pacioccone, il più simpatico di tutti, ideal-tipo Galatina-Centro, sul palco dei comizi ha portato le “vere istanze della piazza”, intese come tutto e il contrario di tutto, dal segnale di Stop issato alla mentula canis su di una strada comunale ai pacchetti turistici confezionati da lui medesimo come nemmeno la MSC Crociere avrebbe saputo fare. Certo ogni tanto più che discettato ne ha “scettate” alla grande: tipo la nascita di una zona artigianale da colare in quel di Noha, progetto per buona sorte morto e sepolto da decenni nella culla, in quanto, come già spiegato mille volte, in via Aradeo ai nohani basta e avanza un Cimitero. Ma cosa vuoi che sia. Comunque non gli perdonerò tanto facilmente quel “Sei un grande” a commento di un mio pezzo: un colpo da maestro, non c’è che dire, anzi da politico navigato, roba da farmi perdere la faccia davanti a tutti. Ma come si permette.
Infine il sindaco Amante. In queste elezioni ha subito una trasformazione, è diventato un altro uomo, non lo riconosci più. Intanto ha tolto le mani dalle tasche (financo quando parla in pubblico sul palco dei comizi), e poi in strada s’è messo a rivolgere il saluto a tutti, ma proprio a tutti. L’altro giorno pare lo abbiano visto in giro salutare e addirittura tendere la mano (per stringerla) a qualcuno. Ma era da solo: intorno a lui non un’anima viva.
Non vorrei dire, ma si sente già tanto Joe Biden.
Antonio Mellone
dic302014
Sempre bella e sempre affascinante la visita al presepe vivente di Noha. Complimenti ancora agli organizzatori per questa lodevole iniziativa. Non stancatevi, cari ragazzi, di proporre e riproporre ancora e sempre il mistero della Nascita di nostro Signore, e giacché ci siete la conoscenza dei beni culturali di Noha.
Avevo seguito da lontano, via internet, la prima edizione del vostro, del nostro presepe vivente, perché mi trovavo in Missione a Rivoli, in provincia di Torino.
Invece nel corso delle altre edizioni ho avuto il piacere di venire apposta da Martina Franca (Ta) - dove attualmente mi trovo per il mio servizio missionario e sacerdotale – a visitare almeno per una sera, anzi di più, a vedere e gustare di persona la natività nohana (oltre che gli ottimi prodotti della nostra terra e della nostra cucina, così bene presentati anche sulle bancarelle appositamente allestite: verdura, formaggi, pucce, pittule, vino…).
Certamente anche la masseria Colabaldi aveva il suo fascino. Ma l’idea di spostarsi all’entrata del paese in una delle sue zone più antiche è stata ottima. Le abitazioni dei vecchi coloni del nobile castellano, il barone Antonello De Noha, sono state bene utilizzate. Bisogna pensare alla realtà di quel luogo per coglierne tutto l’incanto: ci troviamo nei pressi dell’entrata principale del Castello, e – vorrei ricordare - sotto il piazzale antistante si custodisce il grande ipogeo di epoca post-antica. Sarebbe bello poterlo utilizzare in un futuro presepe vivente. Per ora mi accontento di sognare. Ma (come ho avuto modo di constatare anche quest’anno) nulla è impossibile a Dio e alla volontà degli uomini (soprattutto se nohani).
E poi i cento passi… Li ho percorsi anch’io, mentre una tramontana pungente mi tagliava il volto, per approdare alla Casa Rossa. Questo residuo del castello di Noha io l’avevo visitato più volte nel corso delle mie ricerche storiche. Ottima cosa valorizzarlo con la scena della Natività.
Ma quello che mi ha colpito di più è stato l’aver notato, quasi all’entrata della “Casa Rossa”, messa lì apposta ma forse non notata, un’antica pietra circolare che sicuramente fu un coperchio delle fosse granarie che a Noha erano scavate in località cisterneddhra, risalenti probabilmente al tempo dei monaci basiliani, il che vuole dire prima dell’anno mille.
Già nel 1973 nella prima edizione della “Storia di Noha” a pag.17 avevo scritto:
“Probabilmente sono di questo tempo (dei monaci basiliani) quella specie di “granai” scoperti qualche anno fa dietro il Castello in località detta volgarmente “Cisterneddhra”. Ne sono stati trovati numerosi, uno accanto all’altro, scavati e incavati nella roccia, di forma ovale, profondi circa 3 metri e larghi nel punto più ampio circa 2 metri, alcuni ancora con il coperchio di circa 60 centimetri. Dovevano servire per conservare viveri, come grano, olio e forse anche per raccogliere la neve (neviere) importandola da lontano, per usarla poi durante l’estate come ghiaccio. Sono stati tutti interrati e distrutti”.
Ora eccola qui davanti ai miei occhi quella pietra antica. Ero venuto per il presepe vivente, quinta edizione, ma sono rimasto incantato nel vedere quel coperchio di pietra locale, cimelio di storia passata. Mi sono fermato a guardarla: se avesse potuto parlare, quanto cose avrebbe potuto raccontarmi.
Con tutta la tramontana che mi sono “goduta” ne è valsa la pena essere venuto qui anche questa sera e vedere qualcosa della storia di Noha (che poi è la mia storia).
Ecco i beni culturali: custodiamoli, proteggiamoli, valorizziamoli, non facciamo come i barbari che, non conoscendo i libri, li bruciavano. Questo a Noha non deve più accadere.
apr242023
A Noha, per istrada, non è inconsueto imbattersi nel passaggio di un calesse o di una carrozza trainata da uno o più cavalli, quando non di un cavaliere errante a bordo del suo destriero. Non so agli altri, ma a me certi quadretti trasmettono un senso di bucolica, georgica serenità, nonostante le nostre contrade non siano ubicate né letterariamente nell’idilliaco mondo dell’Arcadia (tipo quello cantato dal Metastasio), né letteralmente, vale a dire geograficamente, dato che il Peloponneso è in Grecia e non nella Grecìa Salentina.
Eppure questo piccolo mondo antico (concetto affatto diverso da quello di Jurassic Park) sembra voler sopravvivere nelle nohane lande, sfidando la post-modernità di una società liquida e tendenzialmente nichilista che ci vorrebbe tutti intruppati al servizio del capitale, indifferenti ai valori della tradizione e viepiù del sacro, e subalterni ai mercati: ergo consumatori eterodiretti in gregge alla volta del centro commerciale di rito o in alternativa della piattaforma Amazon (chissà quando riusciremo a dedurre una buona volta che, di questo passo, la vera merce siamo noi).
E questa voglia di comunità e di esistenza (o resistenza) in vita avviene perché in maniera più o meno consapevole sopravvive in loco un pizzico di senso del bene comune non disgiunto da una spolverata di passione: complemento essenziale, quest’ultima, dell’asse ereditario che si apprende soprattutto per imitazione, onde questo borgo viene appellato ormai da un bel po’ “Città dei cavalli” pur senza un visto ufficiale da parte delle cosiddette istituzioni, reputando dunque più che sufficiente alla bisogna la vox populi. Mo’ non per fare una scampanata campanilistica (chiedo venia per l’allitterazione), ma nell’appena passata Fieracavalli di Verona, novembre 2022, la scuderia Sant’Eligio di Noha dei fratelli Bonuso, che annovera tra le sue fila addirittura un istruttore di nazionalità spagnola, s’è aggiudicata il primo premio assoluto per la categoria “Tiri a 4” nel XII concorso “Verona in carrozza”. Per dire che, almeno in questo campo, non siamo secondi a nessuno.
V’è da aggiungere che tempo fa a Noha, nell’arco dell’anno, si celebravano due fiere dei cavalli: quella del lunedì di Pasqua e quella della Madonna delle Grazie. Si trattava di due appuntamenti imperdibili per gli intenditori, gli appassionati e i curiosi di ogni dove, un momento di ritrovo, uno scambio di cortesie, come dire, cavalleresco tra gli addetti ai lavori, presenti a questa o a quella kermesse - benché vi sarebbe da riconoscere che sono sempre stati i cavalli e i cavalieri di Noha, intra moenia et extra, a fare, ehm, la parte del leone. Ora, un po’ per via del politically correct e un po’ anche a causa di un virus, scusa buona per resettare liturgie secolari e per realizzare il Divide et impera dell’autoritarismo 4.0 (quando invece preservarne atmosfera, dimensione, identità e cultura sarebbe già uno straordinario programma politico), molte fiere dei cavalli nelle quali si gareggiava in prove di forza, resistenza, bellezza, velocità, eleganza, e così via, o sono scomparse dalla circolazione o hanno lasciato il posto a ben più prosaiche sfilate equestri per le vie cittadine. Molto suggestive anche queste ultime, non c’è che dire, ma (mi auguro di sbagliare) i cavallo-raduni nohani del passato rischiano di essere ormai soltanto un ricordo impresso nelle fotografie o nei video pubblicati sul blog Noha.it, che arrivano a registrare decine di migliaia di visualizzazioni tuttora attive.
Sarà forse anche per questo che recentemente qualche personaggio local in cerca del suo ultimo quarto d’ora di popolarità (nel gergo politichese “visibilità”) s’è pure adontato per non essere stato, diciamo così, adeguatamente ritratto. Spiacenti, ma in manifestazioni come questa l’obiettivo delle nostre camere difficilmente indulge ai somari. Quantunque provino, maldestramente, a darsi all’ippica.
Antonio Mellone
[Articolo apparso su “il Galatino”, Anno LVI, n. 8 21 aprile 2023]
Auguri di buona Rinascita a tutti i nohani e a tutti quelli che, in un modo o nell’altro, sono legati a Noha da un sentimento o da un ricordo. Li facciamo con l’immagine del Bambinello della chiesa madre di Noha, quello che nel corso degli anni cinquanta del secolo scorso, durante l’archipresbyteratus di don Paolo, si salvò (unica statua di quel presepe) da un violento incendio causato dal calore delle candele. Fatto emblematico in un tempo, questo, in cui si sente il bisogno di una Rinascita civile, culturale, politica e probabilmente pure sentimentale.
Noha.it
lug242015
Gentile assessore Coccioli,
ti scrivo con la consapevolezza che, come al tuo solito, farai finta di non aver letto questo pezzo (non è la prima, né sarà l’ultima volta).
Il problema, do you remember?, è sempre quello della vecchia scuola elementare di Noha, quasi del tutto ristrutturata ma, appunto, rimasta in mezzo al guado per via di una cabina elettrica dimenticata nella penna di chissà quale ingegnere progettista lautamente retribuito, onde, con il solo allaccio di cantiere (ma quanto durano ‘sti benedetti cantieri a Galatina e dintorni?), in quella scuola diventata nel frattempo Centro (quasi) Polivalente, non funzionano ancora - sebbene installati e nuovi di zecca - né l’ascensore, né l’impianto fotovoltaico, né l’impianto di condizionamento dell’aria.
Abbiamo già sperimentato quanto i nostri politici di Palazzo Orsini siano di fatto tutti chiacchiere e sedativo, ovvero portatori sani di sorrisi ma soprattutto di promesse per allocchi [l’ultima cocciolata, per dire, suonava più o meno così: “Si prevede l’esecuzione dell’intervento di realizzazione della cabina così come sopra detto necessaria ad Enel per fornire i 50 KW richiesti attivando i suddetti impianti tra giugno e settembre 2014”. - Chissà che, parlando di 2014, l’assessore più “promettente” della storia locale non ipotizzasse a suo tempo la reincarnazione, o la vita del mondo che verrà, amen, ndr]; così come non c’è da aspettarsi nulla da certi cittadini affetti da pragmatismo cronico che non considerano codesto scempio di pubblico denaro come un qualcosa di insopportabile, ma come una normale prassi su cui non vale la pena poi di soffermarsi più di tanto (e ripetono con salmodiante democristiano acume: “U fattu è fattu e l’arciprevate è mortu” – da qualche mese ormai in tutti i sensi).
*
Gentile assessore Coccioli, come ben saprai, dal 13 luglio scorso e fino al 13 agosto prossimo, il Cesfet con la collaborazione di alcune associazioni di Noha, ha organizzato “DoppiamentEstate”, un campo scuola pomeridiano per i bambini ed i ragazzi della scuola elementare e media di Noha e paraggi. Orbene, visto il caldo di questi giorni, quel campus si è trasformato in una vera e propria scuola di sopravvivenza in pieno deserto subsahariano: in mancanza di aria condizionata, infatti, le aule del primo piano hanno una temperatura media vicina a quella descritta nell’Inferno dantesco dal sesto girone e fino all’ottavo [in inverno, al contrario, la temperatura scende per assestarsi intorno alla condizione termica del nono cerchio, nelle immediate adiacenze del lago di Cocito, ndr].
Caro assessore, prova un po’ tu a svolgere i compiti o a fare i laboratori previsti dal programma in quelle aule scolastiche in questo periodo buone solo per infornare il pane, e poi ne parliamo.
*
Gentile ingegnere, concludo.
Sappi che probabilmente per molti galatinesi e altrettanti nohani, belli addormentati sul divano - usi a scrivere scemenze su face-book, oltretutto sgrammaticate – il problema del Centro Polifunzionale di Noha non esiste. Invece i ragazzi del campus di Noha, di gran lunga più svegli dei cosiddetti adulti, hanno capito tutto, e hanno colto immediatamente che, così a mezz’aria, senza cabina elettrica in grado di far funzionare gli impianti, quell’immobile pubblico di piazza Ciro Menotti è un’opera non solo priva di senso ma soprattutto offensiva per i soldi che ha succhiato (stiamo parlando di 1.300.000,00 euro per pronta cassa: bruscolini).
Un’ultima cosa, signor Coccioli, vorrei dirti. Ed è questa: tu puoi provare a prendere in giro tutti, ma con i bambini sei capitato male.
I nostri ragazzi, infatti, hanno capito benissimo che la cialtroneria, che per definizione ha le gambe corte, sovente ha nome e cognome: connotati che spesso combaciano con quelli di numerosi esponenti di una classe dirigente e politica locale dalla fedina penale probabilmente ancora pulita, ma dalla coscienza (penosa) certamente sporca.
Con la stima di sempre.
Antonio Mellone
ago042019
Ci sono momenti in cui l'umore sale, e momenti in cui scende.
Altri ancora in cui sprofonda nella rassegnazione.
Ed è proprio questo, la lotta fra la rassegnazione e la voglia di reagire, che abbiamo colto dalle parole di sconforto di alcuni cittadini che frequentano i giardini Madonna delle Grazie a Noha, presenti pure al momento dell'installazione di dieci nuovi cestini per la raccolta dei rifiuti.
Ricordiamo a tutti, che il progetto di ripristino delle panchine e dei cestini, quasi totalmente distrutti più dal vandalismo che dall'usura, volge al termine. L’impegno è stato reso possibile grazie ad alcuni concittadini che hanno contribuito sia economicamente, acquistando le panchine e i cestini, sia dal punto di vista pratico e organizzativo. Appena completata l’installazione, pubblicheremo l’evento su questo sito.
Non entriamo nel merito del lavoro svolto dall'attuale amministrazione, che ringraziamo comunque per la disponibilità nei confronti delle nostre iniziative volte alla cura del bene comune.
Vorremmo invece mettere in evidenza due aspetti connessi alla Politica del nostro territorio: l'atteggiamento di rabbia/arrendevolezza e la determinazione imperterrita di volere a tutti i costi spingere questa nostra comunità verso il cambiamento, seppur a piccoli passi.
Ormai lo stato del quasi dissesto finanziario del Comune di Galatina è conclamato: ce lo comunica il sindaco in persona, come per esempio nell’ultima relazione del Consiglio Comunale del 31 luglio appena trascorso.
La stessa cosa possiamo dire del degrado che, ahimè, non fa onore alla gloriosa storia di arte e cultura di Galatina e frazioni. Eppure nonostante la grave situazione e le difficoltà che non lasciano trasparire grandi cambiamenti nell’immediato, non bisognerebbe mai arrendersi, tantomeno essere critici, se non fosse per un apporto utile allo stesso bene comune. Mi riferisco alla vecchia abitudine di considerare una forma di "critica" il lamentarsi delle inadempienze degli amministratori così, in modalità zapping, un colpo di qua e uno di là, come quell’altra inconsulta mania che si fa con il telecomando della tv.
Purtroppo c'è in giro ancora tanta gente apparentemente per bene che con disinvoltura getta la propria spazzatura dall'auto in corsa; giovani e meno giovani che disseminano i bordi delle strade di bottiglie di vetro e sacchi di spazzatura; gli amici degli amici a quattro zampe che non conoscono le più elementari norme del galateo cittadino e lasciano dietro il loro passaggio l’allegoria di quello che di fatto sono; compaesani che bruciano plastica a cielo aperto, come se le particelle volanti non li interessassero per primi.
La strada verso la civiltà è lunga e tortuosa, così come l'amore tanto di moda oggi nei confronti della Natura. Ma da soli non andremo molto lontano.
Noi crediamo che sia necessario essere critici, ne abbiamo il dovere, prima ancora che il diritto, ma per farlo in maniera costruttiva bisognerebbe fare un passo avanti, considerandoci cioè protagonisti consapevoli delle nostre responsabilità.
Certo occorre tempo, e infatti se per esempio ci guardiamo indietro, solo fino ad un paio di decenni addietro, i nohani portavano i loro bambini a giocare nei parchi pubblici dei comuni vicini. Oggi invece siamo qui, in questi nostri bellissimi giardini, tutti insieme, al fianco dei nostri amministratori, per poter credere ancora una volta nella bellezza e nel futuro di Noha.
Il Direttivo di
Fareambiente Laboratorio di Galatina Noha
giu142014
Gli Osservatori nohani
mag072014
Non so voi, ma io ogni volta che da Noha mi reco a Galatina percorrendo il viale Carlo Alberto Dalla Chiesa e imbattendomi nell’abbozzo della rotatoria di raccordo con l’inutile oltre che dannosa e costosa “circonvallazione interna” - voluta, anzi, di più, “rivendicata” da tutti i consiglieri comunali pappa e ciccia di ogni (sbiadito) colore politico - sono colpito da un certo malessere.
Sì, signora mia: conati di vomito per la precisione.
A procurarmeli non è soltanto lo spettro sempre più consistente di questo ossimoro (circonvallazione interna) i cui lavori, purtroppo, procedono alacremente (a dispetto delle false denunce di qualche esponente della sedicente opposizione “per accelerarne i tempi”), ma anche altre chicche di complemento.
Sì, i lavori, tra alti e bassi, sfortunatamente procedono.
Vogliono sbrigarsi.
Invece di smetterla una buona volta, invece di rallentare, anzi interrompere definitivamente questo scempio definito “opera pubblica” - e composto da un impasto mefitico di cemento, asfalto, degrado, interessi conto terzi, lottizzazioni, folgorazioni sulle circonvallazioni di Damasco da parte di compagni ex-ambientalisti, cambiamenti di destinazione d’uso di terreni agricoli, e sicuramente nuovi debiti fuori bilancio (scommettiamo?) - questi vanno avanti come un treno.
Se si fermassero qui saremmo di fronte ad uno dei rari esempi di opera incompiuta per il bene dell’umanità. Invece no: tiremm innanz!
Con determinazione verso il disastro.
Ma il problema non è solo questa benedetta circonvallazione, sono anche i suoi complementi d’arredo.
Sono certo che qualcuno di voi (e non mi riferisco stavolta ai nostri rappresentanti politici: questi non vedono, non sentono, in compenso sovente parlano a vanvera) avrà notato quel parapetto di delimitazione, quella specie di recinzione-ringhiera di assi in legno disposta su più file orizzontali e a X, sostenute da pali verticali infissi a terra, come quelli un tempo usati nelle campagne. Per ora ne hanno realizzato solo un tratto; ma sospetto che andranno oltre.
A cosa serve questa balaustra? Probabilmente alla “prova Olio Cuore” da parte di qualche podista galatinese.
Ora vi chiedo: avete constatato (pur senza essere degli occhiuti osservatori nohani) che quella staccionata di pali incrociati ad incastro con tanto di corrimano è identico in tutto e per tutto (dimensioni, materiali, colori, disegno) alla palizzata-ringhiera dei giardini Madonna delle Grazie di Noha? O meglio ex-palizzata, visto che non è durata più di tanto, per come si è sbriciolata (‘ncravulisciata direbbero gli accademici della crusca) dopo poco tempo, sotto il sole e le intemperie, diventando a tratti pure pericolosa per i chiodi arrugginiti che spuntavano un po’ ovunque, tanto che han dovuto rimuoverla tutta?
Non vi sorge il dubbio che il cosiddetto suo designer possa essere lo stesso? E così anche il fornitore
Poi uno si chiede quand’è che riusciremo ad andare oltre questa siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. E soprattutto chi pagherà i danni erariali di queste genialate.
Di questo passo temo mai e nessuno.
Eppure basterebbe poco per risparmiare un po’ dei soldi nostri. Come ad esempio evitare che i direttori dei lavori con committenza pubblica continuino ad essere cooptati direttamente dall’albo dei sadomasochisti (ogni riferimento a eventuali cabine elettriche di allaccio energetico a vecchi edifici scolastici ristrutturati rimaste per distrazione nella penna dei progettisti è puramente casuale ndr.), ed iniziare, a partire dai cittadini, ad aprire gli occhi e ad usare il cervello. Anziché, come al solito, la testa di un organo posto un po’ più in basso.
lug132013
“Viva soddisfazione”, dice il Sindaco alla seconda inaugurazione della ex-struttura delle vecchie scuole elementari di Noha.
“Occorrono tanti contenitori culturali” dice l’Assessore alla Cultura, pensando, forse, di far crescere il senso civico nelle persone. Certo un po’ di informazione sul significato di senso civico non guasterebbe, anche se la gente fa già del suo meglio per vivere dignitosamente. Da un certo punto di vista, le intenzioni dei nostri rappresentanti, potrebbero sembrare perfino una svolta per un insperato atteggiamento di fiducia, e lo sarebbe se non fosse che, per esempio, nel caso delle vecchie scuole elementari appena re-inaugurate come Centro Polifunzionale, si è realizzata un’opera da “tre soldi" ad alta risonanza sì, ma in un contesto privo di ogni elementare servizio collaterale. Un po’ come dire, abbiamo il volante in radica, ma lo usiamo per guidare uno sciarabà.
La faccenda è talmente seria che viene spontaneo chiedersi se prima di spendere un milione e trecentomila euro per un’opera, fra l’altro incompiuta, non sarebbe stato necessario dare al paese un minimo di decoro, del tipo: piste ciclabili, aree verdi attrezzate seriamente, marciapiedi meritevoli di tale definizione, una piazza degna della sua funzione, un area per il parcheggio di potenziali ospiti, di un centro (se pur modesto) chiuso al traffico, protetto cioè dall’invasione di veicoli a motore che sono sinonimo di fetore e rumore. Insomma di ciò che un paese cosiddetto civile ha bisogno. Questo è l’atteso “atteggiamento di fiducia” dei cittadini nohani.
Ma perché spendere dei soldi per fare delle piste ciclabili, visto che la sicurezza a casa nostra è improntata solamente nel costruire pseudo tangenziali intramoenia, aree mercatali e centri commerciali fuori dall’abitato, giusto appunto per motivare spostamenti in massa di autoveicoli. Dietro questi slogan da piazzisti sfegatati e di buonismo impeccabile si nasconde, sovente, un disinteresse puro per il bene comune e bramosia per il proprio. La storia, specialmente locale, insegna.
Cresce sempre di più la moda dell’annunciare, e ora anche del denunciare, cori osannanti a moralità auree e contraddizioni altrui, di sinistra o di destra. Di negligenze degli imprenditori che dovrebbero impegnarsi nel cambiamento, dei lavoratori che devono rinunciare ai diritti acquisiti, dei giovani che sono troppo selettivi e mammoni e degli anziani che invece di costare meno esigono di più ricorrendo a cure sanitarie che il pubblico non riesce più a offrire. Di disattenzione dei cittadini alla cosa pubblica e di veri valori. Come se ci potessero essere valori falsi, un valore è un valore. Punto.
Falso è invece il perbenismo di facciata, le prediche vuote di concretezza, di pensieri a cui non seguono azioni. Falsi sono gli slogan da campagna elettorale, o i monologhi alla ricerca di carrierismo o di banale notorietà.
Non servono più nemmeno i dialoghi, compresi i Dialoghi di Noha, tanto che avvengono fra sordi. Fra persone, cioè, che pur avendo un ottimo udito, non sentono perché non riescono a togliersi l’appanno che gli intorbidisce i 4 neuroni rimasti vuoti.
Allora ci chiediamo a che servono i decantati “contenitori culturali” sognati dal nostro Assessore alla Cultura, se l’immagine di Noha, giusto per partire dalla periferia di Galatina, è da qualche tempo quella di un dormitorio, semmai di un centro di attraversamento, nonostante il consumo del territorio perpetrato a danno della campagna circostante, con infinite strade, mega rotonde e superstrade. A proposito di danni, abbiamo seppellito ettari di terra fertile sotto il catrame.
A cosa serve la cultura se parlando per esempio di raccolta dei rifiuti, nessuno dice che sarebbe bene smettere di produrli, i rifiuti, se nessuno ci racconta (con un contenitore culturale, per esempio) dove e come vengono fatti scomparire, o quale sarebbe invece il circuito migliore per ridurre inquinamento e costi. Invece il “leitmotiv” (motivo conduttore) della stampa locale e di buona parte della politica, è l’aumento delle bollette e voler convertire la Colacem in inceneritore. A che serve la cultura se annoveriamo virtù da buona condotta ogni giorno del calendario, come per esempio la storia del “pedibus” in cui si chiede agli studenti di recarsi a scuola a piedi, se il giorno dopo assaliamo gli ingressi con auto sempre più grandi, se camminando a piedi rischiamo di essere travolti da automobilisti insensati e se la bicicletta è di fatto un mezzo di trasporto pericoloso, per i ciclisti ovviamente. A cosa servono presentazioni di libri, elargizioni di glorie e onori se poi per far giocare i nostri bambini dobbiamo portarli nei parchi-gioco dei paesi limitrofi.
A che cosa serve fare indigestione teorica di cultura se viviamo in centri abitati dove non regna né decoro né senso civico, ma soltanto l’idea che basta parlare, senza fare. Riempiamoli pure i contenitori culturali, ma per favore, caro sindaco Montagna e cara Assessore Vantaggiato, siamo stanchi dell'ipocrisia.
giu112015
Le Associazioni Organizzatrici
Noha, 13 giugno 1988: alcuni flash della benedizione della Cappella del Santo di Padova da parte dell'allora Vescovo di Nardò - Gallipoli, mons. Aldo Garzia (1927 - 1994)
ago162024
Non vorrei urtare la suscettibilità del sindaco di Galatina e soprattutto dei suoi vassalli, assessori e valvassini, e senza tralasciare i selfie della gleba, se oso evidenziare due o tre cosette che m’appaiono di una certa rilevanza. Avverto però a mo’ di premessa che, salvo clamorosi accadimenti degni di minzione, ogni eventuale successiva fetta di Mellone 2024 proverà a discettare di ben altri temi magari più terra terra, provando a mantenersi pur sempre Vergine di servo encomio.
A proposito di terra, un cenno va all’erba voglio ai bordi delle strade e delle piazze comunali ribattezzata dai supporters ante-elezioni “erba non voglio”. Ebbene, mi permetto di far notare che in molti casi il prato inglese, tedesco e italiano (come nelle barzellette) adorna ancora imperterrito e rigoglioso cospicui lembi dello stradario urbano e inurbano nohano, probabilmente per concretizzare l’antico motto vernacolare che suona così: “Tienimi la samente [semenza] ”. Ora, in base al nuovo verbo incarnito scodellato nel classico comunicato stampa, l’erba incriminata verrebbe tagliata ogni mese e mezzo, e va bene. Ma a noi altri sarebbe bastato un pizzico di onestà in più se non politica perlomeno intellettuale espressa verosimilmente nei seguenti termini: << Cari nohani, la lotta è impari, non riusciamo davvero a star dietro a tutto: l’erba non è un prodotto finito ma un processo continuo, e non si può vivere una vita intera con il decespugliatore spianato. Certamente noi faremo del nostro meglio, ma voi altri, e non vi sia per comando, dateci una mano, e cercate là dove possibile di fare la vostra parte per il decoro cittadino, tentando di mettere in pratica il celebre adagio secondo il quale se tutti pulissero davanti alla propria porta, il mondo intero sarebbe più pulito >>. Questo avrebbe oltretutto reso giustizia a chi, poveretto, durante la campagna elettorale ha battuto il marciapiede alla ricerca dei ciuffi di verdure ribelli un tempo definiti “erbacce” - oggi invece diventati oggetto di culto, sicché alla loro vista in tanti si scappellano ed esclamano in estasi: evviva la Maria!
La seconda cosetta è riferita al “restauro” (virgolette purtroppo ancora obbligatorie) della torre civica di Noha, e dunque dell’orologio e del relativo campanile tuttora infestato dai fantasmi (dal fantasma Formaggino a quello dell’Opera, tanto per rimanere nella fiction). Ne abbiamo scritto in altra occasione, evidenziando che 150 giorni di lavoro effettivo sarebbero stati un po’ pochini rispetto alla mole di attività da svolgere, ma temiamo di non essere stati compresi: colpa nostra evidentemente, mica dell’analfabetismo funzionale sparpagliato democraticamente qua e là, e/o della malafede concentrata nelle mani di pochi eletti. A questo si aggiunge la pigliata per fessi del cantiere e del relativo cartello più surreali al mondo: cartello probabilmente realizzato da Cattelan, quello delle tele avanguardiste, a fronte di un cantiere decisamente futurista con tutti gli operai rigorosamente in smart working diretti senza dubbio alcuno dall’intelligenza artificiale. Il suddetto manifesto, per chi si fosse perso la puntata precedente, indica la durata dei lavori nei famosi “150 giorni”, senza una data d’inizio fabbrica e men che meno una di fine. Sicuramente, come dicono gli esperti: “[…] sono quelli previsti al netto dei ritardi causati dalle valutazioni e dalle prescrizioni della sovrintendenza alle belle arti a cui il comune deve sottostare [sic: Uhahaha, ndr.]”. Sì, come no. Immagino lo indichi chiaro e tondo perfino il nuovo codice degli appalti pubblici: ‘Signori, i giorni di cantiere previsti dovranno rigorosamente somigliare a una variabile stocastica, tipo un gratta e vinci’. E ancora, continuando nella lettura delle solite anafore strappa-like: “Sarebbe utopistico sperare che ci si informasse sullo stato dell’iter procedurale nelle sedi opportune [sic]”. Ma infatti. Mica sono i rappresentanti o i delegati sindacali a dover spiegare a che punto sono gli “iter procedurali” (sarebbe utopistico e non vorremmo far “perdere il loro prezioso tempo”[sic]), è invece il cittadino curioso (e, diciamolo francamente, rompicoglioni) a dover fare l’accesso agli atti, inoltrare richieste formali e circostanziate a chi di dovere, e soprattutto presentarsi “nelle sedi opportune” per chiedere quando potrebbero terminare quei famigerati 150 giorni, atteso che oggi siamo già a ben oltre i 180 prendendo in considerazione la data di montaggio dell’”àndita”. La quale si spera sia a noleggio “a muzzo” e a tempo indeterminato, o al massimo con canone giornaliero legato ai soli giorni effettivi di azione, se no l’unico suono eventualmente possibile per le due campane della torre di Noha sarebbe quello a morto.
La terza e ultima cosetta riguarda l’affaire Ento-Sal (smaltimento rifiuti a km0 dalle prime case di Santa Barbara) scodellata dal nostro leader carismatico come una grande conquista della sua “compatta maggioranza” (veramente il voto in consiglio comunale è stato unanime, ma non attacchiamoci al pelo). Ebbene, posto che il molto probabile ricorso presso chissà quale tribunale da parte dei conquistadores di turno non invalidi la trionfale delibera, sarebbe stata vittoria vera da parte di tutti (e non una vittoria di pirla, pardon di Pirro) se ogni metro quadrato della superstite campagna galatinese - minacciato da devastazioni di ogni tipo, al cui confronto Ento-Sal sarebbe un’oasi del WWF degna di una copertina del National Geographic – venisse per cultura e per diritto considerata “zona agricola di massima salvaguardia”.
Altrimenti, come Ento-Sal sta per Sal-ento (basta leggere Ento-Sal al contrario, cioè da destra verso sinistra per gruppi di lettere), così tutta questa manfrina sarebbe una vera e propria (utilizzate, per sillabe e per singolo lemma, lo stesso metodo di lettura di prima) Sa-pre per il lo-cu.
Antonio Mellone
lug172024
“L’erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re”, recita un vecchio adagio, con la variante: “L’erba voglio non cresce nemmeno nel giardino dello speziale” (e chissà chi ricorda ancora la famosa Villa Speziale sulla Noha-Collepasso, poi in un certo qual modo “riverginata”); insomma questa benedetta erba non cresce assolutamente né nel giardino del re né in quello dello speziale come si diceva, ma vivaddio abbonda su ogni marciapiede e/o bordo strada della frazione di Noha. E non si pensi soltanto ai percorsi secondari più appartati bui e remoti delle contrade nohane, ma anche (soprattutto) a quelli più noti, se non i più battuti e commerciali, tipo via Aradeo, via Calvario, via Osanna, via Collepasso, via Trisciolo e via Nievo. In piazza San Michele, per dire, nei pressi dell’impalcatura per il “restauro” della torre dell’orologio si possono osservare esemplari di vegetali di ben oltre il metro e mezzo d’altezza, mentre nei “viali” summenzionati siamo nell’intorno dei 40/50 centimetri di media (per il sindaco del continuo reality si tratterà sicuramente di dimensioni degne dei nostri musi).
Per fortuna, oltre alle arterie summenzionate, questa sorta di verde pubblico spontaneo puoi trovarlo in ogni angolo, piazzetta, largo, e street della cittadina più green del Salento (dunque quanto alla rinomata transizione ecologica Noha sta apposto). In alcuni angoli più caratteristici, oltre alla suddetta verdura, stanno germogliando e fiorendo, benedica, rigogliosissime piante di fico [è tutto così fico nell’odierno Truman Show! ndr.], mo’ vai a scoprirne la varietà. Ma i frutti (declinati al femminile), vedrete, non tarderanno a venire.
Bei tempi quando candidati in erba, grandi e soprattutto grossi elettori, stagionate Chiare Ferragni de Nohantri, veline e velone, influencer d’acchiappo nell’apoteosi dell’immagine sulla sostanza, più precisamente, visto il tema, del fumo sull’arrosto, nei video preelettorali condivisi sulle rispettive pagine social, si sperticavano nel denunciare il degrado urbano davanti ai soliti ciuffi erbosi recalcitranti mannaggia a loro, convincendoci tutti quanti a votare finalmente per il PD, che non era il male minore, cioè il Partito Democratico, ma il Partito Decespugliatore coalizzato nel Polo Diserbante.
I tifollowers nohani sedotti e galvanizzati da questo novello marketing territoriale suffragarono in massa i loro beniamini. Mai avrebbero potuto immaginare di trovarsi di lì a poco nel bel mezzo della foresta Vergine.
Ma col senno di poi possiamo senz’altro asserire senza tema di smentita che quella era erbaccia. Questa roba buona.
Antonio Mellone
set272014
L’inizio della tre giorni di festa in onore di San Michele Arcangelo patrono di Noha è annunciato dai mattutini dieci “colpi secchi” a salve provenienti dal “cannone del Gianicolo della frazione” e dallo scampanio diffuso ai quattro venti dalle campane del “duomo”.
Dopo questa insolita sveglia, in mattinata, la Banda Musicale di Noha, diretta dal maestro Lory Calò, percorrerà quasi tutti i rioni ed i quartieri della cittadina inondandoli allegramente delle note dei brani più belli, che vanno dalle marce tradizionali alla musica pop e jazz.
Nel corso della serata, la bella statua dell’Arcangelo portata in spalla dai devoti ondoleggerà in processione sulla testa dei nohani e dei pellegrini (ma senza alcuna forma di inchino ad eventuali “autorità locali”), mentre la reliquia - rappresentata da un frammento di roccia della grotta di Monte Sant’Angelo sul Gargano dove nel 490 avvenne la prima apparizione del vessillifero delle schiere celesti - dopo la sua intronizzazione sull’altare maggiore verrà presentata dal parroco al bacio dei fedeli.
Il 29 settembre, giorno della solennità canonica, verrà cadenzato dalle celebrazioni eucaristiche, che termineranno tutte con l’antico inno a San Michele - musicato e trascritto su pentagramma proprio a Noha nei primi del ‘900 del secolo scorso – intonato da coro, soli, organo e orchestra, a seconda delle cerimonie.
Il programma della seconda sera di festa è contrassegnato dall’alternanza sulla cassa armonica, palcoscenico del teatro dell’Opera, di due concerti bandistici che, per la gioia dei melomani, si esibiranno nelle sinfonie più famose della musica classica. Al termine delle rassegne liriche avrà luogo lo spettacolo della gara dei fuochi pirotecnici.
Il resto della ricorrenza è tutto un susseguirsi di baroccheggianti arcuati festoni luminosi, di bancarelle e mercatini sempre più simili ad un suq, di luna park al limitare del paese, di gustosissimi mustaccioli e cupete prodotte in diretta dai maestri pasticcieri, di tavolini sparsi per calli e campielli nohani imbanditi da leccornie gastronomiche locali (come la carne di maiale, che tradizionalmente viene arrostita o cotta “a minestra” con le cicore creste).
Non mancheranno, tuttavia, per i palati meno esigenti, i cibi esotici o global, i panini degni del Mc Donald, gli hot-dog e le fritture miste di tutto, che investono con il loro inebriante, diciamo così, eau de toilette lo struscio di grandi e piccoli sul corso principale della cittadina.
Il terzo giorno, con il concerto di musica più “contemporanea” calerà il sipario non soltanto sulla patronale di Noha ma anche su tutte le altre feste di Puglia che, dal Gargano al Salento, brillano ininterrottamente per tutta l’estate.
Del resto l’autunno avanza, come attestano anche alcuni antichi adagi locali secondo cui: “Per San Michele ogni straccio sa di miele” (a sottolineare che i frutti autunnali sono dolcissimi) e poi ancora “Pe’ San Micheli duma lu candelieri”, a San Michele accendi il candeliere (in quanto le giornate van sempre più accorciandosi).
*
Allora buona festa a tutti e buon onomastico ai numerosi Micheli e Micheline di Noha e dintorni, sparsi ovunque nel mondo.
*
p.s.
nohani e viaggiatori da ogni dove, ricordatevi di accostarvi al banchetto allestito in piazza San Michele per firmare la scheda di appello al FAI (Fondo Ambiente Italia) affinché le casiceddhre di Noha vengano ammesse nel catalogo di questa importante benemerita fondazione nazionale che dal 1975 ha salvato, restaurato e aperto al pubblico importanti testimonianze del patrimonio storico, artistico e naturalistico italiani.
La firma non costa niente, ma può rendere tanto in termini di tutela delle nostre radici e della nostra identità.
[Una sintesi di questo trafiletto è apparsa sulla rivista “quiSalento”, Lecce, settembre 2014]
feb072022
I cimiteri a Noha sono stati tanti e in parte lo sono ancora. Noha conserva ancora alcune testimonianze e i posti in cui sono stati seppelliti i morti fin dal tempo dei Messapi.
Andiamo per ordine.
Negli anni fra il 1954-57, a Noha ci fu una mezza rivoluzione urbanistica. Il Paese Italia era da poco uscito dal disastro della seconda guerra mondiale, e la cosiddetta “ricostruzione” venne pure nella nostra Noha, difatti è di quegli anni la costruzione del cimitero attuale in contrada “La Monaca”. Dello stesso periodo è la piantumazione degli eucaliptus di via Aradeo, e l’asfalto della vecchia via Santa Lucia, che da Galatina portava e porta a Noha per proseguire successivamente verso Collepasso e verso Aradeo.
In quella occasione, tagliando il monte roccioso per far diminuire l’eccessiva pendenza del terreno adiacente allo stabilimento Brandy Galluccio, vennero alla luce delle tombe antichissime. Dai reperti funebri trovati, si capì che risalivano al tempo dei Messapi. Anche nell’ultimo sopralluogo della Soprintendenza di Lecce (vedi prot. 0012250; 19/06/2017; CI. 34.31.01/59), il funzionario che ha visto i resti trovati nelle tombe ancora esistenti, ne ha confermato l’antichità.
A pochi metri dall’ex Stabilimento Brandy Galluccio, in direzione di Collepasso, qualche anno dopo, durante lo scavo per le cisterne di un distributore di carburante, venne alla luce la tomba di un visir turco, Risalente probabilmente al periodo antecedente l’eccidio dei Martiri di Otranto eseguito dai Turchi. Fu quello un lungo periodo in cui le scorrerie dei saraceni furono frequenti. Gli invasori Turchi rimasero nel Salento per circa un anno invadendo anche Galatina e Noha e qualcuno quindi ci moriva pure.
Sempre nella stessa zona, in alcune case private, in occasioni di ristrutturazione di vecchi caseggiati, sono state trovate altre tombe.
Altre sepolture sempre in zona, sono emerse dall’abbattimento della Masseria cosiddetta “le cambare”, la struttura di fronte che era di fronte alle case di corte del palazzo baronale, esattamente dove oggi sono le Casiceddhre di Cosimo Mariano, casette che se potessero parlare avrebbero da dirci un sacco di cose, pure brutte. Evidentemente quell’area è stata per molti secoli luogo di sepolture, un grande cimitero della Noha antica. Non è difficile immaginarne la ragione visto che l’antico abitato si limitava all’agglomerato rappresentato nella mappa. Per cui l’area in questione era in periferia, lontana dalle case. Anche perché i Messapi usavano seppellire i loro morti fuori dall’abitato.
Altra zona in cui sono state rinvenute delle povere sepolture, è il tratto di via G. Verdi, compreso fra via Cadorna e via Congedo. Vennero alla luce negli agli anni ’60 del secolo scorso, quando l’area in questione era ancora aperta campagna, durante dei lavori di scavo per delle nuove abitazioni. Dalle testimonianze raccolte pare fossero delle sepolture semplici e chiuse da semplici tegole di terracotta.
Le prime sepolture gestite cristianamente dalla Chiesa, possiamo dire che sono quelle trovate nelle mura dell’antica chiesa ottagonale (la Chiesa cosiddetta “Piccinna” dedicata alla Madonna delle Grazie), risalente al tempo dei Basiliani (750 d. C.), e ab immemorabili, con il sorgere della Chiesa dedicata a San Michele Arcangelo, nelle due cripte cimiteriali sottostanti al pavimento della suddetta chiesetta.Le due cripte sono sempre state adoperate per la sepoltura dei nohani, fino alla costruzione del cimitero di Galatina (1886), anche perché dal 1812 Noha non ha più avuto gestione amministrativa comunale indipendente, ma come ben sappiamo, divenne frazione di Galatina, anche per l’uso del cimitero. Difatti nella Chiesa Piccinna si conservava una cassa di legno per il trasporto dei defunti nohani verso il cimitero di Galatina. La cassa di legno era una cassa esterna dentro la quale si poneva quella di abete rustica con il cadavere. Una volta portato il morto al cimitero, la cassa esterna ritornava alla confraternita e veniva ogni volta affittata con il pagamento di un canone. Ma questa era un’usanza comune in tutto il territorio e non solo a Noha.
Ora le due cripte sono chiuse e sigillate dal pavimento dell’attuale Chiesa, dove nel 1980, in occasione dei lavori di demolizione del vecchio altare, cedette la volta di una delle due cripte, gli operai impegnati nel progetto del nuovo vi furono gettate molte parti della struttura dell’altare demolito, con la pace alle ossa dei morti seppelliti e ai vivi che oggi si godono il nuovo e spaziosissimo altare.
Finalmente nel 1951 Noha ha un suo cimitero. E i precedenti, alcuni persi del tutto, attendono di essere riportati all’onore che spetta loro, testimoni della nostra storia e molto probabilmente, nostri diretti antenati, tesori di famiglia.
n.b.: Fonte della maggior parte delle notizie storiche è: “La storia di Noha” di P. Francesco D’Acquarica, imc; Editrice Salentina, Galatina 1989
Marcello D’Acquarica
gen242014
Forse non si usa commentare o chiosare un’intervista gentilmente concessa da un sindaco, o forse semplicemente non fa parte del bon-ton del bravo giornalista scendiletto. Ma io ho sempre pensato (e detto) di non essere né l’uno né l’altro. Cioè né giornalista né scendiletto, ma un cittadino qualunque che crede sia giusto e pio dire la propria, cercando di non formulare mai giudizi sulle persone (come potrei trovare la pagliuzza nell’occhio dell’altro quando temo di avere una trave nel mio?), ma certamente non sospendendo pareri o opinioni in merito a certe esternazioni, decisioni o comportamenti, frutto di convinzioni bislacche (che sto cercando di combattere ormai da tanto tempo, non dandomi mai per vinto).
Sta di fatto che, incredibile ma vero, il 6 gennaio scorso ho avuto modo di intervistare in fretta e in furia il mio sindaco, il dott. Mimino Montagna, all’uscita dalla Masseria Colabaldi.
Incredibile non che lo abbia intervistato il sottoscritto, ma che al sindaco sia capitato di trovarsi nientedimeno che nei dintorni dell’acropoli di Noha, in visita pastorale al presepe vivente colà allestito; e proprio il giorno dell’epifania (mai lemma fu più appropriato di questo per l’occasione).
Ebbene sì, non poteva più farne a meno. Nel senso che gli è toccato di compiere lo sforzo natalizio di farsi vivo nella frazione “sennò i nohani chi li sente?”.
Dopo le visite canoniche al presepe da parte di ben quattro magi, Daniela Sindaco, Luigi Longo, Roberta Forte ed addirittura Daniela Vantaggiato (quest’ultima affetta da una malattia rara e contagiosa che non le permette di pronunciare l’ostico vocabolo Noha) - ambasciatori ai quali avevamo dato l’incarico di salutare per nostro conto il loro principale - ha voluto o forse dovuto fare la sua personale toccata e fuga alla manifestazione nohana anche Sua Eccellenza in persona.
E così il Montagna è apparso ai pastorelli di Noha come la Madonna doveva essere apparsa a quelli di Fatima.
Ma qui non è tanto della venuta a Noha di nostro signore (in minuscolo, per carità) che vogliamo discettare, o del fatto che abbia atteso l’ultimo giorno delle feste natalizie e di apertura del presepe vivente per far capolino tra le nohane vestigia (se avesse atteso un altro po’ avrebbe corso seriamente il rischio che il Bambinello ascendesse al cielo), quanto della miscela di parole proferite in quei quattro minuti di intervista al volo, già pubblicata su questo sito ormai un mesetto fa.
E qui devo impormi di tagliar corto (dunque cinque articoli sul tema posson bastare), ché ci sarebbe da disquisire su ogni periodo, ogni frase, ogni parola uscita dalla bocca del primo cittadino di Galatina, con il rischio di farne una voluminosa tesi di laurea da discutere in più ambiti accademici che vanno dall’Economia al Diritto, dalla Conservazione dei Beni Culturali alle Lettere, senza tralasciare la Psicologia ed alcuni rami specialistici della Medicina.
Ma prima di dissertare del verbo sindacale, c’è da rilevare la fretta, l’impazienza quasi, la premura di correre verso la capitale (e te pareva!), per uno dei suoi tanti “impegni istituzionali”, come per esempio l’assegnazione dei premi in palio ai migliori presepi (non viventi) allestiti nel centro storico di Galatina. Non sia mai che qualcosa del genere capiti, dico a caso, a Collemeto o a Santa Barbara, o chessò io, a Noha. Nossignore.
E poi, per dire, Collemeto ha già il suo ricco premio, anzi proprio un bel pacco sotto l’albero (segato). Vale a dire un bel Mega-Porco commerciale nuovo di zecca e griffato Pantacom.
Ma cosa vogliono di più dalla vita questi borgatari delle frazioni?
[continua]
Antonio Mellone
nov302023
Dopo anni di richieste, promesse e tentativi operati dalle varie Amministrazioni che si sono avvicendate, nel Consiglio comunale odierno abbiamo approvato il progetto di collegamento protetto tra l'abitato di Noha ed il suo cimitero, voluto dalla nostra Amministrazione, con il Sindaco Fabio Vergine in primis, e progettato con il fattivo contributo dell'Assessore Guglielmo Stasi che ringraziamo per il costante e preziosissimo lavoro.
Il progetto prevede un percorso pedonale, ciclabile e carrabile di circa 300 metri che permetterà di raggiungere in sicurezza il cimitero con attraversamento pedonale e semaforico all'altezza del viale d'ingresso. Un'opera fortemente voluta dalla nostra Amministrazione, per la quale abbiamo destinato quasi 200.000 € del nostro bilancio, a testimonianza della concreta volontà politica di investire nella realizzazione di opere fondamentali e strategiche per la comunità di Noha.
Finalmente i cittadini, sopratutto i più anziani, potranno raggiungere i propri cari senza correre il rischio di essere investiti. Allo stesso modo anche i cortei funebri si potranno svolgere lungo il percorso in maniera sicura e dignitosa. Un'opera straordinaria, che i nohani aspettavano da decenni, figlia della nostra idea di città che vede Noha finalmente considerata alla pari del resto del territorio e non più subalterna.
In tal senso gli interventi per Noha non finiscono qui.
In linea con il percorso che verrà realizzato abbiamo previsto la riqualificazione di un'area comunale in via Aradeo, al momento incolta, e la realizzazione di una pista ciclopedonale che collegherà Galatina e Noha lungo viale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Inoltre, coerentemente con il nostro programma di interventi sulla sicurezza stradale, in queste ore si sta completando l'installazione dei dossi artificiali in diverse strade del centro urbano su cui le auto raggiungono velocità pericolose e rispetto alle quali i cittadini da tempo avevano chiesto un intervento in tal senso.
Pierluigi Mandorino
Consigliere comunale con delega alla frazione di Noha
giu232017
Egregi Signori,
vista la pletora di sbadati urbani che bazzica un po’ovunque con il prosciutto sugli occhi, son costretto a rivolgermi a voi signori Vigili e non invece al Commissario prefettizio che sta per terminare il suo mandato - e senza attendere l’elezione del nuovo sindaco (tanto il terrore che questi sia addirittura peggio di un commissario prefettizio) - per chiedervi se per caso vi fosse caduto l’occhio su di un cantiere ubicato a Noha nella centralissima via Castello, proprio di fronte alla locale farmacia, coperto da un’impalcatura di non meno di venti o trenta metri di lunghezza, invadente tutto il marciapiede del lato del Palazzo Baronale (e, salvo errori, con filo elettrico volante da un lato all’altro della strada).
Non vorrei sembrare fuori tempo massimo, ma è da cinque e passa mesi che avrei voluto scrivervi in merito a questo “palcoscenico”; ma non mi è stato possibile per via dell’impegno profuso nel vergare pezzi possibilmente critici (a volte per sopperire alle lacune della “stampa” che sembra non conoscere codesto suo fondamentale dovere) in merito a coalizioni e candidati protagonisti dell’orripilante campagna elettorale ancora in corso. Vabbè, sono quasi certo che anche questo intervento verrà considerato “a orologeria”, ma non ci posso far nulla.
Orbene, il sipario del suddetto palcoscenico occlude la vista di quel che rimane delle “Casiceddhre”, bene culturale molto caro ai nohani - evidentemente un po’ meno ai proprietari che si sono succeduti nel tempo - censito nel catalogo del FAI (Fondo Ambiente Italiano) e oggetto, per la cronaca, di racconti, storie, foto-gallery, vignette, reportage televisivi, e addirittura un bellissimo romanzo.
Ultimamente sono state rivolte al sottoscritto delle richieste di informazioni da parte di qualche viaggiatore d’oltre regione [chi viene a visitare le “Casiceddhre” non può essere considerato un “turista”, magari grasso sudato e inebetito in cerca di movida ma, appunto, un viaggiatore delicato, ndr.] sui tempi ed eventualmente la tipologia dei lavori in corso su codesto angolo antico e bello di Noha: domande alle quali purtroppo non sono stato in grado di dare una risposta.
Sì, perché, come potreste constatare di persona, sul catafalco di cui sto parlando – sempre salvo errori o omissioni da parte mia – non è mai stato installato (o, se lo fosse, non è assolutamente visibile) il cartello di identificazione dei lavori - mi pare, obbligatorio per legge.
Ecco: il sottoscritto, e altri concittadini (veramente anche qualche viaggiatore, come detto sopra) avrebbero il bisogno di avere notizie più dettagliate (più per preoccupazione, invero, che per mera curiosità) riguardo all’impresa esecutrice dei lavori, al tipo di opere da realizzare, alle modalità di esecuzione delle opere, all’eventuale richiesta di permessi e/o pareri alla Soprintendenza, e giacché anche agli estremi dell’autorizzazione o eventuale facoltà di costruire; e poi ancora la stazione appaltante, l’impresa, il nome del direttore di cantiere o quello di eventuali altri soggetti responsabili (anche nel caso in cui durante lo svolgimento delle attività di fabbrica dovessero derivare danni a terzi), e altre informazioni pubbliche, come credo siano richieste anche dai regolamenti comunali.
Un cartello di cantiere è importante e può (dovrebbe) esser preso in visione non solo dagli organi di vigilanza, ma anche (soprattutto) dalla popolazione che intende capire come verrà modificato il suo territorio, e quale impatto l’intervento potrebbe avere sulle proprie abitudini, sull’ambiente circostante, e, non ultimo, sull’arte e la storia locali (che per definizione non son più da considerarsi di serie B o C, ma storia e arte tout court).
Vi ringrazio dell’attenzione, e nell’attesa di qualche risposta possibilmente “verbale”, volta magari a ridurre la stucchevole (e talvolta abusiva) cartellonistica elettorale in favore di quella (evidentemente obbligatoria) dei cantieri, porgo cordiali saluti.
Antonio Mellone
dic212015
I re mogi di palazzo Orsini – che carini - ci hanno fatto un altro bel regalo di Natale: le luminarie più tristi, tamarre e sottotono del mondo. In tutta Noha, concentrate in centro, s’annoverano sei o al massimo sette di codeste serie di luci a stallattite di tre metri e mezzo di lunghezza cadauna, non di più, appese su cavi stesi ad capocchiam in piazza San Michele. Sicuramente queste “luci” non contribuiranno oltremodo all’inquinamento luminoso di cui pure soffrono le nostre città.
Sappiamo che il comune di Galatina è alla canna del gas (ma, sia chiaro, non per colpa nostra), e nessuno della frazione pretende di avere a Natale le luminarie della festa patronale di Scorrano, o quelle degli stand di Disneyland ad Orlando (in Florida), o la fantasmagoria caleidoscopica e volgare delle luci topiche dei centri commerciali (che tanto - così pare - piacciono a Sindaco & co.).
Ma c’è un limite a tutto. E si chiama presa per il culo.
Cari politici nostrani, la prossima volta, ove possibile, evitateci la beffa (limitandovi magari al solo danno), e provate a risparmiare qualche centinaio di euro di soldi pubblici (non meritano di più certe schifezze), e soprattutto la perdita di tempo per l’installazione di queste zagareddhre di led cinesi buone soltanto per far concorrenza alle lampade votive dei loculi di un cimitero. Talora, in nome del buon gusto (ad averne), sono preferibili le omissioni a quelle che con un certo sense of humour voi definite “opere”. A volte, come questa, basterebbe il pensiero.
Guardate che i cittadini di Noha sono comprensivi, oltre che pazienti e di bocca buona; e, come ampiamente dimostrato, ci vuole ben altro (ormai non saprei più cos’altro) prima che da elettori frastornati si trasformino in detrattori coscienti.
Sicché, giunti a questo punto, noi tutti vi preghiamo umilmente di liberarci quanto prima (auspicabilmente prima di Natale) da queste grottesche cinquanta sfumature di grigiore, che sembrano condurci dritti dritti nelle scene del film “Empire” di Andy Warhol o in quelle di qualche lungometraggio dei fratelli Coen ambientato nel deserto del Nevada.
Nei prossimi giorni, infatti, verranno a visitare il nostro presepe vivente (modestamente il più bello di Puglia – non a caso senza il patrocinio del comune) centinaia, speriamo migliaia di visitatori provenienti da ogni dove.
Ecco, vorremmo affrancare i nostri ospiti da questa caricatura; e noi altri nohani, da questa ennesima figura del cavolo (per non usare un lemma connesso alla fine del processo digestivo dei cavoli).
*
P.S. Il fantasma delle cabine elettriche sembra accanirsi contro questa Amministrazione Comunale. Nei giorni scorsi tutti avrete saputo o addirittura partecipato di persona all’inaugurazione del Cavallino Bianco di Galatina. A dire il vero, non s’è ancora capito che cosa abbiano inaugurato congiuntamente il presidente della regione Puglia e il sindaco di Galatina, quest’ultimo bardato con fascia tricolore come un cavallo alla festa del bestiame: forse la spesa della prima tranche di soldi pubblici, mi pare 800.000 euro o giù di lì.
Orbene non ci crederete, tutti questi soldi (e altrettanti pare ne arriveranno) non sono bastati per un allaccio Enel buono per far funzionare come si deve l’impianto elettrico e tutti i suoi apparati. Tanto che la giunta comunale s’è dovuta riunire in fretta e furia per approvare nuove ed ulteriori spese per un totale di altri 20.000 euro (massì, a casa bruciata metti fuoco) ritenendo “per un migliore utilizzo della struttura, [di] procedere ad un aumento di potenza elettrica per garantire un adeguato allestimento degli impianti e luci necessari delle future manifestazioni ed eventi” [cfr. dispositivo Deliberazione della Giunta Comunale, n. 403/2015- scomparsa dal sito del Comune]. Come, come? Il progettista non aveva previsto (visto prima), cioè in fase di progetto, questo “adeguato allestimento degli impianti e luci necessari delle future manifestazioni ed eventi”? Non aveva intuito a tempo debito che un teatro “necessita di impianti e luci necessari alle future manifestazioni ed eventi”? Mistero della fede (politica).
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Orbene, faccio presente che a Noha esiste un Centro Polivalente al buio - per la cui ristrutturazione furono spesi indarno 1.300.000,00 euro di soldi dei contribuenti - che attende ancora oggi questa cabina elettrica precisamente da.
Ora, al di là delle chiacchiere della nostra consigliera delegata, la quale, in uno scatto di mecenatismo, si è addirittura dichiarata disposta a finanziare di tasca propria questa benedetta cabina elettrica (evidentemente – e glielo auguriamo di cuore – gli ultimi redditi non saranno paragonabili nemmeno lontanamente a quelli dei due anni precedenti) ci chiediamo come mai a Galatina per il Cavallino Bianco la delibera è arrivata in quattro e quattro otto, mentre a Noha per il Centro Polivalente dopo tanto tempo siamo ancora costretti a usare le lampade a petrolio. Ci chiediamo se possano esistere cittadini di serie A e cittadini di serie F (frazioni); e se, dunque, a questo punto, non sarebbe d’uopo che i consiglieri comunali di Noha, di ogni schieramento, per protesta contro questa ennesima dimostrazione di sciatteria nei confronti della nostra cittadina, non si dimettessero in massa, guidati proprio dalla delegata per la frazione di Noha, al secolo avv. Daniela Sindaco.
See: campa Cavallino, ché la superba cresce.
Antonio Mellone
mar302012
Nel 1519, Raffello così scriveva al papa Leone X, che lo aveva incaricato di censire e disegnare le cadenti antichità di Roma: “Ma perché ci doleremo noi de’ Goti, Vandali e d’altri perfidi nemici, se quelli li quali come padri e tutori dovevano difendere queste povere reliquie di Roma, essi medesimi hanno lungamente atteso a distruggerle?”
Queste parole vergate cinque secoli fa dal Sanzio sembrano non solo attuali, ma indirizzate proprio a noi altri, nohani del 2012.
Ho già detto altrove che Noha non è una città per turisti in fila con tanto di guida poliglotta (anche se – incredibile ma vero! – è capitato anche questo). Ma, come attestato ormai da schede storiche, libri, articoli, raccolta di firme e trasmissioni televisive, Noha presenta finalmente un patrimonio culturale di tutto rispetto. Purtroppo, accade sovente di ignorare i tesori a noi più vicini, forse perché nascosti in un angolo oscuro, in atteggiamento di umiltà o ritrosia; o perché su di essi non s’è mai fermata la superficiale attenzione degli uomini, che cercano lontano le cose belle, proprio perché non sospettano neppure che esse siano tanto vicine, in mezzo a noi.
Fosse solo questo! A volte non ci contentiamo di snobbare i nostri beni culturali nostrani (e chi ne parla e ne scrive) ma con pervicace ostinazione finiamo per diventare noi altri i vandali (qualcuno direbbe vangàli) immemori della nostra stessa identità.
A volte sono i proprietari stessi di questi beni che - con l’ebete consenso di qualche firma facile apposta in qualche ufficio comunale da qualche dirigente di bocca buona - non sapendo (e ormai non volendo) dare un valore all’oro che si ritrovano per le mani, permettono lo scempio diuturno che è fatto di dimenticanza, di miopi interessi, di caprino oltraggio, di oscurantismo, dunque, di mattoni e cemento senza se e senza ma, a ridosso di questi beni. E questa è storia contemporanea: solo chi gioca a mosca cieca anche da adulto non s’accorge di quello che sta accadendo ad uno dei beni culturali più singolari di Noha, e al povero giardino di aranci e zagare che lo circondava fino all’altro giorno. Io credo che una proprietà che permetta che il suo patrimonio sia devastato non è degna di possederlo: certi beni dovrebbero essere di chi se li merita!
Il patrimonio storico-artistico di Noha non ha un valore puramente speculativo e teorico, ma ha anche una “missione sociale”: quella di rendere l’ambiente nel quale viviamo più prezioso e civile. Se non salvaguarderemo il nostro patrimonio (che dovrebbe essere “comune”) saremo un territorio senza futuro. I beni culturali sono la nostra antimafia. Senza di essi la mafia (che purtroppo esiste eccome!) la farà da padrone, nei secoli dei secoli. Amen.
Un ultima chiosa.
Ho notato una sorta, come dire, di rancore, anzi di antipatia nei confronti sia dei beni culturali nohani e sia nei riguardi di chi ormai da anni combatte se non altro per evidenziarne il problema, da parte di alcuni commentatori che bazzicano su questo sito. Vorrei che fosse chiaro una buona volta che chi parla di casiceddhre, di frantoio ipogeo, di casa rossa, di torre medievale, ecc. ecc. non è contro o in competizione con le iniziative promosse da altri settori della nostra comunità. Ci mancherebbe altro.
I beni culturali nohani sono di tutti, e non soltanto di chi da qualche anno a questa parte sta rompendo i timpani e qualcosa d’altro per portarli all’ordine del giorno prima di tutto dei nohani e poi (se la specie dovesse ancora esistere: ma sembra in via di estinzione) dei politici.
Questi opinionisti per caso (che non sono di Noha, sicuramente non sono di Noha, e non possono essere di Noha) anziché coalizzarsi con noi altri (che siamo poco più che quattro gatti spelacchiati), se ne fa bef