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Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
 
 
Articoli del 26/02/2024

Eccoci di nuovo noi battezzati invitati a vivere la Quaresima.

Ma cos’è ? Certo, una parola questa che non suscita entusiasmi.

Viviamo in un mondo distratto delle cose dello spirito. Il carnevale è molto più incisivo e presente. Alle persone più mature questo termine richiama alla mente immagini piuttosto cupe, immagini di severe penitenze, di rinunce, di insistenti considerazioni sul proprio peccato. Oggi,  quasi  neanche ce ne accorgiamo che è Quaresima.

Anche la Chiesa ha ridotto le forme di penitenza pubblica: un po’ di digiuno e astinenza dalle carni il mercoledì delle Ceneri e il venerdì santo, e privarsi della carne ogni venerdì fino a Pasqua: tutto questo come segno di attenzione per evitare i peccati. E’ il caso di dire che il Signore si accontenta anche delle briciole.

Quando ero piccolo la tradizione alimentare del periodo Quaresimale era caratterizzata da grande moderazione: infatti venivano eliminati dalle tavole la carne (che comunque a casa mia si mangiava solo due o tre volte l’anno), le uova, i latticini e i loro derivati. Sulla pasta, invece del formaggio grattugiato si metteva pane crattatu. Tali privazioni terminavano durante la Settimana Santa quando si preparavano i dolci tipici pasquali, tra questi la "Cuddhrura", dolce di forma circolare, con dentro un uovo sodo con tutto il guscio, che i fidanzati regalavano alla loro ragazza nel giorno della Resurrezione.

Per la Quaresima lungo i secoli si sono sviluppate pie pratiche e si sono aggiunte manifestazioni popolari. La parola stessa vuol dire “quaranta giorni”, che poi, se li contate, dal mercoledì delle ceneri fino a Pasqua sono più di quaranta. Anzi prima della riforma liturgica programmata dal Concilio Vaticano Secondo (1962-1965) c’era anche la quinquagesima (50 giorni), la sessagesima (60 giorni) e la settuagesima (70 giorni): parole queste ormai abolite. Quaresima (40 giorni dunque) è solo per dire a chi è battezzato che bisognerebbe dedicare un periodo di tempo abbastanza lungo per prepararsi spiritualmente alla Pasqua.

Chi scrive questi ricordi ha in mente altre usanze che sono esistite e vissute anche a Noha. Ve ne ricordo qualcuna, anzi diciamo subito che alcune sono ancora vive e vegete pur con delle varianti.

La Curemma

Possiamo cominciare dalla Curemma. Ai tempi della mia infanzia si usava esporre sui balconi o sulle terrazze un fantoccio, simbolo dell’inizio della Quaresima e della fine del Carnevale. Il fantoccio raffigurava una vecchia signora, magra e orrenda, tutta vestita di nero in segno di lutto per la morte del Carnevale. Nella mano destra aveva un filo di lana con un fuso, simboli della laboriosità e del tempo che scorre, e nella sinistra una marangia con dentro infilate sette penne di gallina per quante erano le domeniche mancanti dalla Quaresima alla Pasqua. L'arancia amara (o marangia) con il suo sapore acre rappresentava la sofferenza, e le sette penne, le settimane di astinenza e sacrificio antecedenti la Pasqua. Ad ogni scorrere di settimana si toglieva una penna. Alla fine del periodo, esaurito il filo da tessere, con la marangia  ormai secca e le penne esaurite, la curemma veniva rimossa dal terrazzo e appesa a un filo su di un palo. Una volta, quando la Pasqua di Resurrezione si celebrava la mattina del sabato santo, nel momento della caduta dellu mantu o pannu e il suono delle campane annunciava la Resurrezione, veniva bruciata con scoppi di mortaretti tra l’allegria di tutti, mentre il fuoco annunziava il periodo di purificazione e salvezza.

Secondo un’antica leggenda la Curemma era sposata con lu Paulinu, personaggio carnevalesco appartenente al folklore salentino, di cui si celebravano i funerali il martedì grasso. Il pupazzo della Curemma veniva costruito con grande cura e attenzione ai dettagli. La sua faccia era solitamente molto espressiva, con occhi sporgenti e bocca aperta, come a indicare il dolore e la sofferenza del peccatore. Le sue vesti erano anch’esse curate nei minimi particolari, con abiti stracciati e cappelli di paglia.

[continua settimana prossima con la seconda e ultima parte]

 

P. Francesco D’Acquarica

 

Il 26 febbraio del 2010 a Kabul, moriva, eroicamente, il funzionario dell’AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) Pietro Antonio Colazzo, galatinese, classe 1962.
Quel maledetto giorno si trovava al "Park Residence Guesthouse", a pochi passi dall'ambasciata italiana, insieme ad altri 4 funzionari dell'Agenzia, quando lo scoppio delle bombe scatena un inferno di vetri rotti e fiamme. Pietro, che aveva rapporti con i vertici della polizia e dei servizi segreti locali, allerta i soccorsi. L'attacco, come sa bene, non è finito e infatti uno sciame di kamikaze si infiltra nell'albergo. Lo scopo è quello di ferire il più alto numero di vittime a colpi di fucile e pistola e poi, farsi saltare con la cintura esplosiva. Colazzo resta dov'è con la pistola in pugno a proteggere la fuga degli altri quattro agenti, che riescono a mettersi in salvo. Quando la sua morte viene comunicata insieme a quella di altre 18 vittime, le informazioni sono confuse. Alcuni dicono fosse un medico, altri, un diplomatico. È la vita segreta degli 007, nell'anonimato fino a che la morte non arriva a rendere loro quell'onore di cui in vita, non si sono potuti fregiare. La sua salma torna in Italia per i funerali di Stato mentre, contrito, il generale afghano Abdul Rahman parla di lui come “un uomo coraggioso” che ha fornito informazioni precise grazie alle quali la polizia è stata in grado di portare al sicuro, sani e salvi, altri quattro italiani. Il 25 giugno 2010 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha conferito a Pietro Antonio Colazzo la Croce d’Onore alla memoria con queste motivazioni: «Funzionario dell'Aise, operante nell'ambito di una struttura informativa a supporto dei comandi militari nazionali e multinazionali e a salvaguardia degli interessi italiani in Afghanistan, nel corso di un attacco terroristico veniva raggiunto da fuoco nemico e dall'onda d'urto di una potentissima esplosione, decedendo per le ferite riportate. Nella circostanza, nonostante fosse oggetto del fuoco dei terroristi, non desisteva dalla sua azione, fornendo preziose indicazioni alle forze di sicurezza afghane in procinto di
intervenire, incrementandone l'efficacia e consentendo di salvare numerose vite umane. Chiaro esempio di sereno coraggio, elevatissima professionalità, altissimo senso del dovere e spirito di sacrificio». Nel dicembre 2019 l’A.S.D. “Virtus Basket Galatina”, ha donato, in collaborazione con l’Ente del Terzo Settore “Cuore e mani aperte” OdV, un’Area Giochi inclusiva realizzata presso l’Area verde “Prof. V. Carrozzini” in Via Calatafimi a Galatina. La suddetta Area Giochi Inclusiva è stata dedicata proprio al Dr. Pietro Antonio Colazzo. Da allora, ogni anno, in occasione dell’anniversario della morte del nostro concittadino organizziamo una piccolissima cerimonia per ricordare l’esempio di un Uomo dell’Intelligence che ha perso la vita dando prova di fedeltà allo Stato e ai suoi cittadini. Anche quest'anno, domenica 3 marzo p.v., deporremo una piccola corona di fiori auspicando l’inizio di un percorso ampio e condiviso che possa, negli anni avvenire, dare il giusto risalto alla figura di un illustre galatinese che silenziosamente ha servito lo Stato e ha portato tanto lustro alla città di Galatina.

 Piero Russo

 

Lunedì 26 febbraio alle ore 18:00, nella Sala conferenze dell’ex Palazzo De Maria, in Corte Taddeo, la programmazione dell’offerta formativa dell’Università Popolare “Aldo Vallone” prevede un secondo incontro con la prof.ssa Marisa Forcina sul tema: “Pensare nella differenza, pensare nella libertà”.

L’evento sarà introdotto dal Presidente Mario Graziuso.

Marisa Forcina, nostra concittadina, è stata docente di Storia delle dottrine politiche all’Università degli Studi di Lecce, poi del Salento, dal 1980 al 2020, e ha ricoperto l’incarico di Delegata del Rettore alle Pari opportunità per tre mandati, dal 2001 al 2019.

Le sue ricerche hanno messo a fuoco il valore della soggettività femminile in rapporto al pensiero e alla politica, evidenziando come la differenza sessuale contribuisca a rinnovare e trasformare il pensiero tradizionale nella riformulazione della giustizia, dell’uguaglianza, della libertà, dell’autorità e della cittadinanza.

Dopo aver sviluppato nel precedente incontro un’analisi storica del pensiero della differenza, in quello odierno presenterà alcune figure di particolare rilievo che hanno contribuito alla diffusione della teoria e della prassi della differenza, come Hanna Arendt, Simone Weil e Françoise Collin.

A quest’ultima ha dedicato il suo ultimo lavoro editoriale dallo stesso titolo delle nostre due lezioni.

Nella quarta di copertina del volume leggiamo che “pensare nella differenza è pensare sottraendosi alle rappresentazioni date e non ragionare per contrapposizioni o risoluzioni dialettiche. Françoise Collin (1928-2012) scrittrice, filosofa, femminista, ci insegna come questo modo di pensare e agire sia una pratica di libertà. Una pratica politica proposta sulla base dell'esperienza delle donne e oggi troppo frettolosamente quasi dimenticata a vantaggio del binarismo o pluralismo di genere che, invece, resta tutto all'interno dei dispositivi di potere e non di nuove pratiche di libertà.”

 

Il Presidente

Mario Graziuso

 

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