mar122008
Dall’alto di un traìno Non parte chi parte. Parte chi resta. Sembra recare con sé questo sussurro la tramontana che accarezza le case infarinate di Noha e solletica i pini e gli aranci. In realtà, è un nohano, puro fino al midollo, a ribadire questo singolare assioma. Antonio Mellone, che tornando in terra natia solo il sabato e la domenica, si riscopre sempre più legato alle strade ariose e alle piazzette assolate della sua Noha. E, per un giorno, con l’entusiasmo di chi è partito lasciando un pezzo di cuore nel suo paese, diventa guida insostituibile per le vie nohane. |
gen302007
set172014
Il confronto o paragone è il metodo più diffuso per valutare un bene o un valore. Non è raro sentir dire, anche da assessori o personaggi di spicco nostrani, che Noha è parte integrante di Galatina.
Sostenere che Noha è di fatto parte sostanziale di Galatina ci fa piacere e ci porta immediatamente a farne un confronto positivo, dato anche il fatto che Galatina è ormai nota come ai più (forse meno ai galatinesi) come città d’arte. Peccato però che lo si dica soltanto quando non se ne può fare a meno (e soprattutto senza pensarlo).
Io sono il primo a dire che ci sono problemi ben più gravi che vanno affrontati con urgenza, come quello dell’inquinamento della terra e dell’aria e di conseguenza dei cibi che mangiamo, quello del consumo del territorio, della disoccupazione, delle piste ciclabili senza biciclette, delle scuole (incluse quelle senza cabina elettrica), eccetera, eccetera. Ma è ovvio che tutto nasce dalla nostra capacità di fare proprio il pensiero dell’aver cura del territorio in cui viviamo. Se capiamo l’importanza di questo il resto viene da sé.
Adesso passiamo alla sostanza, e cioè alle cosiddette "casiceddhre" di Cosimo Mariano, mastro costruttore di Noha, (Nato a Noha nel 1882 e morto a Galatina nel 1924 - cfr. anche L'osservatore Nohano, n. 6, anno II, 9 Settembre 2008).
Da quel che si vocifera in giro, pare che lo stabile "case di Corte" su cui sono state costruite le nostre casette, sia passato ad altra proprietà, diversa dalla società immobiliare della famiglia Galluccio, ultima erede di una nobiltà deposta dall'abolizione della feudalità effettuata dai napoleonidi nel 1806. Oggi non ci è dato di conoscere il destino delle casette, ma è evidente che presto l'intero fabbricato diventerà un mucchio di macerie. Basta osservare le crepe delle mura laterali prospicienti la strada (vedi foto e confronta).
Inoltre non ci vuole molto a capire che in soli sei anni (2008 - 2014) il degrado è cresciuto e molti pezzi dell’artistico manufatto sono letteralmente scomparsi.
Vi ricordo che è ancora aperta la raccolta delle firme on-line per l'intervento FAI (Fondo Ambiente Italiano). La raccolta delle firme si può anche effettuare presso alcune attività commerciali di Noha.
Ora vorremmo chiedere alla “nuova” proprietà cosa avrebbe intenzione di fare, e soprattutto se ha a cuore un pezzo dell’identità, della storia e della cultura nohana, ovvero se le casiceddhre con il passaggio di proprietà sono semplicemente transitate dalla padella alla brace
gen302012
Come anticipato il 9 ottobre 2011 su “L’osservatore Nohano n° 6 - Anno V” a proposito dei corsi di musica per dar vita a una Banda musicale di Noha, oggi a distanza di qualche mese possiamo dire che la costituzione della banda sia ufficiale.
L'inaugurazione avverrà il 26 febbraio 2012 in occasione della festa di San Gabriele, con la cerimonia di benedizione e l'inaugurazione dell'attività del Concerto Bandistico "S.Gabriele dell'Addolorata"
mag272013
Il mio pallino è da sempre quello di rintracciare personaggi, accadimenti ed altre cose belle di Noha cercando di sfregarle sulla carta perché rimangano fisse, scripta manent, e non se ne volino, verba volant, al primo alito di vento, o al primo cinguettio o tweet (come con inflazionato inglesismo s’usa dire di una frase di massimo 140 caratteri lanciata nell’arcinoto social-network).
Stavolta ho il piacere di parlare di un evento storico molto importante per la chiesa del Salento (e del mondo intero) come quello del 12 maggio scorso, allorché papa Francesco, in una piazza San Pietro gremita fino all’inverosimile (c’erano più fedeli che sanpietrini) proclamava santi i nostri Antonio Primaldo e Compagni, che tutti ormai venerano comunemente come i Santi Martiri di Otranto.
Ma il fatto straordinario di cui vorrei parlare non è tanto (o solo) la canonizzazione di personaggi storici della nostra terra, quanto il fatto che a servire la messa solenne del papa v’erano, tra gli altri, anche due bravissimi ragazzi di Noha, due seminaristi, Luigi D’Amato e Giuseppe Paglialonga, attualmente studenti (e sappiamo pure con profitto) di Teologia e Filosofia presso il pontificio seminario regionale “Pio XI” di Molfetta (pio collegio che ha “prodotto” pastori di gran prestigio, sacerdoti e vescovi, ma anche professionisti e uomini di importante levatura sociale), dopo aver frequentato, sempre insieme - e con soddisfazione da parte tutti, primo fra tutti l’ordinario diocesano - il seminario arcivescovile di Otranto (istituto ecclesiastico rinomato dal Settecento in poi per la floridezza degli studi e la bontà dei giovani avviati al sacerdozio).
Luigi e Giuseppe sono, dunque, due tra le perle più preziose di quello scrigno di tesori che è la gioventù nohana. Affatto diversi nella loro figura fisica, nel taglio della loro personalità, ma probabilmente non in quello delle loro aspirazioni, sempre pronti a salutarti cordialmente e con un sorriso, Luigi e Giuseppe hanno scritto e siamo certi continueranno a scrivere pagine importanti della Storia di Noha.
Ci sarà certamente il tempo (ora è fin troppo presto data la loro giovane età) per profondersi in biografie, stilare articoli sul loro curriculum vitae, vergare “scritti in onore” di questi due personaggi local con vocazione global (anzi universal, o, meglio, celestial), dandone i giusti colpi di scalpello nell’abbozzo di un loro profilo.
Qui però mi sia consentito di ricordare brevemente un paio di episodi che rispettivamente li riguardano.
Il primo è questo.
Tempo fa accompagnai Luigi D’Amato a Galatina nella casa di un mio amico, il compianto Prof. Mons. Antonio Antonaci, per far conoscere l’uno all’altro: ci tenevo (evidentemente per la stima che nutro nei confronti di entrambi). In quell’occasione il professore non parlò molto, affetto com’era da un principio di depressione senile cronica (che lo accompagnò fino al giorno del suo congedo da questa vita che ebbe termine il 26 settembre del 2011); tuttavia alla fine di quell’incontro il professore ebbe modo di donare a Luigi uno dei suoi numerosi capolavori: lo stupendo volume dal titolo “Fra’ Cornelio Sebastiano Cuccarollo – cappuccino - arcivescovo di Otranto (1930 - 1952)”, un libro di oltre 400 pagine sulla vita straordinaria di un vescovo santo che ha operato nella nostra terra durante “gli anni ruggenti” che vanno dal periodo fascista alla ricostruzione post-bellica. Orbene, in una delle prime pagine di questo tomo - il cui testo si legge scorrevolmente come un racconto senza tuttavia divenire un romanzo - Mons. Antonaci, prima dell’autografo, vergava di proprio pugno una dedica al nostro seminarista appellandolo (con molte probabilità profeticamente) don Luigi. In quell’occasione mi parve di cogliere in Luigi, anzi in don Luigi (e credo di non essermi sbagliato), un certo compiacimento, se non proprio un cenno di approvazione.
Il secondo fatto che vorrei menzionare riguarda invece Giuseppe.
Ricordo molto bene questo poco più che imberbe ragazzino beneducato e molto attento, oltre che sempre presente nelle prove o nel corso delle liturgie in cui mi capitava di suonare (con o senza il coro) l’organo a canne di Noha. Orbene, Giuseppe osservava in silenzio e sembrava assorbire come una spugna le tecniche ed i segreti di quella vera e propria orchestra che è l’organo elettromeccanico nohano, le combinazioni dei suoni, dei suoi timbri e registri, l’uso dell’“acceleratore” del “crescendo”, i pulsanti ai pedali, e via di seguito.
So che certe cose si aggrappano all’infanzia come ami nella carne per non staccarsene più; non saprei dire, però, con certezza se io sia stato protagonista in positivo (nel senso che Giuseppe, da buon osservatore nohano, abbia “scoperto” e quindi iniziato ad amare la musica, e soprattutto quella celestiale e sublime, commovente e magnifica di un organo a canne anche grazie a me), oppure in negativo (nel senso che osservando e soprattutto udendo il sottoscritto suonare l’organo con i piedi – ma nel senso metaforico del termine, in quanto un organo si suona pure con i piedi – dunque nel peggiore dei modi, abbia reagito alla violenza provocata ai suoi timpani, oltre che al decoro che si deve all’arte ed al senso estetico, studiando invece seriamente la musica organistica, e giacché c’era anche il canto, onde evitare il ripetersi nel mondo di certe performance melloniane). Sta di fatto che oggi, nell’un caso o nell’altro, Giuseppe Paglialonga è un bravo ed apprezzato organista, oltre che un cantante dalle indiscusse doti canore.
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Ma ritorniamo in piazza San Pietro (ché le divagazioni potrebbero portarci fuori dal seminato - o dal seminario) ed a quelle immagini in mondovisione che hanno proiettato davvero su tutto l’orbe terraqueo, oltre a tutto il resto, anche i nostri due conterranei intenti l’uno, Luigi, a reggere il pastorale del papa (che per essere precisi si chiama “ferula”) e l’altro, Giuseppe – se riesco a veder bene nella foto - catino, brocca e forse anche manutergio per l’abluzione rituale (cioè la lavanda delle mani che avviene nel corso della messa durante l’offertorio e dopo la comunione).
Assisi proprio a pochi metri dalla sedia del papa, i nostri due impettiti seminaristi sono stati impeccabili. Il maestro delle cerimonie pontificie, il rigoroso e apparentemente imperturbabile Mons. Guido Marini (genovese, da non confondere con il prefetto suo predecessore fino al 2007, Mons. Piero Marini, pavese) non avrà faticato molto, né sprecato molto fiato nelle istruzioni da dare ai nostri ragazzi: Luigi e Giuseppe saranno apparsi agli occhi del cerimoniere pontificio come i più navigati liturgisti vaticani, grandi esperti di sacra liturgia, delle sue leggi e regole (e soprattutto delle tre P richieste a tutti i chierici, e cioè la pietà, la pazienza e la precisione) apprese certamente in seminario, ma anche e soprattutto in quella vera e propria scuola-guida che è la parrocchia di Noha.
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In conclusione o ad integrazione di queste note, a me (ma sono certo anche ai miei venticinque lettori) piacerebbe conoscere i sentimenti, l’emozione e l’impressione provati dai nostri due baldi giovani a proposito di questo avvenimento che rimarrà indelebilmente scolpito nel loro animo per tutta la vita. Mi piacerebbe leggere (magari su questo stesso sito) i loro pensieri in merito, i risvolti e la cronaca particolare della cerimonia, il contatto con papa Francesco, i dettagli dell’evento e anche il “dietro le quinte” di questa occasione storica e straordinaria.
Nell’attesa di tutto questo, auguro a Luigi ed a Giuseppe, sicuro d’interpretare anche il pensiero di molti, tutto il bene di questo mondo, qualunque sarà la loro scelta.
Auguro loro di ascoltare e di mettere in pratica i messaggi forti di questo papa evangelico, dunque “rivoluzionario”, che dice papale papale (appunto!) che la chiesa di Cristo non ha titoli da concedere né onori da distribuire ai vanitosi del mondo, ma solo servizi da chiedere agli umili della terra, riaffermando con determinazione le parole di Luca (17,10): “Quando avrete fatto tutto il vostro dovere dite: siamo servi inutili”.
Auguro loro di abiurare il dio del perbenismo di facciata, il dio del potere corrente e mafioso, il dio delle convenienze, delle compiacenze e dei privilegi, il dio di comodo ed il dio denaro. Auguro loro, invece, di credere, accogliere, predicare e donare agli altri il Dio nudo, forestiero, crocifisso, emarginato, diverso, precario e disoccupato, il Dio che inorridisce davanti ad ogni schifezza compiuta specialmente dentro le mura del tempio, il Dio che dà senza aspettarsi nulla in cambio, il Dio delle gerarchie, quelle vere che non hanno bisogno di gradi, il Dio che ha fame e sete di giustizia, il Dio della strada stretta, tortuosa, in salita, difficile, accidentata, il Dio dei poveri cristi, il Dio di una chiesa dell’intra omnes e non quello dell’extra omnes.
Alla fine di questo percorso auguro loro - se sarà questa la loro Vocazione - di caricarsi anche del fardello del pastorale (se non proprio quello di una ferula papale: mai porre limiti alla divina Provvidenza), impugnandolo tuttavia non in qualità di caudatari, ma, possibilmente, in qualità di titolari.
Sempre, però, sulle orme di Francesco.
ott102014
Mi rendo conto, da tutte le battute che si dicono in giro e che anche Antonio ha raccolto nel suo ultimo articolo dal titolo “Ennesima sparatoria a Noha”, che è ben radicato nel cervello di molte persone un modo di pensare come il seguente: “se non ti fai i fatti tuoi, sei uno sprovveduto oppure un opportunista”.
Ci siamo talmente abituati a pensare che senza un tornaconto non dobbiamo muovere nemmeno un dito che alla fine i risultati deleteri si vedono, eccome. Vi risparmio l’elenco, sarebbe troppo facile compilarne uno infinito.
Le abitudini a volte sono dei blocchi mentali che ci impediscono di cambiare e quindi anche di migliorare. Ci manca fondamentalmente il senso del gratuito e ci soffoca la paura di perdere. E per non perdere ci escludiamo dall’essere protagonisti. Di conseguenza vince il malcostume. E’ matematico, come il calcolo delle probabilità.
Così capita che percorriamo strade invase da rifiuti di ogni tipo, rotonde che sono delle vere schifezze, mura di cinta sventrate, allagamenti per una banale pioggerella, asfalti sconquassati a macchia di leopardo, edifici in disuso che diventano rifugi per pantegane (vedi per es. il sito dell’ex palazzo baronale e relativo giardino a Noha. E obbligare i proprietari alla bonifica, alla manutenzione e al decoro per il pubblico interesse, no eh?), piste ciclopedonali inesistenti, puzza di fogna un po’ ovunque, e via di seguito. Insomma possiamo dire che, dove ti giri e ti volti, il degrado la fa da padrone. A partire dalla piazza san Michele, dove troneggia maestoso, non sappiamo fino a quando, un ricordo del passato come l’orologio e la relativa torre, donata nel 1861 dai fratelli Gaetano e Orazio Congedo, il cui stemma è scolpito sul frontespizio del minareto (cfr. anche L’osservatore Nohano, n°1, Anno III, 9 febbraio 2009).
Ci siamo talmente abituati al brutto che manco più ci facciamo caso, nemmeno quando ci capita di frequentare la piazza nel corso della festa di San Michele Arcangelo, nostro Santo patrono. Ma forse in quest’occasione saremmo pure giustificati in quanto forse accecati dalle luminarie.
Respiriamo aria intrisa di fumi di dubbia provenienza che manco più ci dà fastidio. Dice il mio amico Giuseppe: “Durante il giorno, quando la pressione atmosferica è lontana da terra, non si sente niente, ma verso l’imbrunire, con l’aumento della pressione, insieme alla nebbiolina si diffonde nell’aria ed entra prepotentemente anche in casa, un odore nauseabondo di cose bruciate. E che possiamo fare?”.
Siamo così presi dai nostri affanni quotidiani che non ci accorgiamo della meraviglia del silenzio senza i rumori del progresso, dei colori del cielo e della campagna, del cambio delle stagioni, della musica del vento, del frinire delle cicale, del volo delle rondini...
Siamo così convinti che quello che conta è l’auto XXL (extra large), il televisore da 300 pollici o l’ultima versione di iPod e relativo cover, che concentriamo tutte le nostre energie nel voluttuario di questo becero consumismo, dimenticandoci dell’Essenziale, volutamente con la maiuscola.
Io credo intanto che serva eccome studiare le regole della grammatica (almeno per sapere finalmente su quale “e” vada o meno l’accento), e nondimeno bisognerebbe metter in pratica il loro rispetto, che dovrebbe diventare per tutti uno stile di vita. Questo proprio perché la grammatica senza pratica non serve a nulla, così come altrettanto inutile sarebbe la pratica senza la grammatica.
Indro Montanelli diceva che noi italiani siamo come il cane che si morde la coda, siamo cioè come quell’infermiere che rubando una siringa dal pubblico ospedale non porta a casa un bene, ma lo toglie alla comunità, di cui egli stesso fa parte.
Starete pensando che sono andato fuori tema e che le casiceddhre centrano poco con tutto questo e che non risolvono i problemi. No di certo. Infatti se dovessero scomparire all’improvviso non cambierebbe la vita a nessun nohano, e se dopo le casiceddhre scomparissero anche la trozza, la casa baronale, la torre e relativo arco a sesto acuto, la casa rossa, la Masseria Colabaldi, la torre con l’orologio, il frantoio ipogeo, e se scomparisse persino Noha, magari fagocitata per sempre da Galatina, a nessun nohano cambierebbe la vita. E’ solo questione di salvaguardia dell’identità e di sapersi ricollocare da qualche parte, sempre che anche il “qualche parte” esista ancora.
feb192013
giu152010
Antonio Mellone
apr162018
I graffiti sono spesso testimonianze di sofferenza, di lavoro gravoso in condizioni igienico sanitarie estreme, cosa che oggi uno Stato di diritto, civile e indipendente non dovrebbe solo conservare nella Costituzione ma sorvegliare, anche con le armi se necessario, affinché malfattori e sfruttatori degli onesti lavoratori lo rispettino.
Infatti il lavoro nero e lo sfruttamento sono all’ordine del giorno, soprattutto perpetrato da gentaglia che si avvale ancora della corruzione, che sembrava sconfitta con la seconda repubblica ma che invece prolifera come non mai anche a livelli globali, vedi per esempio l’impianto TAP che avanza contro ogni diritto di discussione o richiesta da parte della popolazione locale e viene difeso perfino con la forza armata dell’esercito dello Stato, detto anche democratico.
Molto probabilmente anche negli anni del nostro frantoio, i diritti erano molto pochi e mal tutelati.
Quindi conteggi di merci, di giorni, di preghiere e di devozione restano incisi sulle pareti del nostro bellissimo frantoio a testimonianza di ciò che la nostra memoria non vuol sapere di ricordare. Tornando a far visita al nostro frantoio ipogeo, si sono rivelate altre importanti testimonianze del nostro passato.
Oltre alle già conosciute incisioni delle croci greche e latine, e della data del 1771, presenti sulla dorsale della sala più vicina al Palazzo Baronale (L’osservatore Nohano, 23 novembre 2007), abbiamo scoperto nuove incisioni che rappresentano un croce impiantata sopra una forma geometrica che probabilmente sta a identificare il monte Calvario. Il piccolo calvario in miniatura è inscritto in una seconda forma grafica più grande che potrebbe rappresentare il profilo di una chiesa, e con alcune altre incisioni intorno il cui significato non è ancora ben chiaro.
Graffiti molto simili al nostro compaiono nella prigione di Domme (un antico villaggio a sud della Francia) di cui alleghiamo una nota con relativa immagine fruibile in rete al seguente indirizzo:
http://storia-controstoria.org/europa-segreta/graffiti-templari-domme/,
e altri nel sito della valle dell’Idro, anche questo fruibile in rete:
http://www.salentoacolory.it/nella-grotta-dei-graffiti-nella-valle-dellidro/
Questo sta a significare che le persone di Noha di quegli anni, lavorando duramente per mesi e mesi, sepolti in quell’antro che a noi oggi sembra un posto fantastico, senza vedere nemmeno il colore del cielo, con la scarsa pulizia che possiamo immaginare, approfittavano del tempo libero per pregare, pratica che oggi abbiamo quasi del tutto sostituito con la presunzione. Giusto per ricordarci che questa nostra bellissima terra, che è stata anche protagonista attiva della storia, ha dato da vivere per secoli ai nostri progenitori, i quali nonostante la miseria economica e la mancanza di tecnologia avanzata, ce l’hanno lasciata intonsa. Cosa che noi, in pochissimi decenni e con la nostra strafottenza, invece stiamo ricoprendo di cemento e veleni.
Uno dei graffiti templari più interessanti di Domme. A sinistra, in alto, vediamo la Vergine con il Bambino. Immediatamente sotto la Vergine, appare una sagoma che potrebbe rappresentare San Bernardo di Chiaravalle, padre spirituale dell’Ordine del Tempio. Diverse croci schematiche sovrastano immagini triangolari che simboleggiano il monte del calvario. Infine, a destra del Gesù crocifisso, in alto, una probabile raffigurazione del Graal.
Fotografia con indicazione dell’accesso alla visita guidata dei graffiti templari. Molti crocifissi sono incisi sulle pareti della prigione di Domme. Raffigurati sopra un triangolo che potrebbe rappresentare il monte del calvario. I graffiti della Porte des Tours di Domme sono i più importanti di tutta la Francia, una testimonianza unica gelosamente conservata. Le immagini sollevano molte domande, una in particolare riguarda il Graal.
La Valle dell’Idro
.… completamente ricolma di croci, croci potenziate, rappresentazioni del Monte Calvario e simboli della Passione di Cristo…
http://www.salentoacolory.it/nella-grotta-dei-graffiti-nella-valle-dellidro/
Marcello D’Acquarica
feb012013
Vorrei ritornare un attimo (pensavate di svignarvela?) sul lavoro di catalogazione, valorizzazione e conservazione del bene culturale che ci saltò in mente di appellare con - diciamo così - l’epiteto di osservatore Nohano, onde evitare la perifrasi “arma di distinzione di massa” o ben più mordaci circonlocuzioni; lavoro, dicevamo, anzi sfacchinata promossa, portata a termine e fattaci recapitare da tre eroi meneghini che rispondono ai nomi di Fabio, Laura e Luca, noti ormai lippis et tonsoribus.
Mi son chiesto le ragioni dell’affetto di questi amici, che probabilmente facevano parte dei nostri venticinque affezionati lettori. E ho pensato che evidentemente l’osservatore Nohano (nonostante le sajette su di esso invocate giorno e notte da qualche ottuso da riporto) ha sempre avuto un certo valore. E si tratta di un valore-opportunità (cioè la possibilità per le persone di usufruire in futuro di un bene conservato in memoria), di un valore-esistenza (che è il valore che i beni culturali hanno anche per coloro che non ne usufruiscono direttamente, in ragione semplicemente della loro esistenza, appunto), di un valore-eredità (il valore che il nostro lavoro “pseudo-giornalistico” ha in quanto testimonianza per le generazioni future), di un valore-prestigio (in considerazione del prestigio che l’osservatore Nohano arreca alla nostra piccola patria, e dell’orgoglio e del sentimento di identità culturale che contribuisce a formare) ed, infine, di un valore-educativo (cioè di sviluppo di creatività e di gusto estetico, che oltre ad essere a beneficio del singolo risulta essere a vantaggio per l’intera nostra comunità).
L’osservatore Nohano dunque non poteva finire così, come qualcuno sperava cantandone a squarciagola il de profundis. Non poteva esser vero, infatti, quanto venuto fuori dalle elucubrazioni dello scienziato di turno, secondo cui il nostro giornalino “non era più seguito da nessuno” (sì, come no).
Questo dono molto gradito ci fa comprendere che forse l’O.N. è ancora vivo e vegeto in mezzo a noi, pur non sotto le specie della carta e dell’inchiostro (inchiostro antipatico), e, soprattutto senza la costrizione della rilegatura, della stampa, della data e del formato. C’è un’onda lunga, un solco che quel mensile nohano ha tracciato in terra di Noha, un’incisione di tale profondità da far sentire ancor oggi il sussulto delle sue fenditure. Ed è una lama che sta ancora arando e dissodando, ed è come se l’aratura non fosse mai terminata.
Il regalo del trio Fabio-Laura-Luca è la dimostrazione del fatto che L’osservatore Nohano è uno spettro che ancora s’aggira per Noha, ma anche altrove. E’ un’opera, questo dono natalizio, una scultura fabbricata a dispetto del detrattore di turno che non ha colto appieno che questo giornalino forse ha fatto bene anche a lui, rintuzzandone certe uscite fuori luogo e fuori senso, contribuendo addirittura alla sua crescita – del detrattore, dico - magari in maniera meno sussiegosa o spocchiosa di quanto forse non sarebbe stato senza osservatore Nohano…
Abbiamo appena festeggiato il primo anniversario dell’“assenza” del nostro mensile on-line-ma-anche-cartaceo. Sappiano i nostri 25 followers che nel corso di quest’ultimo anno P. Francesco D’Acquarica continua a rinfacciarmi il fatto che l’osservatore si sarebbe dovuto prolungare per almeno altri quattro anni, così da raggiungere il numero perfetto, che ovviamente per noi è NOVE (e continua a dirmi che nonostante tutto, lui, il padre spirituale del giornalino, continuerà a ricercare e a scrivere); che l’Antonella Marrocco, che non naviga tanto in Internet e quindi non riesce a seguire gli scritti non sfregati sulla carta, ogni volta che l’incontro mi fa: “allora ricominciamo?”; che la Martina, che parla ormai milanese, quando le dico che il piatto piange, mi riferisce che senza quella scadenza mensile fissa è come se si perdesse in mille fronzoli, e quindi non riesce più a compilare in maniera sistematica le sue schede storiche e tecniche e il dizionario dei modi di dire nohano; che Michele Sturzi, che sembra scomparso dalla circolazione (ribadisco: “sembra”), continua a pubblicare altrove i suoi ghirigori di parole e non smette di riempire Linkedin con i suoi articoli scientifici tutti rigorosamente in inglese (ora ce ne aspettiamo uno about Noha); che Marcello D’Acquarica non sapendo più dove pubblicare le sue vignette sataniche (Gesù, Giuseppe e Maria!), si mette a scrivere libri in men che non si dica; che don Donato non passa domenica senza rammentarmi il fatto che non fare più l’osservatore è (stato) davvero un bel peccato di omissione (difficilmente perdonabile); che Fabrizio Vincenti sentendosi libero da ogni impegno è addirittura convolato a nozze con la sua bella Romina; che la Paola Rizzo, tra un ritratto ed un quadro d’ulivi e l’altro, adesso s’è messa a fare “due chiacchiere con…” mezzo mondo su Face-book, e dice “quello che le donne non dicono” addirittura alla radio; che da quando non ci siamo noi gli affari della tipografia AGM dell’Antonio Congedo anziché ridursi (come paventavamo) sono aumentati in barba alla crisi economica; che sant’Albino (martire), mentre prima era sotto stress soltanto una volta al mese, oggi è sotto tortura almeno una volta a settimana, con tutte le idee che senza tregua ci frullano nel cervelletto.
Ah dimenticavo: tra i nostri 25 supporters c’è anche la Maria Rosaria che non riesce a farsene una ragione, e s’è sognata il fatto che io avrei detto che a giugno 2013 L’osservatore Nohano ritornerà (ritornerebbe) di nuovo in edicola in formato cartaceo.
Mi sa che la ribattezziamo Maya Rosaria.
Antonio Mellone
P.S. In un ipotetico editoriale (ipotetica di terzo tipo) di un eventuale numero dell’osservatore del mese di febbraio 2013 si sarebbe parlato della speranza che almeno stavolta i nohani non si mettano a votare in massa per i soliti cani e soprattutto per i soliti porci.
gen052011
giu242019
Caro Alessandro (1), tu lo sai noi non ci conoscevamo, io so poco o niente di te, non so dove hai vissuto, dove hai lavorato, che cosa hai fatto nella vita, ma mi hai incuriosito con la tua prima pubblicazione sul maestro pasticcere Rafelino Bello.
Un piacevole articolo documentale e testimoniale con uno spirito di fondo positivo di compiacimento e di sana ammirazione per un galatinese speciale.
Ti ho voluto conoscere e ti ho incoraggiato a proseguire in questa tua passione amatoriale di ricerca e divulgazione in un settore quello dell’arte bianca che a Galatina ha tanto da raccontare.
I tuoi lavori sono proseguiti, le pubblicazioni anche, ma la musica è completamente cambiata.
Inspiegabilmente, argomentando su Andrea Ascalone, hai imboccato una deriva antipatica, denigratoria al limite del diffamatorio.
Te lo confesso sono rimasto molto male, ancor più quando mi hanno fatto notare come in un tuo scritto che ho trovato assai sgradevole e irriguardoso, mi avevi citato espressamente ingenerando l’idea di una mia condivisione.
Hai scritto che sei venuto a conoscenza da me che l’attività di Ascalone ha rischiato di chiudere nel 2002 e questo è vero, ma hai omesso di dire che ciò accadeva per un’assurda mala burocrazia che ha suscitato forte indignazione sia nel sottoscritto che nelle istituzioni locali.
Poi tutto si è risolto con il meritato riconoscimento di laboratorio storico.
E adesso oramai che ci sono approfitto….
No Alessandro non va affatto bene usare due pesi e due misure.
Perchè per il maestro Rafelino hai attinto in primis alla famiglia e poi ai suoi estimatori e così non hai fatto per Andrea Ascalone?
Non ci vuole molto per capire che il tuo giudizio negativo è preconcetto ed ingiustificatamente critico.
Dico questo perchè ho dalla mia prove documentali che raccontano un’altra storia ed in più l’esperienza personale che mi ha permesso di conoscere e frequentare con eguale curiosità sia Rafelino che Andrea.
Nascono appaiati l’uno nel 37 e l’altro nel 38 (dichiarato nel 39), legano subito attratti dalla loro complementarietà.
Sono forse i primi due galatinesi che manifestano obiezione di coscienza alla leva militare che evitano con le buone il primo e con le cattive il secondo (dichiarato disertore) riparando entrambi in Svizzera.
Esperienze internazionali a seguire in Inghilterra l’uno ed in Francia l’altro.
Matrimonio con moglie emancipata d’oltralpe Rafelino, matrimonio con moglie tradizionale siciliana Andrea.
Basterebbero queste poche righe per comprendere la loro natura e i loro destini così diversi.
Rafelino genio e sregolatezza creatività e innovazione.
Andrea rigore, perfezione, tradizione.
Quando si incontravano erano fuochi d’artificio scene incredibili.
Lo yin e lo yang una grande amicizia, un grande apprezzamento reciproco.
Caro Alessandro non parlerò oltre di Rafelino lo hai ben fatto tu, ti parlerò di Andrea che tu non hai conosciuto perchè altrimenti credimi non avresti nemmeno lontanamente potuto pensare quello che hai scritto.
Andrea era una persona di una umanità sconfinata con radicati in sé i valori più alti del rispetto reciproco e dei doveri verso se stesso, verso il lavoro, verso la famiglia e verso la collettività. Un rispetto è una attenzione da gran signore ha poi sempre avuto per l'universo femminile.
Ho visto con i miei occhi uscire in lacrime la moglie del regista televisivo Sergio Tau entrambi commossi e toccati da “tanto amore per il suo lavoro la sua terra e per il prossimo”.
Lui col suo esempio ha insegnato a tutti come si può tendere alla perfezione.
Il pasticciotto è l’emblema e anche la sintesi del suo pensiero.
Due semplici elementi pasta frolla e crema pasticcera per realizzare una delizia che ha conquistato il mondo.
Qual’è la ricetta segreta gli chiedevano in tanti?
E lui sornione ad autoironizzarsi rispondeva “la fessagginità” in un bagno di umiltà senza eguali.
E non c'è bisogno di scomodare la fisica quantistica per comprendere che in aggiunta dentro ogni singolo pasticciotto c'era un pizzico del suo grande amore che lo rendeva unico, inimitabile, irraggiungibile.
I suoi consigli le sue raccomandazioni hanno fatto scuola, hanno fatto comprendere come approcciarsi e come degustare al meglio il suo prodotto.
Il pasticciotto e come un fiore nasce e muore in breve tempo.
Per gustarlo al meglio bisogna attendere che dai 330 gradi del forno raffreddi lentamente ad una temperatura ottimale quando la pasta frolla sprigiona tutta la sua fragranza.
Non deve raffreddarsi molto perchè in quel caso inizia il processo inverso in cui la pasta assorbe l’umidità, e gli odori dell’ambiente circostante.
Per questo è accaduto che rifiutasse di consegnare i suoi prodotti in un’auto sudicia o che sconsigliasse vivamente il trasporto a lunghe distanze.
La sua produzione è stata sempre limitatissima perchè mai doveva accadere di avere un avanzo della giornata.
Per noi galatinesi è normale chiedere se ci sono ancora dei pasticciotti, e sperare che non siano finiti.
A Galatina l’intero settore si è uniformato ai suoi standard di eccellenza.
I galatinesi si sono fatti viziare diventando degli esperti ed esigenti buongustai.
E approposito di marketing posso testimoniare senza ombra di smentita come Ascalone è stato e lo è ancora oggi, il terzo attrattore turistico della città dopo Santa Caterina e la cappella di San Paolo.
Quindi caro Alessandro dire che Ascalone ha fatto un’operazione di marketing a suo vantaggio è completamente falso addirittura a danno delle altre pasticcerie è offensivo.
E’ vero esattamente il contrario. Grazie a lui il settore ha avuto grande impulso e slancio.
Intere generazioni di bravissimi pasticceri si sono affermati sulla sua scia dando ognuno il proprio contributo come solo gli artigiani sanno fare. Io personalmente ho conosciuto ed apprezzato tanti di loro, Uccio Matteo, i fratelli Cuna, Antonio Pellegrino, Raffaele Antonaci, Mario Esposito, Leonardo Esposito, Fedele Ugenti, i fratelli Malorgio, Totò Santoro, Orazio Contaldo, Maurizio Zurigo, Massimiliano Baglivio, Albino Tundo, Riccardo Carachino e la lista è lunghissima tutti bravi, ma bravi veramente .
Un patrimonio immenso che meriterebbe ben altra attenzione e valorizzazione !
Tornando ad Andrea, se ricchezza avesse voluto perseguire, gli sarebbe bastato sfruttare la sua grande notorietà e inondare il mondo di pasticciotti industriali anche solo in partnership.
Ma questo per Andrea era tradire la sua stessa natura, la ragione di una vita.
Oggi sono diffusissimi i pasticciotti surgelati anche crudi da cuocere, ma quando mai si potrà garantire quella perfezione che lui aveva raggiunto con l’utilizzo delle migliori materie prime, la lavorazione maniacale e la cottura nel suo mitico forno Siemens del 1947 attrezzato con ben 64 resistenze elettriche?
Andrea ha profuso nel suo lavoro un amore senza eguali dimostrando a che livelli di dignità può essere portato il proprio operato.
Il semplice gesto di accompagnarti alla porta era una maniera per ringraziarti per l’apprezzamento ricevuto, ma era anche un monito che reclamava eguale considerazione.
Non sono stati rari i casi di soggetti irriguardosi energicamente accompagnati fuori dal locale ed invitati a rispolverare i principi di buona educazione.
Andrea ha portato alto il vessillo di una galatinesità sinonimo di eccellenza che ci ha contraddistinto positivamente in provincia e non solo per tantissimi anni e che rappresenta il valore immateriale più prezioso della città.
Lui è il figlio illustre di una tradizione di artigianato artistico che gli studiosi accademici fanno risalire addirittura ai “frutti postumi della grande fabbrica di Santa Caterina”.
"Per comprendere la profondità del pensiero di Andrea, fine osservatore dei costumi e delle tradizioni locali, conoscitore dei più complessi risvolti antropologici e custode geloso dei segreti più intimi della società ci vorrebbe un corso di studi nella facoltà DAMS dell'Università del Salento" ebbe a dire il compianto preside prof. Gino Santoro.
Tu caro Alessandro hai saltato a piè pari le testimonianze dirette di chi Andrea lo ha conosciuto di persona oltre a quelle dei suoi familiari, hai mercificato e mortificato il tutto farcendolo con ricerche documentali che lasciano il tempo che trovano.
Tu lo sai bene che la validità di una ricerca è tale sino alla ricerca successiva e via di seguito sino all’altra ancora. E comunque le ricerche serie vengono sempre sottoposte al vaglio della comunità accademica.
Sminuire e svilire il vissuto di quasi 300 anni di storia di una famiglia ci lascia perplessi ed amareggiati.
Una famiglia che ha fondato alberghi (a Santa Cesarea Terme) che ha prodotto liquori, gelati, dolci, che ha fornito servizi di banchettistica a tutta l'aristocrazia locale che da laboratorio requisito durante la guerra ha deliziato i militari delle forze alleate guadagnandosi una stima unanime non può essere mortificata in quel modo.
Il papà di Andrea frequentava il mitico liceo P. Colonna negli anni venti quando in quel periodo l'analfabetismo totale superava il 30 per cento della popolazione ed una licenza liceale in proporzione allora equivaleva a due lauree di adesso.
La tradizione orale poi tieni in conto è sempre stata una cosa seria perché tramandata onestamente da generazione in generazione quando ancora il mondo non era accessibile a false notizie e facili ribalte.
Ed infine un’ultima considerazione.
Ma tu hai mai conosciuto Zeffirino Rizzelli?
Ovviamente No, ne sono certo perchè altrimenti non avresti mai osato minimamente mettere in discussione quanto il professore Rizzelli ha pubblicato.
La statura morale , culturale e l’onestà intellettuale di Zeffirino Rizzelli non sono sindacabili, e te lo dice uno che politicamente è stato schierato dall’altra parte.
Pertanto se Zeferino scrive che il pasticciotto è stato inventato il 1745 sappi che quel documento ha valore notarile per la comunità galatinese.
Quindi concludo Alessandro esortandoti a rivedere completamente il tuo giudizio anche perchè tempo verrà che i fogli di “ carta bambagina” sui quali hai fatto facile ironia verranno alla luce e tu non faresti una bella figura.
Ed ad ogni buon conto sappi che se anche i tuoi articoli hanno trovato consensi nei tanti spargitori di veleni immancabili in ogni comunità, per la stragrande maggioranza dei galatinesi che considerano Galatina la loro patria, dissacrare i loro padri è considerato un atto odioso quasi blasfemo e Zeffirino e Andrea lo sono a pieno titolo tra i più cari.
Dante De Ronzi
nota (1) Alessandro Massaro autore articoli pubblicati sul “Filo di Aracne” e vari post su FB.
nov162012
La quota di partecipazione al Salento Day Camp è di € 15 e le iscrizioni scadono il 21 novembre.
Per iscriversi mandare un’e-mail a afpromotions@libero.it indicando:
- Nome e Cognome
- Data di nascita
- Regione, provincia e comune di residenza
- Almeno due o tre ruoli che puoi ricoprire in campo
- Situazione cartellino: tesserato, svincolato o mai stato tesserato
- Nome esatto del club con il quale sei tesserato (se tesserato)
- Numero di cellulare (di un tuo genitore se minorenne)
Il regolamento completo è disponibile sul sito www.salentosoccer.it.
Per informazioni:
Antonio Forte
Team Manager Salento Soccer Eventi
Cell. 347.2636797
Gianpiero Danieli
Responsabile tecnico Salento Soccer Eventi
335.1522368
Gianpaolo Pezzuto
Agente FIFA e osservatore Padova calcio.
329.2587483
Antonio Gravinese
Coordinatore Salento Soccer Eventi e osservatore
320.0395312
giu032013
Può darsi. Anzi voglio proprio crederlo, come cittadino di questa “Repubblica democratica” (che a volte purtroppo va tra virgolette).
Ma da osservatore (nohano) non posso non rilevare che sabato scorso alla manifestazione a sostegno del pm Di Matteo fortemente voluta dal popolo delle “Agende Rosse” animato dall’Anita Rossetti - donna invincibile e coraggiosa - oltre ai ragazzi (stupendi) ed ai loro insegnanti e dirigenti scolastici, ed oltre ai consiglieri comunali Antonio Congedo e Luigi Longo, ed all’assessore Daniela Vantaggiato (che, bisogna riconoscere, s’è impegnata in prima persona per la riuscita di questa iniziativa), mancavano, guarda un po’, proprio il “padrone di casa”, il sindaco Montagna, il suo vice-sindaco, e salvo errori o sviste da parte mia, il resto del Consiglio Comunale, e dunque tutti gli altri esponenti della maggioranza e tutta l’opposizione.
Mi si obietterà che ciò che contano sono gli “atti formali”, come ad esempio la delibera all’unanimità del Consiglio Comunale del 29 aprile scorso, con la quale si esprime solidarietà al magistrato Di Matteo impegnato nel processo sulla famosa “trattativa Stato-mafia”, e, ancora, che assessori e consiglieri comunali non sono tenuti a giustificare o a spiegare a me le loro eventuali assenze dalle pubbliche manifestazioni di piazza…
Alla prima obiezione risponderei che, sì, va bene una delibera unanime, spero fatta con convinzione e non magari per salvare la faccia, ma credo che sia importante la forma quanto la sostanza, in quanto l’una non ha senso senza l’altra; alla seconda, risponderei che i miei rappresentanti politici non dovrebbero spiegare solo a me i motivi della loro latitanza, ma anche al resto dei cittadini di Galatina e frazioni - che francamente meritano di più dai loro “beniamini” che hanno eletto affinché rispondano alle loro istanze e non fuggano di fronte alle loro responsabilità, sentendosi magari come “autorità” impettite, altezzose, intoccabili.
Mi auguro che quello striscione appeso al balcone principale di palazzo Orsini non passi inosservato; mi auguro che faccia riflettere i cittadini di Galatina (la maggior parte dei quali, anche per colpa dell’“informazione” televisiva e giornalistica che ci ritroviamo, non sa nemmeno lontanamente cosa sia questa maledetta “trattativa Stato-mafia”, la quale, oltre tutto, ha portato alla morte anche i giudici Falcone e Borsellino); mi auguro che il mio Sindaco vada fino in fondo nell’attuazione della delibera del Consiglio Comunale del 29 aprile scorso, rappresentando al Presidente della Repubblica, sua maestà Giorgio II, “la pressante richiesta di spendere tutto il peso delle istituzioni repubblicane che rappresenta a tutela dell’azione della Magistratura”. Non vedo l’ora di leggere questa lettera raccomandata a.r. a firma di Cosimo Montagna Sindaco indirizzata al Quirinale.
Con la speranza di avere in risposta qualcosa in più di un semplice avviso di ritorno.
Ma non basta uno striscione esposto su di un balcone a Palazzo Orsini.
nov192015
Oggi, 19 novembre 2015, mentre spuntava l’aurora, è venuta a mancare all’età di 93 anni la prof.ssa Mimì Piscopo, la prima laureata in “Lettere classiche” della nostra cittadina.
Vorrei ricordarla con le stesse parole di un articolo che vergai in suo onore sei anni fa (cfr. “L’osservatore Nohano” - n. 8, anno III, del 9 dicembre 2009).
*
<< Sono di fronte agli occhi color cielo quando è bello di una nohana purosangue: Mimì Piscopo, la mia professoressa di Italiano della mitica “I G” dell’Istituto Tecnico Commerciale “M. Laporta” di Galatina. Le chiedo alcune informazioni sul suo conto per una rubrica che tengo saltuariamente sul mio giornale, una rubrica dal titolo Curriculum Vitae.
Riesco a prendere appunti interessantissimi, ma il rischio è che anziché un articolo qui salti fuori un vero e proprio ponderoso volume. Perché le notizie e le curiosità (che sono come le ciliegie: una tira l’altra) sono interessanti e affascinanti, e riguardano non soltanto un’autentica gloria della scuola del XX secolo, ma anche la storia tutta e l’evoluzione (chiamiamola pure così) del contesto ambientale salentino, quello che ci fece da culla, e che ancora oggi funge da cornice alla nostra vita.
Ma ci provo ugualmente, tentando di lavorare con la lima più che con la penna, e cercando di non perdermi in mille fronzoli. Mi trovo di fronte – dicevo – ad una ragazza di 87 primavere, una Donna che senza indugio ti dice “sono nata il 16 luglio del 1922”, e subito mi viene da pensare che una vera Signora non si fa alcun problema nel rivelare la sua età.
Mimì frequenta a Noha la scuola elementare come molti suoi coetanei. Terminato il ciclo della scuola primaria, sfidando la tradizione che voleva che le donne rimanessero in casa a fare la calza, Mimì decide di sostenere l’esame di ammissione. “Solo coloro che superavano questo esame potevano frequentare la scuola media”.
L’ingresso nella scuola media quindi non era automatico, ma era una prima conquista per chi voleva proseguire negli studi. E’ inutile dire che andavano avanti solo coloro che si sentivano portati, che sovente coincidevano con i figli del censo e del privilegio, mentre gli altri venivano avviati verso un’attività agricola o artigianale, allu mesciu o alla mescia. La maggior parte dei ragazzi dunque si fermava di fatto all’esame di licenza elementare (ed una buona percentuale di essi non ci arrivava punto). “Quanti sacrifici per frequentare la scuola media e poi quarto e quinto ginnasio, e successivamente il liceo classico fuori paese. Erano tempi in cui la gente era costretta a stringere la cinghia. La fame faceva sentire i crampi allo stomaco. Si razionava il pane, addirittura! Il mio povero papà a volte rinunciava alla sua razione per non farla mancare a noi.. Il più delle volte andavamo a Galatina a piedi. Qualche volta alle sei in punto passava una corriera di studenti provenienti da diverse cittadine del Salento. Ci si conosceva un po’ tutti e, prima dell’inizio delle lezioni, si stava insieme a chiacchierare piacevolmente nell’atrio della scuola. A volte, quando pioveva, e quando era possibile, mi accompagnava il mio povero papà, con il suo biroccio trainato da un cavallo”. Qui si capisce benissimo quanto Mimì Piscopo sia dunque un’antesignana dell’emancipazione femminile nohana e salentina: “Non era facile soprattutto per una donna continuare negli studi. Andare a Galatina era come tradire una tradizione. Ma mio padre per fortuna era di più ampie vedute ”.
Ha un sogno, questa Donna, e a costo di sacrifici, di rinunce e di rottura di schemi arcaici, lo realizza. Questo è uno degli insegnamenti più importanti della professoressa di Noha: quando si crede nelle proprie possibilità e si lotta con determinazione ed impegno, non ci sono risorse finanziarie scarse o barriere culturali impossibili da abbattere.
Il “Pietro Colonna” di Galatina, e soprattutto la serietà ed il rigore degli studi che vi si conducevano, lasceranno nell’animo e nella formazione della studentessa Piscopo Cosima un’impronta incancellabile. E certamente – come evinco dalle sue parole – sentimenti profondi di nostalgia, di rimpianto ed anche di commozione. E’ come se, mentre ti parla, sentisse nell’angolo della sua memoria suonare ancora la campanella del “Colonna” incastrata a ridosso di un pilastro quadrato dell’antico chiostro domenicano, quell’aggeggio sonoro che scandiva l’inizio e la fine delle lezioni col tocco squillante dell’Idea che non muore.
La maturità arriva nel 1944. “E ormai volevo andare avanti. Mi consigliavano di prendere Farmacia. Ma io ero contraria all’idea, perché le farmaciste – così dicevo – mi sembravano delle bottegaie (soprattutto per gli orari di lavoro). Decisi di prendere Lettere con indirizzo classico, perché mi piacevano molto il greco ed il latino. E mi iscrissi all’università di Bari, dove avevo un punto d’appoggio presso il collegio Regina Elena”. Già dai tempi dell’università, Mimì evidenzia la sua passione. “Leggere, studiare, insegnare erano la mia passione”, tanto che corre spesso in soccorso alle esigenze di molti studenti amici e di molti colleghi in difficoltà, studiando e ripetendo insieme a loro, dando loro una mano nel superamento degli esami nelle materie più difficili.
In quel tempo i testi classici ed i distici erano per lei a portata di mano e di memoria; dalle sue scarpe, ad ogni passo, sembravano entrare ed uscire aoristi e ablativi assoluti. “Era difficile superare l’esame di latino. Sentivo che molti studenti l’avevano provato molte volte prima di superarlo… Io sostenni lo scritto un anno in anticipo, ancor prima che mi si consentisse di presentarlo. E ricordo il terribile prof. Vantaggiato che mi chiamò – io incredula – per sostenere l’esame orale, che superai subito e brillantemente. Ma non mi esaltavo mai. Questa è la mia indole: tra l’altro ero anche molto timida”.
Cosimina Piscopo si laurea nell’anno accademico 1948-49 discutendo una tesi (scritta a macchina) dal titolo: “La classe rurale in Terra d’Otranto nei primi sessant’anni del sec. XIX”, relatore il chiarissimo prof. G. Masi [tesi trascritta a cura di Marcello D’Acquarica e pubblicata su Noha.it nel luglio 2010].
Rientrata a Noha, inizia sin da subito a dare lezioni private di lettere, latino e greco, come del resto aveva sempre fatto quando era possibile durante la guerra. “Ma non mi pagavano mica!”. Nel 1954 diventa finalmente – come noi studenti l’abbiamo sempre chiamata – “La Piscopo”, sottintendendo “la professoressa” o, come i giovani d’oggi usano dire, la Prof.
Inizia dunque in quell’anno la sua carriera di insegnante di Lettere all’Istituto Tecnico Commerciale di Galatina “che non era ancora statale ma parificato. Tra l’altro io, insegnante, sembravo allora una ragazzina al confronto dei miei studenti”.
Dopo questa esperienza iniziale intraprende un lungo tour in diversi istituti che qui posso soltanto citare di sfuggita, avvistandoli dall’alto come in un ideale volo d’aquila.
Insegna così al Professionale Statale e poi al Professionale Femminile di Galatina. Successivamente a Maglie di nuovo presso un Istituto Tecnico Commerciale, con alcune ore presso il Magistrale di Galatina. Dopo “non ricordo precisamente l’anno” entra nei ruoli della scuola media ed insegna Italiano, Storia e Geografia ad Aradeo e poi finalmente a Noha alla “Giovanni XXIII” dove viene nominata anche vice-preside.
Ma dopo due anni decide di ritornare alle scuole superiori: sicché ritorna all’Istituto Tecnico Commerciale (nel 1981-82, quando chi scrive frequentava la famosa I G) e contemporaneamente al Professionale Femminile dove ricopre la cattedra di Storia. E poi ancora da Galatina a Gallipoli, alla volta dell’Istituto Nautico, con alcune ore settimanali a Carmiano presso un altro Istituto Professionale…“Amavo il mio lavoro. Ero molto scrupolosa. Andavo al lavoro anche con la febbre. E mi volevano bene. Ricordo che quando morì il mio povero papà (insegnavo al Professionale) il preside e tutti i ragazzi vennero al corteo funebre. Questo mi fu di grande conforto.”
Raccontare qui la vita a scuola della docente Piscopo sarebbe impossibile: dovremmo indugiare in numerosi, singolari, piacevoli, interessanti particolari, come la preparazione delle lezioni, le spiegazioni, le interrogazioni, i consigli di istituto, gli incontri scuola-famiglia, i compiti in classe corretti a casa (a volte anche con l’ausilio della sorella Laura, che leggeva tutti gli elaborati degli studenti per filo e per segno), i problemi dei ragazzi che trovavano in lei una istitutrice, sì, ma anche una sorella, una madre e a tratti un’amica alla quale confidare i propri dubbi esistenziali. “Ci fu un periodo drammatico, anni terribili, quando a scuola entrò la droga. In un anno in una classe fummo costretti a respingere addirittura 14 studenti. Quanti incontri tra professori e genitori. Alcuni venivano a trovarmi perfino a casa chiedendo consiglio, sostegno, incoraggiamento. Erano problemi delicati: non si poteva far finta di nulla. […] Quante storie e quanti viaggi di istruzione al seguito dei miei studenti. Ovunque in Italia, nelle città d’arte, in montagna… Ricordo anche un viaggio bellissimo a Parigi. E quante esperienze: pensa che una volta andammo a finire persino in discoteca! Tuttora incontro in giro dei miei studenti che mi chiedono: si ricorda di me? Io confesso di ricordarmi dei più bravi. E dei più diavoli.”
Chiudo questo curriculum vitae et studiorum su una persona di valore di Noha, non senza aver detto che Mimì Piscopo è stata nominata anche “Giudice Popolare”, incarico che ha esercitato per un certo periodo di tempo nel foro di Lecce. “Il Giudice Popolare è chi, con fascia tricolore, affianca i giudici nelle Corti d’Assise e nelle Corti d’Assise d’Appello, assistendoli nelle udienze e partecipando alle decisioni contenute nelle sentenze”. La scelta di un così delicato compito di magistratura penale (nelle Corti d’Assise si trattano infatti processi penali per i crimini più gravi previsti nel codice) ricadde su Mimì sicuramente per le sue doti di equilibrio, e soprattutto per la sua irreprensibile condotta morale. Anche quest’ultimo incarico è parte sostanziale di un brillante curriculum vitae.
Concludo questo scritto dicendo che a volte noi altri cerchiamo lontano (o peggio ancora in televisione) le persone di valore e degne di lode, ignorando i tesori a noi più vicini, benché umili ed al riparo dalle luci dei riflettori alimentati con l’energia dell’ottusità e dell’insipienza.
Sarebbe saggio se invece ci accorgessimo di chi, pur in atteggiamento di ritrosia, evitando la pompa magna, vive accanto a noi ed ha ancora molto da dare ed insegnare.
Con questi colpi di scalpello mi auguro di essere riuscito ad abbozzare un seppur grossolano profilo “della Piscopo”, alla quale vorrei indirizzare un grazie di cuore per tutto quello che ha fatto per i ragazzi suoi discenti (incluso il sottoscritto) e per il lustro che con il suo studio, il suo lavoro ed i suoi incarichi ha dato alla nostra cittadina.
Infine vorrei chiederle di essere indulgente con me ancora una volta, nel caso in cui nel corso di questo articolo (o di altri) dovessi aver seminato a destra o a manca qualche strafalcione, o, peggio ancora, qualche errore di sintassi o di grammatica che, come usava ripetere la Prof, “è sempre in agguato”>>.
*
Addio professoressa Piscopo, addio Mimì, e buon vento.
Con te se ne va una brava insegnante, una grande Donna, una pagina gloriosa della Storia di Noha.
Antonio Mellone
nov132012
Noha, 13 Novembre 2012
LETTERA APERTA A:
-Gentilissimo signor Sindaco del Comune di Galatina, Dottor Cosimo Montagna.
-Assessore con delega alle Politiche sociali, alla Cultura e polo biblio-museale, al Diritto allo studio e servizi scolastici, Prof.ssa Daniela Vantaggiato.
Oggetto:
Istanza riguardante l’attuazione di un procedimento amministrativo al fine di apporre un vincolo giuridico (finalizzato al loro recupero) dei Beni Culturali di Noha.
Gentilissimo Signor Sindaco e Assessore, con la presente, mi faccio carico di riassumere in breve i vari sforzi profusi dai nohani al fine di tutelare e valorizzare i Beni Culturali di Noha:
A questo punto mi chiedo e Vi chiedo, se è giusto che un dipendente dello Stato (o comunque in possesso di incarico) non si faccia vivo (come forse suo dovere), ed attenda invece che sia un privato cittadino, come il sottoscritto, a sollecitare una risposta, qualunque essa sia.
Non pensate che anche i Beni Culturali di Noha abbiano un minimo di dignità e dunque, anch’essi, una specie di diritto di cittadinanza? Non trovate deprimente lo scempio infinito cui questi beni vengono sottoposti, prima dai privati proprietari e poi dal pubblico (che dovrebbe limitare un po’ l’ignavia del privato, così come previsto dalla Legge)?
Vi ritengo, gentile Sindaco e Assessore, persone degne di fiducia e attente agli impegni di cui Vi siete fatti carico. Per questo Vi chiedo di incontrarci al più presto, affinché possa meglio spiegarVi lo stato dell’arte del lungo processo che porterà (porterebbe) al vincolo di salvaguardia sui suddetti beni culturali. Sono certo che un Vostro intervento nei confronti della Sovrintendenza accelererà, anzi sbloccherà l’iter che sembra essersi inceppato per chissà quali strampalati marchingegni. Ogni giorno trascorso senza un nostro intervento equivale ad un colpo di piccone alla bellezza, all’arte e dunque al benessere di tutta la collettività.
Distinti saluti
Marcello D’Acquarica
ott062014
Non so chi abbia promosso il “gratta e vinci” collettivo nohano, né m’interessa di saperlo. Liberissimi di farlo, per carità. E’ che però di fronte a certe trovate non riesco proprio a tacere.
Aggiungo, per inciso, che questa del “gratta e vinci” è un’occasione come un’altra per dimostrare, se ce ne fosse ancora il bisogno, quanto questo sito sia libero e di ampie vedute, e dunque quanto l’Albino sia aperto e democratico nell’ospitare punti di vista (o, diciamo così, progetti) tra i più disparati, a volte anche agli antipodi uno dall’altro.
Sul tema della “fortuna” avevo già vergato un editoriale sul fu “osservatore Nohano” dal titolo “Gratta e perdi” (cfr. O.N., n.6, anno IV, 9 ottobre 2010) che ovviamente, come avviene per la quasi totalità dei miei scritti, non sarà passato nemmeno per sbaglio dall’anticamera del cervello dell’eventuale lettore (quell’uno che sarà).
Non voglio qui fare una dotta discettazione sulla “Speranza matematica” o sul “Calcolo delle probabilità” o sulla “Teoria dei giochi” (argomento fondamentale tra l’altro di un mio esame di Economia Politica) o sul concetto di “Gioco equo”, o altri concetti econometrici, ma ribadire qualche considerazione terra terra già a suo tempo enunciata.
E’ risaputo che anche a Noha (come altrove) è pieno zeppo di giocatori incalliti: un dramma endemico mica da ridere. Non si contano gli affetti da ludo-patia, i fuorigioco da tempo, i drogati dalla ruota della fortuna, e i connessi nefasti effetti su psiche e finanza famigliare. E questa trovata del gioco collettivo (certamente promossa da persone a modo, e non affette patologicamente da alcunché) non aiuta mica a contrastare il fenomeno, anzi.
Per pura ingenuità ci sono tanti, troppi poveretti che rischiano di dissanguarsi oltremodo, buttando via i soldi con questa specie di dazio sulla disperazione che, badate bene, non va a finire nelle casse dello Stato (magari fosse così: si finanzierebbero scuola, sanità, giustizia, ecc.) ma nei conti correnti delle “case da gioco”, che sono tutte, dalla prima fino all’ultima, fameliche società per azioni a scopo di lucro, molte quotate in borsa (per esempio Lottomatica e Snai, mentre Sisal non ancora), tra l’altro molto ammanicate con certi poteri politici (da cui ultimamente hanno pure ricevuto lauti sconti alle multe comminate loro dalle autorità di controllo, come per dire la Corte dei Conti). Altro che soldi che vanno allo Stato o tasse occulte o imposte indirette. I soldi dei giochi sono tutti quattrini buttati al vento.
Ma torniamo a noi, anzi a Noha.
Voglio esasperare causticamente il concetto aggiungendo che un paese che pensa a grattare (e a grattarsi) è un paese incapace di intendere e di volere, evidentemente non in possesso delle sue facoltà mentali (ma non per questo non imputabile per le sue azioni, o meglio inazioni).
Il paese ideale è quello che “s’infordica le maniche”, soprattutto al fine di evitare la condanna ad un’atavica passività intellettuale ed operativa.
Un paese con il cappello in mano pronto a elemosinare e magari raccogliere gli spiccioli (fossero anche milioni di euro) di una fortuna non conquistata con il proprio lavoro sarebbe destinato alla morte cerebrale, soggetto al fatalismo o al menefreghismo sociale.
Che gusto ci sarebbe, soggiungo, a raggiungere eventualmente i propri scopi (o l’ “agognato benessere”) senza lotta, senza impegno, senza partecipazione, senza studio, senza democrazia rimane un mistero buffo.
A Noha servono più lotte e meno lotterie, più studio e più libri e meno televisione, più scarpe e meno pantofole, più movimento di neuroni (che rischierebbero di anchilosarsi) e meno divani & divani.
Senza un’ottica razionale e soprattutto di più lungo respiro saremmo un paese che gratta e perde, ed inutile sarebbe dare la colpa di tutti i nostri problemi solo ai soliti furbetti del quartierino nohano o italiano.
Ciascuno è artefice del proprio destino. Ma prima bisognerebbe capire che il possibile non verrà mai raggiunto se non si ritenta sempre l’impossibile. Purché non sia la lotteria.
Comunque, vi aspetto tutti in banca per l’incasso milionario del ticket.
nov112010
Nella sala convegni dell’Oratorio Madonna delle Grazie il 13 Novembre 2010 avrà luogo la presentazione del libro “La Sapienza, criterio di Dio” (Arti Grafiche Marino, Lecce, 2010) del nostro amico e collaboratore Fabrizio Vincenti. Un libro da leggere con lentezza e sulle cui pagine riflettere per migliorare il mondo a partire dal nostro “io” troppo spesso enfatizzato. Fabrizio Vincenti, i cui articoli compaiono puntualmente sulla rivista on-line "L'osservatore Nohano" ormai da tempo, si è formato nel glorioso seminario di Otranto, scuola rinomata, dal Settecento in poi, per la floridezza degli studi e la bontà dei giovani avviati al sacerdozio. Quel pio collegio ha “prodotto” pastori di gran prestigio, sacerdoti e vescovi, ma anche professionisti e uomini di importante levatura sociale, che hanno dato lustro ed onore al Salento e all’Italia: come il nostro Fabrizio, che da laico sta cercando di dar buon nome e reputazione alla nostra cittadina, lavorando nel corpo della Guardia di Finanza ad oltre mille chilometri di distanza da Noha, sua piccola patria.
Interverranno:
Tutta la popolazione è invitata a questo evento culturale.
gen142012
Di seguito il secondo dei quattro video del funerale de L'osservatore Nohano.
gen272013
A Natale mi è giunto in direttissima da Milano - tramite il sig. Cimino, l’arcinoto ai pugliesi-milanesi corriere di Sannicola - un regalo molto gradito, direi addirittura strepitoso: un enorme scatolone contenente cinque faldoni-archivio (o raccoglitori formato protocollo, o registratori a leva secretaire, o come cavolo si chiamano), quelli di cartone robusto con il foro con anello di metallo sul dorso, per facilitarne l’estrazione dall’involucro; sì, quelli con all’interno i gancetti centrali in acciaio nichelato o cromato con pressino, pronti ad accogliere le buste porta-documenti formato A4; dai, chi non conosce ormai le buste di polipropilene trasparente con la foratura universale sul bordo?
Ma forse è più facile che li vediate direttamente dall’immagine qui allegata piuttosto che desumerne sagoma e fattispecie dai miei intrecci di parole.
Ebbene, il regalo non è mica lo scatolone, e non sono mica questi raccoglitori, o le buste, o i gancetti (sì, anche questa roba, per carità), ma soprattutto quello che questi raccoglitori stupendi di colore azzurro e bianco contengono, e principalmente la cura con cui il tutto è stato predisposto. E qui, prima che mi scordi, v’è da notare un’altra finezza: i colori azzurro e bianco utilizzati: sono i colori “sociali” di Noha (mentre, come tutti sanno, i colori dello stemma della nobile famiglia De Noha erano l’azzurro e l’oro).
Cosa contengono questi raccoglitori? Come? Non l’avete ancora intuito? Ma ovviamente tutte le pagine a colori di quell’arma di distinzione di massa che fu L’osservatore Nohano, il quinquennale mensile on-line di questo sito.
Non ci crederete, ma qui siamo di fronte ad un’opera d’arte frutto di un lavoro certosino, laborioso, durato circa nove mesi (putacaso). Ognuna delle novecento e passa pagine del nostro rotocalco on-line è stata stampata fronte-retro, e a colori!, ed inserita in maniera ordinata (come io non avrei mai saputo fare) in ognuna delle oltre 450 buste di polipropilene trasparente con la foratura universale sul bordo.
Una cosa è dire di questo capolavoro, un’altra è vedere, toccare, sfogliare questa meraviglia, consultarla, estrarne le singole schede per gli usi più disparati. E’ un’opera utilissima e degna della migliore biblioteca pubblica. E chissà che un domani quest’opera non trovi alloggio presso la biblioteca pubblica nohana (ho detto “un domani”: per ora me la tengo io).
Quando Internet non ci sarà più, o quando i file di Noha.it si saranno tutti cancellati per chissà quale novello baco del millennio, L’osservatore Nohano continuerà ad esistere in formato cartaceo, custodito ed ordinato come nel corso degli anni il sottoscritto non è mai riuscito a fare (mentre qualcuno dei nostri 25 lettori sì).
Chi ha confezionato questa strenna?
Il mio amico Fabio Solidoro, milanese doc ma nohano d’adozione, con l’ausilio di due complici (che lo supportano e sovente lo sopportano) e che rispondono ai nomi di Laura, sua moglie, che più che una donna è una santa, e Luca D’Acquarica, nohano di nascita ma milanese d’adozione. Il trio, Solenghi-Lopez-Marchesini, eccolo qua, ritratto in una foto scattata nel corso del solleone 2012.
A loro, signore e signori, il ringraziamento e l’applauso.
Clap, clap, clap.
Antonio Mellone
Eccovi di seguito la lettera a firma di Fabio, Laura e Luca a corredo dell’opera de quo.
feb122012
Incontro con Antonio Mellone, fondatore de L’osservatore Nohano
Come è stato il 2011 per la nostra Galatina e qual è la tua speranza per 2012?
Queste le domande fatte al collega Antonio Mellone, direttore de L’osservatore Nohano.
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Abbiamo deciso di smettere per scelta strategica, pensando che L’osservatore Nohano avrebbe forse dato più fastidio da morto che da vivo. Ciò detto, ribadisco il fatto che il sito noha.it continua ad essere vivo e vegeto e ricco di contenuti. Anche attraverso questo sito (il discorso vale anche per gli stupendi ed utilissimi siti di Galatina, che consulto ogni giorno) si può riuscire a scorgere nella vita quotidiana locale molti elementi di generalità ed universalità.
Dunque, caro professore Contaldo, qui non parlo che in veste di direttore di me stesso, o - il che è lo stesso - di cittadino. Dovremmo capire una buona volta, cioè, che la vera autorità locale non è il sindaco, o il parroco, o il vescovo, o il direttore della posta o della banca, o l’onorevole di turno, o il direttore di un giornale, o il capo di un partito, o un consigliere comunale o regionale, eccetera eccetera; la massima autorità dovrebbe tornare ad essere il Cittadino (scritto finalmente con la maiuscola) dal quale tutte le (ormai ex) autorità summenzionate dovrebbero sentirsi i dipendenti. Concetto scontato soltanto a parole; un po’ meno nei fatti.
Non c’è unto dal Signore che tenga, né un leader al quale affidare il futuro e noi stessi. La parola leader, si badi bene, è un insulto per il popolo. Non dovremmo aver bisogno di leader o di eroi! Guai seri sarebbero per quel popolo che si affidasse al leader, che poi inevitabilmente si trasforma in padrino locale, anzi in caporale locale. E noi non abbiamo bisogno di caporali, ma di Uomini!
Ognuno è responsabile di se stesso e verso la società. Basta con il velo sugli occhi, con la deferenza, con il servilismo sciocco, con le nebbie dell’incenso, col timore reverenziale, con il belato caprino o ovino, con la paura della verità.
Ma, caro professore, veniamo al dunque, alle risposte, cioè, alla sua domanda sul nuovo anno, sul nuovo che avanza (sperando di non imbatterci nel vecchio che è avanzato). Per questioni di spazio mi limito a guardare avanti più che fare un bilancio dell’anno testé passato, evidenziando cosa mi aspetto e cosa auspico per me e per gli altri concittadini.
Galatina, la più bella terra del mondo, sta attraversando ormai da un decennio una stagnazione politica terribile, che si riflette ovviamente nel campo sociale ed economico. E’ dunque giusto e pio che il Cittadino apra finalmente gli occhi, si svegli dal torpore, diventi parte attiva delle scelte politiche, e, smettendo di essere allergico al nuovo, faccia finalmente piazza pulita - attraverso una X apposta sulla scheda elettorale - di faccendieri, miopi arrivisti, millantatori, navigatori sotterranei conto terzi, malati di logorrea, protagonisti di batracomiomachie e zuffe da pollaio. Qui non si richiede quella corbelleria meglio conosciuta come “ricambio generazionale” (in quanto si può essere giovani a ottant’anni e rincoglioniti a venti), ma, magari, una discontinuità di volti e soprattutto un ricambio di vocabolario. Abbiamo bisogno di una nuova grammatica dello stare insieme, e un nuovo linguaggio che aborra, ad esempio, lemmi della serie: “apparentamento”, “ricaduta elettorale”, “visibilità”, “personalismo”, “vertice di maggioranza”, “poltrona”, “appoggio esterno”, e soprattutto quel luogo comune triviale, anzi quello slogan volgare che è la “politica del fare”…
Detto questo, aggiungo anche che non basterebbero uno o più politici virtuosi per il riscatto di Galatina, Noha, Collemeto e Santa Barbara. Infatti non sempre succede che un uomo pubblico virtuoso riesca a rendere virtuosa la propria città; ma è certo invece che una città virtuosa sa esprimere sempre uomini politici virtuosi. E i cittadini virtuosi sono quelli che si chiedono cosa possono fare per la comunità e non cosa la comunità possa fare per loro.
Dunque bisogna capire che le parole sono importanti, ed è arrivato il momento di impadronircene. Non si capisce perché ultimamente gli arroganti sono diventati intraprendenti; i buffoni, simpatici; i delinquenti, furbi che sanno stare al mondo; i cinici, intelligenti; né si comprende, per contro, perché gli onesti sono diventati fessi; i coraggiosi, visionari; e gli intransigenti, noiosi moralisti.
Serve un nuovo linguaggio comunitario (e laico) che parli finalmente di tutela del territorio, di risparmio energetico, di micro-generazione di energia, di valorizzazione dei beni culturali, di recupero e riciclo delle risorse, di sviluppo sostenibile e quindi anche di decrescita felice, di ristrutturazione del patrimonio edilizio piuttosto che di cementificazione…
A Galatina serve più aria pura e meno CDR, più libri e meno televisione, più conflitti e meno interessi, più centro antico e meno centri commerciali, più passeggio pedonale e meno auto, più incontri pubblici e meno isolamenti casalinghi, più autoregolamentazione e meno divieti (una cittadinanza culturalmente evoluta, ad esempio, non va in giro nel centro storico - ma anche in periferia - in automobile, quando invece può benissimo andare a piedi o al più in bicicletta, e senza il bisogno di vincoli o proibizioni).
Questo auspico per il nuovo anno. Non so se questo sia chiedere troppo.
Va bene, allora, se concludo dicendo che illudersi è pericoloso, mentre sperare obbligatorio?>>
Virgilio Contaldo
feb072012
Ieri a Milano ha cessato di battere il cuore grande di Michele Tarantino, nohano purosangue. E' stato "editore a perdere" (senza cioè alcun obiettivo di profitto) del monumentale volume "Noha, storia, arte e leggenda" scritto a quattro mani da P. Francesco D'Acquarica e Antonio Mellone.
Fu il primo a sostenere ed a volere su carta l'avventura fantastica de "L'osservatore Nohano", la rivista on-line che per cinque anni ha sollecitato nel bene o nel male l'elettroencefalogramma di molti nohani.
Secondo le sue disposizioni, le sue spoglie mortali ritorneranno, per rimanervi per sempre, nella sua amata antica terra di Noha.
Tutti i collaboratori di questo sito - e, siamo certi, numerosissimi altri concittadini - ricordano la figura di questo benefattore, e affettuosamente abbracciano la sig.ra Rossana, ed i suoi due figli, Federica e Dario.
gen112011
Vi do appuntamento alla prossima edizione del presepe. Ma continuate a seguirci: a Noha deve essere Natale ogni giorno.
gen122012
Il 6 gennaio 2012 presso i locali del Bar Settebello a Noha, in Piazza San Michele, si è svolto un incontro dal titolo “Addio O.N.”, durante il quale ha preso la parola la giornalista e scrittrice Giuliana Coppola, oltre ad alcuni membri della redazione della (ex)rivista on-line nohana.
apr172013
Fontamara, oltre ad essere un piccolo centro situato sulla mezzacosta della montagna abruzzese, è anche il titolo di un libro che ho avuto in prestito dalla biblioteca di Rivoli e che ho letto in men che non si dica (Ignazio Silone, Fontamara, Mondadori, Milano, 1984).
Mi ha attratto molto la descrizione degli usi e costumi dei protagonisti; dai mestieri al modo di affrontare le incombenze. E’ descritta la tipica comunità di piccole dimensioni come lo può essere stata, o è ancora oggi, Noha, con le sue tradizioni e regole affidate, o trattenute, dalle solite figure di rappresentanza: il podestà, l’avvocato, il medico, il parroco e qualche nobildonna.
Gli abitanti di Fontamara sono contadini, cafoni, come vengono chiamati i braccianti della terra in quegli anni. Pochi sono quelli che sanno leggere, ma in molti prolifera lo sforzo di farsi giustizia contro tutti i soprusi che il sistema genera, sopratutto contro i deboli.
In paese c’è un personaggio molto importante che è il protagonista principale della storia: Berardo Viola. Il giovane vive con la madre in una casa che di fatto è una caverna con un solo muro e relativa porta.
Il nonno di Berardo era un brigante e morì impiccato dai piemontesi. La madre piange sempre la condizione del figlio che, secondo lei, avendo il dna del nonno è destinato a crepare di morte violenta. Berardo è alto di statura, ha un fisico da lottatore e ama combattere contro le ingiustizie. I ragazzi del paese gli stanno sempre intorno ad ascoltare i suoi discorsi di accuse contro gli inganni dei ricchi borghesi e delle istituzioni. E’ innamorato della più bella ragazza del paese, Elvira. Però non le dichiara il suo amore per orgoglio, perché non ha nulla da portarle in dote, se non il suo destino brutale. In uno dei suoi discorsi di propaganda così dice: “In capo a tutti c'è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe di Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch'è finito”.
I fontamaresi sembrano rassegnati, però sopravvive in loro un barlume dello spirito di libertà e di giustizia, che dovrebbe incitarli alla lotta contro le ingiustizie. Così dice anche Scarpone, un amico di Berardo: “U Rre è uno e se futte na muntagna e sord, i politici sò chiù de 500 e pure se futtane nu sacc e sord, quindi nun è meju che mantenimme sulamente a uno?”
Un giorno giunge in paese un emissario del governo, Innocenzo detto “La legge”. Si reca direttamente nella cantina di Marietta dove sono riuniti un buon numero di cafoni e porta loro un comunicato governativo che detta così: “In questo locale è proibito parlare di politica”.
Dopo aver ascoltato la lettura del comunicato,i fontamaresi protestano poiché loro amano “ragionare”: delle tasse, dei prezzi, delle paghe, di un po’ di tutto. Ma Innocenzo dice loro che i ragionamenti non servono a niente e che, aggiunge con aria sarcastica, non sono nemmeno buoni da mangiare.
A questo punto Berardo, non d’accordo, chiede all’emissario del governo di scrivere di suo pugno sul retro del cartello quanto segue: “Secondo l’autorità costituita, in questo locale sono proibiti tutti i ragionamenti”.
Fatto ciò chiarisce il concetto secondo il quale i cafoni non avrebbero bisogno di quel cartello perché sono educati a essere “arraggiunati” all’obbedienza al padrone, a lavorare senza lamentarsi, a fare la guerra, oppure che dopo la morte, se dovessero disubbidire, li aspetta l’inferno. Aggiunge nel suo monologo che se tutti i cafoni invece di essere asini ragionevoli e obbedienti diventassero all’improvviso solo asini, il padrone senza il loro lavoro, forse, sarebbe costretto a chiedere l’elemosina. Infine conclude: “Caro Innocenzo, tu sei venuto qua a dirci che non dobbiamo ragionare, adesso è quasi notte e tu prendi la strada del ritorno per Avezzano, e le vie sono senza luce. Cosa ci può impedire a noi poveri cafoni irragionevoli di accopparti? Ce lo può impedire proprio il ragionamento. Ma intanto tu hai scritto che in questo locale sono vietati i ragionamenti”.
Davanti alla evidente ragione di Berardo, a Innocenzo non resta che tacere. Con il passare del tempo, Berardo cambia idea riguardo al matrimonio e decide di sposare Elvira. Quindi, si mette a cercare un lavoro più redditizio per acquistare un terreno da portarle in dote.
Insieme ad un amico si reca a Roma, dove sono in corso le opere di bonifica. Dopo alcuni giorni trascorsi a girovagare tra un ufficio e l’altro senza riuscire a concludere nulla, vengono arrestati e condotti in prigione perché trovati in possesso di alcuni volantini inneggianti contro il regime. In prigione vengono torturati e picchiati duramente. Infine, preso dalla disperazione e smosso dalla sua coscienza di difensore della giustizia, Berardo decide di diventare un eroe autodenunciandosi. Confessa quindi di essere lui il sovversivo che ricercano da tempo. Però, il mattino seguente, dopo l’ultimo interrogatorio, lo trovano impiccato alla grata della finestra della prigione. I suoi carcerieri offrono la libertà al suo amico in cambio di una falsa testimonianza rivolta ai giudici in cui deve solo dire che la morte di Berardo è un suicidio nato in conseguenza a dei dispiaceri amorosi. La notizia della morte di Berardo giunge presto al paese dove tuttidecidono di denunciare la storia scrivendo a mano un giornale in memoria del gesto eroico di Berardo. Dopo lunghe discussioni viene scelto anche il titolo per il giornale: “Che fare?”.
Giovà, suo figlio e l’amico Scarpone, si recano nei paesi della zona per distribuire le 500 copie del giornale su cui si denuncia l’atto criminoso e l’incitazione alla rivolta. Al ritorno però, mentre si avvicinano a Fontamara, sentono degli spari provenienti dal paese. Tanti spari.
I tre furono gli unici a salvarsi. Infatti uno squadrone di fascisti, per soffocare lo spirito di ribellione dei fontamaresi, ammazzarono quasi tutti: vecchi, donne e bambini.
Tutto questo solo per aver preteso di ragionare e per aver voluto scrivere un giornale, arma evidentemente temuta da chi non vuole che la gente comune prenda coscienza della propria decenza e dei propri diritti.
Leggendo queste storie di prepotenze, di gente semplice che si ritrova a dover lottare contro i soprusi di pochi o contro false verità, è difficile evitare i raffronti con l’attualità, compresa quella a corto raggio. La storia è vero, è acqua passata, anzi qualcuno sostiene che passa anche inutilmente, visto il ciclico riproporsi di certe questioni. Ma la libertà di stampa e di ragionamento corrono sempre il pericolo di essere censurati da chi, proponendosi come parte attiva per il bene comune, cura esclusivamente il proprio tornaconto, economico o morale che sia.
Grazie al disinteresse, generato a volte da paure recondite, la nostra è diventata l’era dei vizi: degli sprechi, dell’inquinamento, della mancanza di rispetto per la natura, dell’abbandono dei centri storici a favore degli agglomerati urbani di volumetrie che nulla hanno a che fare con il Creato, del cemento ovunque e senza ragione, della spocchia di chi si crede il potente di turno (che si ritiene tale per colpa di chi, invece, è in grado soltanto di genuflettersi).
Anche noi abbiamo bisogno degli strumenti di dialogo liberi (come L’osservatore Nohano ed il sito Noha.it, oltre alla pagina face-book nohaweb). Usiamoli, ragioniamoci su, spendiamo la nostra firma (o la nostra faccia, è uguale), diamo il nostro contributo al buon senso, e lasciamo perdere lo snob di turno che finge che non esistano, e continua a trasmettere “pensieri” abborracciati attraverso la mormorazione ed il pettegolezzo, ovvero chi, preso da altro, fa finta di scordarsi della sua piccola patria.
dic182013
Sotto le ali protettrici dell’aquila imperiale, a bighellonare sui gradini di pietra fra il marciapiede e l’ingresso alla vecchia torre, c’erano quasi sempre i figli di Luigi, l’impiegato comunale. Oltre a occuparsi dell’anagrafe di Noha, fra un certificato e l’altro, aiutava i suoi concittadini a districarsi nella contorta burocrazia amministrativa, e fra una croce e l’altra, apponeva sigilli e timbri manco fosse il primo tesoriere del re. Data la vicinanza di quell’altra Casa Comune che era la chiesa, si dedicava anche all’apertura e chiusura del Tempio. Qui svolgeva funzioni di animatore dell’Azione Cattolica, di autista dell’Arciprete, di accompagnatore ufficiale di tutte le cariche istituzionali che venivano in visita a Noha (cioè nessuno, tranne la guardia campestre e il predicatore delle 4 settimane di Avvento, che essendo solitamente un frate con il saio e i sandali, se ne veniva da solo). A tempo perso ripuliva la rastrelliera portacandele del Sacro Cuore dai moccoli di cera sciolta. Si occupava del giardino della chiesa, annunciava i bandi per i concorsi pubblici, nominava i suoi aiutanti nel periodo delle elezioni, si occupava degli addobbi natalizi, della gita di pasquetta, dell’organizzazione dei funerali, della composizione delle salme, dei dati anagrafici da far scrivere con lo smalto nero sulle lapidi di marmo. Della vita e della morte, della gioia e del dolore. In qualche modo, quell’uomo era la forza motrice del tempo che grazie all’orologio, marcava il destino stesso dei nohani. Insomma, via lui, c’era il rischio che si fermasse il mondo. Si occupava, ovviamente, anche della manutenzione della macchina dell’orologio. S’affacciò dal balcone del municipio, sulla cui ringhiera sovrastava imperioso il vecchio scudo delle tre torri, e con aria perentoria comandò ai figli di salire. C’era da dare la carica all’orologio. La vecchia macchina era un vero gioiello di meccanica, però non bisognava mai lasciargli seccare le boccole, né dimenticarsi dei pesi che la gravità trascinava irrimediabilmente giù. I due fratelli, stufi di fare quel lavoro un giorno si ed uno no, vedendomi passare mi chiesero se avessi voglia di aiutarli. Ci inerpicammo così in cima alla torre come dei caprioli. Arrancavo le scale mezze a chiocciola e mezze dritte menando manate a destra e manca sul bianco sporco delle pareti, con la paura di essere morsicato da qualche tarantola. Mi guardavo intorno affascinato dall’odore antico di quell’antro. Sbirciando qua e là in ogni anfratto buio delle nicchie che disordinatamente apparivano sulla vecchia parete, sognavo già di antichi tesori e battaglie da cui uscire vincitori. Quell’avvitarsi stretto intorno al nulla non finiva mai e mi girava la testa, sembrava la scala della cupola del Duomo dove si andava a suonare a mano i batacchi del campanone. Quasi in cima, davanti a noi chiudevano il vano della macchina due ante sporche di calce e ben ricamate dal tarlo. Le aprimmo tramite un vecchio ferro, sgangherato come la dentiera semovente di mio nonno. Davanti a noi c’era la macchina e sotto di essa si apriva l’infinito. Un precipizio scuro attraversato a tratti da fendenti che il sole infilava nei fori delle mura. Il fratello più vecchio diede inizio al rito delle 48 ore infilando la manovella nel primo verricello. Tanto sarebbe durata la carica di quella molla. Girando si tirava su un contrappeso in pietra leccese, agganciato alla fune d’acciaio che man mano si raccoglieva nel suo albero arrotolandosi come un serpente. Le corde erano due, una per muovere le ore e una per le campane. La fatica di sollevare quel masso di pietra, era immane per le nostre fragili braccia. Ma diventava così una prova di forza, come lo stringere le corna del toro, alle giostre del luna Park. L’odore sudaticcio delle nostre giovani carni saturava l’aria di quell’antro che sembrava essere la porta del purgatorio, dove l’angelo alato senza testa che imperava sulla facciata esterna, segnava con i suoi rintocchi il tempo rimasto.
Il rumore provocato dall’aggrovigliarsi del verricello, quel dradradrà-dradradrà- dradradrà metallico e cadenzato che provocava ogni scatto del fermo a molla sulla ruota dentata del meccanismo, ci affascinava. Dradradrà…sembrava il rombo di quei motori a basso numeri di giri dei moto-carri, che rincorrevamo per le strade di Noha. A tratti pareva una melodia, a tratti l’inquietante eco di case deflagrate e corpi straziati. Immerso così in quei pensieri, mi sembrò per un attimo di essere in una situazione del tutto nuova, o vecchia, nel senso di già vista. Eccomi quindi, attorniato da un corteo di tecnici del Comune giunti a Noha per fare una valutazione dell’eventuale ristrutturazione della casa. Cosa che in realtà sarebbe accaduta molti anni dopo. Al seguito dell’ingegnere, c’erano: il geometra, l’assessore di turno, un impiegato tuttofare e due operai, e per chiudere l’elenco, affianco a me, una strana sagoma di cui non identificavo null’altro che l’essenza, forse la paura che fosse l’ennesima presa in giro, oppure del politico di turno. La storia della ristrutturazione di quella torre durerà in eterno, tanto che morirò e rinascerò per la seconda volta, ma non sarà mai finita. Mala politica e buon senso non sono le mammelle di una stessa mucca. Allora che si può fare se a lottare hai davanti le pale di un mulino a vento? La visita alla torre dell’orologio durò tutta la mattina, ma la vista di quell’antro vuoto, dove per decenni aveva palpitato la macchina del tempo, mi turbò profondamente. Al suo posto una miserabile scatoletta bianca da cui fuoriuscivano non più corde e verricelli ma due smunti e banalissimi cavi elettrici che avrebbero dovuto trasportare l’energia per dire a tutti che forse non stavano più vivendo.
Marcello D’Acquarica
mag042019
Non vi venga il ghiribizzo di iniziare di sera la lettura de “La Notte degli Indicibili”, il romanzo d’esordio di Giunio Panarelli (Montag, 2018), magari quando siete già a letto: rischiereste seriamente di arrivare alle tre senza accorgervene - prima di dovervi interrompere causa incipiente novella giornata lavorativa da lì a meno di quattro ore.
Di primo acchito, chissà perché, ti vengono in mente i Ragazzi della via Paal, ma dopo appena qualche riga t’accorgi che qui il tragico si trasforma immediatamente in comico, reso oltretutto con inedita scrittura creativa, mai scontata, e direi pure raffinata. Dalla maneggevolezza della penna arguisci sin da subito quanti libri (di cui molto probabilmente è tappezzata casa sua) abbia sfogliato l’autore, quanto gli ronzi in testa il loro brusio, e forse anche quanto sia pure un pizzico figlio d’arte.
Che poi oggi questo ventiduenne di Galatina frequenti la Bocconi e addirittura International Politics & Government (yes, in inglese), con un bel po’ di esami in metodi quantitativi [necessari finalmente a chi nelle istituzioni nazionali e internazionali, e perché no locali, è chiamato a formulare decisioni, ndr.] è un altro paio di maniche e si chiama completamento. Si cresce passo dopo passo, magari anche con la partecipazione alla redazione di Intevalla Insaniae - il giornalino del liceo classico galatinese, a suo tempo così osteggiato dal diciamo potere costituito - (fatto), con uno stage al Fatto Quotidiano (fatto), con la pubblicazione sui social network del Bollettino del Quattro Marcio, notiziario satirico (fatto) [ah, la satira, così invisa agli analfabeti funzionali, ndr.], con la collaborazione a questo o a quel magazine più o meno web (fatto anche questo). Tutto sembra propedeutico (come si diceva di certi esami universitari) a un secondo auspicabile romanzo: un Economic Thriller per la precisione (ché quanto al Political horror non c’è bisogno di inventare nulla, visto quanto ormai la realtà obliteri la fiction).
Ma ritorniamo alla nostra Notte, ché le digressioni dell’osservatore Nohano potrebbero farvi fare tardi.
Nella seconda delle tre parti del romanzo, i bambini della prima son diventati adolescenti, e tra “grugniti etilici” e “botanica pratica” (al cui confronto le canne al vento del Canale dell’Asso sarebbero modica quantità), la voglia di cambiare nuovamente connotati alla lapide di quello stronzo di Cartesio (che pare non fosse proprio un Federico Moccia nel riportare su carta le sue elucubrazioni), e qualche considerazione sui massimi sistemi politici, si arriva al tratto finale: la notte degli indicibili vera e propria. Quella in cui cade il velo dell’incomunicabilità tra i tre amici, e dove finalmente “ognuno dice delle cose che tutti gli altri promettono di custodire solo per sé senza rivelarle a nessun altro”. Un metodo, quello di parlare agli altri, prima di tutto per parlare a se stessi, trovare una strada, salvarsi, ed evitare che il russa della famosa rivoluzione rimanga solo una voce del verbo.
I pensieri, le parole, le opere, non le omissioni, diventano veicoli che, svoltando a sinistra (mai a destra), dopo la memorabile seconda stella, consentiranno a molti di spingersi fino all’isola che finalmente c’è.
Antonio Mellone
set252017
Non so voi, ma a me ‘sta storia del mega-porco commerciale Pantacom rievoca tanto quella della monaca di Monza, narrata da Alessandro Manzoni nei suoi Promessi Sposi.
In questa sorta di romanzo nel romanzo, ci vien presentata la figura della povera Gertrude destinata al convento sin dalla nascita, così, tanto per rispettare la tradizione del Maggiorasco che prevedeva la concentrazione del patrimonio ereditario nelle mani del primogenito (ovviamente maschio).
Sicché la sventurata si trova istradata al monastero già all’età di sei anni, quale normale prosecuzione dei suoi giochi d’infanzia (fatti perlopiù di santini e di bambole vestite da suore), e naturale destino di un nome che fa tanto chiostro, Gertrude, imposto dal padre-padrone, “principe e gran gentiluomo milanese” che per la figlia non vedeva altro futuro se non il velo e la clausura.
Orbene, nonostante Gertrude non avesse alcuna intenzione di farsi monaca, più il tempo passava più s’accorgeva di essersi incamminata in un vicolo cieco. In molte occasioni avrebbe potuto rifiutare la “vocazione” impostale, ma venne sopraffatta dagli eventi, dalla insicurezza, e nondimeno dalla sfiducia nella propria libertà.
La meschina, troppo debole per affrontare le conseguenze di una disubbidienza al volere paterno, mente prima di tutto a se stessa, e poi agli altri, alle consorelle, alla badessa, e infine a quell’uomo “dabbene” che era il vicario, cioè il prete convenuto al monastero, come previsto dalla procedura, per confessarla e interrogarla sulle sue reali intenzioni di accettare i voti, la vestizione e la vita “lontana dalle insidie del mondo”.
Ecco cosa scrive il Manzoni nella sua bella prosa-poetica, dopo l’ennesimo assenso all’“iter autorizzativo” da parte dell’infelice ragazza: “Fu dunque fatta la sua volontà; e, condotta pomposamente al monastero, vestì l’abito. Dopo dodici mesi di noviziato, pieni di pentimenti e ripentimenti, si trovò al momento della professione, al momento in cui conveniva, o dire un no più strano, più inaspettato, più scandaloso che mai, o ripetere un sì tante volte detto; lo ripeté, e fu monaca per sempre” (cap. X, I Promessi Sposi).
Ecco, io non vorrei che con il Mega-porco commerciale avvenisse il medesimo dramma vissuto dalla sciagurata Gertrude: cioè che si dia corso a questa minchiata economico-ecologica [scusatemi, ma in questo momento non mi viene un lemma più triviale di questo, ndr.], nonostante siano in pochi ormai (almeno spero) a credere agli asini che – ragliando a cento decibel di “ricadute” e “occupazione” - continuano imperterriti a volare sulle nostre teste.
Come ben saprete, tra i punti all’ordine del giorno del Consiglio Comunale di martedì 26 settembre 2017, al numero 5 leggiamo: “Piano Attuativo per la realizzazione di Area Commerciale Integrata no-food in contrada Cascioni. Proponente: PANTACOM s.r.l. – Approvazione nuova convenzione in sostituzione di quelle sottoscritte in data 24/04/2013 e 31/05/2017”.
Bene. Ora mi (e vi) pongo alcune domande.
Perché un’altra convenzione? Com’è che se ne cambiano ogni tre per due? Forse che le precedenti non andavano bene? È proprio necessario procedere all’approvazione di una novella convenzione in sostituzione delle passate, posto che in genere le successive son quasi sempre peggiorative per noi e migliorative per i richiedenti, cioè con meno oneri per loro e più diseconomie per il Comune di Galatina?
E se invece di approvarle si negassero, cosa succederebbe? Il finimondo? O, come diceva qualcuno, addirittura l’apocalisse (tipo quella paventata lo scorso dicembre in caso di vittoria del No al referendum di Renzi)?
A Galatina sono maestri nel ripetere un mantra che suona più o meno così: “Non c’è più nulla che si possa fare per bloccare il progetto del Megaparco perché tutti gli atti autorizzativi necessari sono stati rilasciati dalle precedenti amministrazioni”.
Se davvero così fosse, come si spiegherebbe la convocazione addirittura di un Consiglio Comunale per discuterne ancora? E non sarebbe a questo punto il caso di render noto all’intera cittadinanza l’elenco degli atti di qualunque natura relativi a codesta “definitiva” autorizzazione: sia quelli già rilasciati, che, eventualmente, quelli ancora mancanti?
E, giacché ci siamo, non sarebbe opportuno che questa nuova Amministrazione Comunale mostrasse chiari segni di discontinuità con le precedenti, anche sul tema del Mega-porco (visto che i propositi, le premesse, la buona volontà, la voglia di far bene sembrano esserci tutti)?
Ho sentito dire in giro, tra le altre cose, che il Consiglio Comunale “è tenuto ad approvare”, eccetera, eccetera. Coooosa? È questo il moderno concetto di Democrazia? Ma scusate: non è forse un Consiglio Comunale la massima assise cittadina, espressione della sovranità di un popolo stanziato su di un determinato territorio, l’organo di volontà e indirizzo politico di un Comune, per cui è libero di decidere in assoluta libertà quel che vuole (e dunque non è “tenuto” ad approvare proprio un bel nulla), nel rispetto delle leggi e della Costituzione?
E se davvero non ci fossero alternative, mi spiegate a cosa cavolo servirebbe un Consiglio Comunale? A ratificare forse quel che avrebbero deciso gli altri, o peggio ancora un funzionario a briglie sciolte il quale, magari in qualche conferenza dei servizi, ha stabilito che andava bene un centro commerciale senza alberi di alto fusto (sennò magari le radici sollevano l’asfalto e rompono le palle alle auto e ai Tir)? [questa mi pare di averla già sentita da qualche parte, ndr.].
E che razza di decisione è mai quella per la quale o mangi questa minestra o ti butti dalla finestra? Ci sarebbero delle penali da sopportare, dite? E a carico di chi sarebbero queste penali? Del Comune, o di chi eventualmente avrebbe preso l’iniziativa “in nome del”, senza magari averne il mandato o, come si dice, in carenza o difetto di rappresentanza? E in questa seconda eventualità, non sarebbe appena il caso di accollarle al responsabile e non invece a tutta la collettività (responsabilità e penali, dico)?
E a chi dovrebbero essere pagate queste penali, alla Pantacom? Cioè alla società che, salvo errori od omissioni, è ancora “inattiva”? E cosa farebbero i signori di codesta società a responsabilità ridotta, l’attiverebbero giusto il tempo di incassare le penali? E, di grazia, di che importo sarebbero codesti indennizzi, posto che si tratti di esborsi monetari e non di fustigazioni sulla pubblica piazza? E se anche si dovessero sopportare spese per risarcimenti, non trovate che qualunque rifusione sarebbe comunque di gran lunga meno gravosa della pena di un Mega-porco a km zero? E perché mai non si prevede un indennizzo finalmente a favore del Comune se non altro per il danno derivante dall’enorme perdita di tempo e di energie dei suoi uffici, che, piuttosto che dar retta alle coglionate, avrebbero potuto pensare ai problemi reali di Galatina?
Inoltre, invece di andare avanti con questa pantomima [vocabolo derivante giusto da Pantacom, ndr.], avete letto per caso in questi giorni (perfino sul Corriere della Sera, giornale tutt’altro che anticapitalista) della decisione della Provincia di Trento di bandire definitivamente i centri commerciali dal proprio territorio, al fine di “salvaguardare l’ambiente, ridurre il traffico veicolare, e rinnovare il metodo degli insediamenti commerciali sul territorio all’insegna della qualità e della valorizzazione dei piccoli esercizi”? No? Allora, per favore, informatevi bene prima di prendere decisioni irreversibili come quelle della monaca di Monza.
E infine, lo sapete che negli Stati Uniti il mito del centro commerciale è crollato da tempo? E che gli Stati Uniti anticipano generalmente la nostra sociologia di circa un decennio? E che secondo molti analisti nei prossimi anni chiuderanno addirittura 400 dei 1100 centri commerciali statunitensi? Avete avuto per caso notizia dell’inchiesta del New York Times (non dell’osservatore Nohano) che attesta che svariati Malls (centri commerciali) sono ormai alla stessa stregua di vere e proprie città-fantasma, deserte, vuote, fallite? Lo sapete che ci sono dei siti internet - come ad esempio il seguente http://deadmalls.com/ - con storie di centinaia di Malls chiusi, sedotti, abbandonati, morti e sepolti? A quando la costruzione e la redazione anche in Italia di un sito o un blog dello stesso tenore dal titolo “limortiloro.it”?
*
Di questo passo Galatina farà la fine della monaca di Monza. E i danni non si ripareranno con una “cavita di conza”.
Antonio Mellone
ott132013
Nel 1973, esattamente 40 anni fa, veniva alla luce il volumetto “Storia di Noha” edito da “Grafiche C.Borgia” di Casarano. E’ opportuno ricordare quell’evento, anche per verificare il cammino che si è fatto e non spegnere l’entusiasmo che aveva creato.
Ero da poco rientrato in Italia, dopo 5 anni di Missione in Canada, e per motivi di salute mi fermai a Noha oltre il previsto. Fu così che, tanto per passarmi il tempo, cominciai a curiosare nell'archivio parrocchiale di Noha. Trovai un libretto di una cinquantina di paginette intitolato: “L'Università e il Feudo di Noha - Documenti e Note” scritto da un certo prof. Gianferrante Tanzi, ed edito nel 1906 da Tipografia Cooperativa a Lecce. Questo scritto prezioso, essendo ovviamente fuori catalogo, non è facilmente reperibile.
Le mie ricerche su Noha partirono proprio da lì. Mi resi conto, leggiucchiando il libriccino del Tanzi, che Noha aveva avuto una storia molto antica e molto ricca di notizie, anche se quello che leggevo in quel libercolo a volte era vago e impreciso. Mi venne voglia perciò di fare ricerche più accurate.
Mi misi a intervistare testimoni qualificati e informati su alcune notizie e tradizioni di Noha. Cominciai a consultare anche altri documenti di storia locale, arrivai all'archivio vescovile di Nardò, di cui ab immemorabili Noha aveva fatto parte, consultai l'archivio di Stato di Lecce e la biblioteca comunale di Galatina. Negli spostamenti sovente mi guidava don Donato Mellone, in quel tempo Arciprete di Noha, a cui devo tanta gratitudine sia per la sua grande disponibilità ad accompagnarmi e sia per avermi permesso di consultare l'archivio della Parrocchia.
Dopo circa un anno di ricerche (1972-1973), per la prima volta davo alle stampe la prima edizione. Di Noha e della sua storia nessuno conosceva le antichità, nessuno ne parlava, nessuno sapeva, neanche a livello di istituzioni o di cosiddetta gente di cultura.
Il libro di appena 90 pagine fu stampato a Casarano dall’editrice Borgia; mi sovvenzionò la stampa un'amica dei Missionari della Consolata che avevo conosciuto durante la mia permanenza a Salve, un comune vicino Santa Maria di Leuca. Furono stampate 300 copie, arricchite da una mappa del paese che avevo fatto io stesso in maniera molto artigianale, senza essere né un tecnico né un geometra, tracciandone il disegno delle strade che percorrevo con la mia Bianchina. Anche le foto le avevo fatte io stesso in bianco e nero. Il volumetto fu messo in vendita a 1.000 Lire la copia e andò letteralmente a ruba, soprattutto perché l'avevo arricchito con una raccolta di proverbi dialettali e di alcune mie poesie in dialetto che suscitarono (finalmente) la curiosità dei nohani. Quell’edizione si esaurì in men che non si dica.
Pubblicato e venduto quel libro, le mie ricerche non finirono più. Per me era naturale continuare ad approfondire le ricerche su Noha (che, voglio dirlo con determinazione anche ai giovani, danno sempre grandi soddisfazioni).
Dopo 15 anni, scoperti nuovi documenti, nel 1989 chiesi al Sindaco di Galatina, che in quel tempo era l’On. Beniamino De Maria, se valeva la spesa stampare i miei aggiornamenti. Fu così che l’Amministrazione Comunale si prese cura del mio scritto, approvò e sovvenzionò completamente la stampa della nuova opera con 4 milioni di Lire. L’Editrice Salentina di Galatina stampò così la seconda edizione della mia “Storia” in mille copie, questa volta arricchita dalle foto in bianco nero dello studio fotografico Mirelfoto- Pignatelli di Noha, oltre che quelle del mio archivio.
Feci la “presentazione” della nuova edizione alla scuola media di Noha dove fu adottata come testo di cultura locale: l’edizione era più ampia della prima per i contenuti ma anche più elegante nella forma.
Intanto io continuavo le mie ricerche (le notizie sono come le ciliegie: una tira l’altra) e scoprivo altre notizie sempre molto interessanti. Trovai per esempio una relazione sullo stato della parrocchia da parte di Don Michele Alessandrelli, arciprete di Noha dal 1847 al 1882, che, in occasione della visita pastorale del Vescovo di Nardò, aveva compilato con molta precisione di particolari preziosissimi. Trovai anche una relazione ricchissima di informazioni del “primo” Vescovo di Nardò che ritenevo molto interessante.
Inoltre analizzando meglio tutti i documenti dell'archivio parrocchiale, che lessi e trascrissi in “file digitali” per scoprire i miei antenati (ho potuto costruire cos’ il mio albero genealogico fino al 1500), trovai notizie abbondanti sulla situazione sociale, religiosa, economica e politica della gente di Noha. Erano tutte notizie preziose che meritavano di essere pubblicate.
Erano passati trent’anni dalla prima edizione. La seconda edizione era ormai esaurita. Valeva la pena far conoscere al pubblico le notizie di cui ero venuto a conoscenza. Cercavo il modo di stampare una terza edizione, ma come tutti sanno, la difficoltà principale in questo settore dell’editoria locale era proprio quella di reperire i fondi, o comunque trovare un mecenate che si prendesse cura della cosa.
La mia destinazione a Galatina nel 2003 in qualità di parroco della Parrocchia Cuore Immacolato di Maria e l’incontro con il Dott. Antonio Mellone fu provvidenziale. Fu Antonio che venne a cercarmi in parrocchia per propormi di stampare i miei aggiornamenti con una nuova edizione elegante, bella, ricca, di lusso, direi anche spettacolare e impensabile e degna di stare nelle migliori biblioteche nazionali ed estere (come di fatto mi risulta essere) e nacque così il volume Noha, Storia, Arte, Leggenda. Grazie all’editore-mecenate, il compianto Michele Tarantino, l’edizione venne alla luce nel 2006. In quella occasione Michele ebbe a scrivere: “Questo libro è a tutti gli effetti un bene culturale, un dono, un regalo che ho voluto fare innanzitutto a me, ma anche a mia moglie, legata, come me, alla terra dei nostri genitori; e - consapevole del fatto che i buoni frutti nascono da alberi che hanno coscienza delle loro radici - ai miei figli, nati e cresciuti nell’Italia del Nord, affinchè conoscendo la Storia di quello sperduto paese di provincia che risponde al nome di Noha, imparino sempre più ad amare e a rispettare le loro stesse origini; ai miei conterranei salentini ed ai miei amici sparsi in ogni parte d’Italia, e a tutti quanti si degnino di leggere e consultare questo volume, perché, benché a volte mute, anche le piccole realtà locali possono essere importanti testimoni della Storia”.
Grazie Michele Tarantino per questo messaggio così caldo e sentito! Oggi anche tu sei una pagina bella della Storia di Noha.
Ma le mie ricerche sono sempre continuate (secondo quel saggio proverbio nohano secondo il quale: fino alla bara sempre s’impara). Oggi a 40 anni da quella prima edizione posseggo notizie e scoperte che quarant’anni fa erano impensabili e sconosciute a tutti. Tante sono state rese pubbliche sul nostro giornalino on-line l’“osservatore Nohano” di felice memoria.
Ma a questo punto sarebbe opportuna una pubblicazione nuova “ordinata e completa” di come avevo immaginato che fosse la storia del mio paese, quando, esattamente quarant’anni fa, resi pubblica la mia prima edizione della “Storia di Noha”.
P. Francesco D’Acquarica
dic272012
Sabato 29 Dicembre 2012 alle ore 17,30 nelle sale settecentesche adiacenti al Bar Settebello in piazza San Michele a Noha ci sarà la presentazione del libro "In men che non si dica" di Marcello D'Acquarica, edito da L'osservatore Nohano. Bellissimo, imperdibile, una storia vera, un esorcismo generazionale.
In in questo libro c'è un pezzo di noi, delle nostre famiglie, della nostra comunità e soprattutto della nostra umanità.
Interverranno l'autore, Martina Chittani, Antonio Mellone e la giornalista e scrittrice Giuliana Coppola.
gen152012
Di seguito l'ultimo dei quattro video del funerale de L'osservatore Nohano.
Omaggio ad una Donna forte di Noha, Addolorata Barrazzo nata il 15 ottobre 1923 e morta nel suo paese natio il 13 aprile 2011.
La ricorderemo anche nel prossimo numero de “L’osservatore Nohano”.
gen102012
Su "Il Paese Nuovo" di oggi (10 Gennaio 2012) troviamo a pagina 24 un articolo di Giuliana Coppola sul presepe di Noha e L'osservatore Nohano.
nov072016
Ho posto questa domanda a un po’ di persone di mia conoscenza. Ecco cosa mi hanno risposto.
Albino Campa (titolare di Nohaweb Sito): “No, nonostante i tuoi articoli a tema su Noha.it”. Antonio Congedo (ingegnere e fisico): “Io voto no per rallentare l’entropia, ovvero gli effetti del secondo principio della termodinamica”. Lory Calò (maestro di musica): “Do”. Padre Francesco D'Acquarica (missionario, esperto di storia del mio paese): “No, come Noha”. Marcello D'Acquarica (artista – autore della vignetta a corredo di questo post - e osservatore critico): “La massa degli idioti vota sì. Dunque no”. Don Donato Mellone (buonanima): “Avrei votato no”. Paola Rizzo (pittrice e truccatrice): “I veri artisti, non a libro paga, votano no. Quindi no.”. Elisabetta Congedo (specialista in anestesia e rianimazione): “Urgono tanti no, da alternare a compressioni di massaggio cardiaco per scongiurare il coma irreversibile della Repubblica”. Stefania Tundo (amica dall’animo poetico): “Ti mando un no con il vento, e so che tu lo sentirai”. Anita Rossetti (sognatrice resistente): “CondanNO ManniNO e NapolitaNO, e osanNO CiancimiNO e BorselliNO”. Don Emanuele Vincenti (nohano, parroco di Sanarica): “Voto no al reverendum”. Michele D'Acquarica (osservatore resistente): “Ovviamente no; ma vince il sì”. Giuseppe Marco D'Acquarica (dipendente Acquedotto Pugliese): “Io non me la bevo: no, e condivido”. Daniele Pignatelli (fotografo e film-maker): “Sorrentino è indeciso, io no”. Fra’ Ettore Marangi (francescano, missionario in Kenya): “Voto no per evitare che l’Italia diventi una repubblica delle banane”. Crocifisso Aloisi (portavoce del popolo degli ulivi): “No, alla riforma fastidiosa”. Pina Marzo (salentina a Roma per studi post lauream): “Questa è l’n-esima riforma Roma-centrica. Allora decisamente no”. Gianluca Maggiore (antagonista del gasdotto): “No: Tap (Troppo Autoritarismo Partitico)”. Tiziana Cicolella: “Io non sto con ni, ma con no”. Piero Colaci (linguista e cultore del vernacolo locale): “None = no”. M Rosaria Paglialonga (difensore civico): “La Costituzione è un monumento da adottare: difendiamola votando no”. Francesca Stefanelli (collega dalla schiena dritta): “Signornò”. Alessandro Romano (cameraman e scrittore): “Voto no, perché anche il difensore della costituzione possa vedere l’alba”. Ivano Gioffreda (Popolo degli Ulivi): “Voto no perché vorrei ampliare gli spazi popolari”. Pasquale Marannino (compagno d’università e di dialoghi sulla costituzione): “Voto no, nonostante Michele Serra e Massimo Gramellini”. Samantha Pozzi (ex-collega del profondo nord): “Oh signùr, varda: no”. Daniela Sindaco (politico locale PDiota): “Voterei no se saprei leggere e scrivere”. Eleonora Ciminiello (giornalista di leccecronaca.it): “Per la cronaca, voto no. E tu?”. Claudia Schinzari (addetta marketing nel settore ceramiche/pavimenti): “Questa riforma è un po’ come un mosaico da bagno venuto decisamente male”. Carlo Martignano (ecologista): “Col cavolo che voto sì”. Rita Luceri (prof. di francese): “Je vote non au référendum”. Chiara Petracca (prof. di lettere): “La nuova costituzione (in minuscolo) andrebbe bocciata senza appello non fosse altro che per i suoi innumerevoli solecismi e idiotismi. Ergo, no”. Angelo Nocco (informatore Bayer): "Aspiri no". Paola Ronchi (attivista del no): “Ti sembro una dal sì facile?”. Pasquino Galatino: “Trovi la risposta nel morfema grammaticale, altrimenti detto desinenza (coincidente con l’ultima sillaba), rispettivamente dei miei nome e cognome”. Anna Carluccio (insegnante elementare): “Ovvio che no. I miei alunni di seconda avrebbero saputo scriverla meglio”. Enrico Giuranno (attivista 5 stelle): “CasaraNO”. Anna Primiceri (abiti da sposa): "Il sì solo sull'altare". Petra Reski (giornalista e scrittrice): “Nein”. Tonino Baldari (il guerriero nascostosi sulle nuvole): “Noooooo”. Lorenza Gioviale (attivista e sognatrice): “No, a dispetto della stampa, anzi della stampella tutta a favore del sì”. Andrea Rizzo (collega alle prese con l’inglese da viaggio): “Dairector: Ai uont tu vot no bicos de riform is not gud”.
Excellent, Andrea.
p.s. Cosa voto io? Che domanda. Ma scusate, vi sembro forse uno yes-man?
Antonio Mellone
gen072020
Era da molto tempo che volevo raccontare lo stemma di Noha, tra i più originali e particolari tra i tanti presenti in terra d'Otranto, con simboli che secondo me hanno poco a che fare con la storia del luogo. Allora passiamo a descrivere direttamente lo stemma iniziando proprio dalle tre torri che rivedo nell'affresco della basilica di Santa Caterina della " Pentecoste " presente nel deambulatorio di destra, dove cinquanta giorni dopo la Pasqua si vede lo Spirito Santo discendere su Maria ed intorno a lei i dodici apostoli ed alle sue spalle le tre torri che come nel nostro stemma rappresentano la Maria moglie e non madre come raccontato in molti vangeli apocrifi. Sono proprio le tre torri a rappresentare Maria Maddalena o di Magdala traduzione di " Torre " sia in aramaico, che in ebraico. Migdal era un paese sulle sponde del lago di Tiberiade conosciuta anche come Genezaret. Noha è un sito archeologico, che conserva questo toponimo da tempo immemorabile.
Noha era uno snodo cruciale di una strada che in epoca pre-romana collegava San Cataldo, sul mare Adriatico, a Torre San Giovanni, sul Mare Ionio. Che è come dire Felline, o meglio, il porto di Felline chiamato Posto Rosso a ricordare le origini Fenicie. Se Magdala significa " Torre " il nome Maria potrebbe significare “ribelle”, “amara” o “forte”, ma anche “colei che si innalza” o che “è innalzata” oppure ancora “profetessa” o “Signora”. La tradizione cristiana di San Gerolamo la fa derivare dall'ebraico “mar yam” (goccia di mare), in latino Stella maris, “stella del mare”, con cui viene pure indicata la madre di Gesù, chiamata Maria Vergine. Stella Maris era pure il nome di una nave templare che solcava la rotta di “Ofiuco”, legata alla storia oppure alla leggenda come molti ritengono delle sette sorelle, alle quali si deve collegare la fondazione dell’Ordine delle sorelle di Maria Maddalena (anno 1224), ad opera del Cavaliere Templare Rodolfo di Worms.
Quindi nello stemma di Noha ritroviamo la torre ad indicare Magdala la Maddalena che rappresenta in alcuni racconti gnostici le varie dee tipicamente rappresentative dell'amore di tipo sessuale come Ishtar, Astarthe, Afrodite o Venere che hanno come parallelo la figura dell'Immacolata concezione con la falce di luna sotto i piedi. Proprio qui a Noha all'interno della stessa matrice lo stemma che troviamo all'esterno fu ripreso da quello esistente sull'organo a canne, che si presume sia del 1723, costruito insieme all'altare maggiore dall'allora arciprete di Noha Don Nicola Antonio Soli. Di quel periodo anche il quadro dell'Immacolata concezione che custodisce un particolare piccolo, ma significativo, che ho voluto ingrandire ed immortalare nella foto si tratta di una sirena con due code.
Da sempre l’uomo ha trovato nei simboli sessuali degli elementi apotropaici forti e capaci di allontanare le forze maligne ed assicurare, ad una famiglia, alla costruzione di una casa, di una città, per ottenere fertilità, procreazione e rinascita. Da qui l’usanza di rappresentare queste strane forme ed oggetti sessuali su luoghi di culto nelle altre foto alcuni esempi vi sono in due chiese di Galatina, presenti nel centro storico a pochi metri uno dall’altra S. Luigi e la chiesa della SS. Trinità meglio conosciuta come quella dei Battenti. Questi simboli, ben lungi da esser gesti osceni e blasfemi, vennero nel tempo esorcizzati dalla Chiesa che le collegò al peccato universale, ma questi simboli altro non erano che il ricordo di culti millennari e rituali antichi mai scomparsi e fin troppo radicati nella tradizione popolare. In realtà la tradizione vuole l’ostentazione di tali simboli legati agli organi genitali maschili e femminili presenti sulle mura dei palazzi o luoghi sacri. Numerosi i casi di ostentazione dell’organo sessuale femminile, vi sono infatti molte chiese romaniche e gotiche dove su capitelli, e bassorilievi, sono raffigurate figure femminili che, con le mani, divaricano le gambe mostrando così la vulva, simili raffigurazioni le troviamo ad esempio nella cattedrale di Otranto, dove la nostra sirena con due code si trova tra i sedici tondi del presbiterio accanto a Re Salomone.
Quindi ricapitolando il tutto nello stemma di Noha si ricorda con le tre torri Maria di Magdala ( torre ) il mare in tempesta l'arrivo della Maddalena in occidente via mare ma anche ricordare le antiche origini del luogo che potrebbero essere fenicie, lo stesso nome Noha potrebbe derivare da origini semitiche o cananee. Infine fuori dallo stemma a completare l'opera un rametto di quercia a destra, che piantato accanto ad una fonte proteggeva dalla siccità. La quercia sacra a Giove, era una tra le piante di buon auspicio, simbolo di virtù, forza, coraggio, dignità e perseveranza. A sinistra invece un rametto di arancio da sempre simbolo di purezza, felicità, prosperità e abbondanza non a caso simbolo eterno i suoi fiori nel matrimonio, entrambi i rametti legati con un fiocco che forma un otto coricato simbolo dell'Infinito. Interrompo qua ma vi assicuro che c'è tanto ancora da scoprire e spero di aver dato un piccolo contributo anch'io a svelare il mistero che si cela nello stemma di Noha.
Raimondo Rodia
* La foto in bianconero contenente l'altare maggiore non più esistente dal 1970 proviene dall'archivio personale di Marcello D'Acquarica.
* Le notizie dell'organo a canne del XVIII secolo con la presenza del primo stemma comunale e dell'arciprete Soli provengono dal libretto : Curiosità sugli arcipreti e persone di chiesa a Noha di padre Francesco D'Acquarica edito da l'osservatore Nohano.
giu232016
Sabato 25 giugno, alle ore 18.00, presso la Sala del Sindaco di Palazzo Orsini, sarà presentato il libro di Giannicola Sinisi “A Sicilian Patriot. Giovanni Falcone e gli Stati Uniti d’America”.
Giannicola Sinisi, noto magistrato italiano, è nato ad Andria il 2 giugno 1957. Eletto sindaco della sua città nel 1993 è stato parlamentare e sottosegretario al Ministero dell’Interno. Dopo l’esperienza politica, ed una breve assegnazione dalla Corte di Appello di Potenza, negli anni 2009-2013 è stato consigliere giuridico presso l’Ambasciata italiana a Washington D.C. (USA). Durante il periodo trascorso al ministero della Giustizia in Roma, dal 1991 al 1993 ha collaborato con Giovanni Falcone alla Direzione generale degli Affari penali fino alla strage di Capaci, il 23 maggio 1992, occupandosi dopo tale data, su incarico del Ministro della Giustizia Martelli, del raccordo con la Procura di Caltanissetta e con la Commissione parlamentare antimafia.
Alla presentazione del libro parteciperanno Antonio De Donno, procuratore aggiunto della Repubblica di Lecce; Cosimo Montagna, sindaco di Galatina; Daniela Vantaggiato, assessore del Comune di Galatina; Adalberto Wojtek Pankiewicz, presidente del Movimento “valori e Rinnovamento”; Tonio Tondo, giornalista de “La Gazzetta del Mezzogiorno”, moderatore.
Sarà presente l’autore Giannicola Sinisi.
Il libro - I cablogrammi segreti dell’Ambasciata statunitense a Roma al Dipartimento di Stato americano dal 1987 al 1993, declassificati per iniziativa dell’autore, svelano il pensiero originale ed autentico delle autorità Statunitensi su Giovanni Falcone e su alcune vicende rilevanti della sua storia personale che, a tratti, si sovrappone alla storia d’Italia. Un punto di vista alternativo a quello con cui solitamente siamo abituati a confrontarci, e che rivela come, talvolta, non riusciamo a vedere oltre noi stessi, diventando incomprensibili per un osservatore pragmatico, quantunque interessato e attento alle nostre vicende interne.
ott162015
Arriva NextWord, the web series. Il 22 Ottobre al Cinema Teatro Tartaro verrà proiettata interamente la fiction fantascientifica nata da un'idea del regista Vincenzo Stigliano, prodotta dall'APS Inondazioni.it. La serie, frutto dell'impegno e della passione impiegati da attrici e attori, selezionati poco meno di un anno fa, ha rivalutato i paesaggi più caratteristici del Salento, con l'ulteriore scopo di esaltarne le qualità del Territorio.
NextWord è una web-serie SCI-FI ambientata interamente nel Salento. Parla di un ragazzo, Ronnie, che possiede una penna antica regalatagli da suo nonno prima di morire. Pensava fosse una comune penna, ma dopo essere stato quasi ucciso dallo zio che tenta di impossessarsene, capisce che quella penna vale molto più di quello che crede.
Al suo fianco vi è una ragazza conosciuta per caso e da poco, con un nome molto particolare: Kreen. Dopo aver lottato con lo zio, Ronnie viene a conoscenza della vera natura della ragazza: lei è un'aliena, anch'essa venuta sulla Terra, per riportare indietro proprio quella penna. Ronnie è sconvolto. La ragazza gli racconta la sua storia e quella del suo popolo. Ammette che quella penna può cambiare il corso degli eventi, ma deve essere lei a strappare il foglio sul quale si è scritto.
Kreen è stata mandata dal padre sotto ricatto per recuperare quella penna.
Ronnie, per quanto sia confuso ed esagitato, capisce che è un oggetto molto pericoloso in mani sbagliate, e chiede a Kreen di non ridarla al padre. La ragazza ne capisce le motivazioni ed accetta, ma così facendo scatenerà l'ira del padre, che a questo punto dovrà tornare personalmente sulla Terra per recuperare il suo oggetto.
Soddisfatto il Presidente di Inondazioni.it Piero De Matteis, che evidenzia il grande lavoro fatto dal regista, bravo a mettere insieme un cast fatto da attori interamente salentini: "Quando Vincenzo ci ha proposto la sua idea, noi non abbiamo esitato un solo istante, nonostante fosse la prima volta in questo campo".
Ma NextWord non è solo il titolo della web serie che spopolerà sul web. Da qualche mese è una vera e propria società cinematografica che si pone l'obiettivo di creare stimoli e nuovi punti di vista negli spettatori. Raccontare, attraverso il cinema, storie che sappiano interagire e coinvolgere il pubblico a cui si rivolgono. E questo, attraverso lungometraggi, film d'animazione, cortometraggi e documentari. Quel che conta è produrre concetti che possano suscitare emozioni e spronare l'osservatore a prendere coscienza di sé e di quello che lo circonda, in maniera tale che anch'egli possa e sappia scrivere la propria prossima parola.
La Première, come detto, sarà alle ore 19.30 di giovedì 22 Ottobre, presso il Cinema Teatro Tartaro di Galatina, dove ci saranno i protagonisti che hanno fatto sì che questa serie diventasse realtà, oltre ad altre piccole sorprese. La replica andrà in onda alle ore 22.00 della stessa serata. Dopo di che a partire da Novembre, la serie verrà trasmessa a puntate sul web sul sito www.inondazioni.it e www.nextwordproduzioni.com.
Per rimanere aggiornati su tutte le novità vi invitiamo a seguire la pagina Facebook https://www.facebook.com/NextWord
Info e prevendite al 393.3862598
Alessio Prastano
dic142020
Con questa ottava parte si conclude il viaggio nel tempo delle antiche Congreghe della nostra Cittadina. Ringraziamo P. Francesco D’Acquarica, ormai di diritto cittadino onorario di Noha, per averci ancora una volta dato un passaggio sui suoi straordinari mezzi di trasporto, fatti di storie, memoria, personaggi, ma soprattutto amore per la sua e nostra Piccola Patria.
Noha.it
Piccola premessa
Prima di procedere nella lettura dei verbali che seguono è opportuno tenere presente questa osservazione.
Come si può constatare, dal 1940 al 1945 le riunioni sono rarissime. Siamo durante la tragedia della seconda guerra mondiale. Anzi nel 1942 e nel 1943 non viene registrato alcun verbale. Il Padre Spirituale della Congrega ora è nuovamente l’arciprete Don Paolo Tundo, ma i bisogni della gente sono tanti e più urgenti delle riunioni di una Congrega. Si sa, le guerre non hanno mai fatto bene a nessuno. Seminano lutti, rovine, miseria, stanchezza, scoraggiamento, disorientamento morale e religioso.
Nel mese di giugno del 1943 ci fu anche il bombardamento dell’aeroporto di Galatina, a una manciata di chilometri da Noha, dove lavoravano anche giovani della nostra cittadina. Ci fu spargimento di sangue, morti, feriti. Oltre ai soldati che erano al fronte, Noha pagò il suo triste tributo anche in termini di fame, sofferenza, malattie. Don Paolo soccorreva, aiutava, andava incontro ai suoi parrocchiani, aiutando tutti senza far distinzione di persone tra parenti, amici o semplici conoscenti. Smarrimento, povertà, distruzioni, questo era il contesto di quegli anni tremendi.
In questo quadro bisogna capire (ma forse non scusare) quanto racconto nella nota del prossimo verbale, vale a dire la storia dei ladri nell’abitazione delle monache ospiti di Noha.
Oggetto: offerta di Beneficenza
Il 5 Maggio 1941 si sono riuniti i Confratelli. Hanno deliberato L.100 a favore delle Suore costituite a Noha. Il Priore…
NOTA IMPORTANTE
Questa offerta di L. 100 per le Suore costituite a Noha fu occasionata dal fatto che le Suore (si tratta delle Suore “Oblate di S. Antonio di Padova” presenti in quel tempo nella nostra cittadina, dedite all'Asilo Infantile, al doposcuola e all'insegnamento del catechismo e dell’arte del ricamo), furono danneggiate non poco da un furto. Nel 1941 io non avevo ancora compiuto i sei anni e frequentavo quella scuola materna, ma ricordo molto bene quando il fatto accadde. Una notte i ladri assalirono l'abitazione delle Suore, situata all’inizio di Via Cadorna, per derubarle delle loro vettovaglie. Le Suore, nonostante l’offerta della Confraternita, tremendamente spaventate da quella vicenda decisero di abbandonare definitivamente Noha.
Per questo motivo alcuni anni più tardi (nel 1955) l’arciprete don Paolo Tundo, che tanto teneva all’educazione dei bambini (“il domani del paese” - diceva) volle assolutamente che il suo popolo avesse la garanzia di un futuro migliore, preparando i bambini con la prima alfabetizzazione e socializzazione. Tra infinite difficoltà, spendendo i suoi risparmi e bussando alle porte di “chi poteva” riuscì a costruire su un terreno di sua proprietà un’opera monumentale che donò alla Congregazione “Discepole di Gesù Eucaristico”. Le suore di questa congregazione si impegnarono a restare per sempre a Noha. La convenzione tra don Paolo e le Suore “Discepole di Gesù Eucaristico” fu firmata il 29 settembre 1957.
Oggetto: Multa per gli assenti alle processioni e sedute
Il 21 dicembre 1941, XX, riunita la Confraternita in riunione ed in numero legale, si è stabilito quanto segue:
1. Chi si assenta dalle riunioni indette con biglietto personale senza un giusto motivo è sottoposto alla multa di L.2.00. Non intervenendo per tre volte consecutive resta espulso dalla Confraternita e riceverà la notifica per iscritto.
2. Chi si assenta dalle Processioni prescritte è sottoposto alla multa di L.10.00. Non intervenendo per tre volte consecutive, oppure chi si rifiuta di pagare la multa in cui è incorso, resta espulso dalla Confraternita e riceverà notifica per iscritto.
Il Priore Bianco Michele, il segretario Nocera,
Visto il Rettore D. Paolo Tundo.
Non intervenendo all’accompagnamento funebre, quando è di ebdomada, è sottoposto alla multa di L.20.00
Oggetto: nuove cariche
Il 27 dicembre 1942 si sono riuniti i Confratelli per la nomina delle nuove cariche. Su 24 votanti: 22 hanno risposto sì, 2 hanno risposto no.
Priore: Costa Michele
1 Assistente Lagna Michele
2 Assistente Gentile Pietro
Mazzieri Bianco Arcangelo e Paglialunga Antonio
Segretario Nocera Luigi
Cassiere Specchia Gioacchino
Letto il verbale e svolto il pensiero religioso dal rettore, la seduta ha avuto termine, il Priore Bianco Michele/Il segretario Nocera/V.il Rettore Arc. Paolo Tundo
La prima domenica di aprile riunita la confraternita in seduta straordinaria ha deliberato la tassa per i suoi deceduti la tassa a 20 cent. È stata portata a L.5
Il Priore Bianco Michele
Il segretario Nocera - V. il Rettore Arc. Paolo Tundo
21 Gennaio 1945
Il giorno 21 gennaio 1945 riunita la Confraternita in riunione straordinaria si è stabilito di portare la quota annuale dei fratelli e sorelle da L.10.00 senza obbligo alcuno di pagare qualche cosa alla morte di qualche confratello o Consorella. Le multe per gli assenti non giustificati sarà portata da L.10.00 a L.15.00
Il Priore Bianco Michele
Il segretario Nocera
V. il Rettore Arc. Paolo Tundo
23 Dicembre 1945
Il giorno 23 dicembre 1945 riunita la Confraternita in riunione ordinaria si è proceduto alla nomina dei nuovi ufficiali.
Dietro proposta degli stessi Confratelli si è stabilito di confermare gli stessi ufficiali e cioè:
Priore Costa Michele
1 ass. Lagna Michele
2 ass. Gentile Pietro
Mazzieri Bianco Arcangelo e Paglialunga Antonio
Segretario Nocera Luigi
Cassiere Specchia Gioacchino
Letto il verbale e svolto il pensiero religioso dal Rettore la seduta ha avuto termine.
Il Priore Bianco Michele
Il segretario Nocera
V. il Rettore Arc. Paolo Tundo
19 Maggio 1947
Il giorno 19 maggio 1947 si sono riuniti i Capi delle Associazioni Religiose e cioè: Il sig. Costa Michele Angelo, Priore della Confraternita Maria SS. delle Grazie, assistito dal cassiere; e la sig.ra Mazzei Elvira, presidente dell’associazione Apostolato della Preghiera, assistita dalla cassiera, per la costruzione della tomba in comune si è concluso quanto appresso:
1. L’iscrizione alla tomba viene fatta esclusivamente dal rappresentante della Confraternita, sia che trattasi di iscrizione alla stessa, oppure all’Apostolato della Preghiera.
2. Questo rappresentante della Confraternita predispone tutto ciò che è richiesto per la sepoltura del defunto o defunta (cassa di abete, zinco, muratore, ecc.). Però ogni associazione penserà al come venire incontro a queste spese, magari con l’istituire una tassa-tomba per tutti gli ascritti; oppure stabilire una tassa da pagarsi dagli ascritti ogni qualvolta si verifica un decesso.
3. Si proibisce l’iscrizione degli uomini al posto tomba dell’Apostolato della Preghiera, ad eccezione di quei pochi che già si trovano iscritti.
4. Ogni associazione penserà ai suffragi per i suoi iscritti defunti.
Il Priore Bianco Michele
Il segretario Nocera, il cassiere Specchia Gioacchino
V.il Rettore Arc.Paolo Tundo
La presidente Mazzei Elvira - La cassiera Balena Addolorata
27 Luglio 1947
Il giorno 27 luglio 1947 si sono riuniti il Rettore, il Priore, il cassiere ed il segretario della Confraternita, i quali hanno discusso sul modo di venire incontro alle spese che bisogna sopportare per la costruzione della tomba.
Il signor Specchia Gioacchino fu Domenico e Bianco Michele fu Paolo si sono offerti a versare L.50.000 (dico cinquantamila) ciascuno al tasso 4%. Il rimborso di detta somma si effettuerà man mano che la cassa ha delle disponibilità.
Noha 27 luglio 1947.
Il Rettore Arc. Paolo Tundo
Il Priore Costa Michele
Il segretario Nocera Luigi/Il cassiere Specchia Gioacchino.
8 Agosto 1948
Oggetto: Numero delle Messe
8 agosto 1948 riunita la Confraternita in assemblea straordinaria presieduta dal Rettore si è stabilito quanto appresso:
Visto che l’elemosina delle Messe è stata elevata, e considerato che la confraternita non può sobbarcarsi tale spesa, si è stabilito di ridurre le messe mensili per Confratelli e Consorelle da due ad una. Cosicché l’obbligo della Confraternita resta fissato in N. dodici messe piane annue (una ogni mese) ed una messa cantata per tutti i confratelli e Consorelle defunte da celebrarsi il primo giorno dopo l’ottava dei morti. Letto approvato si sottoscrive. Il Priore Bianco Michele/Il segretario Nocera - V.il Rettore Arc. Paolo Tundo
19 Dicembre 1948
Deliberazione: Nuove cariche
Il 19 dicembre 1948 si sono riuniti i Confratelli per la nomina nuove cariche.
Unanimemente si sono eletti:
Priore Bianco Michele fu Paolo
1 Assi Costa Pietro di Michele
2 Assi De Lorenzis Pietro di Antonio
Segretario Nocera Luigi di Giovanni
Cassiere Specchia Gioacchino fu Domenico
Mazzieri Bianco Arcangelo fu Michele e Paglialunga Antonio fu Vitangelo
Letto il verbale e svolto il pensiero religioso dal Rettore la seduta ha avuto termine.
Il Priore Il segretario Il Rettore
3 Aprile 1949
Si è riunita la commissione nelle persone del Priore Michele Bianco fu Paolo, degli Assistenti Costa Pietro e De Lorenzis Pietro, del segretario Nocera Luigi, del cassiere Specchia Gioacchino e dei confratelli Gentile Pietro e Specchia Salvatore di Gioacchino per stabilire le tariffe per i nuovi iscritti (incluso il posto tomba).
In punto di morte:
Cassettone L.10.500
Spese di seppellimento L.6.500
Se si inscrive come confratello o Consorella la tariffa stabilita dalla stessa Commissione in fieri data.
Letto si conferma. Il Priore Bianco Michele/Il segretario Nocera L.
Gli assistenti Costa Pietro, De Lorenzis P. Il rettore Arc. P. Tundo
12 Luglio 1951
Deliberazione
Il giorno 27 luglio 1947 il sig. Specchia Gioacchino ed il Sig. Bianco Michele avevano versato alla Confraternita la somma di L.50.000 ciascuno (dico cinquantamila) per far fronte alla costruzione della tomba.
Oggi, 12 luglio 1951 la stessa Confraternita si alleggerisce di questo peso versando al Sig.Bianco Michele la somma di L. 50.000 più L. 2.000 di interessi già maturati.
Noha 12 Luglio 1951.
Il rettore Il Priore Bianco Michele - Il segretario
Il Cassiere Specchia Salvatore
10 Ottobre 1951
Oggi, 10 ottobre 1951 la stessa confraternita versa al Sig. Specchia Gioacchino la somma di L.50.000 più L.2.000 di interessi già maturati. Resta così la confraternita esonerata da qualsiasi debito verso i Sigg. Bianco Michele e Specchia Gioacchino a riguardo delle spese tomba.
Il rettore Il Priore Bianco Michele
Il segretario - Il Cassiere Specchia Salvatore
Oggi 25 gennaio 1953 alla presenza del delegato vescovile alle ore 9 si sono riuniti i Confratelli per la nomina delle nuove cariche. Previo giuramento da parte degli scrutatori Campa Antonio e Costa Pietro di attenersi a quanto lo Statuto prescrive, si è proceduto alla votazione nella persona di Costantini Biagio. Su 19 votanti, un astenuto, ha avuto il consenso universale. Si è poi proceduto alla votazione del candidato Paglialunga Antonio.
Esito della votazione: affermativo N.14, negativo N.4.
Infine si è votato per il candidato Tundo Luigi di Carmine. Esito della votazione: affermativo N.9 Negativo N.9.
Sono perciò risultati eletti:
Priore: Costantini Biagio fu Cosimo
1 ass Paglialunga Antonio fu Vitangelo
2 ass Tundo Luigi di Carmine
Segretario Nocera Luigi di Giovanni
Cassiere Specchia Salvatore di Gioacchino
Mazziere Bianco Arcangelo fu Michele.
Si sottopone alla competente autorità ecclesiastica per la conferma.
Il rettore d. Gerardo Rizzo/Il Priore/Il segretario.
N.B. Da ora in poi il Padre Spirituale della Confraternita è don Gerardo Rizzo (1924-2007). Nipote di don Paolo, aveva celebrato la prima Messa a Noha l’8 dicembre del 1946, dove era stato ordinato. Lo Zio lo volle con sé anche perché il nipote aveva qualche problema di salute. Resse la Congrega della Madonna della Grazie come Padre Spirituale sino alla fine della sua vita.
3 Aprile 1955
Si è riunita la commissione nelle persone del Priore Costantini Biagio, Segretario Nocera Luigi, Cassiere Specchia Salvatore e dei Confratelli Bianco Michele e Zerbi Giuseppe per stabilire la tariffa per il cassettone dei bambini portato a L. 10.000 compreso lapide e chiusura.
Il rettore d. Gerardo Rizzo /Il Priore / Il segretario.
8 Maggio 1955
Deliberazione
Il giorno 8 Maggio 1955 il sig. Costantino Biagio fu Cosimo ha versato L.50.000 (cinquantamila) per far fronte al proseguimento costruzione tomba. Il rimborso di detta somma si effettuerà man mano che la cassa ha delle disponibilità e percepirà per detta somma l’interesse del 4%.
Noha 8 Maggio 1955
Il rettore d. Gerardo Rizzo/Il Priore e Il segretario.
21 Maggio 1955
Il giorno 21 Maggio 1955 il sig. Bianco Michele fu Paolo ha versato L.50.000 (cinquantamila) per far fronte al proseguimento costruzione tomba. Il rimborso di detta somma si effettuerà man mano che la cassa ha delle disponibilità e percepirà per detta somma l’interesse del 4%.
Noha 8 Maggio 1955
Il rettore d. Gerardo Rizzo/Il Priore e Il segretario.
6 Novembre 1955
In data 6 Novembre 1955 il sig. Bianco Michele fu Paolo ha versato ancora L.20.000 (ventimila). Il rimborso di detta somma si effettuerà man mano che la cassa ha delle disponibilità e percepirà per detta somma l’interesse del 4%.
Noha 6 Novembre 1955/Il rettore d. Gerardo Rizzo
6 Novembre 1955
In data 6 Novembre 1955 il sig. Nocera Luigi fu Giovanni ha versato ancora L.20.000 (ventimila).
Il rimborso di detta somma si effettuerà man mano che la cassa ha delle disponibilità e percepirà per detta somma l’interesse del 4%. Noha 6 Novembre 1955/Il rettore d. Gerardo Rizzo
29 Gennaio 1956
Noha 29/01/1956
Oggi 29 Gennaio 1956 alla presenza del Rev.mo Arc. D.Paolo Tundo, alle ore 15, si sono riuniti i Confratelli per la nomina delle nuove cariche essendo scaduto ormai il triennio 1953-56. Su 44 iscritti, presenti solo 28 assenti per motivo giustificato, ad unanimità tutti i presenti hanno confermato per il triennio 1956-58 l’Amministrazione uscente.
Priore Costantini Biagio
1 ass Paglialunga Antonio
2 ass Tundo Luigi
Segretario Nocera Luigi
Cassiere Specchia Salvatore
Mazziere Bianco Arcangelo
La suddetta Amministrazione è venuta nella determinazione di stabilire la tassa di L.1000 per ogni socio onorario senza avere diritto all’ebdomada.
Visita Pastorale 21 marzo 1957 + Corrado Ursi, Vescovo / Sac. Vincenzo Colaprile.
20 Marzo 1957
Il cassiere Specchia Salvatore ha versato la somma di L.20.000(ventimila) a Nocera Luigi rimborso prestito posto tomba. D. Gerardo Rizzo.
1 Dicembre 1957
Noha 1-12/1957. Il cassiere Specchia Salvatore ha versato la somma di L.50.000 (cinquantamila) più il rispettivo interesse a Costantini Biagio rimborso prestito posto tomba. D.Gerardo Rizzo.
30 Dicembre 1957
Il cassiere Specchia Salvatore ha versato in data 30/12/1957 la somma di L.70.000(settantamila) a Bianco Michele più rispettivo interesse rimborso prestito posto tomba. D.Gerardo Rizzo
Relazione della Curia di Nardò
Incaricato dalla Rev.ma Curia Vescovile di Nardò a presiedere la elezione del Priore e delle altre cariche della Confraternita di Maria SS. delle Grazie di Noha, ho proceduto a tale elezione, oggi 11/01/1959. Alle ore 15.15, in seconda convocazione, essendo presenti 25 Confratelli su 30 iscritti, detta la preghiera di rito, si è proceduto a tale elezione, per voti segreti, nominando anzitutto due Scrutatori e cioè: Mariano Giuseppe e Tundo Luigi e proponendo 5 nominativi. Si è avuto il seguente risultato:
Costa Pietro voti favorev. 23 voti sfavorev. 3
De Lorenzis Pietro 14 9
Esposito Giuseppe 15 8
Esposito Salvatore 14 9
Campa Giuseppe 12 11
Eletto Priore: Costa Pietro
Primo Assistente Esposito Giuseppe
Secondo Assistente De Lorenzis Pietro
Segretario Nocera Luigi
Cassiere: Specchia Salvatore
Noha 11/1/1959 Firmato Arc. D.Luigi Bruno - Vicario Foraneo
Si approva, facendo notare che il verbale di elezione va firmato oltre che dal Delegato Vescovile, dal Padre Spirituale e dagli scrutatori e che il Segretario viene designato dal Priore e il cassiere dal Consiglio.
Nardò 26 Febbraio 1959 - Il Vicario Generale Mons. Salvatore Rizzello
15 Agosto 1960
Il giorno 15/08/1960 don Gerardo Rizzo ha versato L.100.000 (centomila) per far fronte al proseguimento costruzione tomba.
Il ricevitore cassiere Specchia Salvatore
Luigi Nocera segretario, Costa Pietro Priore
24/12/1961
Il giorno 24/12/1961 verso a don Gerardo Rizzo la somma di L.50.000. Cinquantamila. Rimborso prestito posto tomba. Il cassiere Specchia Salvatore D. Gerardo Rizzo.
Il giorno 4/02/1962 verso a don Gerardo Rizzo la somma di L.50.000 cinquantamila rimborso prestito posto tomba e dovuto interesse.
Il cassiere Specchia Salvatore - Don Gerardo Rizzo
N.B. A questo punto è bene tenere presenta che l’Arciprete don Paolo Tundo, ormai Monsignore, il vero animatore della nostra Confraternita, il 30 giugno del 1962, proprio nel giorno del suo onomastico (la festa di San Paolo in quel tempo si celebrava il 30 giugno), improvvisamente cessava di vivere.
Io ricevetti la notizia a Torino mentre stavo per partire per Lione (Francia) dove frequentavo un corso di musica sacra e di canto gregoriano. Per me fu un momento di grande amarezza. Appena un anno era trascorso da quando Lui aveva organizzato la festa della mia prima Messa a Noha. Don Paolo era stato l’arciprete che mi aveva accompagnato negli anni più delicati della mia vita, dalla nascita all’infanzia, da quelli della crescita e della mia formazione cristiana prima e poi nel seminario missionario fino al sacerdozio.
Anche per Noha certamente fu una grande perdita.
Nella diocesi di Nardò era avvenuto il cambio: Mons. Corrado Ursi, grande amico di Don Paolo, aveva lasciato il posto a Mons. Antonio Rosario Mennonna che non conosceva ancora la realtà della sua diocesi. Sembrava a tutti che il successore naturale di don Paolo dovesse essere il nipote don Gerardo Rizzo, vice parroco e Padre Spirituale della Congrega. Invece Mons. Mennonna si rivolse alla Santa Sede, e a sorpresa Sua Santità il Papa San Paolo VI nominò arciprete l’altro nipote di don Paolo, Don Donato Mellone (Noha 1925-2015), già parroco di Santa Maria al Bagno e di Santa Caterina.
Posso immaginare che anche don Gerardo inghiottisse l’amarezza di quella aspettativa così frustrata e dai verbali della Congrega che stiamo leggendo si nota un certo distacco e abbandono dello zelo che c’era prima con don Paolo verso la Congrega.
Per di più il nuovo parroco (l’arciprete don Donato Mellone) si ritroverà con il problema gravissimo della staticità della chiesa piccina che nel 1963 verrà purtroppo demolita, demolizione che fu una grave perdita anche per la Congrega che perse la sua sede naturale.
Ormai per la Congrega sembra che l’unico problema sia la costruzione della Cappella al Cimitero: i verbali che seguono parlano quasi sempre e soprattutto di questo. E veramente bisogna riconoscere con quanti sacrifici la Congrega riuscirà a costruire la Cappella mortuaria per i suoi soci, per le consorelle e per tutti coloro che a certe condizioni ne facevano richiesta.
Il giorno 3.11.1963 si è tenuta l’adunanza della Confraternita. Erano presenti confratelli n.20. Fra l’altro si è deciso:
1) obbligo confratelli di partecipare collettivamente alla S. Messa ogni prima domenica del mese. Per loro comodità i confratelli hanno scelto come orario la prima messa;
2) a pomeriggio dello stesso giorno i confratelli terranno la loro adunanza ordinaria mensile:
3) per quanto riguarda le multe da infliggere ai confratelli assenti senza un giustificato motivo, si è deliberato che fino a nuovo ordine ogni confratello assente o alla S. Messa o all’adunanza mensile sarà multato con L.500;
4) la giustificazione del motivo addotto dal confratello assente, perché sia valida, deve essere approvata dal Consiglio della Confraternita;
5) dopo la terza assenza consecutiva il confratello verrà espulso;
6) si è parlato infine della necessità di convocare anche le consorelle della confraternita e di preparare anche per loro uno statuto.
NB. Si dice qui anche di uno Statuto adatto alle consorelle, ma non mi risulta che poi si sia fatto. A meno che non si voglia ritenere come tale i particolari registrati nel verbale seguente.
24 Novembre 1963
Il 24/11/1963 nell’Ufficio Parrocchiale si sono riunite le consorelle sotto la presidenza del Rev.mo Parroco. Le consorelle presenti erano otto, le assenti possono ritenersi giustificate o perché ammalate o perché avanzate in età. Si son prese le seguenti deliberazioni:
1) Le consorelle devono partecipare alla messa mensile fissata per la prima domenica del mese alle ore 6.30 e ad un’adunanza mensile fissata per l’ultima domenica del mese.
2) In caso di morte di una consorella le altre in numero di quattro a turno si presenteranno per l’accompagnamento funebre.
3) Per la durata di un mese due consorelle a turno cureranno la pulizia dell’altare della Vergine SS. ma Immacolata.
Nella prima domenica di febbraio 1964 si è riunita la confraternita M. SS. delle Grazie e ha deliberato quanto appresso:
1) Il posto tomba estranei è stato elevato da L.25.000 a L.30.000.
2) Non si accettano più iscrizioni per il solo posto tomba fino a quando la commissione non decide il contrario.
3) La quota dei soci onorari è stato elevato da L.1.000 a L.1.500 come pure i soci ordinari da L.200 a L.400.
Firmato il Rettore Don Gerardo Rizzo e Costa Pietro
Il giorno 2 maggio 1965 si è riunita la confraternita in cui si è deliberato quanto segue:
1) si è tutti d’accordo per quanto riguarda la spesa dei banchi in chiesa che rimarranno sempre di proprietà della Confraternita.
2) Gli iscritti o aventi diritto al posto tomba, se per motivi loro personali non usufruiscono di questo diritto, non spetta loro alcun rimborso.
Firmato il Rettore Don Gerardo Rizzo, Nocera Luigi e Specchia Salvatore.
Oggi 6 febbraio 1966 si è riunita la Confraternita in numero di 23 Confratelli e si è deliberato quanto segue:
1) Si sono fatti 3 banchi per la spesa complessiva di L.115.000 che per il momento sono nella Chiesa parrocchiale ma in qualsiasi momento possono essere portati nella propria Chiesa.
N.B. La propria Chiesa ancora non esiste, ma si vede da quella espressione “propria” che era nel cuore di tutti riaverla dopo la demolizione della chiesa piccinna.
2) Coloro che non vogliono usufruire della cassa funebre propria della Confraternita non hanno diritto più ad alcun rimborso di spese.
Firmato il Rettore Don Gerardo Rizzo, il Cassiere Specchia Salvatore.
Deliberazione
Il 1° novembre 1968 il sig. Costantini Biagio fu Cosimo ha versato L.200.000 (duecentomila) per far fronte al debito con il costruttore D’Acquarica Donato. Il rimborso di detta somma si effettuerà man mano che la cassa ha delle disponibilità e percepirà per detta somma l’interesse del 5%. Noha 1 0/11/1968
Firmato il Rettore Don Gerardo Rizzo, Nocera Luigi e Specchia Salvatore.
Il giorno 21 dicembre 1969 si è versato al Sig. Costantini Biagio la somma di L.200.000 (duecentomila) più L.8.500 per interesse di detta somma. Il cassiere Specchia Salvatore / D. Gerardo Rizzo
Noha 1/02/1970
Il giorno 1/2/1970 si è tenuta l’adunanza della Confraternita. Erano presenti confratelli N.20 e si è deliberato di portare a L.1000 (mille) la tassa annuale per ciascun confratello o consorella da L.400 (quattrocento) che si pagava per il passato.
D.Gerardo Rizzo/Il cassiere Specchia Salvatore/Il segretario Luigi Nocera.
Anno 1924/ Confratelli
1. D. Paolo Tundo, ascritto nel gennaio 1924
2. Prastaro Cosimo ascritto nel gennaio 1924. Cessa di vivere il 17/07/1936.
3. Piscopo Antonio ascritto nel gennaio 1924.
4. D’Acquarica Vito ascritto nel gennaio 1924.
5. Fico Luigi ascritto nel gennaio 1924, morto il 15 luglio 1930.
6. Specchia Gioacchino ascritto nel gennaio 1924.
7. Guido Lorenzo fu Vincenzo, ascritto nel gennaio 1924, morto il 28/11/1936
8. Guido Eugenio ascritto nel gennaio 1924, morto 30/04/1957.
9. Guido Vincenzo di Raffaele ascritto nel gennaio 1924.
10. Tundo Luigi fu Giuseppe ascritto nel gennaio 1924, morto il 22/04/1932.
11. Tundo Michele fu Giuseppe ascritto nel gennaio 1924, morto il 26/07/1958.
12. Bianco Michele fu Paolo ascritto nel gennaio 1924.
13. Bianco Salvatore fu Paolo ascritto nel gennaio 1924.
14. Zerbi Giuseppe ascritto nel gennaio 1924.
15. Tundo Carmine di Diego ascritto nel gennaio 1924, espulso nel marzo dello stesso anno.
Questi sono i primi 15 che nel gennaio 1924 diedero nuovo impulso alla Confraternita.
1. Bianco Arcangelo di Michele ascritto nel 1924.
2. Bianco Luigi di Michele ascritto nel 1924. Espulso per mancato pagamento 31/12/1933.
3. Costantini Biagio ascritto nel 1924.
4. Congedo Carmine di Pietro(?) ascritto nel 1924.
Ha abbandonato volontariamente la Confraternita nel 1929.
5. Campa Giuseppe di Paolo ascritto nel 1924.
6. Campa Michele di Angelo ascritto nel 1924.
7. Campa Antonio di Michele ascritto nel 1924.
8. Costa Angelo fu Pietro ascritto nel 1924.
9. D’Acquarica Giuseppe ascritto nel 1924. Morto il 15/02/1937.
10. De Lorenzis Pietro ascritto nel 1924.
11. De Lorenzis Michele ascritto nel 1924.
12. Gentile Pietro ascritto nel 1924.
13. Giordano Paolo fu Raffaele ascritto nel 1924.
(Espulso - decreto vescovile 20 novembre 1937)
ma viene poi riammesso nella riunione del 19/12/1938.
14. Levante Michele di Francesco ascritto nel 1924. Ha abbandonato volontariamente la Confraternita nel 1928.
15. Lagna Michele di Cosimo ascritto nel 1924.
16. Lagna Salvatore di Vito ascritto nel 1924.
17. Manni Antonio ascritto nel 1924. Ha dato le sue dimissioni senza motivo il 31/08/1931.
18. Mariano Angelo di Michele ascritto nel 1924.
19. Mastria Michele ascritto nel 1924.
Deceduto il 09/08/1944.
20. Manni Leonardo di Antonio ascritto nel 1924.
Il 31/08/1931 ha dato le sue dimissioni senza motivi.
21. Nocera Angelo di Giovanni ascritto nel 1924.
22. Nocco Michele di Giovanni ascritto nel 1924.
Ha abbandonato la Congregazione nel 1928.
23. Nocera Luigi di Giovanni ascritto nel 1924.
24. Paglialunga Vincenzo di Antonio ascritto nel 1924.
Morto in febbraio 1934.
25. Piscopo Paolo ascritto nel 1924.
26. Paglialunga Antonio di Vitangelo ascritto nel 1924.
27. Paglialunga Donato di Antonio ascritto nel 1924.
Uscito per sua volontà.
28. Piscopo Michele di Antonio ascritto nel 1924.
Ha abbandonato volontariamente la Confraternita nel 1926.
29. Pedata Luigi ascritto nel 1924. Uscito per mancanza di pagamento nel 1930.
30. Paglialunga Angelo di Michele ascritto nel 1924. Ha abbandonato volontariamente la Congregazione nel 1925.
31. Paglialunga Vitangelo ascritto nel 1924.
Morto il 13/02/1934.
32. Paglialunga Massimino di Pasquale ascritto nel 1924.
33. Specchia Salvatore ascritto nel 1924.
34. Vaglio Carmine di Domenico ascritto nel 1924. Cessa di vivere il 10/08/1937.
35. Lagna Angelo ascritto nel 1924, morì il 01/07/1930
36. Bonuso Michele ascritto nel 1924.
NB. Questi 36 iscritti durante l’anno 1924 più i primi 15 fa un totale di N.51 Confratelli iscritti nell’anno 1924.
Anno 1924/Consorelle
1. Benedetto Giovanna ascritta nel 1924.
2. Brunetti Luigia ascritta nel 1924. deceduta il 12/03/1942.
3. Bonuso Raffaela di Carmine ascritta nel 1924.
4. Benedetto Cristina ascritta nel 1924.
5. Cataldi Donata ascritta nel 1924.
6. De Polis Pasqualina ascritta nel 1924. Dimessa per mancanza di pagamento 1932.
7. De Lorenzis Cesaria ascritta nel 1924.
8. De Lorenzis Domenica ascritta nel 1924.
9. Duma M.Annunziata ascritta nel 1924. Cessa di vivere il 30/09/1935
10. Grimaldi Virginia ascritta nel 1924.
Deceduta il 17/03/1948.
11. Guido Carmina ascritta nel 1924. Morta il 20 luglio 1927.
12. Guido Letizia ascritta nel 1924. morta il 31 Luglio 1927.
13. Greco Addolorata di Salvatore ascritta nel 1924.
Date le sue dimissioni senza motivo.
14. Gabrieli Giulia di Carmelo ascritta nel 1924.
Deceduta il 7/7/1947.
15. Guido Vincenza di Pietro ascritta nel 1924.
16. Guido Addolorata di Pietro ascritta nel 1924.
17. Nocco Assunta di Giovanni ascritta nel 1924.
18. Paglialunga Paola fu Santo ascritta nel 1924.
19. Prastaro Pietrina di Cosimo ascritta nel 1924.
20. Piscopo Maria di Antonio ascritta nel 1924.
21. Paglialunga Angela fu Santo ascritta nel 1924.
22. Rizzo Anna di Donato ascritta nel 1924.
23. Sindaco Grazia ascritta nel 1924.
24. Palmieri Giuseppa ascritta nel 1924. Morta il 22/6/1932.
25. Tundo Anna M.a Paglialunga ascritta nel 1924. Morta il 25/02/1941
26. Contaldo Anna ascritta nel 1924. Dato le sue dimissioni senza motivo 1932.
27. Castriota Giovanna ascritta nel 1924. Il 31/01/1931 ha dato le sue dimissioni senza motivi.
28. Guido Costantina, ascritta nel 1924.
29. Lisi Raffaela fu Leonardo ascritta nel 1924.
30. Longo Salvatora ascritta nel 1924. Morta Marzo 1925.
31. Paolì Filomena ascritta nel 1924. Morta il 1° agosto 1925
32. Gugliersi Lucia ascritta nel 1924. Morta il 1° dicembre 1925.
N.32 Consorelle iscritte nel 1924. Aggiunte ai 51 Confratelli iscritti nel 1924 ci dà un totale di 83 soci della Congrega nel 1924.
Anno 1925/Confratelli
1. Greco Michele di Giuseppe ascritto nel 1925.
2. Manta Rosario ascritto nel 1925.
3. Marra Michele fu Vito ascritto nel 1925, morto il 27/12/1931
4. Paglialunga Pasquale fu Vito ascritto nel 1925, dimesso il 1931 per mancanza di pagamento.
5. Paglialunga Cosimo ascritto nel 1925 morto il 28/5/1950
6. Guido Vincenzo di Lorenzo ascritto nel 1925.
Date le sue dimissioni senza motivo il 1931.
7. Specchia Domenico iscritto alla sua morte avvenuta il 20 maggio 1927.
8. Santoro Salvatore iscritto alla sua morte avvenuta il 19 novembre 1927.
9. Paglialunga Michele iscritto alla sua morte avvenuta il giorno 8luglio 1928.
10.Nocera Salvatore iscritto alla sua morte avvenuta il 15 marzo 1929.
11.Bianco Michele fu Arcangelo iscritto alla sua morte avvenuta il 9 marzo 1930.
Anno 1925/Consorelle
1. Paglialunga Consiglia fu Carmine ascritta nel 1925
dimessa il 1931 per mancanza di pagamento.
2. Perrone Carmina ascritta nel 1925 deceduta il 22/1/1945.
3. Paglialunga - Lagna Addolorata ascritto nel 1925.
4. Parente Francesca fu Sabatino ascritta nel 1925.
Deceduta 29/3/1944.
5. Paolì Luigia ascritta nel 1925 morta nel febbraio 1929.
6. Bellino Assunta, ascritta dopo la sua morte con la tassa di L.160.00
7. Marra Felicetta ascritto nel 1924, dimessa per mancanza di pagamento nel 1932.
8. Guido Domenica ascritta nel 1925.
N.12 Confratelli iscritti nel 1925 più N.8 Consorelle dà un totale di N.20 soci aggiunti nel 1925. Sommando agli iscritti/e del 1924 la Congrega dà un totale di N.103 iscritti.
Poi le iscrizioni rallentano. Non se ne registrano più nel 1926/27/28/29.
1. Lagna Cesare iscritto il 29 settembre 1930
1. Guido Carmina fu Carmine iscritta il 1/1/1931
1. Guido Raffaele fu Vito iscritto il 1 Maggio 1933
1. Rossetti Anna iscritta il 19 gennaio 1936
2. Campa Salvatora iscritta il 15 febbraio 1936
dimesso senza motivo il 31/12/1941.
2. Guido Pietro di Eugenio iscritto il 23 gennaio 1938,
dimesso senza motivo il 1/1/1945.
3. Bianco Donato di Michele iscritto il 23 Gennaio 1938.
4. Costa Pietro di Angelo iscritto il 23 gennaio 1938.
5. Mariano Giuseppe di Angelo iscritto il 23 gennaio 1938.
6. Rossetti Antonio fu Francesco iscritto il 23 gennaio 1938, espulso per mancato pagamento nel 1941.
1. Bianco Maria Luce fu Luigi iscritta il 23 gennaio 1938.
2. Campa Addolorata iscritta il 23 gennaio 1938.
3. Colazzo Carmela fu Abele iscritta il 23 gennaio 1938.
4. Paglialunga Addolorata fu Antonio iscritta il 23 gennaio 1938.
5. Micali Paola fu Salvatore iscritta il 23 gennaio 1938, morta nel 1950.
Anno 1939
1. Tundo Rocco iscritto alla sua morte il 31/01/1939.
2. De Lorenzis Pietro di Antonio iscritto il 1° giugno 1939.
Nessuno iscritto nell’anno 1940
Anno 1941
1. Tundo Luigi di Carmine iscritto il 2 febbraio 1941.
Nessuno iscritto nel 1942
Anno 1943
1. Paolì Donata fu Domenico iscritta il 28/02/1943, morta nel 1950.
Anno 1944
1. Paglialunga Michele iscritto il 9 gennaio 1944, morto il 14/02/1948.
2. Longo Addolorata vedova di Coluccia iscritta il 04/05/1944, morta il 05/05/1949.
Nessuno iscritto per gli anni 1945/1946
Anno 1947
1. Tundo M.Donata iscritta il 18/05/1947.
2. Todisco Maria fu Donato iscritta il 18/05/1947.
3. Di Giovanni Agata in Paglialunga iscritta il 18/05/1947.
Anno 1948
1. Specchia Giuseppe di Gioacchino iscritto nel 1948.
2. Specchia Salvatore di Gioacchino iscritto nel 1948.
3. Bianco Ippazio iscritto nel 1948.
4. Guido Dionigi iscritto nel 1948.
5. Greco Pasquale iscritto nel 1948.
6. Nocera Giovanni iscritto nel 1948.
7. Bovino Addolorata iscritta nel 1948.
Anno 1949
1. Nocera Giovanni iscritto il 17/04/1949.
2. Rizzo Pietro iscritto alla sua morte il 24/04/1949.
3. Lecce Oronza iscritta nel 1949.
Anno 1950
1. Carlino Domenica Iscritta il 05/11/1950.
2. Gabrieli Addolorata iscritta e morta nel 1950.
Anno 1951
1. Cucco Lucia iscritta nel 1951.
Anno 1952
2. Sindaco Domenico iscritto il 02/02/1952.
Negli anni 1953/54/55 nessuno iscritto
Anno 1956
1. Esposito Salvatore iscritto nel 1956.
2. Esposito Giuseppe iscritto nel 1956.
3. Latino Antonio iscritto nel 1956.
4. Sindaco Rocco iscritto nel 1956.
Dopo questa data nel registro delle iscrizioni non sono segnalati altri iscritti.
Conclusione
Leggendo i vari documenti che riguardano la storia della Confraternita la prima impressione che si ha è che questa abbia sempre privilegiato con molta attenzione il culto dei defunti, i funerali dei confratelli e consorelle e la costruzione della cappella per i propri defunti al cimitero, oltre, cosa ovvia, alla partecipazione alla Messa della domenica. Invece da un esame più approfondito, il senso più vero da cogliere è il profondo senso di appartenenza a una istituzione antica votata al bene degli associati e di fatto a quello di tutta la comunità non solo religiosa, ma anche civile.
Ormai, si sa, non ci sono più iscritti alle Confraternite di Noha, che dal punto di vista giuridico possono ormai considerarsi estinte. Rimane comunque sempre la testimonianza visiva della Cappellone del cimitero costruito a partire dal 1947 con molti sacrifici. Ed è pur vero che anche questa Cappella racconta un pezzo di storia della chiesa di Noha, chiesa che comunque è sempre stata viva, presente, vigile e militante nella società che oggi preferisce molto probabilmente il neo-paganesimo che a pieni polmoni si respira in tanti settori della vita civile.
Che il Signore conceda alla chiesa di Noha, anche senza Confraternite, il coraggio, la creatività e la fedeltà al Vangelo necessari per renderla ancora testimone autentica di comunione, giustizia e di gioia, perché si possa scrivere con ottimismo, nonostante le mille zone d’ombra, i capitoli futuri della sua importante Storia.
P. Francesco D’Acquarica
Bibliografia
Archivio Diocesano di Nardò
Archivio parrocchiale della chiesa di Noha
F. D’Acquarica, Curiosità sugli arcipreti e persone di Chiesa a Noha, L’osservatore Nohano Editore, Noha, 2011
F. D’Acquarica, La chiesa di Noha e i Vescovi di Nardò, Pubblimartina S.r.l., Martina Franca, 2017
F. D’Acquarica, Noha, vi racconto la sua storia, Pubblimartina S.r.l., Martina Franca, 2017
Ricordi personali
Interviste a testimoni oculari
gen142015
Da: Un cittadino
A: Avv. Daniela Sindaco, Avv. Roberta Forte, Avv. Russi Alberto, Luigi Longo, Rita Toscano
Date: 12 dicembre 2014
Oggetto: Vico Pigno e via Michelangelo a Noha
Buongiorno, allego le foto che testimoniano la presenza di ratti nell'area in oggetto.
Ci tengo a sottolineare che nelle immediate vicinanze persistono attività commerciali di tipo alimentare (una panetteria ed una pizzeria), prima che accada qualcosa a discapito della salute pubblica, chiedo a Voi in qualità di rappresentanti della Pubblica Amministrazione, cosa devono fare i cittadini di quell'area, affinché venga effettuata una efficace derattizzazione.
Cordiali saluti
Da: Rita Toscano Città di Galatina
A: me cittadino
Date: 15 dicembre 2014
Buongiorno, per informarvi che, a seguito di sopralluogo effettuato dal Centro Salento Ambiente per valutare le modalità di derattizzazione dell'area interessata, è stato disposto tempestivo intervento in sicurezza. Rimaniamo a disposizione per quanto di competenza.
Cordialità.
Rita Toscano
N.B.:
ne parlammo anche sul n. 2 Anno 2 (marzo 2008) de L’osservatore Nohano.
A proposito della derattizzazione, così detta il Regolamento di igiene del Comune di Galatina, fruibile in rete:
http://www.comune.galatina.le.it/documenti/regolamenti/2-titolo_1.pdf
mar282014
Ho letto con interesse l’intervento di Lino Mariano pubblicato qualche giorno fa su questo sito dal titolo: “Un solo comune ed una sola giunta”. E devo dire che stavolta sono d’accordo con lui.
Non fosse altro che per il fatto che questi concetti, più o meno, li avevo più volte già espressi anch’io sull’osservatore Nohano.
Per esempio, sull’O.N. n. 2, anno V, 9 marzo 2011, in occasione della recensione del libro dal titolo “Governare la dimensione metropolitana” (Franco Angeli, Milano, 2011), scritto dalla nohana Carmen Mariano (che tra l’altro ha vergato un commento circostanziato alle note di Lino), ribadivo infatti quanto segue: “[…] In questo libro, a pensarci bene, si parla anche (e soprattutto) di Salento, pur non essendovi, quest’ultimo, espressamente menzionato (ma un libro serve anche a questo).
In maniera indiretta, cioè, ci viene suggerito che è giunto il momento di porre termine alla lotta campanilistica portata avanti dal centinaio di comuni leccesi con l’acqua alla gola (e non solo dal punto di vista della finanza pubblica ma anche delle idee); così come è davvero senza senso quell’altra grandissima corbelleria che è la proposta dell’istituzione della “Regione Salento”, la stupidaggine del secolo, cioè la creazione dell’n-esima sovrastruttura (che pagheremmo sempre noi cittadini) sbandierata da quattro disperati con voglia di protagonismo permanente effettivo e molto probabilmente con velleità (o brama) di stipendi da consigliere-regionale-a-due-passi-da-casa.
L’idea innovativa sarebbe invece la nascita di un governo metropolitano salentino, attraverso quella scelta obbligata che è l’associazionismo intercomunale, il quale dovrebbe andare a braccetto con il riordino territoriale. Le strade da percorrere sono le convenzioni o i consorzi tra comuni. Ma meglio sarebbe raggiungere un grado di maturità più alto e pensare addirittura alla forma più radicale (e forse più efficiente) di legame: l’Unione dei Comuni.
Queste scelte strategiche porterebbero finalmente ad una riduzione del numero dei comuni del Salento. Noha – lo diciamo per inciso – ha già dato in questo senso, ed è a tutti gli effetti un’antesignana di questa strategia, attuata già a partire dal 1811, epoca della fusione con il comune di Galatina: fusione che però non ha funzionato alla perfezione a causa di una classe politica nohana “subalterna” da molti punti di vista (ma dagli errori - che si chiamano lezioni – bisognerebbe pur imparare qualcosa).
Ma ritorniamo al Salento, ché le divagazioni potrebbero portarci fuori dal seminato. Con le fusioni tra comuni, dicevamo, non si avrebbero più cento sindaci (anzi cento sindaci disperati), cento consigli comunali, cento presidenti del consiglio, cento segretari comunali, cento assessori all’urbanistica, ed altri cento alle politiche giovanili ed altrettanti alla cultura, e poi altri cento geometri/ingegneri comunali, insomma cento per cento di tutto di più. Con l’integrazione vera si otterrebbero: pianificazione territoriale metropolitana, reti di infrastrutture e di servizi non frammentati, piani di traffico intercomunali, tutela e valorizzazione dell’ambiente, interventi di difesa del suolo in maniera strutturata, raccolta e distribuzione delle acque, protezione civile, sicurezza e finalmente valorizzazione dei beni storici, artistici e culturali, il tutto in maniera organica e sulla scorta non del ghiribizzo dell’assessore comunale di turno ma sulla base di progetti seri e di interesse generale […]. Chiedo venia per la lunga autocitazione.
Ma dopo il commento “tecnico” e molto pertinente di Carmen Mariano, ho letto di seguito anche un altro appunto icastico nonché caustico di Michele D’Acquarica che suona così: “Per un popolo che prende a sassate un pullman per un rigore negato e vende il suo voto per un pieno di carburante, tutto è (im)possibile.”
Come non convenire anche con Michele.
Anzi, se è per questo, io rincarerei un po’ la dose, aggiungendo che tutto è (im)possibile per un popolo che non batte ciglio se gli cementificano 26 ettari di terreno per costruire l’ennesimo centro commerciale con la favola delle “ricadute”, dello “sviluppo” e di altre simil-minchiate; tutto è (im)possibile per un popolo lobotomizzato che non muove un muscolo facciale se si sperperano soldi pubblici (circa 1.300.000 euro) per la ristrutturazione di una vecchia scuola elementare che poi, poveretta, non può funzionare a dovere in quanto non si sa quale ingegnere ha scordato di pensare a priori e non invece a posteriori (a posteriori, in tutti i sensi) ad una cabina di collegamento con la rete elettrica; tutto è (im)possibile per un popolo che sta morendo di cancro ma che non riesce a capirne la causa - da ricercare invece nell’avvelenamento sistematico e cosciente di aria, acqua, terra con il ricatto di quattro posti di lavoro, portato avanti, questo avvelenamento, da imprenditori arricchiti ma pur sempre con le pezze al culo; tutto è (im)possibile per un popolo che ti considera “profeta di sventura” quando cerchi di spiegare che no, il fotovoltaico non è proprio un buon affare per tutti ma per i soliti quattro furbetti (stavolta nemmeno italiani) che non solo sfruttano il nostro territorio uccidendolo con milioni di pannelli in mezzo alla campagna, ma che si beccano pure la polpa di succulenti incentivi pagati in bolletta dai soliti polli (cioè noi stessi medesimi); tutto è (im)possibile per un popolo che non ribatte con argomentazioni serie ed approfondite ai cosiddetti progetti per il mega-impianto di compostaggio (che compostaggio non è: ci hanno derubato anche del vocabolario) in nome della chiusura trionfalistica del ciclo dei rifiuti e del risparmio delle tasse sulla spazzatura (campa cavallo); tutto è (im)possibile per un popolo che sta mandando in rovina la sua storia ed i suoi beni culturali…
Ma questo intervento di Lino Mariano mi fa ben sperare nel ritorno ad un dibattito franco e serio su questi e su molti altri temi che - auguriamoci tutti - inizino ad interessare sempre più il nostro popolo. Un popolo che finalmente la smetta di far rima con ridicolo.
nov022018
Ebbene sì, m’è scappato un libro. Oddio, Libro è una parola grossa: pamphlet, libercolo, libello o libretto sarebbero denominazioni molto più azzeccate.
Confesso di aver trattenuto il tutto finché m’è stato possibile, ma poi non ho più potuto farne a meno. I libri son fatti così: dopo un po’ sgattaiolano dalle tue mani per andare a finire in quelle degli altri. Il diritto di proprietà privata o d’autore funziona indubbiamente, ma fino a un certo punto. Poi le parole hanno bisogno di altri occhi, oltre ai tuoi, e di libertà di stampa: quella che talvolta il digiuno di satira e di sorrisi prova a obliterare. Per fortuna invano.
In questo fascicolo sono rilegati alcuni dei miei brani editi, altri inediti. I primi, però, non furono su carta, ma on-line, vale a dire sull’acqua, nell’aria, ovunque nell’inesorabile dimenticatoio. E certo, perché Internet e poi i CD, le chiavette Usb, la memoria Ram o altre diavolerie simili non hanno chissà quale durata; la tecnologia Libro-di-Carta, invece, come già dimostrato abbondantemente, arriva a superare addirittura i secoli. E la cosa pare funzioni anche se l’autore di questa benedetta tecnologia tradizionale dovesse per caso rispondere al nome di un Carneade qualsiasi, come quello di Antonio Mellone.
Il curioso del genere commedia (stavolta tutt’altro che Divina) o chi avesse voglia di ridere (soprattutto di se stesso) si tuffi tranquillamente nelle acque di questo libretto, con la consapevolezza di non aver bisogno di caricarsi in spalla bombole d’ossigeno per poter arrivare fino in fondo: vista la brevità, o se vogliamo il livello sufficientemente basso della marea, riemergerà dall’apnea poco dopo senza alcun rischio di ipossia.
In questo tomo, dove il vero e il verosimile si fondono creando le storie, si parla di banca, di clienti e di colleghi, e quindi di dialettiche (ma soprattutto dialetti) fuori dal comune, di decibel in grado di trasformare la filiale di un istituto di credito in uno scorcio di mercato ittico (onde il concetto di volume non è quasi mai strettamente correlato a quello di libro), di lamentele per l’aria condizionata che non va (roba da tutto il caldo minuto per minuto), di confidenze su nomi e cognomi di chi usa farla fuori dal vaso (in senso letterario e giacché anche letterale).
Nulla sfugge all’occhio e all’orecchio del sottoscritto osservatore Nohano. Ma molto di quel che accade durante il lavoro è giusto e pio che rimanga nella penna, testimone muta di molte cose che essa stessa consiglia, per segreto bancario, di non scrivere.
Non posso star qui a ringraziare uno per uno chi ha permesso la stampa e la diffusione di questo pamphlet, se no non la finirei più.
Per ora mi basti dire che ancora una volta ho avuto la fortuna di non essere un APS, vale a dire un autore a proprie spese: infatti, a meno della mia tesi di laurea, per le mie (modeste) pubblicazioni ho sempre trovato finanziatori, ma chiamiamoli pure editori, ancorché non sempre attaccati al proprio conto economico, sicché talvolta, come anche in questo caso, la motivazione risponde più alle leggi del cuore che a quelle della vecchia economia aziendale.
La copertina (con le caricature dei direttori in prima, e dei miei colleghi di Taviano e di Alliste in quarta) nonché le vignette sparpagliate nel testo sono tutte sgorgate dall’incredibile matita a colori di Marcello D’Acquarica (e di chi altri sennò), sempre pronto a darmi retta piuttosto che a mandarmi in un indicato paese.
Signore e signori, buona lettura. Ma vi dico subito che se pensate di trovare in “Sceneggiate Banconapoletane” i dialoghi di Platone probabilmente avete sbagliato libro: se a Platone sostituite Mellone, no.
Antonio Mellone
Tonia era un peperino: piccoletta, spiritosa, la battuta sempre pronta, il saluto spontaneo e cordiale. E generosa: sapeva tirarti su anche quando aveva la testa piena di pensieri.
Fu lettrice attenta de L'osservatore Nohano (che, prima fra tutti, ritirava direttamente dalla sede della redazione, vale a dire la bottega d'arte della Paola Rizzo, sua nipote), e partecipe delle iniziative sociali e culturali di Noha.it.
Ci ha lasciati troppo presto, non aveva che 71 anni, e ci mancherà tanto.
Ci stringiamo affettuosamente intorno al marito, Giuseppe Contaldo, ai figli, Federica, Chiara e Carmine, e a tutti gli altri parenti e amici.
Noha.it
set112014
Riceviamo e volentieri pubblichiamo alcune note vergate da Cristian Carallo in merito al libro "In men che non si dica" di Marcello D'Acquarica (ed. L'osservatore Nohano, Noha, 2012)
Carissimo Marcello,
è il tuo compaesano Cristian che ti scrive!
Innanzitutto ti saluto e ti ringrazio ancora per essere stato così gentile e disponibile da darmi l'opportunità di leggere il tuo libro "In men che non si dica". Per me ora è un piacere essere qui ad esprimere il mio parere e comincio col dirti che all'inizio ero un po' dubbioso. Sai Marcello i saggi autobiografici non sono proprio il mio genere...Amo i racconti d'avventura e di azione di cui spesso vedo i rispettivi film ma le autobiografie proprio no! Mi basta leggere qualche riga per annoiarmi e, diciamoci la verità, a me interessa davvero poco la vita di un autore. Ma il tuo libro partiva con una marcia diversa, con una marcia in più, con quel qualcosa di inspiegabile che ti fa subito dire: "Questo è il libro giusto per me". E infatti, a calcoli fatti, il tuo volume è stato il meglio che si potesse chiedere.
La parte iniziale della valigia secondo me è davvero azzeccata, mi ha fatto capire fin da subito il tono del libro e ho potuto "prepararmi" per quello che sarebbe stato poi lo sviluppo della vicenda. Leggendo la tua opera posso dire che ho notato nelle tue parole serietà, nostalgia ma anche un po' di critica, a volte condivisa e a volte no. Ad esempio trovo giusto il tuo pensiero in merito al lavoro nella parte in cui parli dell'industria paternalistica...anche secondo me ognuno deve essere libero di scegliere il proprio mestiere perchè a mio avviso non si può svolgere una qualsiasi professione senza amarla.
Sono invece di ben altro avviso nella parte conclusiva del libro dove l'argomento affrontato è l'Unità d'Italia. Lo scrivo in maiuscolo perchè io penso che sia stata la cosa più bella che i nostri avi ci abbiano lasciato in eredità, quindi si dovrebbe festeggiare da tale. È vero, noi meridionali paghiamo purtroppo la falsa realtà dello stereotipo "terùn" e tutti i pregiudizi nei nostri confronti...ma poi mi dico... che Italia sarebbe senza l'Unità?
Le cose andrebbero veramente meglio o peggiorerebbero ulteriormente? Domande che spero rimangano sempre senza risposta dal momento che non vorrei un'Italia divisa.
A parte questo piccolo neo che mi ha fatto anche un po' riflettere, tutto il resto del racconto è stato appassionante: da Ginu 'U Cintu alla tua storia personale.
Ora che ci penso il libro contiene una specie di paradosso...tu da piccolo ti chiedevi quanto è duro lasciare la terra natìa pensando ai tuoi fratelli che "come delle schegge impazzite facevano sempre avanti e indietro", torino-lecce...lecce-torino e poi di nuovo torino-lecce e così via. Sei passato dal chiederti e immaginare la risposta a provarlo in prima persona, provare davvero cosa significa l'emigrazione sulla propria pelle..."d'altronde come si può provare fame quando si è sazi?".
Infine Marcello posso concludere che il tuo libro è davvero una medicina per la mente, una medicina che ti apre gli occhi e ti fa chiedere:"Perchè?".
Io spero davvero, dal più profondo del cuore, che al mondo ci siano molte persone come te, pronte a dare tutto per il proprio paese anche quando l'unica cosa che si può dare è quel sentimento di patria e di appartenenza più unico che raro.
Cristian Carallo
apr122021
È vero che bisogna sempre credere nei propri sogni ed essere ambiziosi. E il sogno ora è realtà: si chiama “Cippo mistico” il progetto finanziato dalla Regione Puglia e che si aggiunge agli altri risultati importanti firmati dall’Amministrazione Amante. È un progetto di promozione del patrimonio culturale della Città di Galatina attraverso la street art e la tecnologia, che si svilupperà all’interno del Museo Cavoti. C’è chi pubblicamente esprimeva i suoi dubbi sul progetto senza, di fatto, alcuna motivazione e, in verità, non essendo certi della comprensione dello stesso: dubbi evidentemente smentiti.
Il progetto è stato curato dall’Assessore alla Cultura e al Polo bibliomuseale Cristina Dettù e il tema scelto non poteva che cadere su un aspetto identitario della Città, ossia il tarantismo. Tra le tante leggende che caratterizzano questo mito, una in particolare è stata lo spunto per individuare il tema del progetto. Ernesto De Martino, nel suo saggio La Terra del Rimorso descrive un passaggio del percorso di guarigione di una tarantata: “ed effettivamente quando nel riquadro del finestrino apparve un certo albero che valeva come mistico cippo confinario, la tarantata ebbe un momento di abbandono”. Da qui nasce l’idea del cippo mistico, come fosse un portale attraversato il quale si accede ad una zona “protetta”, ossia Galatina.
Il progetto è costituito da due interventi: il primo mira a creare una connessione tra il Museo Cavoti e le frazioni coinvolte, favorendo da un lato la scoperta di questi luoghi e dei loro dintorni, trascurati dagli abituali percorsi turistici, e dall’altro definendo un originale strumento di promozione del Museo stesso. Sarà realizzato un murales su un edificio centrale di un immobile comunale di Noha.
Il secondo intervento, invece, è quello centrale, attraverso il quale si svilupperà un aspetto fondamentale del tarantismo, ossia lo stato di trance nel quale “cade” chi è punto dal ragno. Infatti, proprio con l’obiettivo di avvicinare l’esperienza dell’osservatore a quella di avvolgente condizionamento sarà realizzato un ambiente immersivo, all’interno del Museo Cavoti, per la fruizione di contenuti multimediali elaborati proprio sul mito della taranta.
L’Assessore Dettù esprime tutta la sua soddisfazione: “L’approvazione di questo progetto risponde a tutti i dubbi di chi ritiene questa terra e, soprattutto, questa Città come lontana dai giovani, dalla realtà nuova e innovativa, lontana da ciò che può guardare al futuro. E, invece, la presenza di un patrimonio culturale di altissimo valore e il lavoro duro e appassionato di chi crede nelle potenzialità di Galatina ha donato alla Città un progetto, anzi, un’esperienza unica che unisce innovazione tecnologica e cultura, sviluppo del turismo e promozione del territorio, valorizzazione del Museo Cavoti ampliando, in tal modo, i percorsi turistici della Città e, quindi, la stessa offerta turistica”.
Ufficio stampa Marcello Amante
sindaco di Galatina
mag132014
Vorremmo chiedere a sindaco, assessori, ed anche al delegato per la frazione di Noha, ovvero ai restanti consiglieri comunali (certi che faranno a gara a chi risponderà per primo) come, perché, o eventualmente a chi sia destinato quel loculo, salvo errori od omissioni, vuoto da mesi (ma stranamente sigillato con un po’ di mattoni intonacati a conza) posto sul frontone delle sepolture ubicate sul lato destro del cimitero di Noha, lasciandosi alle spalle l’entrata. Per la precisione, è il terzultimo in alto a destra, altezza occhi, riconoscibile anche da chi osservatore nohano non è.
A noi sorge il dubbio (ma speriamo di sbagliarci di grosso) che venga tenuto “in caldo” per qualcuno. Se così fosse sarebbe davvero squallido, oltre che un atto gravissimo e inaudito, indice di una “cultura” gretta, familista, mafiosa, intrisa di corruzione e stupidità fin dentro il midollo.
Nel caso in cui la nostra ipotesi dovesse essere vera, chiediamo pubblicamente che quel loculo venga immediatamente liberato e tenuto a disposizione di tutti (e non più di una singola persona o famiglia).
Noi crediamo che con l’endemica penuria di sepolcri che si riscontra anche a Noha (ne abbiamo pure parlato su questo sito, ma i nostri rappresentanti fanno orecchio da mercante anche su questo tema) non è proprio il momento di indulgere a idiozie (se non proprio crimini) del genere.
Se non ci rendiamo finalmente conto che almeno al di là della soglia dei camposanti siamo tutti uguali (veramente lo si dovrebbe essere anche al di qua), significa che della vita (e della morte) non abbiamo proprio capito una beneamata mazza.
Antonio Mellone
mar132016
Quanto lavoro per realizzare le attrezzature, gli elmi con le criniere, gli scudi e le loriche per i legionari romani, i calzari (rigorosamente in cuoio e spago) per tutti gli attori, dal primo fino all’ultimo comparse comprese. E poi ancora i mantelli per i soldati, la tunica color porpora di Gesù Cristo “priva di cuciture”, quella che i soldati si disputarono tirandola a sorte, e poi il vestito di Ponzio Pilato, la cappa magna del sommo sacerdote Caifa, il vestiario del Cireneo, della Madonna e dell’apostolo Giovanni, della Veronica e delle altre pie donne, il tutto foggiato dalle sarte locali; e addirittura una biga ex-novo “a due attacchi” per altrettanti cavalli costruita ad hoc per la via Crucis vivente di Noha; per non parlare della croce in legno altissima (e pesantissima) caricata in spalla al Protagonista Principale della sacra rappresentazione.
Attrezzature, costumi di scena, impianti scenografici erano tutti rigorosamente manufatti (un tempo non c’erano negozi fisici e tantomeno cataloghi on-line di costumi teatrali adatti alla bisogna: e se anche fosse, a Noha da sempre si preferisce l’arte all’industria).
Così, dopo mesi di lavoro, allestimenti, studi della sceneggiatura, prove tecniche e di recitazione, le piazze e le strade di Noha si trasformavano in un palcoscenico per il più grande spettacolo corale interpretato da attori dilettanti, giovani e meno giovani, in una serie di scene dialogate tratte fedelmente dai brani del Vangelo, quelli che narrano le ultime ore del Cristo. Per inciso diciamo che gli attori di questo teatro popolare a cielo aperto erano così “dilettanti” che nelle varie tappe della via dolorosa non era infrequente che qualcuno di questi - immedesimato talmente nella sua parte - scoppiasse in lacrime per davvero (così come, del resto, il copione prevedeva).
La rappresentazione si svolgeva in maniera itinerante per tutta la cittadina, mentre il pubblico presente fungeva da sfondo, da cornice alle scene che si susseguivano: dall’ingresso di Gesù in Gerusalemme all’ultima cena, dall’orto degli ulivi all’arresto, dal processo alla condanna a morte, dalla flagellazione al percorso fino al Golgota, con le famose tre cadute e gli incontri con i vari personaggi.
L’acme del dramma si raggiungeva con la crocifissione e la successiva deposizione. Che strazio sentire quei colpi di martello amplificati dall’altoparlante, e che commozione vedere le tre croci, ciascuna con il suo fardello umano, innalzarsi lentamente da terra grazie ad un sistema di funi e carrucole per essere finalmente infisse al suolo. Lì, di fronte al Calvario di Noha, il silenzio era interrotto soltanto dal dolore straziante di Maria, e dalle ultime emozionanti frasi del Nazareno: “Donna, ecco tuo figlio… Figlio, ecco tua madre”, e poi dall’urlo angoscioso dell’Unigenito: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”, e ancora il tragico: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”, e infine il mesto: “Tutto è compiuto”.
Non era infrequente vedere molti spettatori del pubblico asciugarsi le lacrime per la commozione. Chi scrive, da piccolo imberbe osservatore nohano - ora nelle vesti di chierichetto, ora in quelle di narratore (nell’ultima edizione) – registrava tutto nella sua mente per poterlo raccontare un giorno. Un giorno come questo.
*****
Finalmente (se ne parlava da tempo), dopo oltre un quarto di secolo di assenza, la Passione vivente ritorna a Noha grazie all’associazione dei ragazzi del Presepe “Masseria Colabaldi” in collaborazione con la Parrocchia di “San Michele Arcangelo”. La straordinarietà di questa edizione, oltre a tutto il resto, è legata anche al fatto che si ha la fortuna di usufruire dell’incredibile naturale scenografia degli spazi del “Parco del Castello” (i “fori imperiali nohani”) che ospiteranno le prime scene della Via Crucis vivente 2016: dalla Gerusalemme dell’ultima cena al Getsemani, dal palazzo di Pilato alla colonna dell’“Ecce Homo”, e via di seguito. Il resto si snoderà tra le strade e le piazze di Noha, fino alla Resurrezione. Sarà un percorso di arte, riflessione e di grande spiritualità.
Peccato, non parteciparvi.
Il leitmotiv scelto dal parroco don Francesco Coluccia per questa rievocazione sono i piedi del viandante. Tema molto bello e stimolante, che avremo modo di meditare Domenica delle Palme, 20 marzo 2016, in notturna, a partire da piazza San Michele, con inizio alle ore 19.00.
In caso di pioggia la manifestazione verrà rinviata al martedì successivo, 22 marzo 2016, stesso orario.
Riproponiamo qui di seguito, a mo’ di conclusione di queste note e di anteprima laica alla manifestazione religiosa di domenica prossima (no, non è un ossimoro), l’elogio dei piedi di Erri De Luca, lo scrittore non credente affascinato dalla Bibbia.
Elogio dei piedi (di Erri De Luca)
Perché reggono l’intero peso.
Perché sanno tenersi su appoggi e appigli minimi.
Perché sanno correre sugli scogli e neanche i cavalli lo sanno fare.
Perché portano via.
Perché sono la parte più prigioniera di un corpo incarcerato. E chi esce dopo molti anni deve imparare di nuovo a camminare in linea retta.
Perché sanno saltare, e non è colpa loro se più in alto nello scheletro non ci sono ali.
Perché sanno piantarsi nel mezzo delle strade come muli e fare una siepe davanti al cancello di una fabbrica.
Perché sanno giocare con la palla e sanno nuotare.
Perché per qualche popolo pratico erano unità di misura.
Perché quelli di donna facevano friggere i versi di Pushkin.
Perché gli antichi li amavano e per prima cura di ospitalità li lavavano al viandante.
Perché sanno pregare dondolandosi davanti a un muro o ripiegati indietro da un inginocchiatoio.
Perché mai capirò come fanno a correre contando su un appoggio solo.
Perché sono allegri e sanno ballare il meraviglioso tango, il croccante tip-tap, la ruffiana tarantella.
Perché non sanno accusare e non impugnano armi.
Perché sono stati crocefissi.
Perché anche quando si vorrebbe assestarli nel sedere di qualcuno, viene scrupolo che il bersaglio non meriti l’appoggio.
Perché, come le capre, amano il sale.
Perché non hanno fretta di nascere, però poi quando arriva il punto di morire scalciano in nome del corpo contro la morte.
Antonio Mellone
p.s. 1
Ringrazio lo studio fotografico Pignatelli, per la riproduzione di alcune fotografie a corredo di questo pezzo. Grazie anche a Michele Vito Martella, per le altre foto che m’ha fatto pervenire tramite Whatsapp e per avermi raccontato alcuni particolari di un paio di Passioni viventi (in una delle quali egli vestì i panni del Protagonista Principale).
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Chiedo ai partecipanti alle Passioni viventi di allora (qualcuna superò i 110 figuranti) di raccontarci la loro esperienza, i nomi dei personaggi e dei loro interpreti, gli organizzatori, e, se possibile, d’inviarci le eventuali foto a loro disposizione sulla storia e le immagini di quegli eventi memorabili. E’ un modo come un altro per conoscere meglio le radici culturali della nostra terra, e per arricchire l’archivio di questo sito, sempre aperto e a disposizione dello studioso e del ricercatore di oggi e di domani. Un tempo non c’erano macchinette fotografiche digitali e soprattutto gli smartphone odierni con cui immortalare le immagini di ogni secondo della nostra e dell’altrui vita: bisognava essere dotati piuttosto di buone sinapsi più che di megabyte sulle periferiche.
p.s.3
Eccovi (salvo errori ed omissioni, ovviamente) i nomi degli attori che, in ordine cronologico, hanno interpretato, a partire dal 1977 il Cristo nelle Passioni viventi nohane: Gianni Guido (1977 e 1978), Michele Vito Martella (1979), Bruno Scrimieri (1980), Marcello jr. Maccagnano (primi anni ’80), Fernando Notaro (metà degli anni ’80).
*
Chiedo venia per gli eventuali refusi. Del resto non si può descrivere appieno una passione: la si può solo vivere.
Mel
nov282016
Non è la prima volta che Gianluca Virgilio mi fa dono di uno dei suoi libri.
Ecco. Quando succede sospendo quasi automaticamente la lettura dell’altro che ho per le mani per buttarmi a capo fitto e con gran diletto in quella del suo testo. La “parentesi virgiliana” di solito non dura più di un paio di giorni, al massimo tre, tanto scorrevolissimo e vorace, come sempre, è quel che egli scrive.
Stavolta la strenna è il suo “Quel che posso dire”, ancora caldo delle rotative di Edit Santoro di Galatina (settembre 2016); mentre l’Altro che avevo per le mani - e che ha dovuto attendere il suo turno - era un classico della Naomi Klein, “No logo” (Bur, Milano, 2015), insieme al centesimo volume di Andrea Camilleri, “L’altro capo del filo” (Sellerio, Palermo, 2016). Sì, in genere me ne porto avanti un paio per volta, quando non di più.
Questo bel libro del prof. Virgilio, dello stesso formato degli altri suoi e, combinazione, dei romanzi che Camilleri pubblica con Sellerio, non è un romanzo, come l’autore ci ha tenuto a puntualizzare, ma una raccolta di disiecta membra, brani d’esistenza, punti di vista, racconti di vita vissuta, edite e inedite riflessioni di un osservatore, pensieri sfregati perlopiù su pagine di rubriche tenute sul quindicinale salentino per antonomasia: “il Galatino”.
Non una trama, dunque, visto che nemmeno la vita ne ha una, ma una serie incommensurabile di orditi, schizzi, flash, colpi di scalpello che, tuttavia, all’occhio più attento non sono mai stocasticamente indipendenti uno dall’altro, dome direbbero gli statistici, ma legati in qualche modo da un fil rouge, una visione d’insieme, direi pure una concezione politica dell’esistenza.
Non solo nella prima parte del libro (“Scritti cittadini”), nella quale il Virgilio analizza la microsociologia della sua città, ma anche nelle restanti cinque (“Passeggiate con Ornella”, “Scritti scolastici”, “Prose”, “Racconti” e “Incontri”) affiora potente l’urgenza di una Politica (finalmente con la maiuscola) volta al bene comune, al rispetto dell’altro, alla formazione culturale di un popolo, alla realizzazione dei principi costituzionali negletti da troppa dimestichezza con la sbadataggine locale, e ultimamente minacciati anche da una riforma centrale pensata male e scritta peggio.
Mentre leggevo i brani di questo libro, non so perché, nella mia mente si andava delineando, dapprima sfocata e poi sempre più nitida, la figura di chi potesse assumere il ruolo di prossimo venturo sindaco di Galatina. E il profilo che in tal senso pagina dopo pagina si stagliava con connotati sempre più netti era proprio quello del prof. Gianluca Virgilio (erede, oltretutto, di Zeffirino Rizzelli nella direzione e nell’organizzazione dell’Università Popolare di Galatina).
Galatina in effetti ha bisogno di una persona, che dico, di una classe dirigente virtuosa. E Gianluca Virgilio, per spessore e impegno culturale, padronanza morfo-sintattica nell’eloquio e nella scrittura, onestà intellettuale, capacità di ascolto e di comunicazione, e dunque visione strategica della Polis, potrebbe rappresentare un punto di riferimento importante, un’insegna, anzi un insegnante per il nuovo gruppo dirigente. Abbiamo bisogno di qualcuno a palazzo Orsini che finalmente, come Virgilio, faccia “l’elogio degli alberi” (pag. 31), che comprenda che qui è pieno di “decine di case monofamiliari chiuse e abbandonate, e con tanto di cartello VENDESI” (pag. 41), che si convinca dunque che un buon sindaco non si misura da quanto asfalto mette a terra o da quanto cemento farà colare, che il vero cittadino non può vivere “del poco, e di molta televisione, e si nutre di fiction” (pag. 20) ma di cultura e partecipazione, che “rottamazione è parola magica del consumismo” (pag. 43), che “la Buona Scuola ha dato il colpo di grazia alla libertà di insegnamento” (pag. 59), che non bisogna “prestare orecchio alle sirene del mercato” (pag. 61), che “la classe dirigente degli ultimi anni ha perseguito l’affossamento della scuola e la distruzione delle biblioteche scolastiche per dare i soldi alla scuola privata oppure favorendo l’ingresso nella scuola pubblica di privati sempre più rapaci” (pag. 76), che i giornali stanno diventando sempre più inutili, pieni zeppi, come sono, di pubblicità e di “commenti e opinioni tutti dalla parte del vincitore di turno, salvo dirne male quando per lui è giunta l’ora del tramonto” (pag. 95) - ogni riferimento agli orrori di stampa locale e nazionale è puramente causale.
*
Ho già passato questo bel libro a mio papà Giovanni. Mio padre ha 93 anni, è contadino, va ogni giorno in campagna, vive di poco, ha la terza elementare, non ha dunque una libreria come quella (pag. 113) del prof. Giuseppe Virgilio (compianto papà di Gianluca), ma quando è libero legge, legge tutti i libri che gli passo.
Conosce Gianluca molto bene perché è il suo vicino di campagna. Tra i nostri due contigui appezzamenti di terreno non c’è muro di cinta, non siepe, non soluzione di continuità. Sicché Gianluca e mio padre, il professore e il contadino, si vedono spesso, si scambiano consulenze, derrate agricole, e qualche volta anche i ruoli.
Ho sempre pensato che quelle di mio padre fossero braccia strappate alla cultura.
Antonio Mellone
Articolo apparso su “il Galatino” – quindicinale salentino di informazione – Anno XLIX – n. 19 - 25 novembre 2016
mag142009
Abbiamo il piacere e l’onore d’informare tutti i nostri lettori che grazie all’instancabile lavoro del nostro amico e collaboratore Marcello D’Acquarica, il patrimonio librario di Noha si è arricchito di un nuovo bellissimo volume. Si tratta de I beni culturali di Noha, (Panìco Editore, Galatina, 2009), in una stupenda ed elegante edizione tutta a colori che riporta in maniera analitica e dettagliata le schede di quei monumenti nohani dei quali tutti noi dovremmo diventare studiosi diligenti e custodi gelosi.
Questo libro - che all’inizio sembrava una pazzia - è un progetto, un’idea partita subito dopo la nascita del nostro periodico on-line, e portata avanti da Marcello come un viaggio, un’avventura incredibile nella quale spendere tempo, energie, scienza e passione. I beni culturali di Noha sono finalmente fissati per sempre in questo libro, che, ormai, come l’Arte ed i Monumenti, sopravviverà a noi altri.
In questo tomo la nostra cittadina è vista dall’autore come un giardino d’infanzia (quello che più perdi dallo sguardo e più ti cresce dentro), come un luogo del cuore i cui beni culturali sono da trattare come si fa con i bambini quanto a premura e tenerezza......
(tratto dell'osservatore NOHANO n°4 Anno III)
Si puo richiedere una copia direttamente da Noha.it inserendo un commento al seguente articolo, oppure presso lo studio d'Arte di Paola Rizzo
ago012015
Quando nel nostro piccolo, da perfetti sconosciuti quali eravamo (e siamo), anche dalle pagine del fu “osservatore Nohano”, scrivevamo gli stessi concetti affermati oggi con più determinazione (e magari efficacia) anche da papa Francesco venivamo additati da pulpiti più o meno autorevoli quali “profeti di sventura”, “disfattisti”, “eretici”, “radicali”, “fautori del no”, e, non ultimo, “comunisti” (scanza-e-libera-Signore).
Ebbene sì, l’enciclica “Laudato sì’” è una sorta di Manifesto contro il pensiero unico liberista [allora come oggi, purtroppo, al governo del nostro paese: la differenza sta soltanto nell’anagrafe: ma non si sa bene chi sia più rincitrullito, se il maestro pregiudicato o l’allievo-bullo da affidare – questi sì - ai servizi sociali, ove questi riuscissero a sopravvivere. Ma forse è molto più probabile che i rincitrulliti siano gl’italiani, sudditi per vocazione, ndr].
In questo scritto papale, di scorrevolissima lettura, dicevamo, si sottolinea la necessità non solo di correggere ma cambiare le abitudini e gli stili di vita, i valori di fondo della società consumistica. Il diritto alla proprietà privata, per il papa, non è né assoluto né intoccabile (ne conveniamo, eccome: cfr. anche il nostro editoriale “Proprietà privata”, su L’osservatore Nohano, n. 8, anno II, del 9 novembre 2008), mentre la decrescita del mondo ricco a vantaggio di quello più povero è una necessità improrogabile ed urgente (cfr., tra gli altri, il nostro “Decrescita felice?”, il Titano, anno XLV, n. 12, giugno 2012).
Mentre i perbenisti benpensanti di Noha, Galatina e del resto d’Italia, appiattiti sul renzismo di maniera, pensano che i comitati spontanei di cittadini per la salvaguardia dei beni culturali, della campagna, del mare, dell’aria, della legalità, non valgano una cippa (“questi quattro comitatini”, così parlò Zarathustra, cioè l’impiastro twittatore), Francesco, al contrario, scrive determinato: “Meritano una gratitudine speciale quanti lottano con vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella vita dei più poveri del mondo” (tratto dal punto 13, pag. 17, “Laudato sì’”, ed. Ancora, Milano, 2015 – la sottolineatura è nostra), e poi ancora: “Il movimento ecologico mondiale ha già percorso ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche” (tratto dal punto 14, pag. 18, ibidem, la sottolineatura è nostra). Ben detto, papa Francesco. Ti dispiacerebbe ribadirlo anche ai tuoi confratelli vescovi e preti?
Anche noi, nel nostro piccolo, parlammo di indifferenza (cfr. tra gli altri il nostro “Contro l’indifferenza”, su L’osservatore Nohano, n. 7, anno II, 9 ottobre 2008), ma figurarsi se gli indifferenti nostrani mossero mai un muscolo del viso in segno di approvazione (non-sia-mai-la-Madonna):più facile sarebbe stato che un cammello passasse per la cruna di un ago disperso nel pagliaio che qualche neurone di certi atei devoti, obnubilato da anni di incensi e salamelecchi, fosse mosso alla riscossa ovvero al risveglio dal sonno della ragione.
[continua]
Antonio Mellone
lug022009
apr052022
Arriviamo alla fine di questo percorso a ostacoli con il cenno fatto dalla probabile ri-novella Sindaco al famoso comparto D7 o quel che è, vale a dire quella trentina scarsa di ettari di campagna da adibire a Mega-porco commerciale, voluto anche, soprattutto direi, da quel Pd che “è la mia casa, la mia famiglia” [l’ha detto lei, eh].
Pare che vogliano farlo partire in qualche modo, ‘sto comparto con coordinate da battaglia navale (insieme agli altri s’intende), ma stavolta non come Centro Commerciale (che avrebbe prodotto secondo gli scienziati locali del tempo, primi fra tutti dunque i “compagni”, non meno di 200 posti di lavoro, anzi 300, mi voglio rovinare), ma come “qualcosa d’altro” (immagino che lo verremo a sapere a breve grazie ai succitati muri parlanti che, visto il livello, molto probabilmente si esprimeranno in termini di Galatinaland). Lasciarla intonsa quell’area, dico quel suolo agricolo, manco a parlarne. Tanto ora che l’Ucraina vincerà finalmente la guerra grazie alle armi italiane esenti da Iva il grano e gli altri cereali li riceveremo in abbondanza direttamente da Kiev, sicuramente a prezzo di favore, e magari scortati dal battaglione Azov.
Infine una carezza alle frazioni, definite dalla Sandra Sindaco “Il Nostro Faro”. Quasi mi commuovo. Insomma la guardiana del farò a un certo punto parla di comunità energetiche. E io – che ingenuo – pensavo che le frazioni avessero già dato in termini sia di “transizione” che di “energetica” (o forse era transazione) con quelle centinaia di ettari di pannelli fotovoltaici schierati per esempio intorno a Noha come un plotone d’esecuzione. Dite che prima abbiamo scherzato e che ora si faccia sul serio? Ma sì, basterebbe un bell’impiantino di compostaggio anaerobico di qualche migliaio di tonnellate di rifiuti organici (chissà se Sandra, parlando di frazione, non intendesse proprio quella umida) per la produzione del famoso biogas (con il bio davanti tutto s’illumina d’incenso) e il gioco è fatto. Le grandi imprese non aspettano altro, pronte come sono a venderci il pacchetto (o il pacco) chiavi in mano. È capace che con il biogas a km0 diventiamo del tutto indipendenti dagli idrocarburi russi (come del resto qui nel Salento lo siamo da un pezzo in termini di gas grazie a Tap, o no?). Magari, visto il sodalizio Progressista con i 5 Stelle, si potrebbe pure pensare a una mini-centrale atomica portatile, dico quelle di quarta o quinta (ne ho perso il conto) generazione, se no come fai a trasformare l’utopia in fantascienza.
Ci sarebbe tanto altro da aggiungere, tipo il Punto essenziale ovvero esiziale sulla “raggiungibilità di Galatina” (che come noto è città abbarbicata sul cucuzzolo di una montagna impervia), onde dovremmo aspettarci qualche altra bella rotonda e non so più quanti nuovi ponti o sottopassi o circonvallazioni, rigorosamente green, puntualizziamo, in nome della Rigenerazione Urbana, della Resilienza e giacché pure della Coesione Sociale. Quando si dice una città Smartata.
Non mi è tanto chiaro invece il Punto sulla Cultura, e la sua chiave di lettura. A un certo momento della conferenza stampa la padrona di Casa Antonica, sarà stata l’emozione della seconda volta o forse la stanchezza per tutte quelle domande giornalistiche così ficcanti, ha iniziato a parlare (credo) di “élite”, ergo (immagino) di “elitismo”, ma continuava a proferire il lemma “etilismo” o “etilitarismo” o qualcosa del genere [ascoltate la registrazione, s’il vous plaît, prima di ri-stracciarvi le vesti e dunque ri-crocifiggermi]: sicuramente avrò capito male io, oppure l’audio in quell’attimo ha invertito l’ordine di successione dei fonemi provocando una metatesi. Sarà più precisa, suppongo, alla prossima conferenza (dei servizi).
Avrei qualcosa d’altro da aggiungere, se non fosse che rischio di dedicare molto spazio alla Sandra Sindaco, trascurando gli altri tre concorrenti che chissà quanto fremano, scalpitino e friggano per veder pubblicato un articolo uno sulle loro gesta eroiche, diverso dai comunicati stampa redatti dalle loro rispettive Bestie (pare si definiscano così i consulenti assoldati dai politici per le campagne elettorali). E non vorrei che mi denunciassero per omissione di discorso, vale a dire di assenza di articoli sul loro operato, o meglio pensato. Oggi come oggi c’è da aspettarsi di tutto.
Qui mi basti concludere chiedendo venia se non ho fatto cenno agli altri numerosi Punti del programma sandrigno, ma credo che quelli summenzionati siano sufficienti, uniti tra loro con un tratto di penna, a darci un’idea del disegno diciamo politico che apparirà.
In conclusione vorrei solo ricordare che la conferenza stampa oggetto di queste note si è svolta nella sala di un noto bar cittadino, tappezzato, ecco, di tutto Punto. Mo’ non chiedetemi se fosse il bar dello sport, ché certi dettagli sfuggono anche al più acuto osservatore nohano ancora a piede libero. Testimoni oculari (e olfattivi) asseriscono che nell’aere s’avvertiva un inebriante profumo di brioches.
Probabilmente quelle di Maria Antonietta.
Antonio Mellone
Serenamente se n’è andato il carissimo Marino Congedo, persona mite, buona, riservata, oltretutto sempre disponibile con noi altri di Noha.it.
Ricordiamo eccome quando avevamo qualcosa da stampare e pubblicare: ci veniva incontro non badando mai al conto economico della sua azienda (di sicuro ci perdeva).
Chi non ricorda L’osservatore Nohano che ogni mese per cinque anni consecutivi e per un numero di pagine variabile, talvolta superiore a trenta, faceva uscire puntuale dalle sue rotative il Nove del mese, spesso fermandosi in tipografia anche oltre l’orario di lavoro.
E quanti libri, manifesti, opuscoli, volantini, striscioni predisponeva per conto nostro e per la maggior gloria di Noha.
Ci sono persone che non usano mai sbandierare ai quattro venti il bene che fanno senza tregua per la propria comunità: e sono i pochi, e sono i migliori.
Questo era Marino nostro.
Ci stringiamo affettuosamente intorno ai suoi figli e nostri amici, Antonio ed Elisabetta, alla moglie, signora Rita Gabrieli, al genero e al nipotino, e agli altri parenti e amici.
Noha.it
gen202009
lug252020
Spesso son così titubante che al confronto il principe Amleto era un decisionista. Questa volta, scatola cranica in mano (in mancanza sopperisce il frutto di stagione delle cucurbitacee), the question is: votare o vomitare.
Ebbene, nel prossimo mese di settembre anche la Puglia “rinnoverà” il suo consiglio d’amministrazione. A dirla tutta nel fritto misto hanno stemperato anche il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Ma di quest’ultimo tentativo di evirazione democratica, e del doveroso NO all’ennesima presa per i fondelli, parlerò in altra sede.
Ora soffermiamoci sulla campagna elettorale diciamo politica, la quale, a meno delle fiumane di terroni in visibilio per il leghista, di fatto non si tiene nelle pubbliche piazze (la pandemia è un ottimo alibi), men che meno nelle sezioni dei partiti (divenute ormai, forse per vocazione, case chiuse), ma come al solito sottobanco, con accordi trasversali, tramite contatti con i cosiddetti grandi elettori, a cena dal notabile locale, telefonando al grosso imprenditore che sa come far “decidere” i propri collaboratori, bussando coi piedi alla porta delle associazioni di categoria (quelle con il prefisso Conf), o alla redazione del solito giornale pronto a dare dritte e storte ai suoi superstiti lettori, e infine ma non ultimo ai conciliaboli fra clan. Poi uno si chiede come mai il pensiero dominante finisca con il coincidere quasi sempre con il pensiero della classe dominante: e dunque gli oppressi simpatizzino per gli oppressori, gli assediati per gli assedianti, il gregge per il lupo.
Sta di fatto che il fil rouge, o meglio rosè, che lega destra e centro-destra (ché la sinistra pare scomparsa dalla circolazione), sembra fatto da investimenti per lo sviluppo (il solito volàno per), aiuti all’agricoltura (per trasformarla da settore primario in secondario), un mega programma di sostenibilità ambientale (onde la nostra regione sarà una novella Arcadia cantata dal Metastasio: la famosa Puglia metastatica), e quindi infrastrutture a gogo (ma tutte rigorosamente eco, bio, green, nature), tanta semplificazione (ma sì, via la soprintendenza, via il principio di precauzione, via ogni tutela del lavoro, via le regole, e via quella rompiscatole della Via, cioè la valutazione di impatto ambientale), turismo tutto l’anno of course (e ci mancherebbe pure che smettessimo di battere marciapiedi e centri storici con quel che rendono), valorizzazione della sanità (qualunque cosa voglia dire), e cultura, signora mia, che non ti dico. Cogliere le differenze tra i programmi chiamiamoli alternativi sarà come vedere il coronavirus a occhio nudo.
Ebbene, oltre alla corona dei sei viceré candidati aspettiamoci anche un ben nutrito sottobosco di caporali e riempilista, composto molto spesso da personaggi sinceri quanto la loro dichiarazione dei redditi, rivoltatori di frittate, tromboni e già trombati, asintomatici in fatto di grammatica, Cetti e Cette Laqualunque, fotografi di caricature definite selfie, urlatori di anacoluti, promotori dell’ennesima legge di Murphy, dispensatori di olio extravergine di ricino spacciato per amuchina, populisti che danno del populista agli altri, moVimentisti a 5 mandati, e, the last and the least, forza-italioti redivivi.
E il bello è - tanto per sgombrare il campo dai dubbi amletici - che i socialisti (Eia! Eia! Alalà!) sostengono il candidato destronzo; i fascisti il sinistrato (chissà se PD saranno l’iniziale e la finale di Pound, nel senso di Casa); il candidato renzizzato di ‘Italia chi t’ha Viva’ lavora per il trionfo dell’enfant prodige, già governatore di questa, sicuramente anche per questo, martoriata Puglia; la candidata a cinque stampelle ha coniato un nuovo slogan per vincere facile: Onestap, Onestap. Si blatera circa l’esistenza di altri tre concorrenti al massimo scranno regionale: uno addirittura del MSI, Fiamma Tricolore (per la gioia della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione: candidatura comunque pletorica vista la pasta degli altri), un altro che vorrebbe inverare sulla sua pelle il principio “uno vale effettivamente uno”, e un terzo che francamente sfugge al radar della mia postazione di osservatore nohano.
Il responso all’indecisione di partenza è epigrafico: assunzione di un antiemetico e poi voto rigorosamente utile. Occhio che il mio concetto di utilità in fatto di voto è affatto diverso da quello che la classe dominante vorrebbe in qualche modo, ehm, inculcarvi.
Antonio Mellone
mar272007
Donatella Guido è una ragazza di Noha che ama leggere, cantare, passeggiare. E scrivere poesie.
Le ultime sono state raccolte in un libro che ha per titolo il verso di un suo componimento dedicato alla mamma: “Non ho che questo fiore”.
*
Vi racconto com’è andata.
Io conoscevo Donatella soltanto di vista, e non avrei mai saputo del suo talento poetico senza la mia amica e compagna di classe Maria Rosaria, un’altra nohana più osservatrice di me.
E’ lei che mi ha aperto una finestra sul mondo di questa signorina e sulla sua straordinaria avventura.
Insieme s’è poi convenuto di raccogliere i versi della Donatella e di pubblicarne un libretto – non senza aver prima consultato Marcello D’Acquarica che, con il suo zampino artistico, sa dare sempre un tocco di classe alle cose.
E’ nato così l’ennesimo volumetto edito da “L’osservatore Nohano”: con le poesie che ci ha consegnato mamma Pompea, con la loro trascrizione su di un foglio elettronico da parte di Maria Rosaria, con il lavoro grafico di Marcello per la copertina, e, infine, con l’impaginazione, la stampa e la preziosa edizione di Antonio Congedo e delle sue ‘Arti Grafiche Marino’, sempre così professionali, e soprattutto pazienti con noi altri.
Sapete, circolano molte idee sbagliate sulle persone. Forse perché a volte conta più l’apparenza che la sostanza e si giudica in base a pregiudizi. Perlopiù fuorvianti.
Sì, è una vera e propria sindrome, la nostra, e tra le peggiori. Lo è quando ci fa snobbare le differenze che sono invece ricchezza oltretutto culturale, quando c’impone la moda che ci vuole come un gregge, o quando ci fa il lavaggio del cervello sulla diversità da discriminare e, ove possibile, da condannare.
Esiste invece un altro mondo, credo migliore, che è quello inclusivo e non esclusivo, quello senza paure, senza fisime e tabù, quello della fiducia e del saper far tesoro delle esperienze positive di chi, superando mille difficoltà, sa raggiungere risultati ammirevoli. Come quello di portare alla luce il potenziale racchiuso in sé attraverso un’esplosione di parole da incollare sulla carta.
E’ questo il caso di Donatella che non si è fatta soffocare dagli inconvenienti, né ha permesso al rumore, alle facili lamentele o all’ansia di sovrastarla a tal punto da non riuscire a muovere nemmeno un muscolo.
Questa affettuosissima ragazza di Noha (quando te ne vai non ti saluta, ti abbraccia forte) ha invece trovato il modo di comunicare al mondo quello che aveva dentro. E l’ha fatto, lo fa ogni giorno, con la poesia.
Ne ha scritte diverse. Lo fa per sé, ma parlano anche a noi.
Vi prego di leggerle. Ne otterrete, come me, un commovente senso di consolazione.
Antonio Mellone
P.S. Presenteremo “Non ho che questo fiore” di Donatella Guido (ed. L’osservatore Nohano, Noha, 2017), domenica 12 febbraio 2017 alle ore 18, a Noha nell’accogliente sala convegni dell’associazione ‘L’Altro Salento’ in via Collepasso n. 22, nelle immediate adiacenze del salone dei Parrucchieri Mimì. Siete tutti invitati.
mag012024
Non vorrei fare il solito guastafeste, ma francamente una delle ultime genialate intra moenia comunali, vale a dire l’n-esima telecamera grandangolare puntata questa volta sul puteale della Trozza di Noha, m’ha lasciato da un lato ammirato per il tempismo con il quale l’amministrazione verginale è intervenuta, e dall’altro perplesso (ma ormai non più di tanto) in merito alle soluzioni diciamo andanti a problemi un pelino più complessi.
Provo a spiegarmi meglio. Il 18 febbraio scorso pubblicavamo su queste pagine, con tanto di battutona sarcastica (“Open bar aperto”), le immagini della Trozza guarnita con alcuni rifiuti decisamente esiziali per un luogo così delicato, tipo bottiglie probabilmente di prosecco (quasi vuote), bicchieri di plastica usati, tovaglioli di carta imbevuti di non so cosa, e un’abbondante spolverata di mozziconi di sigaretta; il tutto con una concentrazione tale da fare invidia, si parva licet componere magnis e con rispetto parlando, a un’arena post-concerto dei Negramaro. Insomma i casi umani di turno (presenti a Noha come del resto a Milano o a New York), chissà da chi ispirati, avranno pensato ancora una volta di dare il meglio di sé nei paraggi di quel monumento, evidenziando in tal modo una calotta cranica decisamente sproporzionata, nel senso di esagerata, rispetto al suo microscopico (eventuale) contenuto.
Al comprensibile stracciamento delle vesti dei novelli Caifa, a distanza di poche ore è seguito uno svelto comunicato stampa da parte del consigliere comunale con delega alla frazione di Noha Pierluigi Mandorino, grazie al quale tutti venivamo rassicurati circa il pronto intervento da parte delle istituzioni volto non solo a ripristinare il cosiddetto decoro dei luoghi, ma anche, signore e signori, a installare la suddetta telecamera con vista. Il che invero è avvenuto nell’arco di non più di un paio di settimane dal proclama; sicché il 5 marzo 2024, senza tagli di nastro o discorsi commemorativi in memoria del defunto buon senso (ma giusto qualche post in favore di pollowers), avevamo già la nostra bella cinepresa con mirino orientato su Piazza XXIV Maggio, pronta a inviare immagini di buoni e cattivi al comando della Polizia Locale: la quale, endemicamente sotto organico, avrà incaricato il suo ultimo (superstite) vigile urbano in smart working a fissare un monitor manco fosse il VAR nella speranza di beccare con le mani nel sacco il balordo di corvée, e dunque spedire al suo indirizzo una bella lettera con busta e cartolina verdi.
Premesso che ho stima di Pierluigi, ragazzo garbato, serio e a modo, parla e scrive correttamente [nulla a che vedere con qualche suo tristemente famoso predecessore – parce sepulto - che stava alla politica, alla grammatica della lingua italiana e al diritto come Erode agli innocenti, ndr.], oltretutto sempre presente e disponibile all’ascolto, stavolta non son per niente d’accordo con lui in merito alla “risoluzione” del problema, e men che meno con i supporters in visibilio e con l’Istituto Luce di complemento (dico una fetta considerevole della stampa locale) regolarmente in sollucchero per qualunque forma di palliativo scambiato per terapia eziologica.
Di questo passo non ci sarà più un centimetro quadrato di Noha (ma anche Galatina, Collemeto e dintorni) al di fuori dei radar del controllo autoritario, sicché questi luoghi benedetti saranno declassati al rango di un Panopticon: vale a dire il carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham, nel quale viene previsto un unico sorvegliante quale osservatore (opticon) di tutti (pan) i presenti nell’istituto penitenziario, e senza che questi ultimi se ne accorgano.
La comunità che si presenta come smart sta vieppiù assumendo le sembianze di una prigione glamour, con sbarre invisibili ma resistenti a qualsiasi evasione, mentre noi altri stiamo per essere retrocessi (o promossi) allo status di sorvegliati speciali, attori inconsapevoli di un nuovo Truman Show, personaggi di un videogioco, sudditi dei padroni della vigilanza, rane bollite alla Chomsky, cani pavloviani, individui obnubilati dal velo di Maya, popolo immerso fino al collo nella realtà distopica descritta da Orwell in “1984”, detenuti della caverna di Platone, infine cittadini sì, ma soltanto se dotati di card, pass (specialmente green) e giacché pure app-immuni. E il bello è che per assuefazione ci stiamo convincendo che questo regime dolcemente pervasivo e tanto omeopatico sia inevitabile, e perfino giusto. Ma un Argo Panoptes tecnologico tra i piedi rappresenta di fatto la mortificazione se non proprio il fallimento all’unisono di famiglia, istituzioni, partiti, scuola, parrocchia, informazione, comunità tutta, a favore di chi ci guadagna e specula.
A breve su questi schermi, fra videosorveglianza, controllo di impronte digitali, identità corporea, riconoscimento facciale, lettura del labiale, e soprattutto politically correct, non sarà più immaginabile formulare, e tanto meno proferire, il consueto chiaro, redentore e ben sillabato vaf-fan-cu-lo.
Antonio Mellone
nov032014
Le guerre non hanno mai fatto bene a nessuno. In quella del 1915/18 ci furono 650 mila caduti, oltre 400 mila mutilati, distruzioni e rovine, fame e povertà. Una inutile strage la definì il Papa Benedetto XV, inutile eccidio di massa, inutile carneficina, una follia ogni guerra ha detto Papa Francesco.
Anche Noha ha pagato il suo tributo di sangue: l’elenco dei caduti è ancora là, scritto sulla lapide del monumento.
Purtroppo questa è la prova che l’uomo è capace di giungere a cose orribili. Cosa più grave fu che quella guerra a distanza di pochi anni fu seguita da una Seconda Guerra Mondiale più drammatica della precedente.
Le guerre non risparmiano nessuno.
I nostri soldati vissero esperienze durissime. Essi dovevano aspettare rannicchiati in condizioni pietose in fossi con solo un parapetto che proteggeva le truppe, e poi, appena udito l'ordine, dovevano uscire allo scoperto e cercare ripetutamente e invano di sfondare le linee nemiche, incapaci di difendersi dalle mitragliatrici degli avversari e senza possibilità di ripararsi dai colpi. Fu una carneficina. Un inutile bagno di sangue. Persone che trucidavano altre persone. Si trattava di uomini costretti a vivere con la continua paura della morte che ormai era divenuta esperienza “regolare”; uomini costretti a vivere accanto ai cadaveri mutilati dei loro compagni. Fu il trionfo della disumanizzazione.
Le testimonianze pervenuteci sono sufficienti a farci rabbrividire.
Ecco l’elenco dei nostri caduti nella prima guerra mondiale
Nel 1923 a Noha vennero fatte delle opere dedicate al patrimonio del paese. Fu costruito il calvario, ristrutturata la torre dell’orologio e venne edificato e dedicato un monumento ai caduti in guerra.
Fino agli anni ‘8° del secolo scorso quel monumento era ubicato accanto alla Chiesa Parrocchiale, lato Ovest. Era ben tenuto e curato. Era una specie di colonna quadrangolare, con punta piramidale, una sorta di obelisco. C’era un recinto con inferriate, donate poi alla patria ai tempi del ventennio. Alla base dell’obelisco, scolpito sulla pietra leccese da una parte si poteva leggere: “Chi per la patria muore, vissuto è assai, la fronda dell’alloro non langue mai”. Dall’altro lato c’era la scritta: “… e qui verran le madri ai pargoli mostrando … “.
Come tutti sanno, il monumento in pietra leccese è stato rimosso e rifatto ex-novo in cemento armato e ferro in piazza Ciro Menotti. Al di là del gusto o del senso estetico (ognuno può avere il suo), a trenta e passa anni dall’edificazione di quella stele, crediamo sia giunto finalmente il momento di intervenire con dei lavori pubblici su monumento e villetta circostante. Se non altro per un pizzico di decorosità in più, oltre che per l’onore, il rispetto e la memoria che dobbiamo ai nostri caduti in guerra.
P. Francesco D’Acquarica
gen022012
[…] Perché non siamo eterni, onnipotenti, onniscienti, ma facciamo nostro il senso della finitezza. Perché comunque crediamo nella resurrezione. Perché c’è una misura in quello che abbiamo da trasmettere, e non dobbiamo pretendere troppa carta e altrettanta pazienza dal tipografo, né troppa attenzione da chi ci sta attorno. Perché consideriamo un complimento il fatto che il migliaio di pagine scritte sino a qui siano comunque poche per molti dei nostri lettori. Perché uno è ospite con la sua scrittura presso la lettura di una persona e deve lasciare la stanza finché è ancora desiderato. Perché qualcuno non vedendoci più s’illuderà che spariremo dalla circolazione, ma la sua illusione durerà l’arco di mezza giornata e dovrà mettersi l’anima in pace in quanto forse in qualche modo ci saremo più e meglio di prima. Perché un crescente numero di ammiratori (ma anche di detrattori) vorrebbe continuare a leggerci ancora, ma per indole e formazione siamo usi andare in direzione ostinata e contraria. Perché senza osservatore saremo, ove possibile, ancora più liberi nei nostri pensieri e nelle nostre parole. Perché non vorremmo che il giornalino diventi un buon alibi, o qualcosa di simile su cui cullarsi, della serie: “tanto ci sono loro che rompono l’anima”. Perché questa avventura ha già cambiato il corso della storia di Noha e indietro non si torna. […] (dall’editoriale Addio osservatore Nohano di Antonio Mellone, osservatore Nohano n°9 anno V).
giu252015
Buona lettura.
nov052010
Un piccolo assaggio del romanzo "Il Mangialibri" di Michele Stursi. Chi volesse gustare appieno questa deliziosa pietanza per l'intelletto... non può mancare alla PRESENTAZIONE.
Presentazione romanzo Il Mangialibri di Michele Stursi sabato 6 novembre ore 19 Oratorio Madonna delle Grazie.
Programma della serata:
Interverranno
Presteranno la loro voce alle parole del romanzo:
e tanti altri lettori...
Durante tutta la serata si potrà visitare l'inedita mostra fotografica di Marzia Cisotta
ott162023
Lo trovi a Noha, in molti angoli della cittadina, nelle pagine della sua storia, nelle case dei nohani, fra i quadri appesi o le statue nelle campane di vetro, in qualche edicola votiva, e poi nella chiesa parrocchiale, e nei suoi dintorni.
Ne ha già parlato P. Francesco D’Acquarica in un articolo dal titolo “S.Michele Arcangelo, patrono di noha, da quando e perché” pubblicato su Noha.it nel 2008. (L'osservatore NOHANO - n°4 - Anno III)
Ma San Michele è effigiato in un affresco (stavo per dire murales) in via Calvario, per l’arte di Michele D’Acquarica, pittore e poeta di Noha del secolo scorso; e, un po’ sbiadito, anche sul portale di un’antica cappella del nostro centro storico, con la data 1772, “una delle 12 chiese di Noha”.
La Chiesa di Noha e i Vescovi di Nardò (Parte 4)
Il vessillifero delle schiere celesti troneggia in tutto il suo splendore, come detto, anche all’interno della Chiesa Madre, imponendosi marziale e con lo sguardo duro come la pietra leccese (materiale oltretutto della statua) dal suo altare barocco datato 1664. In un’altra nicchia, a destra di chi guarda l’altare maggiore, si trova la statua in cartapesta di pregevole fattura: viso delicato (si direbbe angelico), panneggio in movimento, penne di struzzo sull’elmo, scudo con motto eloquente, drago beffardo e “linguacciuto”. È la scultura portata in processione due volte l’anno: l’8 maggio e il 28 settembre.
All’interno della chiesa madre si trova altresì la reliquia del santo: un pezzo di pietra della grotta della basilica-santuario di Monte Sant’Angelo, dove furono registrate le quattro apparizioni dell’Arcangelo.
Ma la descrizione più interessante della presenza a Noha del Santo Protettore ci viene tramandata dall’Arciprete Don Michele Alessandrelli.
“Nato a Seclì circa nel 1812 da Michele e Vita Picciolo è Arciprete di Noha dal dicembre 1847 fino alla sua morte avvenuta 17 Settembre 1882. Però negli ultimi 3 anni della sua vita (dal 1879 al 1882) chi compila i registri è un certo don Mario Resta (forse di Aradeo) che si firma sempre Economo Curato.. Fu sepolto nel cimitero di Galatina” [cfr. Francesco D’Acquarica, Curiosità sugli Arcipreti e persone di chiesa a Noha, ed. L’osservatore Nohano, 2011].
Alessandrelli ci descrive in modo chiaro e preciso com’era la nostra Chiesa al tempo della sua Arcipretura, la versione precedente all’attuale. La descrive così bene a tal punto che è stato possibile ricostruirne l’immagine con una elaborazione grafica.
Nella relazione datata 15 aprile 1850 leggiamo:
La suddetta Chiesa sta situata e posta nel detto Comune di Noha, il frontespizio della quale esposto verso Borea in pubblica Piazza, confina per ogni lato la via pubblica.
Fu edificata nel 1502 sotto il titolo del glorioso S. Michele Arcangelo. E’ comunale, ed è solamente benedetta.
In essa vi sono due porte, una delle quali è piccola verso ponente, nella quale si sale da due lati con quattro gradini di pietra leccese. La porta è di legno fargio, e vi è il Cimitero. Da Borea vi è la porta maggiore, dove pure esiste l' altro Cimitero, e da ogni lato si sale con tre gradini di pietra leccese, ed il suo terreno franco che lo dimostrano due finite, che ivi stanno fissate nelli due lati di detto Cimitero.
Vi sono due colonne di marmo bianco appoggiate al pariete di detta Chiesa. Il detto frontespizio è di pietra leccese scolpito con due colonne scannellate con le loro basi, e capitelli sopra delli quali vi sono li rispettivi scartocci ben lavorati. Ed in mezzo delli medesimi vi sta la statua del glorioso S. Michele Arcangelo tenendo ai piedi il dragone infernale, e più basso vi è il seguente epitaffio:
SANCTE MICHAEL ARCHANGELE
DEFENDE NOS IN PROELIO
NE PEREAMUS IN TREMENDO IUDICIO. 1621.
Prosegue con la descrizione di ogni dettaglio sia delle parti strutturali della Chiesa che dei contenuti sacri.
La statua con il dragone infernale è la stessa che per oltre un secolo da quella data è rimasta conservata nel cosiddetto “Giardino dell’Acquaro”, il sito dove oggi si trova l’anagrafe di Noha (sulla cui parete esterna qualche giorno fa, a sprezzo del ridicolo, sono apparse e poi scomparse un paio di immagini di San Paolo apostolo ai Galati, anzi ai Galatinesi).
Il giardino che occupava la stessa area dell’anagrafe, era protetto da un vecchio muro di conci di tufo alto oltre due metri. Si accedeva all’interno da una porticina in legno superando tre gradini e la statua con il dragone era adagiata nei pressi della vera di un pozzo, o cisterna.
Poi venne trasferita al Museo di Galatina, e ivi di fatto abbandonata, visto che il bisturi e gli altri strumenti del restauratore sembra stiano facendo il loro turno di riposo. Da ormai troppi decenni.
Marcello D’Acquarica
lug152011
Il team de L'osservatore NOHANO dà il benvenuto alla nostra 26° lettrice MICHELA e fa tantissimi Auguri per il lieto evento al papà Albino, alla mamma MariaGrazia ed alla piccola Marzia.
ott312022
Ne avevo appena iniziato la lettura, ma poi me l’ha sequestrato la regina madre, 87, (riporto l’età di chi mi è vicino come usano fare le riviste del gossip vipparo), per riconsegnarmelo un paio di settimane dopo, vale a dire tre giorni fa, “ché mo’ lo leggo prima io, tanto tu tieni sempre qualche cosa sotto gli occhi”.
In effetti ero alle prese con l’ultimo centinaio di pagine del terzo tomo di quattro, dico di “M – Gli ultimi giorni dell’Europa” di Antonio Scurati (Bompiani, Milano, 2022, 425 pagg.): bello, non c’è che dire, e ben scritto, come del resto i primi due. Peccato soltanto per quel peana in stile “resta con noi signore la sera” vergato su Repubblica dal medesimo autore in onore di quell’altro figlio del secolo, non meno bellicista rispetto all’originale, ovverosia il Migliore fra i Migliori (a proposito di M), promosso e pluripremiato sul campo dai camerati del panfilo Britannia e giacché pure blandito da quasi tutta la stampa apologetica, ma venuto a mancare (momentaneamente) all’affetto dei suoi cari per essersela svignata dal suo stesso governo alla prima occasione utile. Ma non era di Scurati o della sua opera o dei fuggitivi ministeriali che avevo in mente di discettare questa volta, ma del volume scritto dalla dottoressa Enrica Mariano, nohana, 47, dal tutt’altro che ermetico titolo “La malattia è solo la punta dell’iceberg”, con sottotitolo “La cura inizia dall’ascolto” (Mind, Milano, 2022), recapitatomi in dono dal di lei padre, il geometra Biagio, 81.
Avevo già avuto modo di vergare parole sul conto dell’Enrica Mariano esattamente quindici anni fa, e precisamente sull’osservatore Nohano (n.7, anno I, 7 ottobre 2007, pag. 13), nella rubrica denominata C.V., condensando in poche battute il curriculum vitae della mia concittadina, sin da allora di un certo spessore, fatto di diploma al Classico e poi di laurea in Medicina con il massimo dei voti e la lode, e successivamente di pubblicazioni, di assegnazioni di non so più quanti premi di laurea, e dunque del conseguimento di abilitazioni nell’arte medica, fino alla specializzazione in Cardiologia (anche questa ovviamente con voti stratosferici). A quel curriculum iniziale bisognerebbe aggiungere ora tre lustri abbondanti di Ricerca, e centinaia, ma che dico, migliaia di interventi chirurgici (un tempo a cuore aperto, ora non più), nonché la docenza di Cardiologia all’Università di Tor Vergata di Roma. Ultimamente, grazie anche a questo coso che sto sfogliando, vi sarebbe altresì da includere l’attività di scrittrice (nella dedica al sottoscritto – che non riporto in quanto non meritata – la Mariano parla di “prima opera letteraria”: ergo non siamo che all’inizio dell’n-esima sua avventura), e più di un Master, tipo il MICAP, acronimo con lemmi o locuzioni in rigoroso idioma anglosassone, visto oltretutto che quella I sta per internazionale. Ma a ogni titolo, gallone o pennacchio l’Enrica sembra preferire l’attestato di “idraulico delle coronarie”, di quelli d’urgenza, e ci conferma che sì, è importante il corpo, ma forse anche (e soprattutto) qualcosa d’altro.
Tu all’inizio ti aspettavi un sostanziale predicozzo da parte del professorone di turno che, dall’alto della sua cattedra, pontifica sulle magnifiche sorti e progressive della Medicina tutta fatta di regole e dogmi imposti dalla esimia società scientifica (mentre i profitti delle società del farmaco sarebbero soltanto trascurabili dettagli), e invece qui si narra di un’esperienza personale e un destino a tratti burlone con la provvida sventura dell’inversione di ruoli: una cardiologa che si ammala di pericardite in tempi non sospetti, costretta a dismettere temporaneamente il camice del medico per indossare il pigiama del paziente: “Un dolore che mi trapassava il petto. Avevo l’affanno, non riuscivo neanche a portare una busta della spesa senza avvertirlo. […] E quella fastidiosa sensazione del cuore in gola”, scrive.
Una pagina via l’altra e il rafforzamento di alcuni dubbi, suoi e nostri, invero covati da sempre, e di alcuni punti di vista che il tifoso di turno oserebbe considerare tutt’altro che “ortodossi” se non addirittura “antiscientifici”, ma che ormai non si possono più tacere, dacché esiste in natura un punto oltre il quale la verità, volenti o nolenti, comincia a brillare della sua stessa perspicuità. E qui la Mariano ti apre tutto un mondo fatto di spirito e non solo di corpo, di cervelli (ne abbiamo tre, lo sapevate?) e di un cuore che ha una memoria ed è la sede dell’anima (lo scrive nero su bianco un medico, eh), di dialoghi interiori e di autoascolto, di colloqui tra mente e intestino (chi l’avrebbe mai detto), e di meditazione e preghiera, di tango argentino e musicoterapia, insomma di punti di incontro mai di scontro tra medicina orientale e medicina tradizionale, tra olismo e separatismo.
Mi piace infine che uno specialista, come l’Enrica nostra, si compiaccia nell’autodefinirsi una Curandera [“Ebbene sì, non lo sapevo, eppure ero già una moderna curandera”, così a pag. 95].
Però, Enrica, per favore, la prossima volta tu e i tuoi colleghi cercate un sinonimo meno ostico e più immediato al lemma che vorrebbe sintetizzare tutte queste cose qua, vale a dire Psiconeuroimmunoendocrinologia: nel provare a pronunciarlo con una sola emissione di voce, per ipossia, caddi come morto corpo cade.
Antonio Mellone
nov102013
A me non capita spesso di visitare il Cimitero. Vivo lontano da Noha, ma a volte mi trovo a passare. E allora una visita, anche fugace, e una preghiera dove sono sepolti i miei genitori e tante persone che ho conosciuto, riesco a farla.
Sul cancello sono scolpite su lamiera i quattro simboli degli evangelisti: S. Matteo simboleggiato dall'uomo alato (o angelo); S. Marco simboleggiato dal leone; S. Luca simboleggiato dal bue e S. Giovanni simboleggiato dall'aquila.
Per la benedizione della campana venne il vescovo di Nardò Mons. Antonio Mennonna, perché una campana è sempre benedetta dal Vescovo.
E’ vero che per celebrare l’Eucaristia ci vuole un prete e oggi i sacerdoti sono sempre di meno. Ma nulla vieterebbe, se la “cappella centrale” fosse accogliente, entrarvi e sostare per una preghiera personale più prolungata e per la riflessione.
P. Francesco D’Acquarica
set212019
Giornata di sole e l’ora giusta per notare come una nuova luce possa cambiare l’immutabile scenario del muro di cinta di ciò che resta dello Stabilimento Brandy Galluccio, sull’ultima curva all’ingresso di Noha. Oggi, ore 12,00, con il taglio dell’erba appena eseguito, un bellissimo cespuglio di fiori si erge solenne sui resti del monte calcareo che regge le mura degli uffici del vecchio complesso.
Sono bocche di leone, dice Maria Rosaria, cresciute in un piccolissimo strato di terra dove non crescerebbe nemmeno l’erba.
Uno spettacolo che mi colpisce all’istante, e un attimo dopo sono davanti a questo altare rinnovato che si erge con imponenza, quasi a voler chiedere rispetto per questo luogo di preghiera perenne scelto duemila anni fa dai nostri antenati. Sì, sembra proprio un altare.
Approfitto del ciglio della strada ripulito e della luminosità abbagliante per osservare lentamente, come già fatto decine di volte, quel tratto di muro costruito agli inizi del secolo scorso, senza scavi, poggiando semplicemente le pietre di fondamenta sul monte calcareo e quindi sugli antichi e numerosi sepolcri messapici. Non sappiamo se chi ha costruito quel muro sapeva della presenza dei sepolcri, ma hanno fatto bene a non distruggerli, come purtroppo è stato fatto durante i lavori di ristrutturazione della via di Noha, una volta denominata via S. Lucia. (L’osservatore Nohano - 07 gennaio 2008 - n°10 Anno I)
In questa favorevole condizione, altre tombe risaltano alla vista, ne ho contate almeno dieci. Sono tracce di colori, di incisioni e forme quasi inconfondibili. E questo soltanto sul profilo tagliato per tracciare la strada. Possiamo immaginare come tutto quel tratto di promontorio sia stato una vera e propria necropoli dei nostri antenati di circa duemila anni fa.
Dieci tombe, dieci persone, non ci è dato di sapere se uomini o donne, se soldati o sacerdoti, se bambini e vecchi. Pochi sono i resti venuti alla luce e, come sappiamo, almeno quelli ritrovati negli anni ’50 dello scorso secolo sono andati persi. Persi nel nulla di questa epoca che non rispetta la vita, tantomeno la storia.
A che serve continuare a dire che i beni culturali di Noha sono i testimoni di una bellissima storia, la nostra. Se poi tutto viene lasciato andare nel degrado più assoluto, se non addirittura distrutto come sta accadendo allo stesso testimone di archeologia industriale tutta ancora da scoprire. Il nuovo cartello indicante la proprietà privata, sembra quasi voler imporre a tutti la sua arroganza.
Così funziona nel nostro paese da un bel po’ di decenni.
No, non può bastare che la Soprintendenza abbia posto un vincolo di rispetto per questi sepolcri, altari, guglie, camini, e mura ancora “vivi”. Sono beni che ci implorano solo un po’ di rispetto e, se possibile, un pizzico di riverenza: come si deve a chi ha superato le barriere del tempo, ma non ancora quelle della stupida tracotanza di chi calpesta perfino la bellezza gratuita.
Su questa parte di roccia affiorante, si possono notare le parti concave, tracce di due sepolcri attigui, tinte dello stesso colore delle altre tombe messapiche. |
Queste sono le tracce delle due tombe messapiche riportate nelle tre edizioni del libro “La storia di Noha” di P. Francesco D’Acquarica, scoperte durante i lavori di sistemazione della via di Noha negli anni ’50 del secolo scorso. |
Marcello D’Acquarica
apr302017
Martedì 25 aprile, giorno della Liberazione, Loredana Tundo, Direttore provinciale dell’Acli, vice presidente del neo nato laboratorio locale di FareAmbiente Laboratorio di Galatina e segretaria dell’Associazione calcistica di Noha, madre responsabile, sennonché amica carissima, mi ha invitato a fare da “mentore” per parlare dei Beni Culturali di Noha, durante la passeggiata organizzata in onore della nostra squadra di calcio. Non me lo sono fatto dire due volte. Guai a chiedermi di esprimere la mia opinione su NOHA (vi ricordo che abbiamo già appurato che il suo vero nome è Nove). Non mi ferma più nessuno. Molto probabilmente ho anche annoiato gli sfortunati partecipanti alla manifestazione che spesso mi hanno dovuto “strappare” via la voce, visto che non avevo nemmeno un microfono. Quello di parlare tanto su Noha e della sua bellezza è un difetto che proprio non riesco a correggere. Non me ne vogliamo gli ospiti che erano presenti alla manifestazione.
Quindi otre alle tante notizie che ho menzionato durante il percorso, ho fatto notare ai presenti, fra cui anche alcuni cittadini galatinesi che ci hanno onorato della loro presenza, che un “possidente” di Noha, vissuto al tempo della costruzione dell’Ospedale e della Basilica di Santa Caterina Novella, ha contribuito al progetto della medesima Basilica di S. Caterina con la donazione di vari terreni di sua proprietà.
Così riporta Pietro Congedo nel libro “Chiesa, convento e ospedale “S. Caterina” di Galatina, nella storia del Meridione d’Italia”. [S.l. : s.n.], stampa 2006 (Aradeo: Guido)
“Nel 1390 la costruzione della nuova casa di cura orsiniana non era stata ancora ultimata, come si evince dall’atto notarile del 28 settembre, relativo alla donazione di vari terreni effettuata da Giovanni Ciranoia di Noia (Noha) a favore di …Frà Nicola da Nardò, Guardiano Procuratore della Chiesa e spedale da farsi nuovo di S. Caterina di Galatina (v. M. Montinari, o.c., doc. n. 13 p. VIII).”
In conclusione, siamo orgogliosi di poter affermare, che anche Noha ha contribuito alla realizzazione di quella grande opera artistica orsiniana che è la Basilica di S. Caterina Novella, uno dei più insigni monumenti dell'arte romanica pugliese e gotica in Puglia, già classificata monumento nazionale di I categoria nel 1870.
P.S.: Nella Basilica sono conservati anche i 19 schienali del coro ligneo e dipinti da P. Matteo di Noha (Noha 1704 + Nardò 1728) P.Matthaeus a Noha Reform. Pingebat A.D. 1721.
Vedi: L’osservatore NOHANO 09 novembre 2008 - n°8 Anno II - su Noha.it
Marcello D’Acquarica
ott012011
Angela Beccarisi
fonte:galatina2000.it
set102022
Nell'immagine è assente P. Francesco D'Acquarica
Mamma mia come passano i secoli. Sembra ieri, e invece sono trascorsi ben due decenni (era il mese di settembre del 2002) dalla nascita di Noha.it, il blog geofilosofico di questo angolo di terra che nella sua denominazione vanta niente poco di meno che la lettera H: come quella (su, illudiamoci un po’) di Honeste vivere (uno dei tre precetti del diritto), o di Harmonium (che oltre a evocare l’idea dell’armonia è uno strumento musicale francese molto simile all’armonium), o di Habitat (quella cosa che si riuscirebbe forse a custodire un po’ senza il sistema tutto chiacchiere, sviluppo e crescita), ovvero di Humus (addirittura culturale), ma anche di Home sweet Home e di Hallo (per chi alle medie ha studiato inglese).
A tal proposito v’è da puntualizzare il fatto che, come diremo, in questi venti anni quell’H - per la fortuna di chi ne capisce e l’ira funesta di chi no – è stata tutt’altro che muta.
È ora il caso di chiarire anche che Noha.it non fu né inventato né creato dal sottoscritto, che dunque non ne è assolutamente l’azionista di maggioranza (anche perché codesto blog non ha né quote, né azioni, e per fortuna nemmeno obbligazioni), ma soltanto un intermittente benché sostanzialmente fedele collaboratore. Invece l’artefice di tutto l’ambaradan è sempre stato l’Albino Campa, esperto informatico, ideatore, e quindi patron ma decisamente non il “padron” di codesto diario elettronico comunitario, se non altro per via della diciamo usucapione ventennale da parte dei suoi venticinque lettori vicini e lontani: onde il sito de nohantri rientra ormai nel novero dei beni comuni, se non proprio demaniali.
Vero è che qualcuno vedendo che numerose fra le migliaia delle sue pagine sono inguacchiate dal risultato delle mie battute (intendo quelle su questa benedetta tastiera, non quelle di spirito) ha creduto che insomma io ne fossi il titolare effettivo, tanto che poco tempo fa, proprio nel corso della recente campagna elettorale per le amministrative galatinesi (quelle, come dicono, vinte da Pippi Calzelunghe, ora naturalizzato Pippi Carzilarghi), un signore mi chiese se per caso io fossi di “Noha-punto-it”: gli risposi laconicamente che sì, sono di Noha: ma senza punto. Punto.
Ma, detto per inciso, questo 2022 non è soltanto il ventennale di una nascita, ma anche il decennale di un trapasso, quello de “L’osservatore Nohano”, il mensile cartaceo e on-line (o forse borderline) del sito, una rivista senza interessi (solo conflitti), dai temi anacronistici (dico con il futuro incorporato), vergato talvolta con inchiostro antipatico da un gruppo di ragazzi allora come ora capaci di sognare. Requiescat in pace (quel rotocalco, non i suoi redattori).
Ma ritorniamo alla casa madre Noha.it e così agli interventi, gli articoli, i racconti, le gallerie di foto, le vignette e i video, tutti pubblicati con lo spirito partigiano per cui è meglio cambiare il paese che cambiare paese, possibilmente liberandolo dalla rassegnazione resiliente, dall’ineluttabilità di una politica acefala ma stucchevolmente furba pasticciona e forse pure affarista, dalla criminalità organizzata senza scorno, in sostanza da un capitalismo nichilista ben incravattato che, con ‘sto fatto della necessità del business, tumula i rapporti, devasta la geografia, scorda la storia, rovina la salute, privatizza il pubblico e indebita financo i nascituri.
Certamente non si fa la rivoluzione con un sito internet, ma a volte un sito internet come il Nostro, oltretutto senza Caltagironi-Cairi-Agnelli-Elkanni-et-Partiti Vari in veste di editori, e dunque sponsor, contributi, pubblicità e soldi (e già codesta gratuità suona tanto di rivoluzionario) potrebbe aiutare una comunità a riflettere, conoscersi meglio, e far venire la voglia di cercarne le radici, prendere coscienza dei grandi inganni, riscoprire e tutelare il genius loci, costituire una raccolta di dati e di notizie (già citate quali fonti di ricerca perfino nelle tesi di laurea), aprire gli occhi.
Ma non è tutto rose e fiori: è che per evitare di essere considerati soltanto (o del tutto) eretici, rompicoglioni, anarchici, senz’altro populisti, o maisia burloni fino a politicamente scorretti (rischiando raffiche di denunce e processi che manco un serial killer), ogni tanto ci tocca pure far passare i Comunicati Stampa “politici”, ultimamente a valanghe, redatti, se non tutti molti, dal Pci (none il partito comunista italiano, ma il partito conformista internazionale).
Chissà quando s’arriverà ad archiviare i tempi degli inenarrabili guitti della pOLITICA extra e intramoenia dalla sintassi impressionistica e dalla grammatica da Herpes Zoster - il cui nemico più acerrimo sembrerebbe essere non tanto la satira graffiante quanto lo specchio riflettente. Probabilmente quando tutti saremo in grado di cogliere le differenze, scongiurando il rischio di fare di tutte le erbe un fascio (littorio).
Un ventennale contro ogni Ventennio.
Antonio Mellone
ago262018
Certe volte il mio amico Dino mi mette in difficoltà. Lui, attento osservatore, ricorda tutto, i nomi delle persone, i loro gradi di parentela, la sequenza dei fatti del tempo che fu e molto altro ancora.
Io no, ma ogni tanto ci provo.
*
Dino, vale a dire Gerardo Paglialonga, è un anno più piccolo di me, ma abbiamo frequentato le stesse scuole e dunque condiviso alcuni insegnanti.
I suoi genitori erano troppo giusti, proprio dei bravi cristiani: Michelino (Pichinnànni), sempre gioviale, amico di mio padre, aveva costruito casa mia e quella di molti nohani; sua mamma, la Mimì, se n’era improvvisamente volata sulle nuvole molto prima di suo marito, quando Dino frequentava ancora le elementari.
Ricordo come fosse ieri il giorno in cui a Noha, per l’ultimo saluto alla povera Mimì, piansero pure le pietre.
Il dì dei funerali io avevo la febbre alta. Il termometro non voleva saperne di scendere al di sotto dei 40°. Per la debolezza non ce la feci nemmeno ad affacciarmi per vedere il corteo con tutti i compagni di classe che sfilavano proprio sotto la finestra della camera da letto dei miei dov’ero, nel talamo, ospite temporaneo. In quel pomeriggio con me c’era solo mio padre. Mia madre, invece, non mancò alle esequie della sua amica. Passato il feretro, e le salmodianti preghiere del parroco, mio papà si voltò verso di me e mi toccò la fronte scottante senza dire nulla. Mi accorsi che più di una lacrima aveva imperlato i suoi occhi rigandogli poi il viso.
*
Dino è un pezzo di pane. Ne ha la stessa fragranza. E non solo perché è buono come il nostro alimento per eccellenza, ma anche perché fa il fornaio ormai da tanti anni presso la Panetteria Filieri/De Donno di Noha, dalla quale ogni mattina (prima ancora del furgone che lo distribuirà alle botteghe) parte il profumo che avvolge il paese.
Compri il pane da quel forno ma non riesci a portarlo integro a casa: durante il tragitto cadi inesorabilmente nella tentazione di accaparrarti di un pizzu, la coda della baguette, o la parte più crostosa di una rosetta. Stessa sorte subiscono le altre bontà come taralli, focacce e biscotti.
*
Ma dicevo delle mie difficoltà quando m’incontro con Dino. Sì, perché a volte le sue non sono domande, ma test Invalsi a bruciapelo. Avete presente i problemi di Matematica della serie: “Sapendo che il lato minore è 9/11 del maggiore e che l’area del parallelogramma è di 594 cmq, calcola la misura delle altezze relative ai due lati”? Ecco, siamo a questi livelli. E tu ti scervelli nel trovare la soluzione con l’ausilio della calcolatrice contenuta in quell’aggeggio che un tempo si usava per telefonare, mentre Dino [che conosce già la risposta, e cioè che stavolta non c’è soluzione in quanto manca un altro dato essenziale, ndr.] ti incalza impietoso. Mannaggia sua.
Sulle prove d’Italiano cerco invece di tenergli botta, giacché su Foscolo, Manzoni e Leopardi non incontro chissà quali impedimenti - onde non ci rimane che convenire sulla bravura dell’insegnante per antonomasia, la nostra professoressa delle medie Franca Masi di Galatina, che evidentemente ha lasciato un segno positivo e indelebile in quasi tutti i suoi allievi [a questo proposito chiedo a chiunque abbia contatti con la suddetta prof. di riferirle che il suo ex-alunno Paglialunga Dino di Noha non vede l’ora di riabbracciarla, dopo giusto qualche decennio di distanza, ndr.].
Ma c’è un altro filone (stavolta non di pane) in cui Dino mi lascia letteralmente interdetto. Ed è il settore del calcio.
Ora. Come faccio a dirgli che io non ne capisco punto, che non sono tifoso di alcuna squadra, che non m’interessano gli sport praticati dagli altri (soprattutto se milionari, in mutandoni e alla rincorsa di un pallone), e che sì, possedevo la bandiera del Milan, ma sol perché mio cugino - ritornato finalmente a casa (grazie anche alla mediazione di mia madre) dopo essersene allontanato alla volta di Milano in polemica con il padre, come ogni buon figliol prodigo che si rispetti – me ne aveva portato in dono una acquistata direttamente allo stadio: ma io a quell’età non avevo ancora gli anticorpi necessari per imbastire strategie difensive contro pensieri, mode, e religioni mercatistiche soggioganti.
Sì, ok, lo ammetto, ho pure frequentato San Siro durante gli anni dell’università. Mea culpa. Però era gratis, grazie allo striscione del Milan Club di Niguarda che dovevamo esporre legato alla balaustra di una delle gradinate del Meazza; e poi questo fatto mi permetteva anche di studiare il fenomeno sociologico delle tifoserie più da vicino, anzi proprio dall’interno del campione bernoulliano di riferimento. Per essere più precisi, dalla Fossa dei Leoni del terzo anello della curva sud. Roba da Antropologia pura, anzi applicata.
*
Comunque sul calcio anche Dino, come tanti altri tifosi, ha le sue fisime: come quella di giocare ogni tanto la schedina del Totocalcio quando sa perfettamente che si tratta di un gioco d’azzardo, in quanto (come m’insegna lui medesimo) la probabilità di beccare un tredici è pari a uno fratto tre elevato alla tredicesima potenza, vale a dire un caso favorevole su oltre un milione e mezzo di casi equipossibili (1/1.594.323 per la precisione), con l’aggravante di puntare per scaramanzia, lui di fede rossonera, sempre sulla sconfitta del Milan.
Insomma qualche lato debole ce l'ha anche Dino. Per dire che non faccio solo sviolinate.
*
Per fortuna a Noha ci sono donne e uomini, come il mio amico Dino Paglialunga, che mi permettono di coltivare ancora il vizio (o la virtù) che purtroppo molti concittadini - per inerzia o assuefazione - sembra abbiano smarrito per strada: vale a dire quello di ammirare e possibilmente custodire il proprio paese e le sue persone migliori.
Antonio Mellone
mag172008
ago202019
Tranquilli, questo non è un necrologio. Anche perché per definizione Albino Campa.
Se state leggendo questo pezzo su Noha.it e/o sul profilo Nohaweb è perché da un lato sono riuscito a convincere Albino che, se anche non avesse voluto pubblicarlo sul suo sito, io l’avrei comunque postato sulla mia bacheca fb (ergo qualche internauta, e per di più nohano, prima o poi se ne sarebbe accorto), e poi perché Albino è un ragazzo intelligente, e va da sé che uno non può fare tanto il prezioso dopo aver ingoiato rospi per anni sopportando magari miriadi di comunicati stampa - tra i vuoti di contenuto e i raccapriccianti nella loro sintassi – spediti in redazione da una genia di politici, molti per fortuna ex, convinti del fatto che il rasoio di Occam sia lo strumento per depilare gambe ascelle e inguine.
Per chi ancora non lo conoscesse, Albino Campa, esperto informatico, è l’ideatore, il creatore, il patron, insomma il tutto del sito www.noha.it, partorito nel 2002 (mentre, per la cronaca, le Fette di Mellone festeggeranno il decennale l’anno prossimo, sempre se esisterà ancora la libertà di parola contraria).
Noha.it, diciamolo subito, non è una testata giornalistica, non un quotidiano on-line, né un “prodotto editoriale” ai sensi della legge sulla stampa, ma un blog aggiornato senza periodicità alcuna. È senza scopo di lucro, non riceve finanziamenti pubblici né contributi da parte di alcuno, non ha sponsor, e come potete accertarvi di persona non fa alcuna raccolta pubblicitaria (questo per dire che l’economia del dono esiste, funziona benissimo, e il suo metro è la dismisura). Non è espressione di partiti o movimenti politici (alla fazione preferisce la frazione, per dire), non ha un editore o una casa editrice alle spalle; la sua ragione sociale è la libertà di espressione, di critica e, per chi la capisce, di satira (roba che i cultori del diritto vedrebbero contemplata nella nostra Costituzione; i cultori del rovescio invece chissà dove).
A dirla tutta, per un quinquennio, precisamente dal 2007 al 2012, un periodico on-line, o meglio borderline, vale a dire semi-clandestino, è pure apparso puntualmente su questo sito: era L’osservatore Nohano, un mensile di scritti con inchiostro antipatico, perlopiù anacronistici (cioè con il futuro incorporato), ma soprattutto senza interessi (per grazia divina solo conflitti), pubblicato con lo spirito partigiano per cui è meglio cambiare il paese che cambiare paese, liberandolo possibilmente dal fatalismo, dalla rassegnazione, dall’ineluttabilità di un capitalismo che, con ‘sta storia della necessità del Pil, inaridisce i rapporti, rovina la salute, indebita perfino i nascituri.
Ebbene, senza Albino nostro tutto questo sarebbe (stato) probabilmente più difficile. Senza il suo sito geofilosofico, la sua disponibilità e la costante presenza con macchinetta fotografica e videocamera pronte a immortalare il bello e il brutto di questa terra, forse la nostra comunità avrebbe rinviato a tempo indeterminato l’attenzione nei confronti del suo genius loci, e molti concittadini perso l’occasione di cogliere il fatto che un atto di residenza non può prescindere da uno o più atti di resistenza; che il Destino non è ineluttabile se il suo lemma diventa radice del verbo Destare; che il senso cinico non può sovrastare il senso civico; e, infine, che il contrario dell’amore non è l’odio (che è una forma perversa di amore) ma l’in-differenza, perché, come diceva quello, “l’amore è imperniato sulla differenza assoluta che fa considerare unica e insostituibile la persona o l’entità amata”.
Per carità, non è che abbiamo vinto chissà quante battaglie (ché le sconfitte superano di gran lunga le vittorie), ma ciò non toglie che era e sarà ancora nostro dovere lottare per questo pezzo di geografia, e per la sua storia.
Mena, Albino, sbrigati a pubblicare questo articolo: non ti ho mica (come è poi capitato ad altri) fatto a fette.
Antonio Mellone
feb142007
Eccovi le lezioni tenute da
P. Francesco D'Acquarica - il 29 gennaio 2007
e da
Antonio Mellone - il 1 febbraio 2007
davanti a vasta e competente platea, nel ciclo di lezioni dell'Anno Accademico 2006-2007 dell'Università Popolare "Aldo Vallone" di Galatina, nei locali del Palazzo della Cultura, in piazza Alighieri, cuore di Galatina.
E' ora che la nostra storia varchi i confini e gli ambiti più strettamente "provinciali".
1)Lezione di P. Francesco D'Acquarica
Lunedi scorso da questa stessa “cattedra” ha parlato P. Francesco D’Acquarica. Il quale m’ha riferito di aver preparato la sua lezione con slides e foto che poi per questioni tecniche non ha potuto utilizzare.
Oggi chi vi parla, non disponendo,… anzi - diciamo tutta la verità - non avendo tanta dimestichezza nemmeno con quella diavoleria elettronica altrimenti chiamata Power Point, non ha preparato slides, né foto, non vi farà provare l’ebbrezza di effetti speciali (a prescindere dal loro funzionamento) e non vi proietterà nulla. E dunque, pur avendo oltre trenta anni di meno di P. Francesco, essendo molto meno tecnologico di P. Francesco, dimostrerà, con questo, come la storia a volte… possa fare salti indietro.
*
Quindi da un lato non vi proietterò nulla; dall’altro vi chiederò uno sforzo di immaginazione (ma alla fine vi suggerirò un supporto, uno strumento portentosissimo per fissare, per memorizzare quanto sto per dirvi. Poiché come diceva il padre Dante “… Non fa scienza, sanza lo ritener l’aver inteso”. La scienza è cioè contemporaneamente “comprensione” e “memoria”. Sapere le cose a memoria senza averle capite non serve a nulla; ma non serve a nulla nemmeno comprendere e non ricordarle! Cioè se uno intende, comprende, ma non ritiene, cioè non memorizza, è come se non avesse fatto nulla: o meglio non ha – diciamo – aumentato la sua scienza).
*
Questa sera cercheremo però in un modo o nell’altro di fare un viaggio nel tempo e nello spazio. E’ come se questa stanza si trasformasse in una macchina del tempo (ma anche dello spazio: ma non un’astronave!) che ci porti indietro nel tempo, nella storia, ma anche nella leggenda, nella favola, poiché, sovente, là dove scarseggia la documentazione, là dove il piccone dell’archeologo tarda a farsi vivo, è necessario supplire con altri dati, in molti casi con delle “inferenze” (che non sono proprio delle invenzioni) ma, diciamo, delle ipotesi ragionevoli.
Così dice il Manzoni nel capitolo XIII, allorché parla dello sventurato vicario – poi, bene o male, salvato, dalla inferocita folla, da Antonio Ferrer – “ Poi, come fuori di se, stringendo i denti, raggrinzando il viso, stendeva le braccia, e puntava i pugni, come se volesse tener ferma la porta… Del resto, quel che facesse precisamente non si può sapere, giacché era solo; e la storia è costretta ad indovinare. Fortuna che c’è avvezza.”
La storia è costretta ad indovinare; la storia s’inventa sovente le cose: fortuna che c’è avvezza.
La storia è avvezza ad inventar le cose!
E se lo dice il Manzoni stiamo tranquilli.
Dunque a volte nella storia può funzionare (e funziona: tranne che per qualche sofisticato prevenuto o per chi voglia leggere la storia con pretese inutilmente tormentatrici) la “ricerca interpretativa”; quella, per esempio, che porta un autore a dire esplicitamente quello che non ha detto, ma che non potrebbe non dire se gli si fosse posta la domanda.
Così in mancanza di documentazione la storia può servire non a darci delle risposte, ma a farci porre delle domande.
Le risposte ragionevoli a queste domande altro non sono che la costruzione della storia, nella quale – come dice Antonio Antonaci - il territorio, il folclore, la trasmissione orale, il dialetto, il pettegolezzo finanche, la leggenda il dato antropico, quello religioso, quello politico, ecc., si intersecano, uno complemento dell’altro…
E’ ormai pacifica un’altra cosa: lo storico, nelle sue ricostruzioni, inserisce il suo punto di vista, la sua cultura, finalità estranee ai testi ed ai fenomeni osservati. Per quanto cerchi di adattare il suo bagaglio concettuale all’oggetto della ricerca, lo storico riesce di rado a sbarazzarsi del filtro personale con cui studia le cose.
*
Ma prima, di procedere in questo viaggio fantastico, visto che vedo qualche volto perplesso (della serie: a che titolo questo sta parlando?) volevo dirvi chi è l’autista di questo autobus, chiamiamolo pure pulman turistico diretto verso Noha: la guida, se volete, di questa sera.
Dunque mi presento intanto dicendovi che sono Antonio Mellone. E su questo non ci piove.
E poi come constato con piacere, in mezzo a voi questa sera ci sono tanti miei cari ed indimenticati maestri che mi hanno avuto alunno alle scuole superiori: oltre al prof. Rizzelli, vedo la prof.ssa Benegiamo, la prof.ssa Baffa, la prof.ssa Giurgola, il prof. Carcagnì, la prof.ssa Tondi, la prof.ssa Masciullo, il prof. Beccarrisi, il prof. Bovino conterraneo, il preside Congedo, vedo l’ing. Romano, e tanti altri illustri professori delle medie, dei licei, della ragioneria ed anche dell’Università di Lecce, come il prof. Giannini, che ringrazio per le parole a me indirizzate. Sicché stasera più che in cattedra, mi sento interrogato, diciamo.
Grazie per l’onore che mi concedete nel parlare a voi, siate indulgenti con me, come tante volte lo siete stati allorché sedevo … dall’altra parte della cattedra!
*
Dunque per chi non mi conoscesse…
Sono di Noha, 39 anni, laurea cum laude in Economia Aziendale presso la Bocconi di Milano, dottore commercialista e revisore ufficiale dei conti, attualmente impiegato alle dipendenze di un importante istituto di credito (importante è l’istituto di credito: non io!) con la carica di Direttore della filiale di questa banca in quel di Putignano, in provincia di Bari.
Ecco: finora questi dati sono soltanto serviti a confondervi ulteriormente le idee, perché da subito spontanea sorge in voi la domanda: e questo Mellone cosa c’azzecca con la storia di Noha?
Allora aggiungo qualche altro dato: e vi dico che sono di Noha e che quell’Antonio Mellone che scrive su “il Galatino” (e gli argomenti nella maggior parte dei casi vertono su temi nohani) da ormai oltre 10 anni, è il sottoscritto.
Non solo, aggiungo e quadro il cerchio, dicendovi che ho curato e scritto insieme a P. Francesco D’Acquarica per l’editore Infolito Group di Milano nel mese di maggio 2006, il libro “Noha. Storia, arte, leggenda”, sul quale ritornerò qualche istante alla fine della nostra conversazione.
Fatta tutta questa premessa di carattere metodologico (che se volete potete considerare pure come “excusatio non petita”) entriamo nel vivo della discettazione, o lectio, o “lettura” che dir si voglia (così come un tempo veniva chiamata una lezione universitaria).
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Per la Storia di Noha, questa sera, non faremo un exursus: salteremo da palo in frasca, parleremo di tutto di più, ma vedrete che, senza dirvelo, un filo conduttore, un disegno, fra tutte queste disiecta membra ci sarà.
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La prima domanda che sento rivolgermi da tutti quelli con cui discetto di Noha è la seguente: da dove deriva questo nome?
Risposta a voi qui presenti: ve ne ha già parlato P. Francesco D’Acquarica lunedì scorso.
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Una curiosità intanto: sapete cosa significa Noha nell’arcaico linguaggio degli indiani d’America? Il lemma “Noha” significa: auguri di prosperità e gioia. L’ho scoperto sentendo un CD dal titolo The sacred spirit - Indians of America. Collezione Platinum Collection 2005. Quindi a qualcuno se volete augurare salute, prosperità e gioia, d’ora in avanti, al compleanno, a Natale o al compleanno, potete dirgli “Noha”. Noha: e non sbagliate!
* * *
P. Francesco la volta scorsa vi ha parlato di una serie di ipotesi a proposito del nome Noha. Io questa sera vi racconto un mito: quello della principessa Noha, che poi avrebbe dato il nome al nostro paese, che prima si chiamava NOIA..
… Noha era una bellissima principessa messapica, che per amore di un giovane principe-pastore, Mikhel, principe di Noia, si stabilì in quel paese cui poi diede il nome.
*
Nei campi dell’antica Messapia, per una traccia di sentiero, segnata da innumerevoli piedi nudi tra le erbe, (solo le più abbienti portavano i calzari) le donne messapiche, sguardo fiero di occhi neri e pelle bruna, capelli lucidi aggrovigliati e andatura energica, portavano con sé panieri pieni di cicorie e formaggio.
Andava, sì, scalza, anche la principessa Noha, mentre le piante dei piedi si espandevano illese sul sentiero, ma il suo portamento, il piglio, il tintinnio dei suoi monili e la cura con cui annodava i capelli e li fermava con cordelle di seta colorata, manifestavano la sua origine regale, nonché la sua voglia di essere bella.
Quando fu il tempo deciso dal re suo padre, Noha si trovò a dover scegliere quale compagno di vita uno fra i molti pretendenti invitati a palazzo…
Ogni pretendente portò con se un dono, secondo le proprie possibilità. Ora, uno portò collane di diamanti costosissime, un altro un anello d’oro molto prezioso, un altro ancora in dote avrebbe portato terreni e palazzi…
Ma la saggia principessa Noha, fra i tanti corteggiatori, per condividere la sua vita, scelse Mikhel, principe di Noia, che le aveva portato in dono solo ciò di cui egli era dotato: e cioè il sorriso, la gentilezza, la semplicità, il rispetto dell’ambiente, l’altruismo, la gratitudine, il senso del dovere e tutto quanto fa vivere in armonia con se stessi, con gli altri e con il creato. Noha reputò che questo era un vero e proprio scrigno di tesori.
Noha rinuncia così per amore allo sfarzo ed agli agi del castello della “Polis” di suo padre (che viveva nella importante città di Lupiae), vivendo felice e contenta nella cittadina del suo Mikhel.
Mikhel e Noha celebrarono le loro nozze a palazzo reale, ma poi vissero la loro vita coniugale nella piccola Noia, nella semplicità, nella concordia e nell’armonia e la governarono così bene da rendere tutti felici e contenti.
Fu così che il popolo, grato, scelse democraticamente di cambiare il nome della cittadina da Noia in Noha.
* * *
Ora allacciate ben bene le cinture di sicurezza: andiamo finalmente a Noha!
La volta scorsa avete avuto modo di conoscere la chiesa piccinna, il Pantheon della Nohe de’ Greci, una chiesa che si trovava proprio in centro, accanto alla chiesa madre, dedicata a san Michele, patrono di Noha.
Questa chiesa piccinna era dedicata alla Madonna delle Grazie, compatrona di Noha, e presentava all’interno degli affreschi. Non esistono delle foto che la ritraggono nella sua interezza: ma soltanto dei disegni di chi la ricorda bene, e qualche foto di piccoli brani dell’interno e dell’esterno di questo monumento.
Era di forma ottagonale. Io non l’ho mai vista (se non in disegno e nelle foto di cui dicevo).
Ma se vi volessi dare una mano o qualche idea ad immaginarla, vi direi che era molto somigliante alla vostra chiesa delle anime (aveva una cupola, però, con dei grandi finestroni).
Ma questo monumento non c’è più: abbattuto, come molti altri…
Ma è inutile ormai piangere sul monumento abbattuto, così come è inutile piangere sul latte versato. Ma questo non è l’unica chiesa abbattuta. Le chiese di Noha abbattute furono molte… Ve ne ha già parlato P. Francesco…
Ma non vi preoccupate. Non sono state abbattute proprio tutte. Qualcuna rimane ancora e qualcun’altra è stato costruita ex novo.
Oggi ne rimangono in piedi, (molte rifatte ab imis) - oltre alla chiesa Madre, dedicata a San Michele Arcangelo, la chiesa della Madonna delle Grazie inaugurata nel 2001, la chiesa di Sant’Antonio di Padova, (che per la forma ricorda in miniatura la basilica del Santo a Padova), la chiesa della Madonna di Costantinopoli, e la chiesa della Madonna del Buon Consiglio e la grande chiesa del cimitero, il quadro del cui altare maggiore, ricordo da ragazzino allorchè ero chierichietto, rappresentava la Madonna del Carmine.
Ma questa sera non voglio portarvi in giro per chiese… che magari vedremo una prossima volta.
*
Ma si diceva: un tempo le persone non capivano erano iconoclaste incoscientemente; non si dava importanza ai beni culturali, si abbatteva tutto con facilità.
Può darsi.
Ma questo poteva essere vero quaranta o cinquanta anni fa.
Ma oggi?
Un delitto contro la cultura e la storia, lo stiamo compiendo noi (non il tempo!) oggi: nel 2007! Noi di Noha; voi di Galatina: anche voi che mi state ascoltando, nemmeno voi ne siete esentati.
Perché? Perché tutti siamo responsabili di qualcosa.
Per esempio siamo responsabili se non conosciamo questi luoghi e questi fatti che si trovano ad un fischio da noi. Dovremmo cioè smetterla di pensare al mondo, solo quando al mondo capita di transitare dal tinello di casa nostra!
Il piccone della nostra ignavia si sta abbattendo giorno dopo giorno su quale monumento? Sulla torre medievale di Noha.
Si, perché, signori, se non lo sapete a Noha c’è una torre medioevale le cui pietre gridano ancora vendetta. E questa torre si trova proprio in centro. Dentro i giardini del castello.
*
Al di là di un muro di cinta, in un giardino privato (ma trascurato: quindi non sempre il privato è meglio del pubblico), dunque in un giardino tra alberi di aranci mai potati. Questa torre si regge ancora, da settecento e passa anni, come per quotidiano miracolo: la torre medioevale di Noha, XIV secolo, 1300.
Da quella torre, addossata al castello, riecheggiano ancora le voci lontane di famiglie illustri nella vita politica del mezzogiorno d’Italia. A Noha abitarono i De Noha, famiglia nobile e illustre che certamente ha avuto commercio con i Castriota Scanderbeg e gli Orsini del Balzo, signori di San Pietro in Galatina (città fortificata chiusa dentro le sue possenti mura), ma anche con Roberto il Guiscardo e chissà forse con il grande Federico II, l’imperatore Puer Apuliae, che nel Salento era di casa.
Da Noha passava una strada importante, un’arteria che da Lecce portava ad Ugento, un’autostrada, diremmo oggi, che s’incrociava con le altre che conducevano ad Otranto sull’Adriatico o a Gallipoli, sullo Ionio.
Da Noha passarono pellegrini diretti a Santa Maria di Leuca e truppe di crociati pronti ad imbarcarsi per la terra santa, alla conquista del Santo Sepolcro…
La sopravvivenza stessa e lo sviluppo dell’antico casale di Noha debbano molto a questa torre di avvistamento e di difesa, situata su questo asse viario di cui abbiamo già parlato (così come riconoscenti ai loro edifici fortificati devono essere Collemeto e Collepasso; mentre a causa della mancanza di tali strutture difensive vita breve ebbero i casali di Pisanello, Sirgole, Piscopio e Petrore).
La “strada reale di Puglia” ed in particolare la sua arteria che congiungeva Lecce ad Ugento, nata su un tracciato di strada preromana, aveva proprio nelle alture di Noha e Collepasso, e nelle rispettive torri, due punti strategici di controllo e difesa del percorso.
Come si presenta dal punto di vista architettonico?
La torre di Noha, che raggiunge i dieci metri d’altezza permettendo così il collegamento a vista con le altre torri circostanti, si presenta composta da due piani di forma quadrangolare. Una bella scala in unica rampa a “L” verso est, poggiata su un arco a sesto acuto, permetteva l’accesso alla torre tramite un ponte levatoio (una volta in legno oggi in ferro).
La torre è stata realizzata con conci di tufo regolari, un materiale che ha permesso anche un minimo di soluzioni decorative: la costruzione infatti è coronata da un raffinata serie di archetti e beccatelli.
Dei doccioni in pietra leccese permettevano lo scolo dell’acqua della terrazza (con volta a botte).
*
Chiuso anche questo argomento della torre.
* * *
Nel complesso del castello si trovano (oltre al castello stesso: ma di questo non ve ne parlo) altri monumenti: il primo è curiosissimo. Si tratta delle “casette dei nani o degli gnomi”, anche queste un mistero. (Il secondo è un ipogeo; il terzo la “casa rossa”)
Le casette dei nani.
Le avete mai viste? Qualcuno di voi le ha mai viste? Sapete cosa sono? E dove si trovano?
E’ una specie di villaggio in pietra leccese, un capolavoro di architettura, fatto di tante casette piccole, che sembrano tante case dei nanetti. Si trovano sulla terrazza di una casa che fa parte del complesso del castello di Noha. Una delle case dove abitavano i famigli, i servi dei signori del palazzo.
Il villaggio di Novella frazione di Nove è fatto di casette piccine e leggiadre: un piccolo municipio, la piazzetta, la chiesetta con un bel campanile, la scuola, la biblioteca, le casette degli altri gnomi, il parco dei giochi, ecc.
Nel paese di Novella non vi erano mega-centri commerciali, aperti sette giorni su sette e fino a tarda ora; ma negozietti e botteghe a misura d’uomo… anzi di gnomo… di gnomo.
Così, da basso (lasciando alle spalle la farmacia di Nove) basta alzare lo sguardo e tra la folta chioma di un pino marittimo, si riesce ad intravedere il campanile ed il frontespizio di una “casetta” dalla quale sporge un balconcino arzigogolato, finemente lavorato.
Ma per poter vedere tutto quanto il paese di Novella bisogna salire sulla terrazza di quella casa - chiedendo il permesso alle gentilissime signore che attualmente abitano il primo piano del castello.
Quando passate da Noha, fermatevi un attimo ad ammirare i resti di queste casette. Sono ricami di pietra, lavoro di scalpellini e scultori che hanno creato opere d’arte. Anche queste casette-amiche ci chiedono di essere restaurate.
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Ora facciamo quattro passi a piedi (abbiamo lasciato il nostro pulman virtuale) e attraverso via Castello dirigiamoci verso il centro della cittadina.
Stiamo calpestando un luogo antico ed un manto stradale che cela un sotterraneo: è un ipogeo misterioso.
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Nella primavera del 1994 a Noha, fu una ruspa, impegnata in lavori alla rete del gas metano, durante lo scavo di una buca, sfondandone improvvisamente la volta, a portare alla luce un mondo sotterraneo, un ipogeo misterioso di notevoli dimensioni.
Il gruppo speleologico leccese "'Ndronico" invitato dall’allora sindaco prof. Zeffirino Rizzelli, provvide alla perlustrazione, ai rilievi ed alle analisi di quegli antri. E conclusero che si era in presenza di un reperto di archeologia industriale di Terra d'Otranto: un frantoio ipogeo.
Concordo con questa conclusione e con la relazione degli speleologi. Però aggiungo che è proprio della scienza la ricerca continua di elementi che possano confutare o confermare una tesi.
La tesi in questo caso è quella della vox populi che narra di un passaggio segreto in grado di collegare il palazzo baronale di Noha con la masseria del Duca nell'agro di Galatina.
E come in molti altri Castelli italiani o stranieri avviene, è ragionevole ipotizzare che anche in quello di Noha possano esserci anfratti, nascondigli, passaggi, dei trabucchi, carceri e bunker sotterranei, al riparo da occhi indiscreti, o di difesa dalle armi nemiche, o assicurati contro facili evasioni, o in grado di imporre dura vita ai prigionieri.
Vi sono in effetti alcuni elementi contenuti nella relazione e confermati da una nostra visita che abbiamo avuto la fortuna di compiere proprio in questo ipogeo, durante l'estate del 1995, insieme ad un gruppo di amici (tra i quali P. Francesco D'Acquarica: non pensavamo dieci anni fa di scrivere un libro a quattro mani) elementi, dicevo, che fanno pensare che ci sia un collegamento tra il Palazzo Baronale, l'adiacente Torre medioevale, l'Ipogeo stesso e chissà quali altri collegamenti.
Dalla relazione degli speleologi si legge: "sul lato Nord si diparte un corridoio che, dopo alcuni metri, si stringe e permette di accedere ad un pozzo d'acqua stagnante sotto una pittoresca piccola arcata bassa, di elegante fattura e dolcemente modellata e levigata, dinanzi alla quale siamo costretti a fermarci…". Poi ancora un altro brano dice: "…la pozza sull'altra sponda presenta una frana in decisa pendenza accumulata fino alla sommità superiore di un arco ogivale che a sua volta sembrerebbe nascondere un passaggio risalente in direzione del Palazzo Baronale..". In un altro stralcio leggiamo: " …esiste un cunicolo a Sud. Tale galleria risulta riempita, al pavimento e sino ad una certa altezza, di terriccio, per cui abbiamo proceduto carponi. Il corridoio di mt. 11,00 circa, largo mt. 1,10 ed alto nel punto massimo mt. 1,30, mette in comunicazione i due ipogei, come se il primo volesse celare il secondo in caso di assedio…". Infine in un altro pezzo è scritto: "Ripartendo dalla scalinata Sud ed inoltrandoci nella parte destra, a circa 6,00 mt., vi è un tratto di parete murata come se si trattasse di una porta larga circa mt. 1,30…"
Dalle mappe abbozzate risultano a conferma "porte murate", "probabili prosecuzioni", "cunicoli da utilizzare in caso di assedio".
Se questi elementi da un lato, non dandoci certezze, ci permettono di fantasticare e nutrire mitiche leggende di "donne, cavallier, arme e amori” o il mito dell’Atlantide sommersa proprio a Noha; dall'altro potrebbero servire agli addetti ai lavori, agli studiosi, per proseguire, nella ricerca di altre tessere importanti del mosaico di questa storia locale. Per ora questo ipogeo è chiuso e dimenticato da tutti.
*
Un altro mistero. Vedete quanti misteri. Questa sera più che Antonio Mellone sembro Carlo Lucarelli, con la sua trasmissione Bluenotte, quella che va in onda su Rai tre.
Ora un cenno ad un altro mistero, un monumento: la Casa Rossa.
La Casa Rossa è una costruzione su due piani, che un tempo era parte del complesso del palazzo baronale di Noha (o Castello). E’ così chiamata a causa del color rosso mattone delle pareti del piano superiore. La Casa Rossa ha qualcosa che sa di magico: è un’opera originale e stravagante.
Da fuori e da lontano, dunque, si osserva questa specie di chalet, rosso, dal soffitto in canne e gesso, con tetto spiovente (cosa rara nel Salento), con due fumaioli, una tozza torre circolare, a mo’ di garitta a forma di fungo, con piccole finestre o vedute.
L’ingresso alla Casa Rossa si trova sulla pubblica strada, continuazione di Via Michelangelo, nel vico alle spalle della bella villa Greco (oggi Gabrieli).
Il piano terra invece pare ricavato nella roccia: all’interno si ha l’impressione di vivere in una grotta ipogea, scavata da una popolazione africana. Le pareti in pietra, prive di qualsiasi linearità, hanno la parvenza di tanti nidi di vespe, con superfici porose, spugnose, completamente ondulate, multicolori (celestino, rosa e verde), ma dall’aspetto pesante: somigliano quasi a degli organismi naturali che sorgono dal suolo.
In codesta miscela d’arte moderna e design fiabesco, ogni particolare sembra dare l’idea del movimento e della vita.
I vari ambienti sono illuminati dalla luce e dai colori che penetrano dalle finestre e dalle ampie aperture da cui si accede nel giardino d’aranci.
In una sala della Casa Rossa c’è un gran camino, e delle mensole in pietra.
In un’altra v’è pure una fonte ed una grande vasca da bagno sempre in pietra, servite da un sistema di pompaggio meccanico (incredibile) dell’acqua dalla cisterna (cosa impensabile in illo tempore in cui a Noha si attingeva con i secchi l’acqua del pozzo della Trozza o dalla Cisterneddhra, che sorgeva poco lontano dalla Casa Rossa, mentre le abluzioni o i bagni nella vasca da bagno, da parte della gente del popolo, erano ancora in mente Dei).
Le porte interne in legno, anch’esse, come le pareti, sembrano morbide, come pelle di vitello. Il cancello a scomparsa nella parete e le finestre che danno nel giardino sono grate in ferro battuto e vetro colorato. I vetri (quei pochi, purtroppo, superstiti) rossi, blu e gialli ricordano per le loro fantasie iridescenti le opere di Tiffany.
Al piano superiore si apre un ampio terrazzo, abbellito con sedili in pietra, che permetteva di godere del panorama del parco del Castello o del fresco nelle calde serate estive.
Ma cosa possa, di fatto, essere la Casa Rossa (o a cosa potesse servire) rimane un mistero.
Alcuni la ritengono come il luogo dove venivano accolti gli ospiti nel periodo estivo, del solleone; altri come la casa dei giochi e degli svaghi della principessina (proprio come era la Castelluccia che si trova nel parco della Reggia di Caserta); altri ancora ipotizzano che si tratti di un “casino” di caccia.
Qualcuno maliziosamente afferma che fosse adibita a casa di tolleranza.
Le leggende sul conto della Casa Rossa s’intrecciano numerose: storie di spiriti maligni e dispettosi, di persone che sparivano inspiegabilmente, di briganti che là avevano il loro quartier generale, di prigionieri detenuti che nella Casa scontavano, castighi, torture, o pene detentive.
Qualcuno azzarda anche l’idea che fosse abitata dalle streghe, o infestata dai fantasmi; qualcun altro dice addirittura che fosse occupata dal diavolo in persona (per cui un tempo la Casa Rossa di Noha era uno spauracchio per i bambini irrequieti)…
* * *
La Casa Rossa di Noha a me sembra un vero e proprio monumento in stile Liberty.
Il Liberty è il complesso e innovativo movimento stilistico europeo che si diffuse tra il 1880 e il 1910.
Elemento dominante di questa “moda” sono le linee curve ed ondulate, spesso definite con l’espressione coup de fouet (colpo di frusta), ispirate alle forme sinuose del mondo vegetale e combinate ad elementi di fantasia. Non fu un unico stile: ogni nazione lo diversificò, lo adattò, lo arricchì secondo la propria cultura.
Il modernismo o arte nuova (art nouveau) toccò anche Noha e Galatina. E la Casa Rossa, quindi, costruita con molta probabilità tra l’ultimo ventennio del 1800 ed il primo del 1900, è la massima espressione di quest’epoca, che diventerà in francese belle epoque, in nohano epoca beddhra.
*
Allora vi ho parlato fino a questo momento di monumenti. Vi avrei potuto parlare dei personaggi di Noha. Ce ne stanno. Ce ne stanno. E molti pure!
Se vi va lo faremo una prossima volta.
Ora permettetemi solo di fare un cenno ad un solo personaggio di Noha, scomparso recentissimamente. Lo merita. E’ venuto a mancare a Firenze all’età di 53 anni. Era un artista. Un grande.
Era il grande Gino Tarantino, architetto, scultore, pittore, fotografo: un maestro, un esteta.
Ha vissuto gli anni della giovinezza a Noha e dopo ha studiato architettura a Firenze, dove è rimasto e dove ha creato la maggior parte delle sue opere d’arte. Originali e geniali. Gino Tarantino era un artista, ma, prima di tutto, un uomo intelligente e sensibile. Un uomo che ha dato lustro a Noha ed al suo Salento (la sua opera fu perfino pubblicata da “Flash-art”, rivista d’arte e cultura, conosciuta in tutto il mondo, se non altro dagli addetti al settore)…
Qualcuno lo definiva un tipo “eccentrico”.
Io l’ho conosciuto nel corso della scorsa estate. Gino Tarantino aveva piacere di trascorrere le vacanze a Noha, nella sua terra natale, ne amava il sole, il mare, la luce ed in fondo anche la gente. Colse molti volti salentini, specialmente di adolescenti e giovani. Creava e lavorava anche in vacanza: disegnava, fotografava, impastava, scolpiva, plasmava.
Creava. Elaborava interiormente immagini su immagini.
Era il Gaetano Martinez di Noha.
Diciamo che era un tipo originale, anticonformista, estroso, creativo, uno spirito libero, uno che volava alto con il pensiero, non influenzato dalla banalità delle immagini televisive (“non ho la televisione. Non ho neanche un’antenna” – diceva. E veramente, nemmeno la macchina e nemmeno la patente: per scelta di vita).
Era cordiale, sorridente e (anche a detta di molte donne) un tipo affascinante.
Le sue opere stupiscono e incantano, seducono ancora e riescono, con combinazioni inedite di elementi noti, a dare idea di quanto la mente umana sia in grado di inventare.
Con la sua arte e le sue capacità intellettive ha lottato per integrarsi in quel mondo (chi è del giro sa) così duro e ristretto degli artisti, e delle gallerie; un campo difficile, e ancor peggio, in una città come Firenze: culla dell’Arte Italiana.
Uno spirito così libero ed estroverso come Gino non avrebbe mai accettato di fare altro. A volte partecipava a progetti di architettura (ha arredato case di illustri personaggi a Roma, a Parigi, in Spagna ecc.) ma esclusivamente per ragioni economiche: preferiva dedicare il suo tempo e le sue energie alle sue sculture, alle sue opere la cui rendita economica, come sempre accade per l’arte in genere, si proietta quasi sempre in un futuro estremo.
Ci auguriamo che quanto prima molte sue opere rimesse sul vagone (anzi su più di un vagone) di un treno tornino a Noha. E che presto trovi giusta collocazione nella storia, nell’arte e nella leggenda anche Gino Tarantino e la sua opera, finalmente catalogata e rivalutata.
Purtroppo, dobbiamo constatare ancora una volta che anche per Gino Tarantino vale la legge della morte quale condizione necessaria per l’immortalità della fama!
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A mo’ di notizia in anteprima (questa non è storia, non è attualità è futuro… prossimo) vi comunico che con un gruppo d’amici abbiamo dato vita ad una redazione che sta per dare alla luce un nuovo periodico (di cui non conosciamo, pensate un po’, neanche la periodicità!) on line dalla testata che suona così: L’osservatore NOHANO. Somiglia per assonanza, ma solo per assonanza all’altra testata ben più famosa: l’organo della Santa Sede. Ma rispetto a quello il nostro è di matrice puramente laica. Rispetteremo la chiesa cattolica così come rispetteremo, né più né meno, le altre Istituzioni.
Abbiamo dedicato il primo numero a Gino Tarantino, del quale vorremmo poter emulare la libertà del pensiero e dell’azione (sempre nel rispetto degli altri, s’intende). Potete accedere al nostro osservatore attraverso il sito www.Noha.it e buona navigazione. Come dicevo non sappiamo dove tutto questo potrà portarci: a noi interessa partire con entusiasmo e dirigerci ed andare là dove ci porterà il cuore.
* * *
Lo strumento portentosissimo di cui vi parlavo all’inizio di questa mia relazione che volge al termine (vi ricordate quando dicevo: non fa scienza sanza lo ritener l’aver inteso?), dunque questo strumento è (non poteva essere altrimenti) un libro. Il libro scritto a quattro mani dal sottoscritto e da Padre Francesco: il titolo: “Noha. Storia, arte e leggenda”. Un libro prezioso, per il contenuto, e pregiato per il contenitore. Che questa sera chi lo volesse potrebbe farlo ad un prezzo speciale. Prezzo speciale Università Popolare 30 euro, anziché 35.
Ma non voglio fare la Vanna Marchi della situazione. E non vorrei approfittarne. Se lo volete me lo chiedete. Altrimenti non fa nulla.
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Cari amici concludo.
Questa sera vi ho parlato di Noha.
Ve ne ho parlato per contribuire solo un poco alla sua conoscenza. Perché si sa che la conoscenza è condizione necessaria (e sufficiente, dico io) per il rispetto e per l’amore dei luoghi, delle persone e della loro storia.
La conoscenza ci rende un po’ più umili. E l’umiltà ci permette non di giudicare, non di guardare dall’alto verso il basso, ma di guardare dentro, di sintonizzarci, di imparare, di capire, di rispettare.
Solo con questi atteggiamenti miglioreremo: e staremo bene con noi stessi e con gli altri.
Mi auguro che non pensiate soltanto che Noha sia come la cronaca nera ci fa leggere sui giornali soltanto la cittadina della mafia o della sacra corona unita. Non è questo. Non è solo questo. Come ho cercato di raccontarvi fino a questo momento.
Mi auguro dunque alla fine che amiate un po’ di più Noha, i suoi monumenti, la sua storia, i suoi abitanti, e - se questa serata non v’è dispiaciuta affatto – anche chi vi ha parlato finora, tenendovi incollati o inchiodati alla sedia.
Se invece fossi riuscito soltanto ad annoiarvi: guardate non l’ho fatto apposta!
Grazie.
gen202011
In Viaggio tra i Beni Culturali di Noha 1a parte. Una produzione InOndAzioniTV in collaborazione con l'osservatore Nohano.
La 1° puntata dedicata alla scoperta di un vecchio menhir e dell'antica Masseria Colabaldi.
ott172015
Eccome se ci dispiacerà quando, tra un paio d’anni (posto che non lo facciano fuori prima), questo papa si dimetterà per tornarsene nella sua Argentina a vivere da povero. A maggior ragione se i cardinaloni, scottati dal ciclone Francesco, nomineranno un papa pompiere, buono a spegnere i bollenti spiriti (anzi lo Spirito tout court), facendo evaporare l’ebbrezza delle novità bergogliane e riportando le lancette dell’orologio ecclesiastico indietro nel tempo, possibilmente ad una data antecedente all’apertura del Concilio Vaticano II (insabbiato di fatto da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI).
Però non siamo così ingenui da pensare che un papa faccia primavera (come la rondine del famoso adagio), o che Francesco sia un pontefice rivoluzionario, e che dunque da un giorno all’altro preti o monsignori potranno sposarsi (con un uomo o magari con una donna), oppure che le donne potranno accedere all’ordinazione sacerdotale o episcopale, o che la gerarchia venga abolita insieme a titoli onorifici, appellativi, e ordinariati militari (e con essi, dunque, quegli ossimori vergognosi rappresentati dai preti militari o dai vescovi generali di corpo d’armata con tanto di stipendio da parte del ministero della difesa), o che si accetti il testamento biologico, o che dal sinodo sulla famiglia esca fuori chissà cosa [cfr. a questo proposito il nostro “Un questionario papale” apparso su Noha.it del 10/12/2013]; né si può pretendere che in tutte le parrocchie sia chiara la portata di certe aperture (figurarsi: molti preti con pecorelle di complemento al seguito vivono come se Francesco non ci fosse. O nonostante la sua presenza). E poi, detto tra noi, una rivoluzione per definizione non può mai partire dall’alto.
E’ che non possiamo non rallegrarci quando le parole della sua enciclica infastidiscono gli ambienti clericali e conservatori e innervosiscono i poteri economici internazionali, o quando, come il 21 giugno 2014, in Calabria, Francesco scomunica la mafia con parole pesantissime mai pronunciate da alcuno dei suoi predecessori (che avevano solo blaterato qualcosa in merito, ma mai “scomunicato” come parresìa comanda) o quando il papa stigmatizza il lusso e gli onori di alcuni ecclesiastici (parlammo di codesti teatrini clericali in un nostro articolo dal titolo “Nunzio vobis”, apparso su questo sito non più tardi dell’11 settembre 2014, rischiando la scomunica), o quando vengono finalmente riabilitati degli eccellenti teologi allontanati dall’insegnamento (qualche anno fa, non secoli fa) e dunque perseguitati per le loro idee “progressiste”, o quando scopriamo che le parole del nostro amico Fra’ Ettore Marangi, profeta e prete scomodo, sono più “moderate” di quelle dell’attuale romano pontefice…
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Ma torniamo alle battute conclusive della “Laudato sì” e dunque all’epilogo di questa nostra recensione a puntate.
“Il principio della massimizzazione del profitto che tende a isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione concettuale dell’economia: se aumenta la produzione, interessa poco che si produca a spese delle risorse future o della salute dell’ambiente; se il taglio di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o aumentare l’inquinamento” (tratto dal punto 195, pag. 160, “Laudato sì” di papa Francesco, Ancora, Milano, 2015). Invece oggi si parla ancora di Pil, di crescita, di aumento della produzione, e altre scemenze del genere, come la panacea di tutti i guai (nel nostro piccolo ne parlammo anche noi, non in qualche nostra enciclica – non ne avremmo le carte per scriverne – ma più modestamente sull’osservatore Nohano. Cfr. i nostri “Mamma li turchi”, editoriale L’O. N., n. 6, anno III, 9 ottobre 2009, e anche “Frugalità Nohana”, editoriale L’O. N., n. 10, anno II, 9 gennaio 2009).
“Se una persona, benché le proprie condizioni economiche le permettano di consumare e spendere di più, abitualmente si copre un po’ invece di accendere il riscaldamento, ciò suppone che abbia acquisito convinzioni e modi di sentire favorevoli alla cura dell’ambiente. E’ molto nobile assumere il compito di avere cura del creato con piccole azioni quotidiane, ed è meraviglioso che l’educazione sia capace di motivarle fino a dar forma ad uno stile di vita. L’educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via.” (tratto dal punto 211, pag. 173, ibidem, la sottolineatura è nostra). Ecco come si potrebbe passare dalle virtù teologiche alle virtù ecologiche, dalla teoria alla pratica.
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“La crisi ecologica è un appello a una profonda conversione interiore. Tuttavia dobbiamo anche riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera, con il pretesto del realismo e del pragmatismo, spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti. Manca loro dunque una conversione ecologica” (tratto dal punto 217, pag. 177 - 178, ibidem, la sottolineatura è nostra). Toh, guarda, che anche papa Francesco se la prende con il pragmatismo e contro chi si fa beffe delle (nostre) preoccupazioni per l’ambiente.
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“Non tutti sono chiamati a lavorare in maniera diretta nella politica, ma in seno alla società fiorisce un’innumerevole varietà di associazioni che intervengono a favore del bene comune, difendendo l’ambiente naturale e urbano. [che combinazione: cfr. anche il nostro “Politica e democrazia” pubblicato su Noha.it il 20/04/2012]. Per esempio si preoccupano di un luogo pubblico (un edificio, una fontana, un monumento abbandonato, un paesaggio, una piazza), per proteggere, risanare, migliorare o abbellire qualcosa che è di tutti. Intorno a loro si sviluppano o si recuperano legami e sorge un nuovo tessuto sociale locale. Così una comunità si libera dall’indifferenza consumistica. Questo vuol dire anche coltivare un’identità comune, una storia che si conserva e si trasmette” (tratto dal punto 232, pag. 187 – 188, ibidem). Ah, ecco: non era archeologismo, il nostro, ma cura disinteressata dei nostri beni culturali, che dovrebbero essere beni comuni tout court. Per dire, anche i nostri “Dialoghi di Noha x l’Ambiente” stanno cercando nel loro piccolo di fare il loro mestiere in tal senso.
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Non c’è molto altro da aggiungere alle parole di papa Francesco, se non che la vera fede favorisce e incoraggia la laicità e che sarebbe troppo bella una chiesa fatta da un popolo plurale e non allineato; una chiesa libera, liberatrice, non clericale, più donna e democratica, aperta alle differenze, e meno vendicativa; una chiesa con pochi pizzi e merletti e pregiudizi ridotti al minimo, e magari con sacerdoti ministeriali più umani, umili e laici, e possibilmente anche con un nome femminile, e, perché no, con dei figli, da amare ed educare (e casomai da lasciare a casa con la babysitter nelle serate di ritrovo con la comunità).
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Cos’altro aggiungere? Ah, sì, che non si è buoni credenti se si è troppo sicuri di credere.
Antonio Mellone
ago162008
set272011
Venerdi 30 settembre alle ore 17, nei locali adiacenti il Bar Settebello in piazza San Michele, verrà presentato il nuovissimo libro di P. Francesco D'Acquarica dal titolo "Curiosità sugli arcipreti e persone di chiesa a Noha" (edizioni L'osservatore Nohano).
Interverranno: l'Autore, Marcello D'Acquarica, Antonio Mellone e altri ospiti.
Sarà un pomeriggio di festa.
Tutta la popolazione è invitata a questo evento culturale.
dic282007
Vi proponiamo di seguito l’articolo a firma di Antonio Mellone apparso su “il Galatino”, anno XL, n. 20, del 7 dicembre 2007.
Cosa centra Infoprinting con Noha?
Semplice.
Intanto Infoprinting srl è stata creata ed è diretta da un manager nohano (anche se dimorante a Milano): il dott. Michele Tarantino.
Inoltre, Infoprinting è la “stampante” da cui fresco di tornio ogni mese (almeno finora) ha visto e vede la luce il nostro “L’osservatore Nohano”. Infoprinting ha anche stampato a colori “la cartina del viaggiatore di Noha” architettata dal grande Marcello D’Acquarica. E’ inutile dire che da questa innovativa “business idea” ci aspettiamo molto altro ancora. Quindi:
AD MAIORA INFOPRINTING!
Infoprinting, nuova realtà economica a Galatina
La parola “innovazione” può essere utilizzata per denotare qualcosa (o qualcuno) che cerca d’adeguarsi ai tempi nuovi ed alle nuove forme di cultura e di vita. L’innovazione non necessariamente è rappresentata da una rivoluzione copernicana o dalla scoperta dell’America: innovazione può anche essere una combinazione inedita di elementi già noti.
Nel campo dell’economia l’innovazione può (in estrema sintesi) riguardare un po’ il prodotto, un po’ il mercato ed un po’ la tecnologia.
Ed è questo tipo di innovazione che ha cercato di introdurre Infoprinting srl, un’azienda che non ha ancora compiuto un anno di vita, ubicata in un capannone industriale sulla strada provinciale Galatina-Lecce, subito dopo il SuperMac andando verso Lecce.
Ma la sua collocazione non sarebbe tanto rilevante. Infoprinting infatti è una specie di stampante virtuale (ma la stampante è vera) specializzata nella stampa su carta e nella spedizione della corrispondenza di ogni genere. Il servizio si attiva in Internet tramite il sito www.postapronta.eu, sicché da casa o dall’ufficio con il semplice click di un tasto o di un mouse di un computer è possibile spedire in Italia e all’estero ogni tipo di carteggio, anche la posta raccomandata, saltando così gli onerosi passaggi della stampa della lettera (o di qualsiasi altro documento come le fatture, i depliant o le dichiarazioni dei redditi, ecc.), dell’imbustamento, della compilazione dell’indirizzo, dell’affrancatura e della spedizione. Provare per credere: il primo plico è gratuito.
La novità sta nel fatto che questo servizio, che va a colmare un bisogno, quello della ricerca delle economie di tempo (time-saving), forse ancora latente, ma che nel futuro non tanto remoto diventerà di primaria importanza, è offerto da un’azienda, unica in tutta l’Italia del Sud, che si trova ad un fischio dal cuore di Galatina.
Ci risulta che in maniera diuturna giungano ad Infoprinting commesse da privati e da numerose aziende pubbliche o private soprattutto del Centro-Nord. Nel Mezzogiorno c’è ancora bisogno del superamento di un certo gap conoscitivo di questo prodotto-processo inedito, anche se “il tempo è denaro” anche qui da noi.
Un’ultima annotazione. Ci teniamo a dire che chi ha voluto scommettere puntando sulla nostra terra è un pioniere nohano, Michele Tarantino, già noto “manager salentino” in alcune imprese milanesi e torinesi nel settore dell’editoria e della carta stampata. Tarantino, a dispetto di ogni avversa previsione, ha voluto a muso duro e con entusiasmo investire nel Sud ed in particolare nella nostra città, certo che l’economicità e soprattutto la qualità faranno di questa azienda un’azienda di successo. Successo che toccherà non solo l’imprenditore, ma anche Galatina tutta sempre più proiettata in Europa, anche grazie a questa ulteriore forma di innovazione.
Antonio Mellone
mag262008
Cari amici di Noha.it, parliamo ancora di LIBRI.
Del resto il motto della nostra cittadina, Presidio del Libro, potrebbe suonare così: PIU' LIBRI, PIU' LIBERI!
Questa volta abbiamo il piacere e l'onore di presentare a tutti i nostri internauti l'ultimo lavoro in ordine di tempo di una nostra amica, nonchè collaboratrice del nostro foglio on-line "L'osservatore Nohano", la prof. MARISA GRANDE (che certamente sarà con noi il prossimo ottobre nella "Festa dei lettori").
Edito per BESA EDITORE, il titolo del volume del quale vi facciamo qui intravedere la copertina è "L'ORIZZONTE CULTURALE DEL MEGALITISMO". E' un libro da acquistare e leggere sotto l'ombrellone, oppure al fresco, sotto un pergolato, magari con la colonna sonora delle cicale. Buona lettura."
ago102013
C’è una parola sconosciuta ai più, ma soprattutto ai politici. Questa parola è parresìa. La parresìa è il coraggio della verità di colui il quale parla assumendosi il rischio anche di un’eventuale reazione negativa da parte dell’interlocutore.
Purtroppo sembra che la verità debba essere tenuta ben nascosta ai cittadini. Non bisogna raccontarla, neanche per sbaglio. Così continuano a prenderci in giro, ad ingannarci come se il futuro possa costruirsi sull’inganno. Manca il coraggio della verità, sia al vertice e sia alla base della nostra comunità. E questo è ormai assodato.
Io, però, non me ne capacito ancora. Non riesco proprio a capire come sia stato possibile che consigliera, sindaco ed ineffabile assessora, nel corso del convegno di presentazione del “Nuovo Centro Aperto Polivalente per Minori”, siano riusciti a dire tante cose senza dir nulla (e senza sganasciarsi dalle risate), e soprattutto ad essere applauditi dalla platea.
Mi chiedo davvero come si possa avere la faccia tosta di dire sempre (ed anche in maniera prolissa: cfr. i video su questo sito) che tutto va ben madamalamarchesa.
Ma cosa costa ai suddetti sindaco, consigliera delegata, e assessora presenzialista proferire per una sola volta, dico una, la verità così com’è, nuda e cruda, senza la pantomima del trionfalismo cui non crede (o non dovrebbe credere) più nessuno?
Quanto sarebbe stato meglio se, provando a guardare in faccia alla realtà, i nostri rappresentanti comunali avessero detto papale papale quanto segue:
“Cari concittadini di Noha, stiamo inaugurando una bellissima struttura per la quale è stata fatta una grandissima cazzata. E’ inutile che vi diciamo (perché certamente lo sapete già, se avete avuto modo di consultare Noha.it) che l’allaccio elettrico che ci permette in questo momento per esempio di usare questi microfoni non è quello definitivo, ma quello provvisorio. Purtroppo si tratta di una provvisorietà che durerà un bel po’, eh, eh, eh [risata con ammiccamento, ndr].
Non sappiamo a chi imputare la colpa di tutto questo. Anzi, a dirla tutta, lo sappiamo benissimo, ma dobbiamo far finta di non sapere. Dobbiamo far finta che tutto fili a gonfie vele, e a noi [soprattutto dal punto di vista politico – con la p minuscola ovviamente, ndr] conviene continuare nell’arte nella quale siamo dei maestri insuperabili: lo scaricabarili.
Cari Nohani, mettetevi l’anima in pace: questo problema dei 50 kwh non si risolverà né oggi né mai. Dobbiamo, anzi dovete arrangiarvi, nonostante 1.300.000 euro di soldi pubblici spesi senza troppi problemi (infatti mica erano i nostri).
Detto questo vorremmo aggiungere una preghiera: per favore, ora non venite a romperci con questa storia della cabina elettrica. Nelle casse comunali non c’è il becco di un quattrino. Quindi, amici di Noha e dintorni, non veniteci a fracassare timpani e scatole, ché noi non sapremmo manco da dove iniziare. Tenetevi dunque ‘sta benedetta scuola così com’è, senza ascensore, senza impianto fotovoltaico funzionante, senza aria condizionata (che come ben sapete fa male alla cervicale). Vi basti per ora la nostra aria fritta: tanto ci siete abituati. Soffrite in silenzio, come avete saputo fare fino ad oggi e come, di questo passo, continuerete a fare nei futuri secoli dei secoli, amen.
Ci dispiace per questi poveri ragazzi della cooperativa aggiudicataria [ai quali va tutta la nostra solidarietà, ndr] che dovranno arrabattarsi tra mille difficoltà: noi abbiamo fatto quel che potevamo, cioè vendergli questa struttura come se fosse l’oro del mondo. Poveretti, ci sono cascati e se la sono bevuta. Ed ora saranno cavoli loro, mica nostri.
Farà caldo negli ambienti? Farà freddo nelle aule? Non funzionerà l’ascensore in questa scuola? Pazienza, fatevene una ragione tutti quanti, cittadini, utenti, e soprattutto gestori di questa bellissima “Ferrari” - come l’ha definita qualcuno - ma senza possibilità di far funzionare il motore in quanto hanno scordato di fare al serbatoio il buco in cui introdurre la pompa della benzina.
Suvvia, non fate quella faccia e cogliete il lato positivo della cosa. Qui i ragazzi potranno sviluppare una mentalità nuova per affrontare le emergenze o gli imprevisti, qui impareranno il coordinamento motorio e soprattutto tecniche e capacità di adattamento: insomma questa sarà una vera e propria scuola di sopravvivenza. Che altro volete da noi? Una puccia con le olive?
Grazie per l’attenzione”.
Ecco, se ci fosse stato un discorso sulla falsariga di questo, probabilmente i cittadini di Noha avrebbero pure ingoiato il rospo (non è il primo e non sarà nemmeno l’ultimo), ma di fronte alla sfacciataggine di questi personaggi e all’ostentazione di un ottimismo fuori luogo e fuori tempo massimo, ti vien proprio voglia di far aprire un bel fascicolo di indagini al Giudice preposto (abbiamo ormai materiale a sufficienza da inviare al magistrato) in modo tale che si accerti una volta per tutte la verità, e soprattutto si individui il responsabile di questo scandalo, chiedendogliene in qualche modo conto.
Ecco perché quel contatore continuerà a campeggiare sulla home page di questo sito misurando il tempo, in mesi, anni, e forse anche in ere geologiche.
Se noi non interveniamo in qualche modo quel contatore non la smetterà mai di segnare il tempo.
Non so se tra qualche secolo qualche scienziato studierà l’epoca attuale, la nostra civiltà, il nostro modo di pensare e di agire come cittadini. In caso positivo gli studiosi che potrebbero occuparsene sarebbero pur sempre gli archeologi. Ma con l’imprescindibile ausilio degli psichiatri.
P.S.
Purtroppo tutto questo è il risultato, oltre a tutto il resto, anche del pragmatismo di maniera del Pd (pragmatico devoto) di turno.
E a proposito di pragmatismo proprio in questi giorni vado a leggere da qualche parte, tra le altre, anche questa frase: “… anche i sacerdoti hanno bisogno di andare contro la corrente dell’efficientismo e del pragmatismo”.
Uno pensa che queste parole siano state scritte plagiando quello scomunicato del sottoscritto. Invece sono state proferite, e con enfasi, guarda un po’, proprio da papa Francesco in persona, nel corso della GMG che ha avuto luogo giorni fa in Brasile.
Vuoi vedere che prima di essere un osservatore nohano e dunque un osservato speciale lo scrivente è (sempre stato) un cattolico osservante?
Roba da Pd (pragmatiche delusioni).
Antonio Mellone
set212010
Anche quest’anno la Biblioteca Giona, Presidio del Libro di Noha, e la scuola di cui fa parte, l’Istituto Comprensivo 2° Polo – Galatina (già 3° Circolo didattico “G. Martinez”) vi rinnovano l’invito a prendere parte alla Festa dei Lettori di sabato 25 settembre 2010. Una Festa dei Lettori giocosa, dispettosa e irriverente che, con garbo e senso dell’humor, ma anche con fermezza, pone l’accento sul leggere come affermazione della propria esistenza, come azione di autodeterminazione del lettore in un tempo presente e collettivo, come atto di protesta e di rivendicazione di un diritto oggi, di fatto, negato.
Programma delle iniziative:
Vi aspettiamo, in tanti, e vi auguriamo un buon inizio d’anno.
A presto
La Dirigente Scolastica Eleonora LONGO
La responsabile del Presìdio di Noha Paola Congedo
ago102009
L’allettante desiderio di alleviare le nostre fatiche quotidiane mediante la fortuna del facile guadagno, ci viene propinato in ogni angolo della strada, in ogni circostanza e spesso, acquistando un biglietto di una qualsiasi lotteria, speriamo di essere noi quelli baciati dalla dea Fortuna.
Con la ricchezza non si acquista la felicità, ma sicuramente si allevia un po’ la sofferenza.
Quale potrebbe essere il lasciapassare per l’eternità? Quale l’elisir di lunga vita?
Come risultare vincitori nella lotta contro il degrado e la malasorte?
Se il segreto di come vivere cento anni fosse in vendita la signora Cesarina, la nuova centenaria Nohana, ce lo avrebbe certamente svelato, perlomeno lo avrebbe rivelato ai suoi cari. Ma noi sappiamo bene che ogni giorno, ogni risveglio al sorgere del sole, è un dono della vita, è il nostro grande gratta e vinci che ci viene elargito gratuitamente e gratuitamente dovremmo darne una parte al nostro stesso prossimo, perché qui non interessano la furbizia né la presunzione, ma solamente il Destino. Alla nostra cara Cesarina noi non chiediamo di svelarci il segreto, non chiediamo che ci suggerisca come vivere la sua stessa fortuna, alla nostra cara concittadina noi non chiediamo nulla, bensì ci rallegriamo insieme a lei per il coronamento di un traguardo così fantastico, manifestiamo la nostra gioia ringraziandola per averci donato con la sua fortuna l’aspetto meraviglioso che a volte la vita può anche intraprendere.
Auguri signora Cesarina!!!
Dallo staff de L’osservatore Nohano.
Marcello D’Acquarica
gen032012
set042013
Da quando Antonio Mellone mi coinvolse in quell’avventura che risponde al nome de “L’osservatore Nohano”, mi rendo sempre più conto che la mia presunta patologia d’amore per la mia terra è tutt’altro che un male raro. Infatti a Noha non mancano le persone che condividono questo sentimento. Quando lo racconto a Angela, mia moglie, lei esordisce dicendo che le perle migliori sono quelle nascoste alla luce del sole. Quelle che non si fanno vedere e non fanno rumore. Ma quando meno te lo aspetti arrivano le sorprese, a volte anche le belle. Mai più mi aspettavo che qualcuno, tantomeno non residente, ci dimostrasse la sua gratitudine con un dono straordinario. Insomma non capita tutti i giorni che uno, anzi in questo caso due, suonino al campanello della porta e si presentino sovraccarichi di buste e scatoloni trasportati da Milano a Noha, sacrificando il piccolo spazio del baule tolto ai vestiti o altre cose utili per le vacanze di un mese. Già da questo possiamo immaginare quanto amore abbiano dedicato Fabio e Laura a questo loro pensiero per il sottoscritto e per mia moglie Angela.
Dovete però sapere che questi due ragazzi, Fabio Solidoro e la solare moglie Laura Romanelli, “suonati persi irreversibilmente” per Noha (oltre che l’uno per l’altra), ogni anno, invece di assicurarsi una vacanza in una delle tante località pubblicizzate dalle agenzie viaggi, trascorrono le loro ferie proprio a Noha.
Ma questa sorpresa di Fabio e Laura proprio non ce l’aspettavamo. Un dono, anzi due, non solo inatteso ma straordinari e unici: vere opere d’arte. Non è facile descrivere con le parole ciò che rappresenta l’arte di Fabio.
La prima cosa che prendiamo in considerazione è un servizio di bicchieri colorati con incise le lettere “A e M”. Dopo un attimo di sorpresa, compresa la faccia sorniona di Antonio Mellone, ci rendiamo conto che il servizio di bicchieri non è per Antonio Mellone, appunto, come la sigla potrebbe far supporre di primo acchito, ma per me e per Angela: le lettere “A” ed “M” sono appunto le iniziali del mio nome e di quello della mia consorte. Fino qui, possiamo dire che il tutto è gratificante.
Così, dopo questa simpatica sorpresa, passiamo ad analizzare il secondo regalo. Qui la cosa supera ogni aspettativa. Ciò che appare alla nostra vista, dopo una elegante confezione multistrato, è una vera e propria opera d’arte: un vaso in cristallo stupendo, alto all’incirca 45 cm e del diametro di 25 cm. La straordinarietà non è nelle dimensioni o nell’oggetto in sé, ma nelle decorazioni incise che ci appaiono in tutto il loro splendore. Non si tratta solo di saper disegnare in prospettiva le architetture stupende della chiesa di San Michele, della Trozza, della Casa Rossa, delle Casette, dello stemma delle Tre Torri e del resto, ma di incidere e dorare il vetro su di una superficie tondeggiante: non è facile, non è da tutti. Certi lussi possono permetterseli solo gli artisti.
Sapevo che Fabio Solidoro, questo nohano incallito di rare qualità, avesse qualche “mania” artistica, difatti su uno dei primi numeri del nostro giornale on-line, avevamo addirittura pubblicato la mappa di una metropolitana tutta nohana, disegnata e progettata da lui manco fosse un ingegnere specializzato in trasporti. Ma non immaginavo tanta bravura. Ci sarebbe da chiedergli ora di disegnare anche un circuito di piste ciclopedonali per questo straordinario paese pianeggiante che rimpiango per undici mesi all’anno.
Purtroppo dove trascorro la maggior parte dell’anno, cioè Rivoli (To), le strade sono in salita e impegnano non poco fiato e muscoli, che, ahimé, si fanno sempre più corti.
Fabio vive a Milano da sempre, eppure se provate a chiedergli dove è nato, non riesce mai a risponderti di getto. Subito appare dubbioso, come se non ne avesse più memoria, ma poi appena inizia a parlare ti rendi conto della sua faticosa rassegnazione nel dover dichiarare la sua vera nascita, che non è tanto il giorno in cui è venuto al mondo, quanto la data del suo concepimento avvenuto esattamente nove mesi prima nel paese che lui adora di più al mondo e che corrisponde al bellissimo nome di Noha.
Che cos’è questo anomalo sentimento per le proprie origini in un mondo dove contano solo utili e titoli, quello che uno sente pur non essendovi nato e nemmeno vi risiede? Se questo non è amore, ditemelo voi, che cos’è? Naturalmente, essendo io stesso portatore sano della Noha-patia, il mio parere non fa testo. Una malattia come questa è auspicabile che si trasformi in epidemia al più presto, prima che sia soffocata dalla forza dirompente di quell’altra vera e propria mania di indifferenza alle cose semplici, al sorgere del sole e al suo ripetuto accavallarsi sulla notte, ai prati di quadrifogli, ai campi distesi di ulivi e muretti a secco, al profumo dei gelsomini, agli aloni colorati degli arcobaleni, al cadenzarsi delle fette di lune, all’odore della pioggia o dell’erba tagliata.
Poesia? Nient’affatto, questa è pura ragione, niente a che vedere con il dimenarsi degli ultimi colpi di coda di questa unta e logorante mania del bruciare tutto, in tutti i sensi, compresa la vita.
Grazie Fabio, grazie Laura, siete stati e siete per noi una miracolosa e inaspettata terapia.
Marcello D’Acquarica
feb252022
E’ molto probabile che la Noha antica si estendesse nella piana tra il suffeudo di Pisanello e il fondo di Santu Totaru. La città Messapica giace sepolta nella terra, sottomessa come fu definitivamente da Roma nel 216 a.C., dopo l’ultima grande ribellione contro l’invasore (*). E’ probabile che quel centro Messapico avesse un altro nome, affatto diverso da quelli poi riportati nei testi storici e nei registri Parrocchiali: Noe, Noje, Novae, Nove, Noha. Per darle un legame più fantasioso ma anche in linea con il linguaggio di quel tempo, possiamo immaginare che si chiamasse proprio “ERQUANNA“ così come inciso sul Menhir ritrovato nei campi di Santu Totaru e celebrato negli scritti del nostro attento osservatore della storia di Noha, P. Francesco D’Acquarica.
Alcuni studiosi di Greco antico, con l’aiuto della nostra concittadina Maria Grazia Chittani, che vive in Grecia, hanno tradotto il testo inciso sulla superficie del nostro Menhir. Secondo le loro deduzioni si tratta di un nome femminile: Erthyanna (Giovanna).
Piuttosto articolato era il culto dei Messapi, rappresentato nelle prime fasi dal “culto aniconico (senza immagini) del pilastro-stele”, poi da cippi iscritti – a volte con nomi di individui – associati a depositi votivi che potevano assolvere ad una funzione religioso-cultuale, con valenza dedicatoria, votiva o funeraria. Ad una fase successiva risalgono i luoghi di culto caratterizzati da colonne sormontate da simulacri: celebre, a tal proposito, è il caso dello Zeus stilita adorato sull’acropoli di Ugento.
Nei tempi successivi al periodo Messapico, il Menhir di Noha è stato riutilizzato per altre funzioni, come si può dedurre dai vari incavi che gli antichi Romani usavano per incastrarvi altri elementi con il piombo fuso.
La dichiarazione seguente e la spiegazione analitica di ogni lettera della scritta ritrovata sul menhir di Noha, sono il risultato del lavoro eseguito dalla prof.ssa
Elena Deventzi e dall’insegnante di Greco antico Areti N. Kapralou.
Così conclude la nostra prof.ssa Elena Deventzi:
Sono Elena Deventzi, laureata in lettere classiche.
Secondo la nostra interpretazione, si suppone che la scritta
indichi un nome femminile: “Erthyanna”
Resta ancora il dubbio se la parola incisa sulla nostra pietra appartenga ad una devianza della lingua Messapica ancora poco conosciuta, oppure se possiamo annoverarla “tra le circa 350 iscrizioni di cui noi disponiamo” (*).
Se la presenza della lettera Y la esclude dall’essere considerata Messapica oppure se è uno dei rari esempi che potrebbero sovvertire uno dei punti fermi dichiarati dagli studiosi, secondo cui la lettera Y manca totalmente dal linguaggio scritto dei Messapi (*).
A noi piace l’idea che l’antico nome di Noha fosse Erthyanna (Giovanna), e dunque, alla luce del doppio senso dei nomi, e della corrispondenza tra le cose e i loro nomi (“Nomina sunt consequentia rerum”) che significasse Piena di Grazia, ovvero Dono degli Dei.
A questo proposito non possiamo non citare Dante Alighieri, il quale nel XII Canto del Paradiso, ai versi 78-80, fa esclamare a Bonaventura da Bagnoregio, a proposito di San Domenico:
Oh padre suo veramente Felice!
oh madre sua veramente Giovanna,
se interpretata val come si dice!
Se avesse fatto un salto a Noha prima, magari il Poeta avrebbe usato direttamente il vocabolo Erthyanna.
(*) Cfr. Cesare Daquino, I Messapi - Il Salento prima di Roma, Capone Editore, 1999, pag. 90.
Anche le immagini seguenti sono tratte dal succitato volume.
Marcello D’Acquarica
gen042013
"Eccovi di seguito il tanto atteso articolo della prof.ssa Giuliana Coppola, giornalista e scrittrice e amica di Noha"
“In men che non si dica” ti ha abbracciato anche quest’anno la Madonna, bellissima e sorridente e poi hai baciato anche Giuseppe, così tanto per essere proprio al colmo della serenità. E già però, profumavi di pane e di pucce e di farina e d’orzo e di pomodori d’inverno e di pittule e, se ti fosse possibile, se non ci fosse stato Marcello, D’Acquarica s’intende, ad aspettarti lì, tra la gente, a Noha, tu saresti rimasta legata alla manina calda di Simone, il tuo folletto portafortuna, per continuare all’infinito la corsa a saltelli verso ‘mpa Rocco e il suo cavallo buono come il pane. Parola astratta è “cultura”. Ma tu hai letto, perché l’ha scritto Marcello “Cultura è la solidarietà incondizionata, l’educazione, la famiglia, l’esperienza degli anziani, la salute pubblica, l’acqua, l’aria, la terra, la scuola, i sentimenti… condivisione, attenzione all’altro, sacrificio per il bene comune, amore disinteressato, non discriminante”; l’hai letto e anche per questo sei tornata qui, nell’antica masseria Colabaldi e avevi voglia invece, di resistere all’invito dell’Antonio Mellone (chi altri se non lui?). Non volevi, infatti, abbandonarti, ancora, a groppo di nostalgia.
Invece, questo succede a Noha; bisogna andare lasciandosi guidare, stavi per dire cullare, dalla manina di Simone, dal passo sicuro di Antonio, mentre vento scompagina pagine del libro-saggio-biografia di Marcello e Giuseppe ti accompagna nel viaggio in questo presepe che presepe, a dir la verità, proprio non è; chè presepe, di per sé, parola così dolce e così densa di significati, in fondo è termine che, a volte, sa d’antichi steccati; qui è la vita che respira e ha profumo d’arte e di tradizione, leggerezza di ricamo e di tombolo, forza d’una storia che ha senso perché il paese-comunità, quello che ora ti attende anche attorno ad un libro, lo ritrovi ben saldo intorno alle sue certezze. Insieme si può e non hai voglia di pensare né di scrivere “si potrebbe” e poi non te lo perdonerebbe mai L’osservatore NOHANO (ed il sito dell’Albino) cui, in fondo, si deve il senso di ogni iniziativa.
Insieme si può trasformarlo il “mondo”, acciuffarlo mentre sembra che rotoli sempre più giù, acciuffarlo iniziando da Noha e lo si tiene ben stretto e gli si impone di fermarsi e, siccome è stanco, lo si invita ad adagiarsi sui cannizzi di Antonio Tundo e dei figli suoi Raffaele e Simone e, intorno a lui, per consolarlo, rifocillarlo e tenergli compagnia, s’alterneranno Gabriele che profuma di forno e Silvia, la madonna sorridente e Daniele che oggi è anche san Giuseppe e l’angioletto dai riccioli d’oro che t’ha offerto una puccia tutta terrena e Michele che, cantando, ricorderà al mondo che è partito ma ora è tornato; e se avrà fame, il mondo, ci penseranno e Massimo e Roberto coi prodotti del forno loro e l’Antonio che ama fare il contadino; non mancheranno i legumi di Piero e il latte del gregge di Franco il pastore e la Lina e l’Anna e le loro amiche faranno pasta fresca in quantità mentre Clara ricama e Marco scolpisce la pietra e Michele l’antiquario s’affretta ad ornargli dimora e Mimino a riparargli stivali consumati.
Intorno c’è profumo d’orzo tostato come un tempo ché non hanno fatto mancare nulla a questo presepe che è la vita, Giuseppe Cisotta e il suo papà Luigi e il figlio Luigi (non poteva chiamarsi diversamente) e poi anche Giuseppe Cioffi e tutti gli altri che sfugge sempre qualche nome nel paese; ora, il “mondo”, quello che stava per rotolare, riposa tranquillo e sogna giorni che profumano d’arance limoni e mandarini e poi s’accende luna e dormono coniglietti e agnellini e l’asino buono e il bue paziente e il cavallo dalla faccia di nonno e le galline e si è addormentato anche Gesù e i soldati e le cortigiane dell’harem tra spezie e tappeti.
Tu invece, devi correre via, pucce calde ben strette al cuore, groppo d’emozione in gola e manina di Simone nell’altra mano, quella libera; c’è Marcello che t’aspetta e quando lo ritrovi “in men che non si dica”, ti confida “il mio sud è un rifugio sicuro, un’emozione, una preghiera in cambio di un po’ d’amore. Un “mondo” mai da dimenticare, fatto di giochi per le strade, per i campi, fatto di fango e di canneti, d’arsura e di tramontane, di fiabe e di paure, di sogni e di libertà…la casa”.
Ritornerai, ma certo che tornerai che t’aspetta anche la Lilliana, nel suo abbraccio che sa di saggezza giovane ed antica. Un caffè e via perché da qui comincia e termina ogni viaggio.
Giuliana Coppola
ago182016
P. Francesco D’Acquarica è un uomo incredibile. Ha 81 anni ma ne dimostra 18. Ha una voglia di ricercare, studiare, catalogare, prendere appunti sulla Storia e le Storie, e finalmente pubblicare, che manco un dottorando in ricerca di nemmeno trent’anni d’età.
Ho già scritto altrove di lui, e più volte. E anche stavolta non posso fare a meno di metter mano su questa tastiera per raccontarvene un’altra.
Come qualcuno di voi ormai saprà, quest’anno ricorre il decimo anniversario della pubblicazione del monumentale volume “Noha, storia, arte & leggenda” (Infolito Group, Milano, 2006) da me curato e scritto a quattro mani con P. Francesco e pubblicato grazie al mecenatismo di Michele Tarantino (che Dio l’abbia in gloria).
Non so come (il marasma nel mio archivio personale è tale che cercare e trovare un qualsiasi oggetto è come recuperare un ago in un bosco di pini marittimi), ho rinvenuto le fotografie della consegna del suddetto libro fresco anzi ancora caldo di torchio, proveniente da Milano su furgone e scaricato con muletti e transpallet nohani, e della sua presentazione in forma privata nel soggiorno di casa mia (stanza enorme usata la penultima volta, credo, alla mia cresima: adoperata invece in maniera diuturna da mia madre a mo’ di palestra per l’arte marziale delle pulizie, di cui ella è cintura nera non so più di che dan). La presentazione ‘urbi et orbi’, invece, avvenne da lì a qualche giorno nella sala convegni dell’Oratorio Madonna delle Grazie gremita come non mai.
Dunque, in quella bella mattinata del maggio 2006 erano presenti a casa mia, come si vede dalle immagini, i compianti mons. Antonio Antonaci, il prof. Zeffirino Rizzelli e don Donato Mellone; nonché don Francesco Coluccia, parroco di Noha, e poi ovviamente il coautore P. Francesco, un suo collaboratore, e ancora Giuseppe Rizzo (che aveva scattato le foto di Noha dall’alto a bordo di un Tucano, un aereo ultraleggero decollato dalla pista di Ugento), la nostra Paola Rizzo, la maestra Bruna Mellone (che m’aveva dato una mano nella rilettura delle bozze), mio cugino Marcello, mio padre, mia madre e ‘the last & the least’ il sottoscritto.
Orbene, non ci crederete, un paio di mesi fa P. Francesco m’ha voluto fare un regalo straordinario per questo decennale.
“Senti, Antonio: sei a Noha? Ho una cosa da darti”. “Domani pomeriggio, dici?” “Io arrivo da Martina Franca verso le 18”. “Va bene, Antonio, ci vediamo alla ‘casa del popolo’?” “Molto bene, Antonio. A domani, allora”.
Puntualissimo come sempre - e non come l’orologio della pubblica piazza di Noha (staremmo freschi) - P. Francesco si presenta da me in quella specie di ufficio di piazza San Michele denominato, appunto, ‘casa del popolo’ (che non è un covo di comunisti, ma insomma). “Tieni – mi fa – questo è il mio testamento”. E mi consegna un plico da cui estraggo un libro.
E’ uno stupendo volume a colori, con elegante copertina rigida verde vivo, e l’immagine spettacolare della torre medievale di Noha e, in quarta, il bell’affresco dell’Arcangelo nostro protettore, opera di Michele D’Acquarica (1886 – 1971). Il titolo del tomo di 302 pagine, finito di stampare a tiratura limitatissima il 27 marzo 2016 a Martina Franca per i tipi di Pubblimartina srl è, guarda un po’: “Noha, la sua storia e oltre..”. Sì, con tre puntini di sospensione nel titolo. Chi mi conosce sa che non amo tanto l’utilizzo di codesta punteggiatura. Ma stavolta ho capito il messaggio di P. Francesco, che suona più o meno così: “to be continued”.
E sì, P. Francesco non si ferma mai: altro che “questo è il mio testamento”.
Quando c’è da scrivere un articolo per il sito di Noha, o effettuare qualche ricerca d’archivio per una pubblicazione a più mani (della serie AA.VV.), o una relazione sui nostri beni culturali, o la biografia di qualche personaggio locale, chiedo sempre una mano a P. Francesco. Lui si schermisce sempre, dice che è difficile che ce la faccia, che ci deve pensare, che non sa da dove iniziare, che teme di ripetersi, e mille altre scusanti del genere.
Ora, siccome ormai lo conosco bene, io so che è sufficiente che gli scriva la traccia da elaborare, e magari gli ponga qualche domanda a mo’ di chiave di lettura sull’argomento da trattare, o che gli chieda qualche curiosità o ricordo in merito. Ebbene, all’indomani mattina, puntuale come il sorgere del sole, quando apro la mia posta elettronica non solo vi trovo l’articolo bello e pronto per la pubblicazione, corredato di foto straordinarie d’archivio, ma anche con tanto di commenti, chiose e glosse per specificarne i dettagli.
E’ fatto così questo ragazzo. Un insieme di ricerca, passione e soprattutto fede (in Dio, e nell’Umanità).
Non so come faccia. La mia pagina è sofferta, letta e riletta, limata, e poi ancora cancellata, rifatta daccapo cento volte. La sua scorre che è una bellezza. Avevano evidentemente ragione i latini: “Rem tene verba sequentur”.
Non so se sapete – e chiudo - che P. Francesco D’Acquarica è un esperto informatico e che ha raccolto in un database tutti i dati, i nomi, le relazioni, e mille altre informazioni contenute nei registri parrocchiali di Noha. E’ stato lui, per dirne un’altra, a rinvenire il racconto del miracolo del nostro San Michele Arcangelo avvenuto a Noha nel 1740, scritto a margine di un registro dei battezzati dell’epoca dal viceparroco di allora, tal don Felice De Magistris, e molte altre ‘indiscrezioni’ pubblicate nell’agile libello: “Curiosità sugli Arcipreti e persone di Chiesa a Noha”, edito da L’osservatore Nohano nel 2011.
P. Francesco, ha svolto un lavoro immane durato decenni, consumandosi gli occhi su dei pezzi di carta mezzo sgualciti e corrosi dal tempo, scritti con grafie cangianti e a tratti indecifrabili, e in una lingua e in una sintassi non sempre facilmente comprensibili.
Poche parrocchie in Italia e nel mondo posseggono una catalogazione così puntigliosa e precisa come quella “creata” da P. Francesco per la parrocchia di Noha. Senza quest’opera certosina non sarebbero nate tutte le pubblicazioni sulla Storia di Noha, prime fra tutte “La Storia di Noha” del 1973 (ed. Borgia di Casarano). Mentre l’ultima non sarà certamente quella di cui sto discettando in queste note. Infatti, Francesco D’Acquarica è l’Andrea Camilleri di Noha: non riesci a terminare la lettura di un suo libro (a proposito: di Camilleri è uscito il centesimo volume) che già ne è nato uno nuovo. Per dire.
Ci sono tanti motivi per celebrare con una monografia ad hoc il nostro P. Francesco D’Acquarica, Missionario della Consolata, giramondo per amore di Cristo (e dei poveri cristi d’America, d’Africa e soprattutto d’Italia), ma con il pallino della sua terra natia che in questo caso risponde al dolce nome di Noha. Sì, nel 2011 ha celebrato il cinquantesimo della sua ordinazione sacerdotale, lo scorso anno l’ottantesimo genetliaco, quest’anno i 55 anni di Messa, mentre si trova svolgere il suo apostolato a Martina Franca (Ta), come detto sopra.
Ma il nostro “Scritti in Onore” (come altri ne abbiamo pubblicati su altri personaggi nelle edizioni de “L’osservatore Nohano”) sarebbe roba di poco conto rispetto al monumento che questo gigante della nostra Storia locale (scritta ormai con la maiuscola, grazie anche al suo certosino lavoro) meriterebbe.
E di questo passo, più che tributargli uno “Scritti in Onore”, sarà lui a dedicare a noi altri uno “Scritti in Memoria”.
Antonio Mellone
gen142012
Di seguito il primo dei quattro video del funerale de L'osservatore Nohano.
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set252014
Capisco benissimo la delusione (condita da altrettanta confusione) manifestata da alcuni commenti alla mia proposta, così come condivido in parte la rabbia di alcuni internauti, ma le cose vanno ragionate e valutate con i dati di fatto. Quindi cerco di rispondere a tutti (anche se non sono Antonio, ma ad Antonio ho girato preventivamente queste righe che sottoscrive dalla prima all’ultima) cercando di chiarire qualche dubbio.
- Al momento nessuno ha mai chiesto fondi, men che meno da devolvere ai privati. Né risulta siano mai arrivati. E semmai fossero arrivati dei fondi, la domanda andrebbe posta ai nostri Assessori e Sindaco.
Le firme da inoltrare al FAI sono finalizzate, in caso di raggiungimento del quorum minimo (pari a 1000 autografi), all’inserimento del bene culturale casiceddhre nel catalogo di questa importante Fondazione. Magari ci fossero dei fondi per restauro e valorizzazione dei nostri gioielli! Ne godremmo tutti [forse un po’ meno il privato proprietario, che in tal modo, con qualche vincolo, non potrebbe (più) fare dei suoi immobili quello che gli pare e piace, inclusa la porcata di ulteriori costruzioni nelle sue immediate adiacenze, se non di peggio].
- Come si evince dalla documentazione fruibile cliccando il link qui di seguito evidenziato (http://www.noha.it/noha/articolo.asp?articolo=1315) abbiamo semplicemente chiesto alla Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali (ribadisco il concetto “nostri” e non dei privati) il vincolo di tutela da parte degli attuali titolari nel rispetto del Codice dei Beni culturali (corpo organico di disposizioni, in materia di beni culturali e beni paesaggistici della Repubblica Italiana; emanato con il decreto legislativo del 22 gennaio 2004 n. 42).
Mettere la propria firma (o faccia) è il minimo che un cittadino possa e debba fare per la salvaguardia del bene comune. Se non capiamo che ognuno di noi deve essere il protagonista delle nostre strade, dei giardini, della salute pubblica, delle bellezze artistiche e storiche della nostra terra, nessuno da fuori verrà a porre rimedio allo scempio che invece è opera di gente ignorante e poco accorta. Una firma è il minimo indispensabile, dopo di che occorre tirarsi su le maniche e darsi da fare.
La raccolta delle firme dei 1471 cittadini ha fatto sì che si aprisse un dialogo (speriamo non tra sordi) fra la Soprintendenza e l’Amministrazione di Galatina. Senza quelle sacrosante firme non si sarebbe mai nemmeno parlato di Beni Culturali di Noha, se non in effetti sulle pagine di questo sito (oltre che su quelle del’osservatore Nohano).
Quelle firme sono servite eccome per far capire ai nostri politicanti e a chi pensava che i beni culturali di Noha fossero una trascurabile inezia (e che “con la cultura non si mangia”) che 1471 persone (ma certamente di più) non la pensavano esattamente come loro. Ci tengo ad aggiungere che non si era mai vista una mobilitazione del genere, grazie ai ragazzi del gruppo Mimì, agli artigiani di Noha, alla parrocchia, al circolo Tre Torri, e a tanti semplici cittadini di buona volontà.
Quelle firme sono servite per far percepire alla Soprintendenza che c'è una popolazione intera che tiene ai suoi beni culturali.
Cari signori, le firme, per quanto ovvio, sono necessarie ma non sufficienti per smuovere l'ignoranza di certi nostri rappresentanti politici, e se è il caso, bisogna continuare a raccoglierne non una, ma due, tre, dieci, mille volte, prima che qualcuno ci ascolti. Non esiste una firma per sempre. Bisogna insistere fino allo sfinimento di certi interlocutori ottusi o in tutt’altre faccende affaccendati.
Se non si sono ottenuti finora dei risultati significativi non vuol dire che non se ne otterranno mai; se gli obiettivi non sono stati raggiunti non è colpa delle firme raccolte ma di chi fa orecchio da mercante e soprattutto di chi forse ha bisogno di più convinzione e più partecipazione da parte della popolazione.
Certamente non è sufficiente apporre una firma per sentirsi con la coscienza a posto, così come uno non può sentirsi con la coscienza a posto andando a messa, o presenziando alle processioni. Per cercare di essere a posto occorre come minimo capire, informarsi, partecipare.
Concludo ribadendo il fatto che non capisco certi commenti sensibilmente distonici nei confronti delle nostre denunce. Se qualcuno avesse da suggerire qualche altra forma "più efficace" per far sentire la nostra voce (e noi siamo apertissimi), e magari risolvere il problema dello sfacelo dei nostri beni architettonici, si faccia avanti: il sito Noha.it e relativa redazione sono a sua disposizione.
feb052013
Ecco i video e la photogallery della presentazione del libro "In men che non si dica" di Marcello D'Acquarica, edito da L'osservatore Nohano svoltasi sabato 29 Dicembre 2012 nelle sale settecentesche adiacenti al Bar Settebello in piazza San Michele a Noha.
dic232007
Vi informiamo che il presepe alla Casa Rossa previsto il 26 Dicembre non avra luogo. Ulteriori informazioni sul prossimo numero del "L'osservatore NOHANO".
In compenso il 25 Dicembre dopo la veglia ci sarà un bellissimo falò nei pressi di via Seneca.
apr112007
feb102018
Onde fugare ogni dubbio, vi dico subito che la foto a corredo di queste note non è quella della discussione della mia tesi di laurea (quell’immagine non so manco dove sia andata a finire).
Potrebbe invece essere la prova lampante di quanto molti fra quelli che mi conoscono poi facciano carriera. Eh sì, visto che tra i personaggi che mi stringono la mano – e che in precedenza, già che c’erano, m’avevano pure consegnato una medaglia d’oro - s’annoverano ben due ex-presidenti del Consiglio dei Ministri: vale a dire il defunto Giovanni Spadolini, già presidente del Senato e, in primo piano a destra, il prof. Mario Monti, ora senatore a vita (o forse a vite). Ma non è manco questo, benché sia vero eccome che (quasi) tutti quelli che mi conoscono prima o poi salgano a due a due i gradini della scala politico-sociale.
La verità è invece che in quel flash è impresso il momento in cui vengo espulso, ma con garbo (a certi livelli il politically correct è un must), non dal forum Ambrosetti di Villa d’Este che si tiene annualmente a Cernobbio (quella riunione al confronto di quest’altra è un posto da sfigati), ma addirittura dal club Bilderberg, del quale un tempo – lo confesso - facevo parte anch’io in qualità di osservatore (osservatore Nohano, per la precisione).
Perché mi abbiano defenestrato è presto detto.
Intanto perché vado dicendo in giro che non mi garbano punto i conciliaboli nei quali si riuniscono “nel massimo riserbo”, “a porte chiuse”, “in maniera informale” e con misure di sicurezza da zona rossa, istituzioni, potere economico, esponenti politici e alcune personalità del giornalismo, per l’occasione caldamente invitate al silenzio (come sia possibile professionalmente accettare di assistere a eventi simili senza scrivere una riga resta un mistero).
Ma ci sono, ovviamente, innumerevoli altri motivi, tipo il mio brutto vizio di canzonare il potere, quello di dire la verità (che per definizione taglia, separa, irrita e mette a disagio), quello di porre domande, quello di non uniformarmi al Pensiero Unico e, non ultimo, quello di essere troppo “complottista” per i loro gusti raffinati.
E’ inutile aggiungere che dà fastidio ai vari forum neo-oligarchici il fatto che io non sopporti la religione del neo-liberismo, la crescita sine fine dicentes (ché piuttosto sarei per la Decrescita teorizzata da Latouche), la violenza deliberata nei consigli di amministrazione di certe aziende o di certi consigli dei ministri (o regionali o comunali) che prima o poi arriva alla base sotto forma di manganelli a gambe spalle e cranio, minori diritti per i più, cioè neo-feudalesimo, maggior “flessibilità” (leggi “precarietà”), scempio del territorio, sacrilegio di storia e geografia locali, e dunque distruzione delle identità culturali. Per non parlare dei mantra ripetuti a pappagallo sulla necessità delle grandi opere (meglio ancora se dannose e inutili), dell’aberrazione della competitività assoluta (assurta a dogma di ogni trattato di economia), della scemenza economica dei finanziamenti a cani e porci (gasdotti inclusi, tanto poi in fondo quando arriva il conto da pagare ci sarà il bail-in: indovinate chi paga), dell’orrore dell’aziendalizzazione di scuola e università (che dunque non potranno più essere luoghi del sapere, della formazione e della ricerca di base o pura, ma altro da questo), del fanatismo sulla presunta superiorità del libero mercato (che per la verità tanto libero non è), dell’ideologia delle privatizzazioni anche delle attività strategiche di uno Stato (il solito iper-capitalismo che si traduce nell’annientamento della sovranità che dovrebbe appartenere al popolo), della trasformazione delle persone in massa di consumatori (una vera e propria mutazione antropologica della nostra umanità), della voglia di riformare la Costituzione a ogni legislatura (sì da renderla possibilmente più autoritaria e dunque meno democratica in nome della cosiddetta “governabilità”), infine della voglia di imbavagliare il libero pensiero (che, oltre a essere critico, per definizione suggerisce sempre l’esistenza di alternative).
Tutto questo pensavo mentre uscivo per l’ultima volta dalla conferenza Bilderberg per andare a prendere un caffè nel bar di un grande centro commerciale.
Ovviamente scherzo. Nel senso che, in vita mia, non ho mai preso un caffè in un centro commerciale.
Antonio Mellone
nov262022
Ci siamo quasi. Voglio dire che a Noha procedono di buona lena i lavori di ristrutturazione di uno dei due marciapiedi di via Castello: il primo, lato palazzo baronale, fu terminato – buona parte a spese dei titolari di Nohasi - verso i primi del mese di maggio di quest’anno; il secondo, dirimpettaio, lo sarà a breve, anche stavolta grazie al maestro Chittani Giovanni (prima il cognome e poi il nome, come usavamo appellarci tra compagni di classe), e ai suoi bravi collaboratori: maestranze a chilometri zero, come si dice, ma note in urbe et in orbe, dunque a più ampio chilometraggio, per serietà, impegno e puntualità.
Sicché, molto probabilmente entro Natale potremmo percorrere, meglio se a piedi, il nostro Boulevard de Noha (da leggere in francese, con l’accento tonico sull’ultima sillaba), con compiaciuto amor di campanile, tra due file di grandi lampade in cima ai pali artistici in ghisa, la nuova pavimentazione non più sconnessa da svariati lustri di comunale sciatteria, e i teneri alberi d’ordinanza al posto dei vecchi pini domestici colpiti dalla sega (sciagurati, “davano fastidio ai camion” [sic]).
Ma c’è un ma: ed è un neo in tutto ‘sto splendore, che continua a lasciare un certo amaro in bocca all’osservatore appena appena attento, ma assolutamente nulla al solito sbadato urbano che non vede, non sente, in compenso parla a vanvera. E non si tratta tanto dell’asfalto stradale che sarebbe appena il caso prima o poi di sostituire con un più decoroso basolato fino a comprenderne tutta piazza San Michele, nonché ovviamente via Aradeo e le altre strade del centro storico del paese (cose che avvengono da decenni non dico a Stoccolma o a Copenaghen, ovvero in alcune comunità del Trentino-Alto Adige o del Veneto, ma in numerosi altri comuni del Salento, frazioni incluse).
Dicevo: il neo, cioè il cruccio che a tratti diventa sconforto se non proprio tormento incazzatura & depressione, sta nel fatto che il famoso villaggio di casette in miniatura edificato all’inizio del secolo XX sulla terrazza di uno degli antichi alloggi un tempo di pertinenza del maniero nohano, parlo del caseggiato artistico meglio noto come Le Casiceddhre, sta cadendo a stozzi, sgretolandosi sotto il bombardamento nucleare dell'insipenza e dell'ottusita molto comuni in queste lande, in uno col paraculismo di cui soffrono o forse godono alcuni esponenti della classe padronale indigena detentrice di codesti peculiari pezzi d’antiquariato trattati come pezza da piedi [vorrei ricordare che il manufatto de quo non è l’unico capolavoro architettonico di pertinenza della nostra piccola patria abbandonato al proprio ineluttabile destino: ché anzi Noha, anche da questo punto di vista, è una discarica a cielo aperto, ndr.].
E non starò qui a confutare per l’ennesima volta la scemenza massima incautamente definita “proposta” dai novelli dadaisti, vale a dire quella della traslazione di codeste pietre scolpite e parlanti alla volta di un qualche museo: le Casiceddhre non sono cose (anzi case) da museo o da piedistallo, né normali soprammobili, men che meno una collezione di icone, ma un deposito di memoria culturale, uno dei simboli dell’identità nohana (stavo per scrivere Dignità, con la maiuscola, ma poi mi è venuto un crampo alle falangi). Ergo fuori contesto non avrebbero nulla da dire, e si dimetterebbero all’istante dal loro ruolo di monumento, di sito locale di interesse comunitario, e di emblema del Genius Loci casalingo.
Ora, è vero che la storia delle Casiceddhre non è in cima alle priorità dell’agenda Draghi, pardon Vergine, ma sarebbe d’uopo che il nostro sindaco intervenisse in qualche modo per dimostrare di avere a cuore persino quistioni annose come questa. Non stiamo mica chiedendo che metta mano al portafoglio delle finanze pubbliche (che, si sa, hanno più grane che grana) per un chimerico restauro, non previsto oltretutto per un bene culturale “privato”; ma soltanto che osasse provare a infrangere un tabù: quello di conferire con la proprietà del suddetto micro-complesso, tentando di spiegarle da un lato quanto sia importante la difesa delle eredità iconiche di un luogo, e quanto queste, se tutelate, contribuiscano a rendere l’ambiente cittadino più prezioso e civile; e dall’altro che gli oneri del restauro di quel che rimane di queste benedette sculture non sarebbero a carico del disponente, ma del gruppo di visionari che, loro sì incrollabili, sognano di salvare il salvabile.
Impresa titanica, lo sappiamo bene, tanto che sul tema sono in tanti (ma non tutti) ad aver gettato la spugna e da tempo. Ma magari il novello primo cittadino potrebbe pure farcela ricorrendo alle sue doti manageriali, all’innata leadership, all’ormai proverbiale ars oratoria e, con il permesso di Kant, alla dialettica trascendentale.
Oppure, senza permesso, al dialetto.
Antonio Mellone
lug022016
Il brano che segue è stato rinvenuto di recente fra le carte dell’archivio di don Donato Mellone (1925 - 2015).
Scritto nel 1983 alla sua inseparabile Olivetti Lettera 22, è il discorso di commiato da Antonio Rosario Mennonna, vescovo di Nardò (e quindi anche di Noha prima del passaggio della parrocchia all’archidiocesi di Otranto) sin dal 1962.
Anche questa è Storia locale. Che, come ribadito più volte, non è mai Storia di serie B, ma Storia tout court, e con tanto di maiuscola. Storia, che molto spesso è scritta su pezzi di carta rinvenuti per caso.
Mons. Mennonna era un mito per lo scrivente. Il vestito paonazzo, le insegne episcopali (mitria, anello, croce e pastorale), i pontificali, il portamento ieratico e la sua 131 Mirafiori blu lucidissima con tanto di autista e segretario, facevano evidentemente una certa impressione su quell’imberbe osservatore nohano ante-litteram che ero. Ne osservavo, dunque, tutti i dettagli: i suoi occhiali da miope molto spessi, i decori artistici degli uncini dei suoi vincastri, finanche le calze rosso-violacee perennemente indossate, come del resto il suo abito corale con mozzetta.
Del mio vescovo conoscevo il suo stemma (i monti, la stella a sei punte e la fortezza turrita) effigiato all’ingresso dell’episcopio e sul portale dell’adiacente cattedrale neritina, ma anche ricamato sulle infule delle preziose mitrie aurifrigiate, lavorato a filet con l’uncinetto sugli orli della cotta, marcato sugli altri paramenti sacri, e ovviamente stampato sui documenti ufficiali di curia e sulle lettere pastorali.
“Ut ascendam in montem Domini” era il suo motto. Certo di non commettere sacrilegio, lo utilizzai a mo’ di slogan del Numero Unico, il giornalino della Scuola Militare per gli Ufficiali di Amministrazione di Maddaloni, di cui nel ‘92-‘93 fui pure direttore responsabile. Ma, come posso dire, laicizzandolo preventivamente: togliendo cioè quel “Domini”, e lasciando semplicemente “Ut ascendam in montem”. Volevo trasmettere agli altri, tramite il contenuto di quella pubblicazione con tanto di espressione latina, l’urgenza di sentirsi invincibili piuttosto che vincenti, sottolineando l’importanza della lotta e della fatica della salita a prescindere dal raggiungimento dell’obiettivo-vetta. Ma questa è un’altra storia.
Ricordo che nel corso di una delle feste del Ministrante che si celebravano annualmente a Nardò nel grande atrio polifunzionale del seminario diocesano (adibito a volte anche a campo di basket o di calcetto, quando non per convegni, cerimonie o sante messe all’aperto), ricevetti in dono dalle mani dell’eccellentissimo vescovo un libro premio che ancora conservo gelosamente. Era un libello delle Edizioni Paoline, scritto da Denise Barnard dal titolo “Sul tetto del mondo”: una storia sul Tibet e sul Dalai Lama (per dire l’ecumenismo, e soprattutto l’apertura mentale di quell’uomo di cultura, che ci spingeva proprio in quei ruggenti anni ‘70 ad andare oltre “questa siepe che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”, e forse anche oltre la nostra stessa religione). Credo che fosse stata la signora Pata di Noha (al secolo Vituccia Specchiarelli), delegata all’iniziazione cristiana dei chierichetti, a fare il mio nome al “comitato-premi-libri-ai-chierichetti” per quella bella cerimonia.
Quando il vescovo era in visita a Noha era quasi una festa di precetto, i riti sempre solenni, con la presenza costante di almeno quattro sacerdoti (i due immancabili nohani, cioè don Donato e don Gerardo, e poi ancora don Giovanni Cardinale di Aradeo e infine il segretario-cerimoniere vescovile, mons. Mancina, anzianissimo, e sovente altri “preti ospiti”). Tutti attendevamo l’arrivo dell’ordinario diocesano sul sagrato della chiesa madre, pronti, subito dopo il saluto del parroco, a riceverne l’aspersione “urbi et orbi” (a Noha e al mondo).
Una volta, alla fine di una celebrazione eucaristica, mi trovai ad aprire completamente la porta dell’ufficio parrocchiale (dove era stato preparato il solito rinfresco con delle bibite) solo dopo il passaggio di sua eccellenza, non prima. Ecco che monsignore, tra il serio e il faceto rivolto a me – tra le risate degli astanti - mi fa: “Non preoccuparti. Pensa che anche Santa Chiara chiuse i cancelli dopo che i buoi erano scappati.” Non sapendo cosa rispondere (andavo meglio agli scritti che all’orale anche allora), credo che mi mimetizzai diventando rosso porpora, più o meno come la veste color magenta del mio illustre interlocutore.
Non sto qui a dirvi che imitavo la voce e la cadenza di mons. Mennonna come nessun altro. A dire il vero ero un (inimitabile) imitatore di persone non famose che manco un concorrente di “Italia’s got talent”. Sicché arrivai a fare la parodia di personaggi più o meno locali, quali don Donato stesso, ovviamente don Gerardo, finanche la mia maestra delle elementari… Più tardi arrivai a fare il verso anche ai miei professori delle superiori e quindi dell’università, oltre ovviamente quello di molti miei amici e colleghi, e di altri personaggi vari ed eventuali.
*
Antonio Rosario Mennonna (sopravvissuto a due suoi successori avvicendatisi sulla cattedra neritina), si è spento nella sua casa di Muro Lucano nel 2008, all’età di 103 anni. Ipovedente, è stato lucidissimo fino alla fine: pare che allenasse le sue sinapsi recitando a memoria interi canti della Divina Commedia (ergo lo scrivente, da questo punto di vista può considerarsi in una botte di ferro).
Lascia un ottimo ricordo in quanti lo conobbero in vita, ed una serie infinita di pubblicazioni, fra le quali: libri di favole per grandi e bambini, trattati di filosofia e di teologia, volumi di glottologia (per esempio sui dialetti gallitalici della Lucania), un piccolo dizionario del cristianesimo, e i famosissimi e stupendi “Dialoghi con i personaggi dell’antica Roma” (da Romolo a Tarquinio il Superbo, da Cicerone a Socrate, da Augusto a Costantino, ecc.), incisi anche su Cd.
Il vescovo-professore fu insignito dal Presidente della Repubblica della medaglia al valore di benemerito della scuola, della cultura e dell’arte.
Nel 2008, pochi mesi prima della sua dipartita, scriveva una lettera di ringraziamento a don Donato per il dono del suo volume “Il sogno della mia vita” (curato dal sottoscritto, ed edito da Panìco). In quella lettera (che mio zio buonanima mi fece leggere, e che ora non riesco a rinvenire – datemi tempo), Mennonna fa riferimento al sottoscritto quale insuperabile imitatore della sua voce.
Antonio Mellone
*
Eccellenza Reverendissima,
sono passati ventuno anni e qualche mese da quando Ella fece il suo ingresso nella nostra Diocesi. E ora è giunto il momento di lasciarci per ritornare nella sua terra d’origine (Muro Lucano, ndr.). Sono convinto che Ella se ne sarebbe andata in punta di piedi, senza dar fastidio a nessuno, se non ci fosse stato un dovere elementare da compiere: quello di congedarsi da noi sacerdoti e dalle comunità parrocchiali che per tanti anni Ella ha guidato con saggezza, spirito di sacrificio e soprattutto con grande bontà d’animo.
Non è nel mio stile, Eccellenza, abbandonarmi ai complimenti, ma la verità bisogna pur dirla. E la verità è che noi sacerdoti, come pure tutti i fedeli, abbiamo visto in Lei non l’uomo di cultura, non il dottore in Sacra Teologia, quanto il Buon Pastore che ha amato questa Diocesi di Nardò, non con le parole, ma con i fatti e in verità.
Non è questa la sede più adatta, e non sono io la persona più indicata per illustrare l’opera da Lei svolta a vantaggio di tutta la Diocesi neritina nel corso del Suo ministero pastorale: ci saranno altri più qualificati di me che non mancheranno di assolvere a questo compito. E tuttavia a me spetta il dovere di fare solo un cenno a quanto bene ha compiuto nei confronti di questa Comunità Parrocchiale di Noha.
E ricordo le numerose visite pastorali, da Lei compiute. Ricordo quando nei primi anni del Suo (e mio) Ministero venne nella nostra Comunità a benedire i locali della nuova casa parrocchiale; ricordo quando fece un sopralluogo per i lavori di restauro della chiesa madre e per consacrare successivamente questo altare maggiore, così come voluto dal Concilio; ricordo la benedizione delle campane della chiesa parrocchiale e quella del cimitero, e anche quando venne a Noha a benedire il nuovo monumento ai Caduti; e ricordo, infine, quando, proprio in quest’anno è venuta a benedire il nuovo campo sportivo. E non posso non ricordare, durante l’anno mariano diocesano, l’accoglienza festosa che proprio questa comunità tributò alla Madonna della Pace nel pellegrinaggio che Ella ha voluto indire partendo da Roma.
Sono queste soltanto alcune delle opere che Ella ha compiuto a nostro vantaggio, e proprio a nome di questa Comunità, e a nome mio personale sento il dovere di esprimere all’Eccellenza Vostra Rev.ma i sentimenti della nostra gratitudine più sincera e più devota, e al tempo stesso Le chiedo che non ci dimentichi.
Per questo le Associazioni parrocchiali hanno pensato di offrirLe in dono una statuetta della Madonna. Quando Ella pregherà davanti a questa statua sono certo che si ricorderà di noi.
Noi, dal canto nostro, non mancheremo di ricordarLa nelle nostre preghiere.
Per l’intercessione di Maria, il Signore Le conceda Grazie su Grazie, e tanti anni ancora di vita e salute.
Sac. Donato Mellone
[si ringrazia lo Studio Fotografico Pignatelli per la foto d’archivio]
gen152012
Di seguito il terzo dei quattro video del funerale de L'osservatore Nohano.
giu052013
Quando si parla di un argomento, uno qualsiasi, ascolto con attenzione prima di esprimere il mio parere. Se però l’argomento è il disegno, l’antenna telescopica della mia attenzione si proietta come il periscopio di un sommergibile che scruta l'orizzonte, in cerca della meta da raggiungere. Oggi sono a casa di Mauro, il papà di Alessio, che con evidente orgoglio, mi racconta della premiazione del suo bambino per un disegno scelto a scuola, l’Istituto Comprensivo Polo 2 di Galatina e Noha, avvenuto a Lecce presso l'Hotel Tiziano, il 31 Maggio. Il concorso, denominato “Lo scrivo io”, a cui hanno partecipato molti studenti della provincia di Lecce, è stato indetto dalla Gazzetta del Mezzogiorno. Non faccio nemmeno in tempo ad abbozzare il desiderio di vedere quel disegno che Mauro sparisce nella stanza affianco per riapparire con una valanga di pagine colorate. A parte la mia esperienza quarantennale nel disegno, ho visto molti bambini, fra cui i miei due figli, crescere con il loro modo di disegnare. Oltre alla parola, il disegno è uno dei primi metodi di comunicazione. Infatti un bambino, appena è in grado di tenere in pugno una matita, inizia a compiacersi dei suoi “geroglifici” che con il passare del tempo prendono forma. Osservando le opere di Alessio mi rendo conto di avere fra le mani qualcosa di diverso dal solito. Alcuni suoi lavori esprimono la normale espressività di forme e figure tipiche dei bambini della sua età, come per esempio, il villaggio Maya, dove la rappresentazione topografica del fiume e di alcune scene di vita quotidiana spiana la vista isometrica del tempio. Forme che con il raffinarsi della tecnica e con l’avanzamento nei corsi di studio cambiano generalmente allo stesso modo quasi per tutti. Ma qui noto una capacità libera e straordinaria di entrare nel disegno prospettico che sicuramente Alessio non può avere acquisito da regole o insegnamenti che fanno parte di programmi scolastici ancora a divenire. Alessio è in grado di intercalare nello spazio del suo disegno strutture dislocate in varie angolazioni mantenendo alto il livello del buon gusto visivo. Per rendersene conto, basta osservare la piazza con lo sfondo della cupola di San Pietro che lui ricorda (senza l’ausilio di foto) da una sua recente gita a Roma. Una capacità evidentemente innata in lui poiché, io stesso dovendo impegnarmi in cose del genere, dovrei necessariamente ricorrere a regole e trucchi acquisiti con l’esperienza del mio lavoro, naturalmente dopo la maturità tecnica. Quindi Alessio ci dimostra di essere un concentrato di attenzione, oltre che di maestria del disegno. Sicuramente ha un alto spirito di osservazione che lui, ovviamente, non gestisce con la ragione ma estrapola liberamente dal suo animo con la leggerezza di chi vede e sente con il cuore. E’ chiaro che Alessio in questo momento dell’età, attraverso i disegni che fa di sua libera iniziativa, ci racconta dei suoi sogni di bambino. Ma è probabile che con il passare del tempo diventerà comunicazione pura e forma espressiva dei suoi pensieri. Lo spirito di osservazione è la base necessaria per costruire un qualsiasi progetto, nel bene e nel male. Se non siamo capaci di osservare non saremo mai in grado di decidere cosa fare. E se non lo facciamo noi ci sarà sempre qualcuno pronto a prendere e pretendere di dominare sulla nostra stessa libertà. I risultati sono evidenti ovunque, Noha compresa, ma questa è un'altra storia. Quindi Alessio è un “osservatore”, come me, uno che osserva e disegna. A questo punto non mi resta che proporgli di “osservare” Noha. E così prendo dalla mia borsa una copia del Catalogo dei Beni culturali di Noha pensando di fargli un gradito regalo. Alla vista del libro la sua sorpresa è grande. Fino a questo momento il nostro dialogo è stato distratto e discontinuo, sono stato io a tenere “vincolata” la sua attenzione. Ma appena aperto il libro sulle pagine dei disegni delle nostre Chiese, delle masserie, delle casette, della Casa rossa, del Castello, della Torre, della Trozza, della pianta di Noha, della masseria Colabaldi, ecc. Alessio sbarra i suoi grandi occhi scuri. Anche se non lo fa con le mani (educatamente ferme), sento le pagine scivolarmi sotto le dita, mosse certamente dal suo forte desiderio di ammirazione per i disegni a colori che si susseguono nelle pagine del Catalogo. Quasi me lo strappa dalle mani per immergersi in quelle pagine che lo attraggono visibilmente. Ora Alessio è sereno, sta certamente elaborando nella sua mente altri progetti da disegnare sui fogli di carta che in casa abbondano. Forse si è aperta una nuova vena preziosa in questa miniera di tesori che è Noha con i suoi valori e i suoi beni.
Marcello D’Acquarica
mag132018
Che bello: quiSalento ritorna finalmente in edicola dopo quasi quattro mesi di vacanza.
Per un attimo avevo temuto il peggio. Ma i miei amici sono tosti e troppo giusti per lasciar cadere il marchio quiSalento nelle fauci dei leoni, cioè i soliti editori cafoni pieni di milioni, proprietari di televisioni e varie pubblicazioni cloni (quelli cogli oni, come diceva quello).
Invece Cinzia, Dario, Dora, Valeria e Matteo ce l’hanno messa tutta, costituendo una società cooperativa vera, di quelle dove realmente e non a chiacchiere uno vale uno, si sono nfordicati le maniche, hanno investito il loro Tfr nella nuova avventura editoriale, e hanno ripreso di buona lena uno dei lavori più belli e più difficili in assoluto: quello che scommette sulla parola (in minuscolo per carità) e sulle immagini sfregate sulla carta: l’unico potere in grado di cambiare il mondo in meglio, a condizione che sia francescano, scalzo, e pronto a dar voce al pianoterra più che ai piani alti.
Conosco quiSalento praticamente dal suo primo numero. Ho anche (indegnamente) collaborato e più volte con la sua redazione. Pensate che Marco Lagna, un nohano allora studente al classico di Galatina, oggi brillante laureato in Filosofia, diventò per il mio tramite il primo stagista di codesto comitato di giornalisti professionisti (mentre già faceva parte dell’osservatore Nohano, il locale mensile semiclandestino che fingevo di dirigere, uscito per la prima volta nel 2007 e però andato a ruba per cinque anni consecutivi).
Il primo numero della rinascita di quiSalento ha in copertina mille papaveri rossi, quelli dei prati salentini che invece qualche decretino martinese (dal cognome del ministro candidato al Nobel per l’Agricoltura: soprattutto per le braccia strappate alla), con la scusa della Sputacchina e del batterio della Xylella - il quale non solo veicolerebbe ma farebbe addirittura seccare gli ulivi - vorrebbe diserbare.
Ebbene sì, lorsignori (quelli dei piani alti) non vedono l’ora di trasformare i prati salentini, variopinti, profumati, e soprattutto anarchici, in prati inglesi, tosati, allineati, e innaffiati quotidianamente. Pazienza se poi questi prati inglesi, idrovori e energivori (anche in termini di tempo), stanno al Salento come il pecorino grattugiato sul pasticciotto.
Oltretutto, la nostra terra sitibonda non può permettersi il lusso di sprecare acqua dolce per la vanagloria di qualche intelligentone che li vorrebbe ovunque: nella propria villa aspirante borghese, nel Twiga briatoregno in riva al mare, nel resort con villette intorno che proprio una English lady di ferro (e cemento) vorrebbe far colare nell’uliveto della Sarparea, o all’ingresso di certe aziende ecocompatibili (ma di più ecocompatite) per sottolinearne il pollice verde. Chissà perché ora mi viene in mente Colacem e il suo grande tappeto di erba (medica?) seminata all’entrata della premiata ditta, sicché dalle ciminiere del suo cementificio o dalle montagne di carbonile a cielo aperto giornalisti-virgolettati, politici di complimento e popolo da reality vedranno fuoriuscire inebriante parfum eau de cologne piuttosto che inesorabile eau de fogne.
So che quiSalento troverà linfa vitale dai suoi lettori, e non avrà bisogno di vendersi l’anima alle sponsorizzazioni di chi (faccio un nome a caso: Tap) per indorare la supposta è pronto a elargire pecunia a cani e porci (soprattutto porci).
Non si prendono caramelle dagli sconosciuti (o dai soliti noti). Se lo facesse, non sarebbe più il mio quiSalento, ma làSalento. Anzi, aldilà.
Antonio Mellone
“Il bar non porta i ricordi, ma i ricordi portano inevitabilmente al bar”, dice Vinicio Capossela.
Questa volta il bar è quello della Liliana.
Sì, certo, l’insegna riporta la denominazione ‘Bar Castello’, ma a Noha e dintorni si utilizza volentieri il genitivo sassone, quel particolare costrutto usato per indicare un esercizio commerciale omettendo il nome comune del locale posseduto (restaurant, shop, office, church, e quindi bar) ma indicandone il titolare, sicché per noi nohani la locuzione “Faccio un salto dalla Liliana” potrebbe significare “Vado a prendere un caffè al bar Castello”, ovvero “A leggervi il giornale”, oppure “A guardare Novantesimo minuto” [non so nemmeno se esista ancora codesta trasmissione calcistica: di certo, se anche l’avessero soppressa, secondo me dalla Liliana continuano a trasmetterla imperterriti, ndr.]. Insomma.
Peccato però che da qualche giorno Liliana’s (v. sopra il concetto) ha chiuso definitivamente i battenti dopo sessanta, che dico, quasi settanta anni di onorato servizio: pertanto molti verbi è d’uopo d’ora in poi coniugarli all’imperfetto.
Qualcun altro, prima di me, ha vergato righe sul caffè e l’ottima limonina del bar, non tralasciando la pasta di mandorle (rigorosamente baresi, non americane) che le mani d’oro della Liliana trasformavano in Paste Secche e, quando il caso, in Pecurieddhri pasquali. Vorrei aggiungere, tra le specialità/ricordi, pure il caffè freddo conservato in frigo nelle bottiglie di vetro verde scuro, dico quelle per la salsa, con il tappo di sughero: caffè che doveva essere agitato bene prima dell’uso o, per dirla alla barman anzi alla bar-tender acrobatico, shakerato.
Non potrei non menzionare qui (ma poi, giuro, mi fermo per davvero) anche la bontà delle sue zeppole: le più morbide e vellutate che io abbia mai mangiato. Liliana ne approntava a bizzeffe per il giorno di San Giuseppe. Si alzava di notte per farle, molto prima del solito orario cioè le cinque (sissignore, una vita intera a vincere la gara con l’aurora). Con l’aiuto della sua povera mamma, rompeva le uova, cartoni interi di uova fresche, e preparava l’impasto amalgamando gli ingredienti in un grosso recipiente di rame con l’utilizzo di un attrezzo in legno. Non vi dico poi la bontà della crema pasticciera con cui venivano guarniti questi grandi bignè fritti o al forno culminanti con un ciuffo di budino al cioccolato amaro. Altro che creme e Nutelle industriali. Il 19 marzo le incartate di zeppole prenotate riempivano ogni angolo del bar, dal bancone ai tavolini, dalle sedie al bellissimo biliardo in legno massiccio ubicato nella seconda sala, anche questa, come la prima, con volta a botte.
Bisogna ricordare infine che presso la Liliana era installato il centralino telefonico di Noha. Prima della diffusione dei cellulari - e ancor prima dei telefoni fissi che pian piano arrivarono nelle case nohane sul calare degli anni ’80 del secolo scorso - dalla Liliana potevi fruire del collegamento telefonico in una bella cabina insonorizzata, discreta, seminascosta alla vista dei più. Quante volte da ragazzo ho utilizzato il telefono della Sip, quello grigio attaccato al muro con il disco dei numeri, per telefonare alla morosa di turno conosciuta al mare d’estate e poi, a fine vacanza, ritornata in patria in qualche altra parte d’Italia diversa dal Salento. Nel passarmi la linea, scuotendo un po’ la testa, ma con saggio compatimento, la Liliana sembrava dirmi: “Figlio mio, gli amori a distanza sono croce e delizia: all’inizio di più croce, poi man mano di più delizia”. Ovviamente aveva ragione lei. Chissà che non per antica dimestichezza con la materia.
Forse non tutti sanno che Liliana, con lo pseudonimo di Liana, è anche uno dei protagonisti dello stupendo “Il Mangialibri” di Michele Stursi (L’osservatore Nohano Editore, 2010), il primo romanzo ambientato a Noha, di cui riconsiglio la lettura; ma di certo tutti concordano sul fatto che Liliana nostra è ormai una delle pagine più belle della Storia di Noha. Questo non solo per il lavoro diuturno, le sue leccornie dolciarie, il gran cuore e le sue proverbiali accoglienza e disponibilità, ma anche (soprattutto) per la pazienza e la diciamo capacità di ascolto di ipotesi, tesi, antitesi, purtroppo quasi mai sintesi, di molti avventori del suo locale.
Mentre i novelli retori si esibivano nelle loro interminabili elucubrazioni sugli argomenti più disparati, con molte probabilità la Liliana avrà pensato tra sé e sé: “Ma cos’hanno il mio e gli altri bar italiani per far diventare opinionisti tutti o quasi quelli che ci entrano? E come faranno quando chiuderò il bar?”.
Tranquilla, Liliana: molti hanno trovato casa su Facebook. Altri addirittura in politica.
Antonio Mellone
apr222022
Siamo venuti a sapere che oggi, appena spuntata l'aurora, la nostra Suor Orsolina D'Acquarica si è spenta serenamente nel bacio del suo Signore all'età di 88 anni.
I funerali avranno luogo a Torino. A Noha invece la ricorderemo con una messa di suffragio in Chiesa Madre lunedì 2 maggio 2022 alle ore 19.
Per chi eventualmente non conoscesse questa Donna, postiamo qui di seguito gli "Scritti in Onore di Suor Orsolina D'Acquarica" che L'osservatore Nohano tributò nel 2014 alla nostra concittadina, giramondo per amore di Cristo.
I collaboratori di Noha.it si stringono con affetto ai "colleghi", P. Francesco e Marcello (suoi fratelli), agli altri parenti, agli amici, e a tutti i "figli" della Missionaria di Noha, a partire dagli indigeni dell'Amazzonia che Orsolina ha sempre curato e difeso dalle grinfie dei signori del Capitale, vale a dire della guerra.
La Redazione
set272021
Non è elegante accingersi a vergare un breve ricordo di “tanto raggio” partendo da una diciamo autocitazione. Però, un po’ per far meglio comprendere il fatto e un po’ per la faccia tosta che mi ritrovo, la faccio ugualmente.
Allora, vergin di servo encomio e ovviamente di codardo oltraggio, nell’aprile del 2007 per i tipi di Infolito Group (Milano) uscì, con molte, molte licenze poetiche, un mio libello di “Scritti in onore di Antonio Antonaci”, prefato da par suo dal prof. Zeffirino Rizzelli.
E qui potrei chiudere il discorso rinviando il lettore a quel volumetto rabberciato alla men peggio (ma meglio di così, scusate, non saprei fare), reputando concluso questo mio intervento in memoriam e lasciando finalmente in pace questa tastiera. Invece no.
*
Conobbi, dunque, il prof. mons. Antonio Antonaci (io però l’ho sempre appellato con il solo titolo accademico) partendo dalla fine, voglio dire dalla sua ultima creatura in termini volumetrici, cioè il monumentale Galatina – Storia e arte (ed. Panico, Galatina, 1999) che acquistai nel 2002 presso la Libreria Viva. Orbene, dopo aver divorato, compulsato e preso nota di molte cose contenute in quelle oltre mille pagine curatissime, non rammento bene a chi chiesi come potevo fare per incontrarne l’autore. Sta di fatto che l’auspicato convegno avvenne nella tenuta di Sirgole, feudo di Noha, dove Monsignore villeggiava nella sua graziosa casetta, sul finire dell’estate di quell’anno, precisamente il 19 ottobre del 2002. La scusa fu l’autografo da far apporre sulla prima pagina di quel ponderoso tomo, che dunque portai con me ben allacciato al portapacchi posteriore della mia bicicletta. Fu questo l’inizio delle mie visite al Professore che avvenivano nel corso dei fine settimana, non tutti ma molti, di ritorno dal barese dove allora come ora (ma ora giocando praticamente in casa) prestavo la mia attività lavorativa alle dipendenze di un istituto di credito.
Erano incontri, quelli, nei quali non funzionava la partita doppia: il mio Dare era nullo in confronto all’Avere. Chi ci guadagnava nel corso di quei meeting era sempre il sottoscritto: non andavo mai via da quelle conversazioni senza aver appreso qualcosa, conosciuto un personaggio, approfondito un argomento di carattere storico, ecclesiale o filosofico. Mai potrò scordare quando, per rispondere a una mia curiosità su quell’autore medievale, Antonaci mi parlò diffusamente della figura di Meister Eckart, o quando gli chiesi del pensiero di Ortega Y Gasset. Altro che Wikipedia.
E poi i libri. Quando non era egli stesso a darmene copia (“Tolle et lege” – mi diceva facendo eco alla voce del famoso bambino delle Confessioni di Sant’Agostino), provavo a procacciarmi da solo l’ambito bottino antonaciano.
E così ho vagabondato per librerie antiquarie tra Milano, Bari e Roma, per curie vescovili, come quella di Otranto, dove mi procurai il volume “Editoriali”, 52 articoli pubblicati su “L’Eco Idruntina” dal ‘61 al ’67; per case generalizie, tipo quella delle Suore Apostole del Catechismo a Santa Fara di Bari, che gentilissime mi donarono il “Cornelio Sebastiano Cuccarollo”; per bancarelle, come quelle della fiera del libro di Campi Salentina, dove rintracciai e acquistai senza badare a spese “Questo è il Salento” del 1956; per mercatini di rigattieri, onde pagai uno sproposito un minuscolo fascicolo del 1952 dal titolo “S. Pietro in Galatina” - ma avrei sborsato anche il doppio; per sagrestie, come quella dell’Arciconfraternita dell’Addolorata e quella della chiesa della Madonna della Luce in Galatina, o come quella del Santuario della Madonna della Coltura di Parabita, per le rispettive guide; per circoli cittadini, tipo la Società Operaia di Galatina, per il volumetto che raccoglieva il discorso di Antonaci letto in occasione dei cento anni di storia di quell’associazione di mutuo soccorso; per case private, ad Andrano per esempio, dal nunzio apostolico Luigi Accogli, il quale, per il tramite di una sua collaboratrice spagnola, mi fece pervenire la sua biografia oltre che addirittura una lettera di scuse per non essere riuscito a incontrarmi (ma l’arcivescovo si trovava negli Stati Uniti per la cura di un cancro, che da lì a pochi mesi si rivelò fatale).
Potrei continuare a lungo stancando il lettore - quell’unico che sarà arrivato sin qui – continuando a parlare dei fatti miei e della mia amicizia con Antonio Antonaci, professore universitario, prete e scrittore, e studioso enciclopedico, osservatore acuto e dotto, pensatore illuminato e, non ultimo, conversatore divertente, senza riuscire né a delineare una sua biografia intellettuale né un’epitome della sua opera omnia. Non m’impelago nemmeno nell’approfondimento dei cinque filoni di studio che lo interessarono, vale a dire il filosofico, il teologico, il biografico, lo storico e il socio-politico, molti sparpagliati nei suoi libri che custodisco gelosamente, se no davvero non la finirei più.
Li razziavo quei libri, facendo mie molte espressioni che trovavo perfette, li sottolineavo, li consideravo una palestra del bello scrivere, li recensivo man mano che finivo di divorarli con vera appetenza cartivora. Poi raccolsi i miei appunti nel libercolo celebrativo di cui all’iniziale autocitazione.
Ma poco prima che uscissero dai torchi del tipografo quegli “Scritti in Onore”, per ben due volte, in tempi affatto diversi - la prima in quel di Cutrofiano e la seconda proprio a Noha – stavo per rimaner vittima di un colpo apoplettico allorché, viaggiando in macchina, per caso mi accorgo del manifesto funebre con su scritto il nome di (tale) Antonio Antonaci.
In entrambi i casi ho inchiodato la mia auto, con il rischio di venire tamponato, e sono sceso a controllare da vicino: in tutte e due le evenienze si trattava per fortuna di un’omonimia (un Antonio Antonaci era coniugato; l’altro, poveretto, aveva la metà degli anni di Monsignore).
Il terzo manifesto, diciamo quello autentico, ebbi modo di leggerlo a Galatina nel pomeriggio del 27 settembre del 2011: oggi di dieci anni fa.
Ebbene sì, mi ci son voluti tre manifesti funebri per capire, a scoppio ritardato, che il prof. mons. Antonio Antonaci non è mai morto.
Antonio Mellone
[Fonte: galatina.it]
nov082010
Paola Rizzo inimitabile pittrice d'ulivi
Don Francesco Coluccia direttore del Laboratorio Culturale Benedetto XVI - Noha
Paola Congedo della Biblioteca Giona
Denise D'Amato amica dell'autore
Antonio Mellone dell'osservatore Nohano
Martina Chittani
Michele Stursi autore de "Il Mangialibri"
Il brindisi finale
giu102010
Ho conosciuto Corrado Marra nel corso di alcune riunioni di lavoro: siamo infatti colleghi, entrambi responsabili di filiale di un importante istituto di credito dell’Italia del Sud. Corrado, in provincia di Lecce; chi scrive, in provincia di Bari.
Capita sovente, nel corso di codeste riunioni, di far comunella con i compagni di viaggio, trascorrendo con loro, oltre alle ore canoniche degli incontri, gli intervalli, le pause pranzo o - nel caso di missioni in corsi residenziali lontano da casa con durateultragiornaliere - anche le serate in pizzeria con connesse lunghe, belle passeggiate e discussioni. Tuttavia il più delle volte si finisce per parlare di lavoro, di colleghi, di superiori, di numeri, in mille discorsi arzigogolati, fritti e rifritti.
Con Corrado Marra non è mai stato così. Sin da subito, senza bisogno di accordi, abbiamo parlato “d’altro”; e se qualche volta fuori orario s’è fatto riferimento al nostro lavoro, l’abbiamo fatto in maniera beffarda, canzonatoria, divertita e, ove possibile, auto-ironica, tra tante gustose risate. Quel “parlare d’altro” è la base ed il succo di queste note.
Può sembrare strano, ma due direttori di banca possono anche discettare di arte, di letteratura, di poesia, e di cultura. Sì, perché a Corrado piace dipingere; al sottoscritto, leggere e talvolta cimentarsi nella scrittura. E si sa che pittura, lettura e scrittura sono sorelle che da sempre vanno a passeggio sotto braccio.
Per essere ancor più espliciti diciamo che Corrado è un pittore di lungo corso (avendo egli, tra l’altro, frequentato l’Accademia delle Belle Arti di Lecce nel corso di pittura), mentre l’estensore di questi appunti è uno scrivente (e non s’azzarderebbe mai ad autodefinirsi scrittore, per quei tre o quattro libelli che gli è capitato di consegnare alle stampe, o per gli editoriali e le rubriche che tiene su di un periodico on-line semi-clandestino chiamato L’osservatore Nohano).
Noi conveniamo sul fatto che si riesca ad essere bravi direttori di banca, coordinando collaboratori, raggiungendo determinati risultati, risolvendo mille grattacapi quotidiani, guadagnandosi la fiducia e la credibilità dei clienti, se e soltanto se si ha dimestichezza con le opere d’arte, con la poesia, con la musica; cioè solo se si frequenta il teatro, la fotografia, la pittura, il patrimonio librario, archeologico o archivistico. Dunque, solo se si ha commercio d’amorosi sensi con le arti figurative o con le mille altre testimonianze aventi valore di civiltà si riesce a essere anche dei bravi professionisti. Non c’è antagonismo tra i due aspetti, ma somma consonanza: non c’è soluzione di continuità tra la ricerca della bellezza, e la bravura e la professionalità di un uomo assiso dietro la sua scrivania. Un fatto non esclude l’altro, anzi lo completa, lo migliora, lo esalta.
Per far comprendere meglio a chi ci legge che qui si fa sul serio, diciamo che Corrado è anche titolare di una galleria d’arte, in via D’Enghien (www.artdenghien.it) una tra le più belle ed accoglienti di Galatina, con un invitante salotto al centro della sala, in cui si finisce per accomodarsi, sprofondando nelle sue comode poltrone. Così, per oziare, per passare il tempo, per discettare del più e del meno, si finisce per diventare terroristi armati di filosofia, titolari di quel pensiero migliore che solo è in grado di annientare le armi di distrazione di massa, come di fatto è diventato il teatrino elettrico, ormai ultrapiatto, che tutti abbiamo in casa, acceso dalla mattina alla sera.
Entrare in quella galleria-tempio è come partecipare ad un rito di bellezza: mirare i quadri di Corrima (è questo lo pseudonimo di Corrado Marra) significa redimersi dai problemi, dalle angosce, dalla nostra finitezza che c’inchioda a terra. In questa galleria di quadri e di installazioni artistiche tutto diventa magia, incanto, Sud.
Antonio Mellone
set062014
Sul quel numero de “L’osservatore Nohano”, annunciammo l’inaugurazione del “palo della Chiesa Piccinna”. Avvenne in forma ufficiale lo stesso giorno della Festa dei Lettori in cui presentammo anche il catalogo de “I Beni Culturali di Noha” alla presenza di molti cittadini e cariche istituzionali. Ci sembrò una cosa gradita dalla popolazione.
Da lì a poco tempo il palo fu reso illeggibbile dalle spruzzate di vernice nera di chissà quale vangale.
Con la collaborazione dei ragazzi del “Presepe Vivente Masseria Colabaldi”, quest’anno, verso la fine del mese di Luglio, i due pannelli sono stati rimpiazzati nuovamente.
La stampa a colori dei pannelli ed il lavoro di tutto il montaggio sono stati eseguiti gratuitamente, rispettivamente da:
"Digital Graphic Di Del Gottardo Lucio & C." e da "MGM di Misciali Anna Serena Via Cuccarollo - Noha".
Anche se effettuato senza annunci di trombe né inaugurazioni di alcun genere, ma nel semplice silenzio del “gratuito”, l’evento meritava di essere presentato in tutta la sua luce.
Una decina d’anni fa, in uno dei miei numerosi trasferimenti di sede lavorativa, una cliente, di professione imprenditrice, si presenta davanti a me per “conoscere il nuovo responsabile di filiale”. Nell’udire il mio cognome, la signora si blocca, sgrana gli occhi e mi fa: “Ma per caso lei è di Noha?”. Alla mia risposta affermativa, di rincalzo, aggiunge: “Allora conosce la maestra Bruna Mellone?”. “Certo, – replico – è mia cugina”. E mi racconta che Bruna fu la sua indimenticabile insegnante delle elementari di Supersano, che è stata fondamentale per la sua formazione umana e anche professionale (“dacché le scuole primarie sono forse più importanti di qualsiasi corso di laurea o addirittura master postuniversitario”, mi disse), e che al di là di tutto, della preparazione, dei metodi educativi all’avanguardia per il periodo (siamo a cavallo tra gli anni ’70 e gli ’80 del Novecento) “la Maestra Mellone è una Grande Donna”, parole testuali.
Qualche giorno dopo, compiaciuto, portai a mia cugina i saluti e il giudizio postumo della sua alunna del tempo che fu. Non ci crederete: Bruna, schermendosi da ogni lusinga, ricordava non soltanto i tratti di quella bambina (ormai cinquantenne), ma mi raccontò per filo e per segno alcuni aneddoti riferibili a quella allieva, le particolarità della sua classe bisognosa oltretutto di dedizione straordinaria, nonché i susseguenti tentativi della direttrice della scuola di trattenere Bruna in quell’istituto il più a lungo possibile, rifiutandone ogni richiesta di trasferimento verso altri collegi più vicini al paese di residenza della sua collaboratrice. Cambiamento di sede che comunque avvenne qualche tempo dopo, prima a Collemeto, poi a Galatina e finalmente a Noha. Cambia la geografia, ma la valutazione da parte di colleghi e discenti sul conto di Bruna rimane sempre quello.
Certamente non c’era bisogno di quell’ex-studentessa perché io venissi a sapere che Bruna era una Grande Donna: per me lo è sempre stata. Le mie prime Costruzioni (che oggi si chiamano Lego), il libri di favole, l’esortazione a lasciar perdere la volgare insolenza del quotidiano, i consigli su come scrivere (e soprattutto non scrivere) sono tutti suoi. Veramente ho ricevuto correzioni su grammatica e sintassi dei miei elaborati si può dire fino all’altro giorno, tipo quelle relative alle storie rilegate a libro (il mio “Don Paolo”, per esempio, fu revisionato da lei da cima a fondo), e incluse quelle altre cucite a mo’ di mensile cartaceo, dico de “L’osservatore Nohano”, del quale Bruna fu generosa collaboratrice.
Meno male che non leggerà queste note scritte di getto (“Mai scrivere di getto: meglio evitare”, mi diceva), se no chissà quanto inchiostro blu e rosso sarebbe stata costretta a usare per emendare i miei strafalcioni, soprattutto di morfologia, e per indicarmi quanti altri punti avrei potuto approfondire e trattare meglio.
Sì, perché ieri pomeriggio questa Grande Donna ha chiuso per sempre i suoi poveri occhi velati da mille patologie, liberandosi, con l’ultimo soffio, dagli altrettanti acciacchi che l’affliggevano da un bel po’. Se n’è andata così, confortata fino all’ultimo da sua sorella Dora, anch’ella maestra di scuola, e - questione di Dna probabilmente –pure lei Grande Donna, non meno della nostra povera cara Bruna.
Antonio Mellone
ott192011
Ecco i video e la photogallery della presentazione di venerdi 30 settembre del nuovissimo libro di P. Francesco D'Acquarica dal titolo "Curiosità sugli arcipreti e persone di chiesa a Noha" (edizioni L'osservatore Nohano).
mar262020
Il tecnico federale Marco Corina, componente dello staff della Showy Boys Galatina, condivide le sue riflessioni sull’attuale situazione di emergenza Covid-19 e sul futuro del movimento pallavolistico e della Scuola Volley.
“Siamo fermi ormai da più di due settimane per affrontare questa emergenza diventata pandemia mondiale. Non parlo con cognizione di causa, non essendo un virologo, ma, da acuto osservatore di ciò che sta succedendo nel mondo, credo che si sarebbero potute attuare in anticipo delle misure più rigorose. In questo momento, le prospettive, purtroppo, non sono delle migliori ed è quanto mai difficile fare una programmazione per il futuro. Nel nostro campo, quello della pallavolo, è prematuro pensare se e come potrebbero riprendere le attività sportive. E’ chiaro che tutti ci auguriamo di poter tornare presto in palestra anche perché allenatori e atleti avvertono molta pressione, ma al contempo credo che aspettare il completo arresto della pandemia sia doveroso. Non vorrei essere nei panni degli organi preposti ad assumere le decisioni perché non sarà facile trovare una soluzione che possa accontentare tutti. Naturalmente ci piacerebbe tornare alla normalità quanto prima però è stata già scartata l’ipotesi di terminare i campionati giovanili che, invece, potevano risultare una valvola di sfogo per i ragazzi che sono chiusi in casa da quasi un mese e ne avranno ancora per molto. In questa stagione, avevamo programmato due campionati maschili e femminili under 13, 6x6 e 3x3, oltre al campionato 3D Young e alle varie squadre under 12 e Volley S3 che avremmo presentato al campionato e ai raduni. Si trattava di una mole di lavoro importante sotto le linee guida tracciate dal direttore tecnico Francesco Papadia e dal responsabile della Scuola Volley Gianluca Nuzzo. Al momento, la speranza e la voglia di tornare in campo supera la tristezza del dover stare a casa. In questi giorni, siamo costantemente in contatto con gli allievi della Scuola Volley ai quali proponiamo specifici esercizi da svolgere in casa. A tutti loro va il mio saluto e un grosso abbraccio virtuale nella speranza che nessuno potrà più toglierci la pallavolo dalle nostre vite”.
www.showyboys.com
mar262020
Relegati in casa dall’emergenza epidemica che ha imposto anche il blocco di tutte le manifestazioni sportive, non rimane che virare su altre direzioni in mancanza di competizioni agonistiche.
Andiamo a scoprire così uomini e programmi funzionali alla realizzazione di una stagione sportiva pallavolistica, mettendo sotto la lente d’ingrandimento la Salento Best Volley.
Seconda società locale per importanza partecipativa ai campionati di serie e di categoria, dopo l’Olimpia di serie B, ha nella persona del suo presidente Corrado Panico un autentico contagiato dalla febbre del volley.
Personaggio schivo e poco presenzialista, ama lavorare su programmi bilanciati da certezze di risorse umane e finanziare. Emotivamente travolgente ma con gestualità contenute, durante le gare delle sue squadre appare e scompare dal parterre, per poi dare corpo alla sua latitanza girovagando, soprattutto in trasferta, per le strade dei luoghi.
La passione per la pallavolo è una contaminazione subita, accettata e coltivata dalla presenza in famiglia del fratello Fernando, tecnico di valore e personaggio emblema di un volley fatto di valori morali e di didattiche formative.
Quasi un mezzo secolo d’impegno unitamente ad altri amici non lo hanno fiaccato, anzi ne hanno fortificato le convinzioni. Il suo impegno passa da una squadra amatoriale di scout Mafeking (1972), alla Vigor federata Fipav, successivamente a Pallavolo Galatina, quindi a SBV Pallavolo Galatina ed infine a S.B.V. Galatina con diversi incarichi ricoperti che ne fanno uno tra i più longevi dirigenti sportivi in attività.
L’impegnativo lavoro non poteva prescindere, in questo lungo percorso sportivo, dal farsi affiancare dalla presenza e dall’abilità di un compagno di viaggio, che in altro settore è la colonna portante dell’intera organizzazione societaria.
La citazione è per Massimo Quida e dell’incarico affidatogli di reggere la segreteria in tutte le transizioni societarie divenendo un fedele interprete del complesso regolamento Fipav.
Un lavoro oscuro, lontano dai riflettori, fatto di rigide norme la cui dubbia interpretazione potrebbe invalidare il risultato sportivo, che Massimo manda avanti da sempre con scrupolosità e competenza.
Critico e d’indole minuziosa non tralascia alcun particolare, forte dell’esperienza personale maturata come arbitro federale prima ed osservatore dello stesso corpo poi. Un lavoro il suo che abbraccia anche le campagne di reclutamento e tesseramento, passando per la composizione dei gruppi che partecipano ai vari campionati.
Di rilevante importanza è la funzione assegnata alla dirigente Zaira Gemma che ricopre incarichi in più ambiti.
Dalla logistica tesa ad organizzare le trasferte per ben sei gruppi, alla fornitura del vestiario agli atleti, dalla ripartizione delle palestre interfacciandosi con i tecnici, all’uso dei social network Instagram e Facebook per pubblicizzare i valori e gli obiettivi da raggiungere.
L’ecletticità di questa dirigente, vero valore aggiunto di Salento Best Volley, spazia anche per altri incarichi rivestendo il ruolo di addetto all’uso del defibrillatore e di segnapunti federale in collaborazione con i dirigenti Cucurachi e Carrozzini.
Una spina dorsale societaria efficiente in tutti i reparti, su cui s’innestano altri collaboratori altrettanto importanti a completamento di un’organizzazione che consolida il rapporto atleti-società-genitori, prioritario per il fine sociale che Salento Best Volley si propone.
(pdl)
apr202012
Per riprendere il discorso iniziato con l’articolo a mia firma dal titolo “Il candidato” apparso recentemente su questo sito, vi racconto un aneddoto realmente accaduto.
Qualche giorno addietro, m’incontra per caso a Noha un signore di mia conoscenza (non ne dirò ovviamente il nome) che dall’interno della sua macchina, abbassando il finestrino mi fa: “Allora ti stai cimentando!?”
Non ci voleva mica una laurea alla Bocconi per capire subito due cose: la prima, che alludesse ad una mia candidatura alle imminenti amministrative per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale di Galatina (a ridaje!) e la seconda, strettamente connessa alla prima, che avesse letto il mio succitato articolo (o che quanto meno avesse visto la vignetta satirica di Marcello a corredo di quell’articolo).
Insomma, si vedeva da mille miglia di distanza quanto il mio interlocutore giocasse in qualche modo a fare lo gnorri.
Dico subito che il suo tentativo di sfottò (?) fu stroncato da una mia battuta spontanea e fulminea che giocando con l’assonanza - e non con l’etimologia del gerundio che aveva utilizzato l’astante - fu la seguente: “Ormai lo dovresti sapere a memoria che sono contrario al cemento!”. E gli ribadivo anche che quell’Antonio Mellone, candidato, non era il sottoscritto (che invece è candido, vale a dire senza macchia di tessere partitiche).
E’ stata sufficiente questa risposta lapidaria per lasciare a bocca asciutta l’amico che in una manciata di nanosecondi se la svignava scomparendo dalla mia vista...
Avrei potuto aggiungere, se ne avessi avuto l’opportunità e il tempo (chiedo venia per il pleonasmo), che la democrazia può essere: a) rappresentativa; b) diretta; c) partecipativa, e che senza la compresenza di questi tre pilastri armoniosamente combinati tra loro vani sarebbero tutti gli sforzi per stabilire modelli di governo che prevedano la partecipazione dei cittadini. Da Wikipedia si legge che la democrazia rappresentativa “è una forma di governo nella quale gli aventi diritto eleggono dei rappresentanti per essere governati”; nella democrazia diretta, invece,“i cittadini in quanto popolo sovrano non sono soltanto elettori che delegano il proprio potere politico ai rappresentanti ma sono anche legislatori e amministratori della cosa pubblica” (un esempio tipico di democrazia diretta è l’istituto del referendum). Infine c’è la democrazia partecipativa che “lavora per creare le condizioni per cui tutti i membri di un corpo politico possano portare contributi significativi ai processi di decisione”.
Mi piacerebbe che fosse chiaro una buona volta che non si fa Politica soltanto se ci si candida alle elezioni, o se si stampa la propria faccia su di un manifesto con tanto di slogan pacchiano o su di un santino (per poi sparire dalla circolazione fino alla successiva tornata elettorale). La Politica vera (notare la maiuscola) si esprime in mille modi, tutti parimenti importanti e degni di rispetto.
Ci sono anche a Noha persone che non rinunciano all’impegno, alla passione civile, alla razionalità critica, alla partecipazione e non hanno intenzione di dimettersi né oggi né mai dalla cittadinanza attiva. C’è gente che non ha voglia di mollare, e che vuol fare Politica anche senza avere i posti d’onore nelle processioni solenni dietro la statua del santo di turno.
E fanno e sono Politica tutte quelle voci libere che sovente sono stecca nel coro belante del pensiero unico dominante.
Si è già dimostrato mille volte, anche qui da noi, che quando pezzi importanti della cosiddetta “società civile” trovano un canale per manifestare visibilmente il proprio malcontento, lorsignori-politici sono costretti a tenerne conto, anche se dispongono della più bulgara maggioranza politica, culturale o mediatica in seno ai consigli o ai parlamenti.
Davanti alla democrazia partecipativa e finalmente matura nulla è più ineluttabile, nemmeno di fronte ai luoghi comuni più strutturati, anzi più incarniti a mo’ di sacro totem nella nostra mente. Tutto si può dunque ridiscutere e nulla più può esserci imposto dall’alto.
Per far questo va coltivato il terreno di coltura che è composto da tante cose: dalla rete di lotte diffuse, dalle iniziative individuali, dalle rivendicazioni locali, e - perché no - anche dalla satira corrosiva e graffiante (che fa irritare soprattutto chi ha la coda di paglia), dalla redazione di un giornalino libero (senza padroni e senza padrini, in cui possano esprimersi liberamente tutti), da un appello contro l’indecenza, dall’esercizio della critica e della solidarietà sul territorio e sul web, dal combinato disposto di questi e altri fattori. E siamo noi e la nostra inventiva civica a creare quotidianamente l’humus per questo terreno di coltura.
Avrei voluto dire al mio (ormai malcapitato) interlocutore tutte queste cose; invece gli ho risposto con una battuta delle mie.
Ma poi a pensarci bene, quel gioco di parole dette così a mo’ di celia, quasi a freddo, condensava in una sorta di sintesi epesegetica tutto il lavoro di democrazia partecipativa che da qualche lustro cerco di portare avanti, bene o male, insieme agli altri amici di questo blog. A questo servono gli articoli, i libri, gli interventi su questo sito, le trasmissioni televisive, i video di denuncia e mai di rinuncia, il nostro giornalino L’osservatore Nohano (che, tranne per i ciechi e per i sordi, oggi è più vivo e attuale che mai), la raccolta di firme (a favore dei beni culturali, dell’acqua pubblica, della felicità bene comune, dell’aria pulita, della legalità, dei rifiuti zero, ecc.) e le svariate battaglie (contro il CDR, contro il fotovoltaico delinquente in mezzo alla campagna, contro il cemento, contro la mafia, contro la stupidità masochista che ci sta portando alla tomba…).
Questa è Politica; questa è democrazia. Forse molto più attiva di quella che si esercita stando assisi su di un seggio, o su di una poltrona, o su di una sdraio, o distesi su di un lettino (c’è chi trascorre la sua vita da addormentato) anche in seno ad un’assemblea di politici di professione.
gen172014
Non è che non me ne vada bene una: è che certe enormità non possono essere prese sotto gamba, o passare inosservate (almeno per un osservatore nohano che abbia i riflessi un po’ meno allentati di quelli di un bradipo).
Negli ultimi tempi a Noha s’è assistito ad un viavai di eventi religiosi di grande risonanza. E i primi “fedeli” a sentirne il richiamo sono stati – c’era da scommetterci – alcuni dei nostri politici, pronti a presenziare ed a sfilare impettiti, ed ove possibile con tanto di fascia tricolore (no, non è il nostro sindaco: questi si fa vedere solo accidentalmente, ed in campagna elettorale) immediatamente alle spalle delle teche contenenti le insigne reliquie dei santi di volta in volta ospitati e portati in processione (tanto che a volte si ha il dubbio su chi sia effettivamente la reliquia, ndr).
Ma il fatto da rilevare non è tanto il presenzialismo dei nostri cosiddetti amministratori. Anzi, in mancanza d’altro ci accontentiamo, come dire, anche delle loro apparizioni ad ogni dimissione di papa, o in subordine ad ogni transizione da Noha di sacre spoglie. Però almeno in quelle rare volte ci facciano la grazia (i politici, non i santi!) di non fare la figura dei pivelli che non hanno contezza nemmeno delle più elementari norme del galateo per aspiranti uomini (o donne) di Stato.
Mi riferisco a quelle immagini che, diciamo così, restano impresse per la loro potenza simbolica - ma che non sono il massimo dal punto di vista del bon ton istituzionale - come i baciamano a vescovi o padri conventuali o altri prelati in visita pastorale.
Sì, ci è toccato di assistere al deprimente spettacolo (anzi pacchianate vere e proprie) da parte di codesti principianti prostrati al bacio del venerabile anello al presule di turno. Sceneggiate che, a dirla tutta, sembrano più rappresentazioni degne di alcuni riti della sacra corona (che non è quella del rosario) che non atti di devozione sincera. Ma questa è un’altra storia.
Ora, che un fedele si chini o s’inginocchi a baciare più o meno fervidamente la mano al suo vescovo od al suo arciprete o a chiunque gli capiti a tiro, anche fuori dai cerimoniali dove questo sia previsto, ci sta pure. Ci mancherebbe altro: ognuno è libero di baciare le mani, i piedi ed i pavimenti di chi vuole, di cantare in coro Osanna, Exultet, e Te Deum a volontà in onore del proprio beniamino, anche al di là della liturgia e delle funzioni religiose. Ma che a dar segni di sudditanza (stavo per dire squilibrio, il che è uguale) siano i rappresentanti delle istituzioni, che per definizione dovrebbero rappresentare tutto il popolo e non solo una sua fetta, non è mica cosa buona e giusta nostro dovere e fonte di salvezza.
set112014
Domenica 7 settembre 2014, in occasione della festa della Madonna delle Grazie, compatrona di Noha, è venuto a trovarci ancora una volta l’arcivescovo Bruno Musarò, nostro conterraneo, nunzio apostolico a Cuba, per la solenne celebrazione eucaristica della sera.
Il nunzio è sempre il benvenuto a Noha, così come sono benvenute le espressioni di gioia e di festa nei suoi confronti, gli applausi ed i baciamano a sua eccellenza. Aggiungo però che anche stavolta non ci è stato risparmiato lo spettacolo della sua accoglienza con tanto di volante dei Carabinieri/Polizia a mo’ di scorta.
L’ho già scritto altre volte (cfr. L’osservatore Nohano, n. 5 anno V, del 9/9/2011, pag. 23), ma visto che non c’è più sordo di chi non vuol sentire provo a ribadire il concetto sperando nel fatto che gutta cavat lapidem: un vescovo (anche se nunzio apostolico o ambasciatore del papa) non dovrebbe aver bisogno di guardie del corpo, né tantomeno di ostentare uno status symbol. Queste forme di vanità (che secondo me hanno davvero poco di cristiano e pochissimo di buon gusto), appaiono come ormai fuori luogo e fuori tempo. La visita di un vescovo (o di altra “autorità” ecclesiastica) richiederebbe, sempre a mio modesto avviso, un po’ più di sobrietà e di frugalità lontane mille miglia dalle esagerazioni di uno show capace di suggestionare ormai solo qualche allocco superstite. E’ tempo dei laici che non possono più lasciarsi trattare da chierichetti cresciuti e rincitrulliti.
Nel Vangelo, tra l’altro, Gesù stesso afferma: “Chi vuole essere primo sia l’ultimo” (Marco, 9, 35). E poi ancora nel momento del mandato ordina ai Suoi di andare per il mondo con l’avvertenza di “non portare né bisaccia né sandali” (Luca, 10, 3). Non mi pare che nostro Signore abbia detto ai discepoli di farsi accompagnare nel loro cammino dai Carabinieri a cavallo, o in auto blu con tanto di lampeggiante. Né che il figlio di Dio stesso si facesse scortare dai soldati di Cesare. E poi di cosa dovrebbe aver paura un nunzio che viene in una comunità dove viene accolto con gli osanna, rimane un classico mistero gaudioso.
Ma non è solo questo. E’ il fatto che purtroppo è passata l’epoca delle vacche grasse (e sottolineo vacche), ergo non possiamo più permetterci il lusso di spendere come se tutto andasse ben madama la marchesa. Il bilancio del nostro Stato è sull’orlo del fallimento ed è ormai tempo di tagli e di austerità. Le cosiddette riforme lacrime e sangue dovrebbero iniziare dalla recisione degli sprechi (come, a tutti gli effetti, anche questo è) e dei privilegi della casta (della quale entrano a far parte – chissà poi per quali motivi - anche molti prelati di ogni ordine e grado, nonostante i voti di povertà, castità ed obbedienza).
Tra l’altro abbiamo forze dell'ordine (carabinieri o poliziotti) che si lamentano perché malpagati (e con stipendi bloccati fino al 2020), senza straordinari, a volte senza carburante nelle auto, o con volanti rotte (che pare, in certi casi, riparino da soli come possono). A Noha, per dirne un’altra, vista la penuria di soldi e personale, manca da mesi pure la guardia municipale (ma questa è un’altra storia).
Spendere ancora dei soldi pubblici (che non ci sono più) anche per codeste forme di umana vanagloria, per non dire sceneggiate, ci sembra veramente un po’ troppo. Certo, con un’uscita in meno di un’auto blu non si risolverebbero i problemi dell’iperbolico debito pubblico, ma da qualche parte bisogna pur cominciare.
Sarebbe opportuno che il tempo, il denaro e la missione stessa dell’Arma benemerita dei Carabinieri fossero rivolti a ben altro, che non ad accompagnare un vescovo a Noha (o altrove) per la celebrazione di una festa patronale.
Ma lasciamo a San Giovanni Crisostomo la conclusione di queste note, tratta dal Trattato sul sacerdozio (VI, 3): "Gli onori che ordinariamente vengono resi ai preti sono occasione di un’infinità di mali. Essi si espongono agli assalti di due passioni contrarie, l’adulazione servile o la sciocca arroganza. Si abbassano fino a terra dinanzi ai grandi per ottenere dei favori, poi gonfi per ciò che hanno ottenuto, si irrigidiscono contro i piccoli che opprimono col loro sdegno e cadono così negli abissi dell’orgoglio". Ma senza scomodare il teologo bizantino del V secolo, basterebbe ascoltare le parole del nostro papa Francesco - forse più dirette ed “estremiste” di quelle del sottoscritto - per convenire su questi elementari principi.
“Come mai tutti questi carabinieri?” – mi chiedeva l’altra sera un astante. Gli si sarebbe potuto tranquillamente rispondere: “Pare che il nunzio si sia presentato con la mitra”.
Antonio Mellone
mar012012
Tra le tante novità storiche introdotte dalla buonanima dell’osservatore Nohano non si può non menzionare quella delle vignette satiriche. Si badi bene: qui non si sta dicendo che codeste scenette umoristiche illustrate fossero cosa ignota ai nohani; si sta invece ribadendo il fatto che vignette satiriche a contenuto glocal (ma soprattutto local con personaggi e situazioni nohan-galatinesi) siano comparse per la prima volta nella storia della nostra comunità su quel giornalino che fu ciclone benemerito per alcuni, iattura per altri. E questo proprio grazie all’arte e al genio enciclopedico di Marcello D’Acquarica, maestro d’amore per Noha.
Le vignette di Marcello si contano ormai nell’ordine delle centinaia di unità (se non proprio delle migliaia) e da un po’ di tempo a questa parte abbiamo la fortuna di goderne via web quasi quotidianamente - così come si fa con la tazzina del caffé mattutino - ammirandole nella sua rubrica “Una vignetta al giorno”, regolarmente aggiornata dall’Albino Campa, patron di questo sito.
Confesso che, tranne qualche rarissima eccezione, mi piacciono le vignette di Marcello; le trovo esteticamente belle, originali, e poi ancora sagaci e mordaci al punto giusto. Certo, è capitato anche a me di dissentire da qualche sua striscia satirica, diciamo così, poco felice o poco azzeccata. Ed ho anche espresso codesto mio disappunto, scrivendone liberamente sul sito di Noha. Ma una cosa è dir questo (di una vignetta), un’altra è indire le crociate contro una persona (vi assicuro mitissima) che fa dell’arte e della libertà del pensiero il suo modo di essere e di fare.
Non è mia intenzione fare qui il panegirico di Marcello D’Acquarica, non essendone né il suo avvocato difensore (credo non ne abbia il bisogno) né il suo sanctificetur. A me interessa invece spendere qualche parola in più sulla satira, inclusa quella nostrana.
L’obiettivo della satira è esprimere un punto di vista in modo divertente. Divertente per chi la fa, s’intende. E ogni risata dell’autore contiene una piccola verità umana (che a volte fa male). Se poi il pubblico ride, tanto meglio, ma non è un criterio per giudicare la satira. Certo la satira mica può piacere a tutti: i suoi bersagli, ad esempio, non ridono.
Insomma, bisogna togliersi dalla testa l’equivoco secondo cui la satira debba per forza far ridere, perché a volte deve far piangere. Anzi talvolta la satira più riuscita, la più tagliente e corrosiva, è quella che fa scoppiare di rabbia (per la verità, soprattutto i bacchettoni). E il disagio che aumenta è solo quello dei parrucconi (gli spiriti liberi, invece, riescono perfino a ridere di se stessi).
Non ricordo più dove ho avuto modo di leggere che la satira distrugge ciò che è vecchio in funzione della generazione del nuovo, e che essa “è la festa di una comunità che vive”. Che bello! Io mi rifiuto di pensare che a Noha siamo regrediti a tal punto che la gente debba addirittura essere rieducata alla libertà del pensiero, di cui la satira, con il suo potere a volte dissacrante, è uno dei sapori.
Purtroppo, a volte, si è costretti ad osservare reazioni sproporzionate o scomposte, divieti o condanne senza se e senza ma, e, ahinoi, anche tentativi di emarginazione da parte di alcuni censori (che forse non sanno nemmeno di esserlo, e che scordano che a volte è la censura che della satira certifica il valore).
Invero, il potere è sempre soggetto alla tentazione di svolgere il suo oppressivo mestiere, infastidito non tanto dalla vignetta o dallo scritto in sé, quanto dalla scalfittura del “pensiero unico” e soprattutto dall’apprezzamento di un’idea controcorrente da parte di un crescente numero di estimatori.
A volte nasce il dubbio che certe reazioni smisurate, da “apriti cielo!”, siano una forma di disperazione. Chi è in pace con se stesso, infatti, non darebbe importanza né a vignette, né ad articoli, né ad altro, visto che chi scrive o disegna o chiosa è una “parte minoritaria, piccolissima, insignificante della comunità”.
Questo non implica che non si possa criticare, o ribattere ad un articolo o ad una vignetta. Ci mancherebbe altro. Solo che la reazione, secondo me, dovrebbe essere, diciamo così, proporzionata. Si dice che ogni difesa dovrebbe essere commisurata all’offesa (eventuale). Non è che se uno ti tira uno schiaffo tu controbatti con una archibugiata o con una pugnalata alle spalle o con il lancio di una bomba nucleare (con il rischio di un automatico, gratuito e ridanciano cupio dissolvi).
Io credo che nell’arte (e la satira di Marcello D’Acquarica è una forma d’arte) l’unica censura ammissibile sia lo sbadiglio, l’indifferenza, e non la scomunica fulminata in diretta coram populo (che mutatis mutandis ricorda un po’ le minacce terroristiche di alcuni fanatici islamici quale reazione alle vignette su Maometto, o la condanna a morte per bestemmia di Salman Rushdie per il suo romanzo “I versi satanici” scagliatagli contro dall’ayatollah Khomeyni). Che bello sarebbe ritornare a vivere quel che dai pulpiti un tempo si insegnava (prima a se stessi e poi agli altri): l’evangelico concetto del porgere l’altra guancia.
Daniele Luttazzi, censurato insieme a Biagi e Santoro (indovinate da chi) scrive sul suo “La guerra civile fredda” (Feltrinelli, Milano, 2009), libro che vivamente consiglio: “La satira è innanzitutto arte: in quanto tale, agisce sulla storia offrendo all’umanità uno sguardo rinnovato sul mondo; per questo, sin dal tempo di Aristofane, la satira è contro il potere, di cui riesce ad annullare la natura mortifera mantenendo viva nel nostro immaginario quella sana oscillazione tra sacro e profano che chiamiamo dubbio. L’effetto concreto della satira è quello della liberazione dell’individuo dai pregiudizi inculcati in lui dai marketing politici, culturali, economici, religiosi. Il potere s’accorge che questo va contro i suoi interessi e ti tappa la bocca. La satira dà fastidio perché esprime un giudizio sui fatti, addossando responsabilità. E’ sempre stato così ed è un ottimo motivo per continuare a farla. Dove possibile”.
Bè, auguriamoci davvero che a Noha sia sempre possibile fare un po’ satira. Anche attraverso i (tutt’altro che satanici) fumetti di Marcello.
giu272012
L'iter per la salvaguardia del patrimonio storico-artistico di Noha si sta concretizzando. A seguito della raccolta firme, promossa dal gruppo Mimì, nel settembre 2011 in occasione della festa patronale di s. Michele, sono stati 1500 cittadini a sottoscrivere la proposta di sottoporre a vincolo importantissimi monumenti della storia e dell'arte di Noha. Nel mese di aprile 2012 il soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle province di Lecce, Brindisi e Taranto, arch. Carmelo Di Fonzo, a seguito delle segnalazioni pervenute agli uffici competetenti, ha effettutato un sopralluogo a Noha coadiuvato dall'arch. Adriano Margiotta (che ha curato anche la schedatura) e Paola Rizzo, in rappresentanza dell'osservatore Nohano.
In questi giorni è stata terminata la schedatura dei beni immobili che si vuole sottoporre a vincolo: la torre medievale, il castello, le casiceddhre, la masseria Colabaldi, il frantoio ipogeo, beni privati che rappresentano l'identità storica e culturale di questa comunità.
Noha, che oggi è frazione di Galatina, fino agli inizi del XIX secolo era un importante feudo che gravitava sotto la diocesi di Nardò, da qui passava la famosa via Regia di Puglia, un'arteria principale nel Regno delle Due Sicilie, per i traffici ed i commerci dei secoli scorsi.
Un ottimo lavoro di squadra che ha visto l'impegno di tanti per la salvaguardia e la tutela di questo straordinario patrimonio. Grazie naturalmente al gruppo Mimì, a tutti i componenti dell'osservatore Nohano (tra cui ricordare Padre Francesco e Marcello D'Acquarica e Antonio Mellone), al circolo le Tre Torri, all'associazione commercianti di Noha, Daniela Sindaco, Angela Beccarisi.
Beni preziosi e rari (come la torre del XII secolo e le casiceddhre) possono essere un ottimo strumento di crescita economica del territorio nonchè strumento di conoscenza e e coesione sociale.
Ci auguriamo che l'iter porti buoni frutti e che Noha veda riconosciuta l'immagine di un antico borgo con tutti gli aspetti positivi che ne conseguono.
Angela Beccarisi
feb072007
dic242011
Lo Staff di Noha.it e de L'osservatore Nohano vi augurano
BUONE FESTE!!!
mag262015
Eccovi di seguito la lettera di Antonio Mellone indirizzata ai ragazzi di Noha, e la fotogallery a cura di Federica Mellone (che si ringrazia per la collaborazione).
Noha.it
Cari Alunni delle Scuole di Noha,
è con vero piacere che vi offro in dono codesto “Noha – storia, arte, leggenda”, volume da me curato e scritto a quattro mani con padre Francesco D’Acquarica.
Questo libro, forse, non avrebbe mai visto la luce dieci anni orsono senza l’interessamento ed il contributo del compianto Michele Tarantino, la cui famiglia - nel suo ricordo - gioisce oggi insieme a me per questo omaggio.
Sì, cari ragazzi, è bello fare regali: direi anche che è molto più bello (e divertente) dare che ricevere, a condizione che si doni con letizia e senza tornaconti.
Vi prego allora di accettare questo volume, frutto di tanto lavoro e altrettanta passione da parte di padre Francesco, storico nohano, da oltre mezzo secolo alla continua ricerca dei segni della storia della nostra piccola patria, del sottoscritto osservatore di fatti di ieri e di oggi (e ove possibile anche di domani), dei maestri Pignatelli esperti nell’arte della fotografia, e di tanti altri che in un modo o nell’altro ci hanno aiutato nel lavoro di ricerca, redazione e pubblicazione di questo testo.
Prendete nelle vostre mani questo deposito di cronache, illustrazioni e reportage, sfogliatelo, leggetene una pagina e vedrete spuntare pensieri, storie e ricordi. Non frugate in questo libro come un cercatore dentro una miniera per estrarre una cosa sola, ma come uno che percorre un campo (o s’immerge in mare) per meravigliarsi del brulichio delle specie viventi.
Partendo da questa “bozza” son sicuro che scoprirete dell’altro, vi entusiasmerete nella ricerca (ma questo avviene con ogni libro), e in qualche modo anche a voi capiterà di scrivere nuove deliziose pagine di storia, arte e leggenda (e non solo nohane). Anche così potrete essere protagonisti di una comunità sempre più bella, accogliente, sana, colta, pulita e curata, solidale, responsabile, onesta e laboriosa, antica ma giovane d’animo, più attenta all’essere che all’avere, più interessata al noi che all’io, più impegnata nel pubblico che nel privato, premurosa dei suoi “spazi condominiali” e della natura che ancora la circonda; una comunità mai vinta e pronta a sperimentare la gioia della lotta per le grandi idee, propensa a valorizzare il suo capitale sociale e umano, e partigiana, sì, partigiana dei suoi beni culturali (il più importante dei quali non è l’antica torre medievale, non il frantoio ipogeo, non il castello, né la casa rossa, e nemmeno uno degli altari barocchi della chiesa madre: ma la Scuola, questa Scuola).
Cari ragazzi, il mondo non si cambia con le chiacchiere, ma con i sogni e le utopie. E io vi auguro di sognare molto. Ma sappiate che i veri sognatori dormono poco o niente.
Antonio Mellone
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nov262017
Cosa accade a Noha, cosa accade a Galatina, cosa ci accade. Qualcosa che ha a che fare con la dignità, con la civiltà. Accade che un’altra pietra è posata sul cammino di una comunità che con fatica cerca di scrollarsi da dosso il brutto, lo stereotipo di un passato senza cultura.
Cos’è la cultura? Antonio Mellone dice che la cultura non corrisponde solamente ad un insieme di nozioni, di informazioni o attestati cartacei, cultura è principalmente rispetto per l’altro. Cultura, penso, è amore. Leggevo su un articolo che mi è capitato fra le mani una frase bellissima: “Volendo il bene dell’altro facciamo anche il nostro; mentre ossessionati dal nostro bene distruggiamo noi e chi ci sta vicino.
Mi piace questo “agitarsi” collettivo verso la sensibilità dell’animo, mi piace che si ponga l’attenzione sulla parte debole della società. Mi piace che si riporti all’attualità il sacrificio rappresentato dai martiri della guerra con nuovi martiri vittime di un’atavica violenza.
Mi piace che un gruppo di giovanissimi dell’Istituto Comprensivo di Noha, il Polo 2, denominati “Gruppo dei tamburellisti di Torre Nohana”, armati di danza, voce e musica, siano protagonisti di questo cammino. Mi piace.
Come un fulmine a ciel sereno, in questo movimentato lavoro di associazioni che rivestono le nostre piazze di scarpe rosse, appare Angelo Vigneri. Interviene, insieme a sociologi e delegati di Associazioni importanti, alla serata organizzata da Egerthe, sulla “Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle donne” al Palazzo della Cultura a Galatina. Chi è Angelo? E’ soprattutto un ragazzo di Noha e io sono subito fiero di lui perché se vogliamo migliorarci dobbiamo partire da noi, e quindi da Noha. Frequenta la seconda classe della nostra scuola media. Ha una presenza vivace e piena di coraggio. Con un’umiltà che mi lascia basito mi dice: guarda che non è solo merito mio, ma anche dell’insegnamento della mia professoressa, Ritamaria Colazzo. Mi dicono i suoi genitori, Angelo legge tanto e scrive, chi fa questo diventa automaticamente un profondo osservatore del mondo che lo circonda, per osservare e analizzare ci vuole amor proprio, Angelo ne ha da vendere. Speriamo che sia la testa d’ariete del nuovo che porta la cultura del rispetto e della cura per l’altro. Ecco di seguito l’opera che il nostro Angelo ha scritto di suo pugno e letto davanti al pubblico presente al palazzo della cultura in occasione della manifestazione:
“Amo la ginnastica ritmica e frequento ogni giorno la palestra.
Il 26 novembre 2010 alle 18 e 44 sono uscita dal centro sportivo per ritornare a casa.
La distanza è di soli 700 metri.
Ma quella sera casa non ci sono mai arrivata e avevano fine i miei sogni.
Un uomo aveva deciso diversamente per me.
Mi ha portata lontano e.... Avevo paura. Tanta paura. Volevo gridare. Ho gridato.
Nessuno ha sentito il mio dolore. Gettata a terra come una lattina vuota e inservibile.
Tra l'erba alta accoccolata come un gattino. Il freddo ha fatto tutto il resto.
Vedo un aereoplanino volare su di me. È bello! Volteggia tra le nuvole.
Fa ancora molto freddo ed io sono ancora raggomitolata come un gattino.
Non ho più voce. Le mie gambe non si muovono più.
Le mie braccia non si muovono più. La ginnastica. La mia vita mi ha lasciata per sempre.
I miei genitori piangono. Le mie amiche piangono. Il mio paese piange.
No! Non piangete. Io sono nuvola. Aria. Sole. Io sono amore.
Il mio pensiero ora corre a voi. Ragazzi e ragazze, uomini e donne, padri e madri.
Ribellatevi alla violenza. Denunciate. Gridate. E ballate alla vita, danzate e gioite!
Per me e per tante giovani come me.
Io sono Yara e ho 13 anni!”
Grazie Angelo, per il tuo coraggio, la capacità di raccontarci le cose, e il tuo amore per il bene comune.
Marcello D’Acquarica
ago182011
RaiRo Servizi Turistici in collaborazione con l’associazione “ L’osservatore Nohano “ e l’infaticabile cultore del territorio Marcello D’Acquarica. Organizzano la prima visita guidata alle bellezze storico, artistico monumentali di Noha. La visita guidata si svolgerà venerdi 19 agosto alle ore 18 partendo dalla Masseria Colabaldi, con i suoi vari manufatti di diverse epoche, i resti messapici, la casa Rossa, il palazzo baronale, i resti del castello con la torre provvista di ponte levatoio in pietra, le celebri casiceddhe ed i misteri intorno alla loro costruzione, la chiesa matrice dedicata a S. Michele più volte ricostruita, l'orologio pubblico, i resti della vecchia chiesa dell’Odegitria denominata " Piccina " la celebre Trozza, il Calvario. Una passeggiata per rivivere i vecchi fasti di Noha, rimasto comune libero ed indipendente fino al 1811 prima di essere fagocitato da Galatina.
L’evento gratuito per i partecipanti a cui si raccomanda la puntualità.
lug222013
Cari amici di Noha.it, eccovi la rivista-numero-unico dal titolo: "Scritti in onore di don Donato Mellone" compilata in occasione del genetliaco sacerdotale dell'antico parroco di Noha.
Tra qualche giorno anche il formato cartaceo che verrà distribuito gratuitamente (come un tempo avveniva anche per L'osservatore Nohano).
Buona lettura e buon divertimento
mag202016
Ricordo benissimo quell’attimo. Un’emozione indescrivibile, una fra le più belle della mia vita (e sì che ce ne sono state parecchie, grazie al cielo). E fu quello in cui la lama del taglierino fendeva il nastro adesivo col quale era sigillata la scatola di cartone contenente i libri. I miei libri.
*
Potevano essere le nove di una splendida mattinata di metà maggio. Erano appena arrivati da Milano i due ragazzi che per tutta la notte si erano alternati alla guida del furgone carico di non so più quanti scatoloni di pezzi di storia, arte e leggenda del mio paese. Si trattava di decine, che dico, centinaia di volumi di pagine rilegate e racchiuse con copertina in tela rosso fuoco, e sistemati in numero di dieci per ogni pacco.
Non so come, in pochi minuti arrivò anche il muletto di un compaesano per scaricare dal cassone dell’automezzo tutti quei colli (a Noha funziona così, non c’è manco il bisogno di chiedere le cose). Se avessimo dovuto usare mani e braccia, oltre alla fatica, avremmo impiegato tutta la mattinata, e forse anche un pezzo del pomeriggio.
Erano due estranei, quei corrieri, ma per la contentezza li invitai a pranzo a casa mia. E non volli sentir ragioni. Mangiarono con gusto le specialità salentine preparate da mia madre, e subito dopo il convivio, prima del loro rientro nella città meneghina, decisi di far loro il regalo del panorama, o meglio, dello spettacolo del nostro litorale.
Li accompagnai a Santa Maria al Bagno, offrii loro un affogato al caffè, mentre il mare ai nostri piedi sembrava il contenuto di uno scrigno immenso di zaffiri e smeraldi. Ho avuto sempre il dubbio che quella più che una gentilezza fosse uno sgarbo, anzi un dispetto (non voluto, per carità) nei loro confronti, costretti a ritornare di lì a poco sui loro passi, diretti alla volta del loro porto d’imbarco, quello delle nebbie.
Sembra ieri, ma son passati dieci anni esatti da allora. Il libro che mi si materializzò fra le mani, espulso da quell’utero a forma di scatola di cartone, era proprio come l’avevo immaginato io, voluto, desiderato. Quel formato, quelle pagine, i colori, l’immagine della sovra-copertina, le scritte, le fotografie, i caratteri, le didascalie, perfino il profumo: tutto come sognato, progettato, predisposto.
E sì che non è stato per niente facile raggiungere questo risultato.
Certo, non ero alla mia prima esperienza quanto alla redazione di libri. Oltre a quello della mia tesi di laurea (il classico mattone dal titolo interminabile), nel 2003 avevo consegnato alle stampe un altro dei delicta iuventutis meae, il “Don Paolo” (frutto di una ricerca tra le carte, le foto e le cronache del tempo sul conto di un mio prozio arciprete e monsignore, scomparso un lustro prima del mio arrivo).
Ma questo terzo mio libro era tutt’altra cosa. Intanto era opera di due autori: il sottoscritto (che ne è stato anche il curatore) e quel grand’uomo, maestro e amico che risponde al nome di P. Francesco D’Acquarica, storico, ricercatore, scrittore, nonché - come il sottoscritto - affetto da un’incurabile mal d’amore per Noha. E si sa che un’opera a due mani costa sempre il doppio, non la metà della fatica.
*
Guardate che scrivere un libro è la cosa più semplice di questo mondo: il difficile è ciò che viene dopo. Nella stragrande maggioranza delle volte quel “difficile” diventa “impossibile”. Non fu così nel mio caso. Sulla mia strada incontrai dei facilitatori incredibili. Il primo fu quell’esaurito di mio cugino Matteo (è questione di geni), il quale m’introdusse al cospetto di un altro pazzo scatenato: Michele Tarantino, nohano trapiantato a Milano.
Il colloquio con Michele, nel corso dell’estate 2005, fu, come dire, surreale. Ancora oggi stento a crederci. Gli parlai del libro per sommi capi. Mi disse soltanto di sbrigarmi a finire l’opera. Lui avrebbe pensato a tutto il resto. “E’ così – mi venne di pensare - che la dimensione onirica delle cose diventa realtà concreta”.
C’è chi dice che Michele se ne sia andato nel mese di febbraio del 2012. Io non ci credo. Non può essere. Michele è ancora qui con noi. Sarà in giro da qualche parte, quel mattacchione. No, non gli permetterò mai di sparire dalla circolazione.
*
Dalla data di quel colloquio, il film da slow passò in fast motion.
Sbrigati a scrivere e a collegare il tutto, fai riprodurre le foto da quei santi martiri che sono Daniele, Michele e Rinaldo Pignatelli, chiedi una mano a Giuseppe Rizzo per le foto dall’alto (scattate poi da un Tucano, aereo ultraleggero levatosi in volo grazie ad Antonio Salamina. Sì, un tempo non c’erano i droni o le diavolerie di google), chiedi uno stradario di Noha al geometra Michele Maiorano, fai leggere le bozze al (compianto) prof. Zeffirino Rizzelli (che poi ne scrisse pure la prefazione), sentiti più volte con la stupenda Gabriella Zanobini Ravazzolo di Genova per l’impaginazione, ricevi e inviale per ogni paragrafo le relative pesantissime e lentissime mail, senza Adsl e con un pc del ciclo carolingio e bretone costantemente impallato), vai e vieni da Milano dall’Istituto Grafico Basile, dove il tomo doveva prender forma…
E firma finalmente il menabò per l’imprimatur.
*
Dopo l’arrivo del mio libro portatomi in dono dai due re magi di cui all’inizio di questo pezzo, trascorre giusto il tempo di una settimana, non di più, per la sua presentazione. Che a detta di molti fu un vero show, grazie al talent dei diversi ospiti-artisti intervenuti in quella sala convegni dell’Oratorio, gremita come non mai.
Per la cronaca, alla “prima”, furono venduti 115 volumi. Un record assoluto. Anche d’incassi, considerato oltretutto il costo non proprio popolare del tomo.
Ne seguirono delle altre, di presentazioni, dico: alla Festa dei Lettori nell’atrio del Castello di Noha riaperto per l’occasione, all’Università Popolare di Galatina, e poi presso le scuole, e addirittura al centro Polivalente-senza-cabina-elettrica.
*
Oggi, a distanza di dieci anni, posso dire che lo rifarei. Rifarei tutto. Dalla A alla Zeta. Dove c’è gusto c’è sempre guadagno. E poi credo che in fondo, e nonostante tutto, Noha, la sua storia, la sua arte e le sue leggende meritino questo e molto altro ancora.
Potrei parlarvi ora del sito dell’Albino (Noha.it), del nostro mensile (L’osservatore Nohano), dei convegni (I dialoghi di Noha), eccetera. Ma ora conviene che mi fermi qua.
Solo su questo tema e per queste note, s’intende. Rischierei seriamente di scriverne un altro libro. Il mio sesto.
Antonio Mellone
ott212011
Verso la fine di Settembre, il sottoscritto e P. Francesco, abbiamo visitato la chiesa di San Lorenzo di Sogliano. Il parroco, don Salvatore Gemma, ci attendeva come da appuntamento e dopo i convenevoli dell’accoglienza ci ha affidati ad un giovane seminarista, sempre di Sogliano, che studia nel seminario di Molfetta.
Sapevamo che in quella chiesa c’era un vecchio organo costruito probabilmente dalla Kircher, la stessa azienda che forse realizzò l’organo di Noha, ubicato fino al 1970 nel coro soprastante il vecchio altare.
Del nostro antico organo, come già scritto da P. Francesco nel l’osservatore Nohano n. 1 Anno V, sappiamo che era già nella chiesa di San Michele Arcangelo nel 1850 perché Don Michele Alessandrelli (1814+1882), Arciprete Curato di questa chiesa, ce ne parla nel suo inventario che redige in occasione della visita pastorale del Vescovo di Nardò, Mons. Luigi Vetta, del3 Aprile 1850.
Le chiese di Noha e Sogliano, hanno molti aspetti in comune, per esempio in passato abbiamo due Arcipreti (Don Nicolantonio Soli -1661+1727-; Don Andrea Soli -1695+1754), rispettivamente zio e nipote; altri sacerdoti di Sogliano risultano presenti a Noha nell’arco di tutta la storia (vedi “Curiosità sugli arcipreti e persone di chiesa a Noha"; edizioni L'osservatore Nohano). L’attuale Arciprete, Don Francesco Coluccia è di Sogliano.Possiamo notare inoltre, opere e arredi, come per esempio le due tele della Madonna del Rosario e i due altari in barocco, ma la cosa più strabiliante è l’organo ancora funzionante ed in perfette condizioni, grazie anche ad un recentissimo restauro. La somiglianza fra i due organi è molto evidente.
La visita ci ha permesso di notare l’ottima cura del risanamento eseguito, difatti gli addetti all’opera sono intervenuti incisivamente sulla struttura lignea cambiando perfino parti strutturali. E’ ben visibile la sostituzione dei tiranti e di tutti i leveraggi sia meccanici che lignei, della pedaliera, della tastiera ed ogni piccolo dettaglio un po’ ovunque. Il mantice, ancora presente, è stato rimpiazzato da un compressore elettrico montato sul retro e ben nascosto alla vista.
La cosa che però mi ha emozionato molto è stato ascoltarne la melodia eseguita con entusiasmo, lo stesso che forse un bambino prova quando finalmente ha nelle mani il tanto agognato desiderio. La musica che rilascia un organo è qualcosa di unico, è uno strumento grandioso. E’, come si suol dire, un’altra musica.
Per questo, il nuovo organo della Ditta Continiello di Monteverde di Avellino, quello collocato sulla porta dell’ingresso laterale della nostra chiesa, a Noha, che Don Francesco ha fatto restaurare di recente, è un bene raro e di gran valore, è una vera fortuna poterne ascoltare la musica specie se ad eseguirla sono artisti come P. Francesco o addirittura il maestro Francesco Scarcella, che ebbi occasione di sentire nel Dicembre di due anni addietro. Speriamo di poter assistere al più presto ad altri concerti come quello.
Marcello D’Acquarica
mar072007
apr072007
mag072007
giu072007
set072007
ott072007
nov072007
dic072007
gen012008
gen072008
feb072008
mar072008
apr072008
mag072008
set092008
ott092008
nov092008
dic092008
gen092009
feb092009
mar092009
apr092009
mag092009
set092009
Eccoci di nuovo all'opera, pronti a vigilare dal nostro caposaldo.
Pronti a correggere il tiro della nostra libertá di dire, di suggerire, di controllare e di obiettare! pronti piú che mai lo siamo oggi, che è una data speciale:
NOVE - NOVE - 200NOVE
(9 settembre 2009)
Auguri a tutti i NOVE...SI!
da tutto lo staff del l' osservatore Nohano.
ott092009
Buona lettura!
nov092009
Buona lettura!
dic092009
Buona lettura!
gen092010
Buona lettura!
feb092010
Signore e Signori, ecco a
voi il n. 1 del IV anno
della nostra rivista online!
Buona lettura!
mar092010
Signore e Signori, ecco a
voi il n. 2 del IV anno
della nostra rivista online!
Buona lettura!
apr092010
Questo numero è dedicato a chi non si dà per vinto ed ha voglia di continuare a lottare. Signore e signori ecco a voi il nuovo numero del nostro e ormai vostro osservatore Nohano.
Se ci siete battete un colpo, e dite la vostra.
Buona lettura!
mag092010
Cari lettori, con questo numero L’osservatore
Nohano va in vacanza. Ci rivedremo a settembre,
“se vole Diu”
Buona lettura!
set092010
Ecco a voi il nuovo numero post-ferie de L'osservatore Nohano, dedicato a nostra madre terra. L'osservatore Nohano vi dà appuntamento a Noha domenica 12 settembre al FESTIVAL DEI CAVALLI, un modo per stare insieme alla natura e, ove possibile, all'intelligenza
Buona lettura!
ott092010
Ecco a voi il nuovo numero de L'osservatore Nohano, dedicato alla fortuna.
Buona lettura!
nov092010
Ecco a voi il nuovo numero de L'osservatore Nohano, dedicato alla strada.
Buona lettura!
dic092010
Ecco a voi il nuovo numero della nostra rivista.
Buona lettura!
dic232010
Lo Staff di Noha.it e de L'osservatore Nohano vi augurano
BUONE FESTE!!!
gen092011
Ecco a voi il nuovo numero della nostra rivista.
Buona lettura!
feb092011
Con il mese di Febbraio incomincia un nuovo anno per la nostra rivista.
Buona lettura!
mar092011
Buona lettura!
ATTENZIONE!!! La vesione stampata verra distribuita nel pomeriggio di Sabato 12 Marzo.
apr092011
Uno dei tesori del nostro paese è la nostra Carta Costituzionale.
apr302011
E’ il messaggio apparso sulla pubblicità effettuata da Ikea, l’azienda svedese che produce mobilio a basso costo, a Catania da oltre un mese. Lo slogan riporta, a completamento del testo, l’immagine di due ragazzi che si tengono per mano.
E’ risaputo che le aziende dedicano il fior fiore delle risorse e della genialità alla comunicazione visiva sfruttando l’effetto placebo che può generare nell’osservatore, difatti dalla buona riuscita del contenuto dell’immagine dipende il successo economico di quella stessa azienda. Di contro, da qualche anno a questa parte, siamo bombardati dalle più inattese parole e fatti di livello morale sempre più infimo da parte dei giornali, televisione e personaggi politici. Per cui quasi nulla ci meraviglia più e per attrarre la nostra attenzione (“nostra” in quanto consumatori e/o elettori) il guascone di turno non demorde nell’affermare le più strampalate bugie ritrattate in un continuo senza fine. Ultima quella sulla scelta del nucleare da parte del parlamento, in cui dichiara senza peli sulla lingua (tanto lui i peli li mette e li toglie alla bisogna), che la sospensione del progetto del nucleare in Italia è solo momentanea e che comunque serve soprattutto al governo (ministri assoldati e assoldante) per boicottare il Referendum popolare del 12 Giugno in cui c’è la pericolosissima (sempre e solo per il nostro Presidente del Consiglio) probabilità che gli italiani scelgano di non far passare il “Legittimo impedimento” e la Privatizzazione della gestione dell’acqua, oltre alla scelta del nucleare. Ma questa è un’altra storia, anche delle peggiori.
Marcello D'Acquarica
mag092011
Cari lettori, con questo numero L'osservatore
Nohano va in vacanza. Ci rivedremo a Settembre
mag202011
Eccovi di seguito un bell'articolo che ci riguarda a firma di Tommaso Moscara, apparso qualche giorno fa sul sito galatina2000.it. Dire che siamo rimasti lusingati per le considerazioni espresse da Tommaso è dire poco. Lo ringraziamo ricambiando stima e cordialità
Questa settimana non ho voglia di parlare di politica o di ciò che succede a palazzo, probabilmente non succede nulla, o nulla d’importante. Di certo nulla che possa interessare molto i cittadini se non le solite chiacchiere e i soliti pettegolezzi, ma questo lo lasciamo fare ad altri, il web è pieno. Oggi invece vorrei parlarvi di ciò che fanno alcuni liberi cittadini, per meglio inquadrarli un gruppo di “irresponsabili” che si permettono il lusso di scrivere alcuni fogli di carta e di avere la presunzione poi di farli leggere in giro. È pur vero che non hanno più di 25 lettori (con me arrivano a 26), però ciò che loro scrivono è pericoloso lo stesso. Pensate cercano di fare cultura, cercano addirittura di far ragionare la gente. È pazzesco! Si nascondono a Noha, tra Piazza Castello e zone limitrofe. È da ormai ben 5 anni che scrivono e scrivono cercando di far leggere a tutti le loro idee. Sono un gruppo di “pazzi furiosi” che pensano davvero di mettere in movimento i “neuroni che ogni persona normale ha nel proprio cervello”. Sono convinti che “la lettura dei libri, il pensiero, il lavoro, la partecipazione, la ricerca continua sono una forma di assicurazione contro l’Alzheimer per il semplice fatto che tengono sveglio il cervello”. Si chiamano Antonio, Paola, Albino, Michele, Marcello, Martina (mi scuso se dimentico qualcuno) sono dei “pazzi” ed io, anzi noi di g2000, siamo loro amici. Oggi vogliamo parlare di loro, del loro lavoro che fanno in una piccola frazione come Noha, attraverso un sito www.noha.it, ma soprattutto attraverso il periodico che si chiama “L’osservatore Nohano”. L’ultimo numero l’ho letto tutto d’un fiato e vi invito a leggerlo, su internet http://www.noha.it/noha/articolo.asp?articolo=455 oppure cercandolo in versione cartacea in qualche negozio a Noha. È uno strumento utile al pensiero, ma soprattutto allo spirito. Con questi ragazzi noi di g2000 stiamo da un po’ di tempo lavorando insieme: perché sono “persone giuste”, perché pensiamo che insieme si può cambiare più facilmente prospettiva, perché non si ha l’arroganza di essere esclusivi, perché unendo le forze nella comunità galatinese si può fare di più. Ma soprattutto perché tra “pazzi furiosi” ci si intende meglio e si può parlare sapendo anche ascoltare. A volte si parte quasi per caso, per poi scoprire che insieme si possono fare grandi cose. Galatina è una cittadina, insieme alle sue frazioni, per certi versi particolare, la definizione di “cazzi larghi” avrà pure un motivo! Ma penso, leggendo e parlando con gli amici di www.noha.it e de “L’osservatore Nohano” che esiste ancora qualcosa e qualcuno per cambiare rotta. Ora tocca a Voi galatinesi pensare che le chiacchiere non servono alla città; ma l’unione, la sinergia di più culture e intelligenze, la volontà a impegnarsi senza dominare, di dare senza necessariamente chiedere, di parlare senza offendere, di ragionare senza sbeffeggiare. Partendo da questo si può cambiare una cultura ed una società; e tutti noi ne abbiamo bisogno!
Tommaso Moscara
set092011
Ecco a voi puntuale come un orologio svizzero L'osservatore Nohano, l'appuntamento per i nohani svegli, o la sveglia per chi ha voglia di svegliarsi (per chi invece ama vivere dormendo non
set222011
Quando parliamo di “bene comune” e ci proponiamo di fare qualcosa affinché lo scopo venga raggiunto non dovremmo preoccuparci di appropriarci di meriti di alcun tipo, tantomeno se non ci competono. Non dovremmo annunciare il “nostro fare”, che fra l’altro scopriamo poi essere fatica espressa e documentata da altri, per essere le primedonne. Noi del “L’osservatore Nohano” spesso ci siamo sorbiti prediche e contraddittori per il semplice fatto di aver difeso coerentemente i nostri principi sacrosanti di salvaguardia del bene comune, sia che si tratti di terreni da difendere dalle speculazioni più disparate sia che si tratti di beni architettonici che storicamente appartengono ai nohani. E’ doveroso ricordare, per escludere eventuali dubbi, che quando si è trattato di informare i cittadini di Noha della iniqua ripartizione dell’area agricola da adibire a terreno per il fotovoltaico, la notizia è emersa soltanto grazie ad almeno due Dialoghi di Noha a cui hanno partecipato tanti cittadini. Ovviamente non vogliamo avere la prerogativa di aver fatto qualcosa per il bene comune (molti lo hanno fatto prima di noi), tanto i fatti, i documenti ed i libri lo testimoniano, ma siamo felici che finalmente, per la seconda volta a Noha, dopo l’evento del Natale alla Masseria Colabaldi, che ci auguriamo continui alla grande, sia emerso un nuovo gruppo di volenterosi cittadini nohani, che hanno scoperto (parole precise di Giampiero De Ronzi, Mimì) la propria responsabilità nei confronti di tali beni. Cogliamo l’occasione per abbracciare la causa profusa mediante web che riguarda l’attenzione posta alla nostra antichissima e storica torre. Grazie all’energica forza passionale del Gruppo Mimì, noi oggi finalmente possiamo ammirare in tutta la sua storicità la struttura residua dell’antichissimo castello di Noha, documentato in molti testi storici. Saremo orgogliosi di partecipare anche alla visita guidata organizzata dal Gruppo Mimì e diffusa sia su web che sul programma della Festa di San Michele. Ci auguriamo che siano tantissimi i cittadini di Noha che insieme a Giampiero, scoprano la propria responsabilità sulla rivalutazione di beni culturali di grande rilevanza come: le casiceddhre, la masseria Colabaldi, il frantoio ipogeo, la casa baronale, la casa rossa, la trozza, la torre dell’orologio, la Chiesa di San Michele, il calvario, e tutti gli altri, che sono tantissimi, descritti nel catalogo dei Beni Culturali di Noha, che oltre tutto è anche fruibile dal sito Noha.it.
Marcello D’Acquarica
Antonio Mellone
Martina Chittani
P. Francesco D’Acquarica
Michele Stursi
Paola Rizzo
Antonella Marrocco
Albino Campa
Fabrizio Vincenti.
ott022011
Questa mattina avevo un appuntamento importante con alcuni amici di Noha per visitare il poco conosciuto frantoio ipogeo che si trova tra vico Marangia e piazza Castello a Noha. Mi aspettavo, come poi si è rivelato un luogo da scoprire, pieno di fascino e che potesse conservare ancora qualcosa del passato. Ma non mi aspettavo certo di rivedere lo scjakùddhi. Voi penserete certo che mi sto inventando tutto, ma non ero il solo ad avere le visioni, quindi non penso nemmeno ad una suggestione, visto che eravamo tanti. Comunque presto un filmato dell’amico Albino di Noha.it potrà fare luce sull’accaduto. Infatti il folletto dispettoso di nascosto spiava le nostre mosse e solo la telecamera nel buio dell’anfratto ha potuto cogliere il movimento dell’elfo. Ma facciamo un passo indietro, l’invito a scoprire il frantoio ipogeo, era partito da Marcello D’Acquarica infaticabile cultore del territorio di Noha. Marcello insieme agli altri dell’osservatore Nohano hanno in progetto di riaprire il frantoio ipogeo al pubblico, per trasformarlo in un contenitore culturale a disposizione di tutti. Infatti successivamente hanno raggiunto il luogo anche l’assessore Carrozzini, l’assessore De Paolis e l’ing. Gianturco per i rilievi del caso, da portare sotto forma di documenti alla sovraintendenza dei beni storico – artistico – architettonici di Puglia per avere un lasciapassare, primo passo per rendere fruibile il bene. Ecco come in un vecchio articolo del mio sito web www.rairo.it descrivo il folletto dispettoso. Lo Scjakùddhi, oppure secondo i luoghi carcalùru, lauru, monacizzu, scazzamurièddhu, uru. Altro non è se non il daimon dei greci, oppure l’incubo dei latini che durante la notte si sedeva premendo sullo sterno, impedendo la respirazione e provocando brutti sogni. Poteva essere ora tormentatore degli uomini, ora benefico. Lu scjakùddhi era descritto come un essere molto basso, ancora più piccolo di un nano, con un cappello rosso a sonagli in testa e ben vestito ( il nostro sembra essere vestito di nero ). Era un folletto tra il bizzarro e l’impertinente, cattivo con chi l’ostacolava o svelava le sue furberie, benefico con chi gli usava tolleranza. Bazzicava volentieri le stalle dove spesso si innamorava della cavalla o dell’asina che meglio gli garbava, l’assisteva e l’accarezzava, nutrendola della biada sottratta alle compagne o alle stalle vicine e intrecciava code e criniere, quando i cavalli non gli permettevano di mangiare la biada con loro. Lu scjakùddihi era il dio tutelare dei frantoi di olio, specie di quelli ipogei sua stabile dimora. In passato, quando nelle fredde serate autunno-vernine si vedevano esalare fumi dai fori sovrastanti il frantoio si pensava allo scazzamurièddhu che veniva considerato come il benefattore dei poveri e il folletto del focolare domestico. Spesso, si immaginava che fosse l’anima di un morto, che non aveva ricevuto i sacramenti.
Ma per essere concreti ecco una descrizione dei frantoi ipogei e del commercio dell’olio di Gallipoli.
Gallipoli già dall’inizi del XVI secolo, risultava la maggiore piazza europea in materia di olii per cui l’amministrazione dell’epoca tassava l’immissione degli olii provenienti dall’intera provincia che servivano nella stragrande maggioranza non per usi alimentari, ma in particolare si produceva un tipo di olio grasso e che non produceva fumo, un tipo di olio che serviva ad illuminare le grandi città d’Europa cosicchè Londra, Parigi, Berlino, Vienna, Stoccolma, Oslo, Amsterdam ecc. usarono l’olio salentino per illuminare le strade fino alla fine del XIX secolo quando l’arrivo dell’elettricità mando in crisi l’esportazione del cosidetto olio lampante. La produzione di quest’olio avveniva sottoterra, dove vi erano le condizioni ottimali di calore ed umidità per produrre un olio da esportare, nella stessa Gallipoli vi erano circa 35 frantoi ipogei che lavoravano a ciclo continuo da fine settembre fino a fine aprile due di essi sono stati recuperati e resi fruibili alla visita del pubblico sono quello di Palazzo Briganti in via Angeli e quello di palazzo Acugna-Granafei in via A. De Pace . Della lavorazione niente andava buttato ed anche il sottoprodotto della macinazione e torchiatura delle olive veniva usato per creare un sapone diventato famoso poi, come “sapone di Marsiglia” oppure veniva impiegato nei lanifici. Vi erano molte saponiere in città, tanto che ancora oggi esiste via Saponiere, proprio accanto alla chiesa di S.Francesco. La grande importanza del porto per il commercio degli olii fece accorrere in città vari commercianti, ma anche le rappresentanze di diversi governi europei . Era tanto considerevole il commercio di questo prodotto che papa Gregorio XIII nel 1581 e papa Sisto V nel 1590 accordarono l’assoluzione collettiva a tutti coloro che, impegnati nelle operazioni di caricamento, non avessero santificato la domenica. Per tutto il XVII secolo nel porto di Gallipoli da documenti dell’epoca si ricava la presenza di innumerevoli navi fino a punte di 70 di esse in un solo giorno. Nel secolo successivo la presenza divenne massiccia tanto che Gallipoli ebbe, seconda nel regno dopo Napoli il Consolato del Mare 29 Gennaio 1741, esattamente un mese dopo Napoli che era anche la capitale del regno. Il celebre pittore Filippo Hackert su incarico del re dipinse una tela raffigurante il porto di Gallipoli, questa tela, destinata alla reggia di Caserta insieme alle altre meraviglie del Regno si trova oggi nel museo di S.Martino . In Gallipoli ebbero sede, fino al 1923 i vice consolati di molte nazioni europee : Austria, Danimarca, Francia, Inghilterra, impero Ottomano (Turchia), Olanda, Portogallo, Prussia, Russia, Spagna, Svezia e Norvegia. La nomina a vice consoli avveniva per rilascio di patenti da parte del ministero degli esteri della nazione interessata convalidate dal ministero degli affari esteri Italiano. A corredo del nostro articolo corredato dalle foto del celebre quadro di Hackert, una vasca ed una antica macina per le olive presente nei frantoi ipogei , riportiamo la foto del documento datato 26 Marzo 1877 in cui si rilascia la patente di nomina di vice console di Svezia e Norvegia al commerciante gallipolino Vincenzo Palmentola, ed un paio di foto del palazzo che fungeva da vice consolato di Svezia e Norvegia nel cuore del borgo antico della città a due passi dalla Cattedrale di S.Agata.
ott092011
LA SOLITA SOLFA O TUTTA UN'ALTRA MUSICA? SIGNORE E SIGNORI ECCO A VOI IL NUOVO NUMERO DE "L'osservatore NOHANO". BUON ASCOLTO!
nov092011
Ecco a voi quello che noi reputiamo sia un gioiello: il nuovo numero de L'osservatore Nohano. Buona lettura e buone riflessioni.
dic092011
Cari amici, ecco a voi il numero natalizio dell'osservatore Nohano, con tanti auguri di legalita', frugalita', giustizia, cultura, di rispetto dell'ambiente.
gen092012
lug112012
"A proposito di segnaletica orizzontale che ha invaso il centro di Noha. Se non vi piacciono i salamelecchi e se volete andare al succo della questione saltate la prima parte dell'articolo e leggete subito la seconda, quella dopo gli asterischi"
Uno dei primi atti posti in essere dalla nuova Amministrazione Comunale testé insediata - almeno a quel che ci risulta e per quanto riguarda Noha - sembra essere il rifacimento della “segnaletica orizzontale” (o “segni sulla carreggiata” come si chiamavano un tempo). Stiamo parlando di quell’insieme di strisce e scritte tracciate sulla pavimentazione stradale “con funzione di prescrizione o di indicazione, al fine di regolamentare la circolazione dei veicoli e delle persone” (fonte Wikipedia).
Si comprende bene come a volte certe decisioni siano “dovute e non procrastinabili” in quanto i segnali stradali di terra sono da considerarsi a tutti gli effetti uno dei più importanti presidi per la sicurezza dei cittadini.
Tuttavia all’occhio (o all’osservatore) un po’ più attento non sfuggono certi particolari.
Intanto il “pittore” della segnaletica orizzontale sembra essersi concentrato (ed esibito) soprattutto nel centro cittadino, specialmente nella piazza San Michele e in via Castello, e a dire il vero anche in qualche altro punto del paese, come le due strade adiacenti l’ingresso delle scuole elementari e medie (mentre intonsa risulta essere, ad esempio, la strada che lambisce il retro delle stesse scuole, dove c’è uno Stop quasi invisibile, e fonte di molti - chiamiamoli così - equivoci).
Ci sono invece altre due arterie cittadine, che rispondono ai nomi di via Collepasso e via Aradeo, che non hanno visto il pennello dell’incaricato nemmeno con il binocolo: nulla di nulla, né stelle né strisce, non un punto, nemmeno una goccia di vernice caduta per sbaglio dal secchio.
Ora c’è da sapere che a volte (non sempre: qualche barlume di urbanità sopravvive ancora nelle nostre contrade) via Collepasso e via Aradeo hanno la parvenza di una pista di gara o di un tratto di circuito da gran-premio per auto o moto; le quali, già dentro il centro abitato, sovente sfrecciano in una direzione o nell’altra a velocità supersoniche. Sta di fatto che può capitare che per attraversare questa strada il pedone metta a repentaglio la sua incolumità: sicché grandi e piccoli, padri e figli, clienti di negozi ed altri cittadini, pur prudenti, sono costretti ad attraversare via Collepasso o via Aradeo - magari diverse volte al giorno – non senza raccomandarsi preventivamente l’anima al Padreterno.
Ma il rallentamento delle corse dei veicoli non è soltanto questione di strisce pedonali o di barre rallentatrici (che tra l’altro a Noha non servono più di tanto: la morfologia stessa delle strade sconnesse contempla i rallentatori). Le strisce pedonali o le altre diavolerie segnaletiche, infatti, sono “forma”. Ma guidare con prudenza è invece questione di civiltà, cioè di “sostanza”. Tuttavia da qualcosa bisogna pur partire: e lo si può fare da quella più facile, che è la “forma”; mentre la più efficace, ma infinitamente più difficile da realizzare, rimane la “sostanza”.
L’educazione, il rispetto delle regole e della legalità, la correttezza e la serietà sono questioni complesse, di sostanza dunque: senza le quali non basterebbero (né servirebbero) tutte le strisce pedonali del mondo e tutte le forze repressive o di polizia dotate dei più sofisticati marchingegni. Certamente l’educazione civica non spetta, o meglio, non è responsabilità esclusiva delle Istituzioni: ma di tutti, dal primo fino all’ultimo cittadino.
* * *
Detto questo ritorniamo in centro, in piazza San Michele, sempre a Noha.
E qui c’è da mettersi le mani nei capelli. Qui ci si è sbizzarriti con la vernice. Linee e strisce ovunque, perfino su quel quadrato superstite di chianche antiche (a proposito: le altre che fine hanno fatto?). Ma dove mai s’è vista una roba del genere? A Lecce, a Cutrofiano, o a New York? Bastava spostarsi di un metro, o angolare un po’ quelle strisce pedonali per ovviare all’n-esimo scempio nohano. Forse nemmeno i bambini dell’asilo avrebbero fatto errori/orrori di questo genere.
Ma i problemi (che sono come le ciliegie, una tira l’altra) sono ben altri.
Ora ci chiediamo: come mai si sta infierendo con pervicacia su questa benedetta piazza San Michele? Come mai s’è deciso (e chi lo avrebbe deciso?) che questo centro cittadino debba essere costantemente presidiato dalle auto? Perché sancire una volta per tutte, con queste strisce ad evidenza e quasi fosforescenti, che quella piazza sia di fatto e ormai anche di diritto un parcheggio per auto? Chi ha permesso che il salotto di casa nostra fosse oggetto di un maquillage maldestro e di cattivo gusto come quello che ci tocca vedere in questi giorni? La piazza di Noha ha oggi la parvenza di quella matrona, un po’ avanti negli anni, che, non solo indossa un vestito lacero e sporco, ma ha anche esagerato con il fard e con il rimmel, ed ha superato la misura anche con il rossetto, con il risultato di mille sbavature che hanno reso mostruoso il suo aspetto.
Non bastava quella panchina-fioriera (ormai mobile) di seconda mano, proveniente dalla piazza San Pietro di Galatina, dove questa, insieme ad altri sedili fioriti, erano rifiutati da tutti (anche dai santi pazienti e benedicenti dalle nicchie del frontespizio della chiesa madre)?
Perché non limitarsi al rifacimento soltanto delle strisce pedonali (con qualche accortezza in più) e del parcheggio dei disabili, lasciando, per ora, fuori dal perimetro di quella piazza, tutte le altre auto?
Vero è che chi parcheggia in piazza pur non avendone il bisogno impellente è una specie di disabile della volontà (e forse meriterebbe un riconoscimento dall’Inps, magari con annesso l’accompagnamento in denaro), ma non sarebbe stato il caso di fargli appena capire che non è proprio il caso?
Perché ratificare con quelle strisce il parcheggio selvaggio? (guardate: è “selvaggio” ogni accanimento, come per esempio il parcheggio in centro, quando non strettamente necessario).
Non sarebbe stato meglio mettere un unico divieto di sosta (e magari di transito) per tutta la piazza? E’ vero che un popolo educato e con un sufficiente livello di maturità non ha bisogno di divieti ed imposizioni varie onde evitare di farsi del male. Ma nell’attesa del superamento della soglia della sufficienza in cultura sociale da parte del nostro popolo, non sarebbe stato appena il caso di iniziare a parlarne?
Mentre in ogni parte del Salento (vedi Martano, o, senza andare troppo lontano, anche la confinante Sogliano Cavour) stanno sparendo di botto le macchine dai centri-città, qui a Noha quelle strisce nuove di zecca sembrano invitare al parcheggio: “Venghino signori, venghino, qui c’è posto per voi. Perché parcheggiare a cento metri di distanza quando potete farlo qui, a centimetri zero?”.
E’ questa l’attenzione al centro storico?
Eppure mi sembrava di aver letto nel programma elettorale della nuova maggioranza l’attenzione al centro storico, con la sua chiusura al traffico. Mi sorge il dubbio ora che per “centro storico” i nuovi amministratori di Galatina (e purtroppo anche di Noha) abbiano, per una sorta di errata ancestrale convinzione, preso per buono SOLO quello di Galatina, come se il centro (aggiungiamoci pure “storico”) di Noha fosse una sorta di figlio di un dio minore. Non è così.
I centri storici, le nostre piazze, i luoghi del cuore dovrebbero essere tutti siti di serie A. E a Noha (ma anche altrove) in piazza ci si dovrebbe recare possibilmente tutti a piedi e con rispetto. L’agorà è il luogo dell’incontro (e non della auto da scontro) dello scambio empatico e del saluto (con l’eccezione del solito allocco-svampito di passaggio che ancor oggi fa finta di non vedere né sentire: ma forse non ci vede e non ci sente veramente).
La nostra piazza non è un silos per auto né lo spazio dove costruire un novello muro di Berlino fatto di lamiere parcheggiate all’ombra della torre dell’orologio, (quell’orologio muto da decenni, che un tempo dialogava con la dirimpettaia chiesa madre di Noha).
Le migliori amministrazioni comunali, a parere di chi scrive, sono quelle che non lasciano segni sul territorio.
Dalla nuova amministrazione testé insediata (ma se continua su questa falsariga a breve sarà da noi “assediata”) ci saremmo aspettati ben altro: ci saremmo aspettati fin da subito non un rivoluzionario (sarebbe troppa grazia Sant’Antonio) ma diciamo pure un inedito potere dei segni, e non, ancora una volta questi ulteriori, inutili, e per nulla nuovi miserevoli segni del potere.
Antonio Mellone
P.S. gli eventuali commentatori per caso mi risparmino per favore il fatto che non me ne vada bene una (se si sforzano solo un pochino possono arrivare a capire anche costoro il senso di quello che ho scritto sopra). E mi risparmino anche la considerazione profonda che questa sia un’amministrazione comunale votata o sostenuta dal sottoscritto (bè, se anche fosse, questo non mi esimerebbe dall’esser con i miei nuovi rappresentanti, ove possibile, ancor più critico). Sta di fatto che se il buongiorno si vede dal mattino, stiamo proprio freschi. Nonostante questa calura da solleone.
set142012
All’incontro del 7 settembre scorso, oltre all’assessore ing. Andrea Coccioli, a farci da Cicerone c’era anche l’ing. Marcello Memmi, consulente e direttore dei lavori.
L’ing. Memmi, orgoglioso della sua creatura, in maniera garbata e puntuale, ri-portandoci negli spazi e negli ambienti di quella che ormai un’era geologica fa fu la nostra scuola elementare ci ha spiegato in dettaglio tempi e modi della ricostruzione quasi ab imis del manufatto, e poi ancora lavori eseguiti, accortezze, volumetrie, impiantistica, sistemi di sicurezza, qualità dei materiali, differenze tra il “prima” e il “dopo”.
Noi abbiamo ascoltato il tutto con molta attenzione, ponendo delle domande e ricevendo risposte più che adeguate.
L’opera ci è parsa molto bella, non c’è che dire. Sembra ci sia tutto l’occorrente (tranne un piccolo particolare di cui diremo), e sembra che davvero i lavori siano stati eseguiti a regola d’arte. Ma a ben guardare e a dirla tutta, ci sono alcuni piccoli dettagli – inezie se rapportate all’economia dell’intero edificium - che difficilmente sfuggono all’osservatore, pur distratto ma dai riflessi appena un poco più vivaci di quelli di un bradipo sedato.
Non sapendo da dove cominciare per prima, partiamo dall’alto. Ci riferiamo ai chiamenti del solaio, in particolare alle civature tra le chianche che ricoprono il lastrico solare. Questa copertura nuova di zecca sembra già bisognosa di un rifacimento, se non altro con spatola e pennello. Ma sì, anche i lastricati dei solai delle nostre case necessitano di un ripristino ogni due anni circa, e considerato che i lavori alla vecchia scuola elementare sono terminati da oltre un anno e mezzo, ci siamo quasi. Cosa sarà mai il dover provvedere ad un nuovo restauro prima ancora che la struttura venga inaugurata? Volete mettere l’ebbrezza di inaugurare, proprio qui da noi, la nuovissima tipologia di intervento in edilizia pubblica, il cosiddetto restauro del restauro, o restauro al quadrato? Che ci volete fare: a Noha siamo abituati a queste e a ben altre novità.
Sempre rimanendo sulla terrazza della vecchia scuola, si notano in tutto il loro splendore dei pannelli fotovoltaici (che, come diremo meglio nella quarta parte di queste note, per ora stanno riflettendo; nel senso che si sono presi una pausa di riflessione). Anche in questo caso ci pare che francamente si sarebbe potuto fare un piccolo sforzo in più, come per esempio sfruttare al meglio tutta la terrazza (e non una parte soltanto, tra l’altro utilizzata forse in maniera poco efficiente con tutti quegli spazi vuoti che certamente sarebbe stato meglio riempire con altre lastre fotovoltaiche, come ci pare che fosse previsto nel progetto).
Scendendo a valle del fabbricato, abbiamo osservato altre bazzecole qua e là sparpagliate. Una di queste è la zoccolatura in pietra leccese che per tre lati circonda in funzione protettiva la parte inferiore della parete perimetrale della scuola, per un’altezza pari a poco più o poco meno di mezzo metro. Non ci crederete ma questa zoccolatura, tanto per cambiare, è stata dipinta non si sa bene se a tempera o con altra pittura sintetica. Cos’è che non va? Semplice: la vernice di questo battiscopa esterno sta scoppulandu anzitempo. Chissà chi sia quello scienziato che si fa pure chiamare mesciu che anziché star fermo con le mani s’è munito di secchio di vernice e pennello (rimane il dubbio se si tratti di un pennello grande o di un grande pennello) per dare una mano di tinta. Ma come si fa a far capire una buona volta, anche e soprattutto agli addetti ai lavori, che la fisionomia autentica delle opere in pietra leccese è quella che è data dalla pietra stessa, senza alcuna tinteggiatura di qualsiasi genere (e men che meno monocromatica)?
Questo fatto c’induce ad una breve digressione. Qualche annetto fa, anche la facciata di uno dei più importanti monumenti nohani, nonché le colonne tortili di seicentesche are ivi contenute, in nome di un “restauro a tempi da record” portato avanti dagli “uomini del fare” (quello che gli pare), furono ricoperti da una mano (sacrilega) di vernice, “però color pietra leccese”. Per il bene di tutti, e senza peli sulla lingua com’è nostr’uso, facemmo presente a committenti e maestranze che non era il caso…
A dire il vero, per fortuna si corse ai ripari in tempi ragionevoli, ed alla fin fine fu pure fatto un buon lavoro. In compenso, anziché essere lodati e ringraziati ogni momento per aver fatto notare quello che stava per diventare uno scempio (errare humanum est, perseverare ovest) fummo scomunicati per lesa maestà secondo il più classico dei processi sommari (o somari?). Ma questa è un’altra storia.
Antonio Mellone
set252012
Carissimo Lino,
non buttarti giù in questo modo. Uno che scrive una lettera come la tua, tutt’altro che “striminzita nel testo di esposizione”, e infarcita di lemmi ed espressioni del tipo “malgrado non sia avvezzo”, “ [i testi] viscerali e sentiti”, “accezione etimologica”, “il modus vivendi”, “il mio compiacimento”, e ancora “eufemismo”, “PRAGMATISMO”, e mille altre amenità forbite e ricercate, è tutto men che affetto da “scarsa cultura”.
Che gli strafalcioni, tuttavia, siano sempre in agguato è ben risaputo e possono capitare a tutti: chi non scrive non incorre mai in errore, né di ortografia, né di grammatica, né di sintassi, né di altro tipo. Al massimo si macchia del peccato di omissione (che credo sia uno dei più gravi).
Se ho segnato con il [sic] e successivamente messo tra virgolette il tuo “soluzionare” è stato per evidenziare invece le tue doti di neologista. Guarda che “soluzionare” non è poi così ripugnante, tanto che l’ho utilizzato nel prosieguo del mio articoletto, pur sempre tra virgolette (ma solo per questioni di copyright).
“Soluzionare” rende l’idea, e non è peggio di mille altri verbi che ormai s’utilizzano correntemente, ma non sempre correttamente, come “implementare”, “monitorizzare”, “taggare”, “scannerizzare”. Ma tant’è.
Quanto al mio “linoleum”, sì, è l’olio di lino, il quale con opportuni processi non solo ossidativi, passando dallo stato liquido allo stato solido, diventa il linoleum (di cui sono composti i pavimenti). Lino-oleum = linoleum, c’est plus facile, come per il Sanbittèr.
* * *
Ma ora lasciamo perdere le questioni di lino lana caprina, per entrare nel merito della tua epistola. Che in qualche tratto ha tutta l’aria di una excusatio non petita.
Ovviamente qui non mi metterò a chiosare per filo e per segno ogni rigo della tua missiva con il pericolo di non finirla più (e con il rischio che la testa mi caschi sulla tastiera, ed un paio di attributi per terra), ma soprattutto perché, prima di ogni nostra batracomiomachia, viene la battaglia per la messa in funzione della vecchia scuola elementare di Noha, per la quale dovremmo essere tutti uniti, evitando possibilmente di fare la fine dei capponi di Renzo Tramaglino, mentre questi era diretto alla volta del dottor Azzeccagarbugli.
Tu, caro Lino, sei vittima come me, e come molti altri nohani inconsapevoli, della spesa pubblica di 1.300.000 euro effettuata per la ristrutturazione della vecchia scuola elementare; spesa che finora non ha portato a nulla se non ad un semilavorato inservibile. E forse non è chiaro nemmeno a noi quanto ci abbiano preso in giro (non voglio credere per dolo, ma sicuramente per colpa, cioè per negligenza, imperizia, superficialità, e soprattutto per sciatteria nei confronti di Noha). Dunque io non sono contro di te, in questa lotta, ci mancherebbe altro. Ma insieme a te vorrei trovare altri concittadini per fare fronte comune (ovviamente discutendone, anche animatamente, come stiamo facendo noi).
Mi piacerebbe che su questo sito ci fossero altri interventi sul tema, pertinenti e perfino impertinenti, per mantenere alta la tensione nei confronti di tecnici e politici che dovrebbero mettere all’ordine del giorno, fino alla sua soluzione definitiva, il problema di questa benedetta vecchia scuola elementare di Noha.
Sarebbe ora che altri cittadini, degni di questo status, facessero le loro rimostranze per il fatto che tecnici e politici si siano fatti vivi a Noha solo dopo tre mesi e passa di suppliche, insistenze, video, inchieste, articoli e telefonate in merito. Se ci fossimo rivolti a Benedetto XVI avremmo sicuramente ottenuto udienza molto prima di quella gentilmente concessaci da questo stramaledetto (sedicesimo) apparato burocratico.
Sarebbe ora che i nohani si agitassero per il fatto che non ci abbiano ancora inviato la lista degli arredamenti previsti per la struttura de quo, che ci avrebbero fatto avere “subito subito”, come da promessa (da marinaio) fatta nel corso dell’ultima visita guidata nella struttura. Sarebbe ora che anche gli altri concittadini alzassero la testa e si interrogassero sul perché i nostri rappresentanti non si siano mai degnati di farsi vivi per iscritto. Ovviamente nemmeno quelli di opposizione (che non si oppongono) hanno fatto capolino dal loro rifugio segreto. Qualcuno m’ha pure riferito che se noi altri avessimo “presentato domanda come previsto dalla legge”, sicuramente avremmo ottenuto risposta. Sì, come no. Magari in carta da bollo.
Converrai con me, caro Lino Mariano,