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Di Antonio Mellone (del 30/08/2025 @ 12:01:05, in Fetta di Mellone, linkato 879 volte)

Ci siamo quasi. Qualche altro giorno di pazienza e vedrete che il sogno (evidentemente bagnato) del sindaco, e a quanto pare anche del suo assessore ai LL.PP. (acronimo antifrasi di Leccornie Pugliesi), sarà una splendida realtà: ci han lavorato senza requie un bel po’ di maestranze anche a quaranta gradi all’ombra (e poi dicono che non ci sono più i proletari di una volta) al fine di scodellarci un delizioso pacco chiavi in mano nel più breve tempo possibile. Mi riferisco al fast food fotocopia della Mc Donald’s, colato in loco di fronte alla Q8, giusto all’ingresso della prossima ventura città della cultura (soprattutto culinaria), viepiù descritta dallo storytelling degli animatori turistici di palazzo Orsini come un villaggio della Valtur. Già me lo vedo il primo cittadino della mia città, in compagnia di qualche altro uomo-sandwich (su piazza se ne annoverano a bizzeffe) passare tra i tavoli del novello ristorante senza cuoco come lo sposo ai matrimoni.

Finalmente, da una settimana circa, sul relativo piazzale, una M gialla tanta così svetta a mo’ di benvenuto in cima a uno dei menhir salentini 3.0 (vale a dire i pali della pubblicità), mentre il nuovo Quotidiano di Lecce, con un pizzico di pessimismo comico in merito alle tempistiche, ne gongolava sin dal 27 febbraio ’25 titolando: “Il nuovo store dovrebbe essere pronto entro la fine dell’anno, ma l’entusiasmo in città è già palpabile”. Talmente palpabile che fioccano in anteprima le recensioni su Google (ovviamente tutte con cinque stelle), così, sulla fiducia. Prima in assoluto quella di un potenziale cliente che non sta nella pelle, pregustando alla Pavlov il suo viaggio esperenziale nell’Happy Meal Time: “Non vediamo l’ora che apri” [sic], senza segni di interpunzione, ma con tre emoticon, di cui l’ultimo a forma di cuore creato con i due pollici e i due indici. Chissà se gli attentati dinamitardi alla grammatica italiana saranno funzionali all’ottenimento di uno sconto per il McFlurry.

 
Di Antonio Mellone (del 20/07/2025 @ 17:06:33, in Fetta di Mellone, linkato 1090 volte)

Certi reperti non li trovi soltanto a Noha, ma anche in luoghi decisamente più esotici tipo Galatina City: l’altro giorno, per esempio, in via Liguria, tra un semaforo e l’altro, ne ho rinvenuti ben due. Per non parlare poi dei cigli destro e sinistro della provinciale per Galatone sommersi da cima a fondo da uno strato pressoché ininterrotto di codesti derivati del silicio. Ma il discorso vale ormai per ogni lido. Mi riferisco ai vuoti a perdere delle canadesi, dico delle bottiglie di birra vacanti, perlopiù marroni quando non verdi, che non c’è verso di far conferire nei bidoni pubblici o privati del vetro. Altri tempi quando non eravamo tutti green e i vuoti si rendevano.

Sembra di esser circondati da un esercito di alcolisti anonimi, i quali spesso alla fine della tracannata lasciano (o lanciano) la boccetta del loro liquido preferito ‘ndo cojo coio, preferibilmente su marciapiedi, davanzali delle finestre, soglie di porte e portoni, muri di cinta, dintorni dei cestini per il pattume (maisia dentro), aiuole, panchine, ville comunali, calli e campielli, senza trascurare la variante bucolica, voglio dire le campagne. Nella mia, per esempio, li trovi tra le pietre del muretto a secco, sui cozzi, conficcate nelle zolle di terra rossa (‘mpizzate capisotto proprio), tra le erbe creste cioè selvatiche (mica ho il prato inglese io), ai piedi degli ulivi del padre, sui rami del pino, sotto i fichidindia. Certo, mi direste voi, quei poveretti non possono rientrare a casa con le bottigliette in mano svelando così a genitori o a fratelli, figli, nonni, zii, fidanzati, coniugi, altri parenti e amici, il loro vizietto di alzare il gomito - come se genitori o fratelli, figli, nonni, zii, fidanzati, eccetera, non nutrissero già un leggero sospetto su certi trastulli del loro congiunto, se non altro per via dell’aumento del volume della sua trippa, l’alitosi acida, il rutto libero, l’occhio ‘mpannato e la coglionaggine allo zenit (e questo sempre che genitori, fratelli, figli, eccetera, non siano della stessa pasta e godano dello stesso smalto, o malto, del loro caro). Ciò accade in tutti i mesi dell’anno, con picchi record nella stagione del solleone allorché l’arsura viene affogata con maggior frequenza del solito nella Guinnes fredda: roba da Guinnes dei primati. Appunto.

A dirla tutta ai bordi nel mio campo agricolo, oltre alle canadesi, agli immancabili gratta-e-vinci fiondulisciati dall’n-esimo grattaperdente frustrato, e ai pacchetti di Chesterfield, trovi dell’altro, ultimamente perfino i barattoli del Gatorade: e qui non siamo più nel reparto degli alcolisti ma probabilmente in quello dei fondisti anonimi, vale a dire atleti che con i loro allenamenti diuturni provano a eccellere nel loro sport preferito: quello di toccare il fondo.     

Tra gli altri siti di stoccaggio più gettonati in loco troviamo la storica via Trisciolo che può senz’altro aggiudicarsi il premio Nastro Azzurro a causa degli ubriaconi impenitenti di turno che stanno provando a farla somigliare a una discarica abusiva. Puntuale come una pastiglia per la pressione non c’è giorno che ignoti etilisti di corvée, livello culturale da Temptation Island, faccia identica alle terga, incuranti dei dubbi che gli altri possano nutrire in merito alla professione delle loro rispettive madri, sprezzanti oltretutto del rischio del pubblico sputtanamento (che prima o poi arriverà: è stocasticamente certo) non depositino qui e là le bottiglie della loro amata Dreher che sicuramente pronunceranno “dreker”. L’altro giorno ben 4 ‘nfilerate sull’uscio di una casa abbandonata, stile birilli da bowling. Specialità birring.

Più d’una volta, il sottoscritto, pur non essendo un attivista di Greenpeace e men che meno l’agnello di Dio che carica su di sé i peccati del mondo, terrorizzato all’idea che l’intelligentone di guardia si mettesse a blaterare di telecamere da piazzare ovunque stile Panopticon, s’è preso la briga di raccogliere tutto il materiale di scolata per conferirlo poi nel (suo personale) secchio del vetro.

I dipendenti dell’Ecotecnica, guardando con commiserazione quella pattumiera bimensile, piena zeppa dei corpi del brindato esclameranno: “Questo qua berrà, sicuro, più di bohémien e scapigliati messi assieme per scrivere quattro fette di Mellone.”.  

 

Antonio Mellone

P.s. Comunque, gli alcolisti anonimi del mio paese sono di gran lunga migliori, oltre che ben più sobri, di chi ancora scambia un genocidio per autodifesa.

 
Di Antonio Mellone (del 28/06/2025 @ 08:34:55, in Fetta di Mellone, linkato 1448 volte)

Chi ricorda ancora la buonanima del mega-porco Pantacom? Mi riferisco ai ventisei ettari di cemento asfalto capannoni e rotatorie che una decina abbondante di anni fa avrebbero voluto colare in contrada Cascioni, periferia di Collemeto, in quella cosa antifrasticamente definita “parco” (con l’aggiunta dell’aggettivo “commerciale” a mo’ di attributo all’ossimoro “centro in periferia”). Non se ne fece nulla, in quanto, come noto perfino agli gnorri, la Pantacom, società a responsabilità asintotica a zero e con garanzie più teoriche che pratiche, morì prima ancora di nascere (al tempo ne scrissi non so più quanti necrologi), malgrado i sogni di gloria degli economisti per caso (che blateravano di 200 e passa nuovi posti di lavoro, e “ricadute” che non ti dico), nonostante il coretto dei consensi, la dolce attesa delle levatrici sedute a destra e a manca nel parlamentino di Palazzo Orsini, e quantunque tra i titolari effettivi della limitata s’annoverasse un pezzo grosso della politica leccese - successivamente cooptato, senz’altro per meriti sul campo, nel consiglio di amministrazione della Zecca dello Stato [malpensanti: per Zecca questa volta non s’intende il parassita ematofago, ndr.].   

Ebbene, questo salto nel giurassico solo per dire che di quei consiglieri comunali, molti falcidiati dall’insipienza e dall’irrilevanza crassa prima che dalla storia patria e dal diritto, nelle attuali assise cittadine se non addirittura in giunta si conta ancora qualche superstite esemplare. A dirla tutta noi altri non avremmo dato tanto peso alle parole, visto quante ne sparano in ogni tempo e in ogni luogo, se non per il fatto che di quell’abortito mega-porco lorsignori sembra vogliano costruire uno specimen posticcio in miniatura proprio a Noha a metà strada tra la piazza principale e il cimitero, insistendo con l’appellarlo ancora una volta “parco”.

Stavolta niente grandi magazzini parcheggi ipermercati rotonde e Mc Donald’s su codesto fazzoletto di terra di forma irregolare, pressappoco trapezoidale, di qualche centinaio di metri quadrati, forse un migliaio, prospicienti via Aradeo, ma soltanto lampioni elettrici, ma tanti. Dico la più alta concentrazione al mondo per ara: nove pali per la precisione, più uno preesistente. Certo è che manco Cappuccetto Rosso riuscirebbe a perdersi in quel “bosco” urbano così ben illuminato a giorno.

 
Di Antonio Mellone (del 28/10/2024 @ 08:46:22, in Fetta di Mellone, linkato 795 volte)

E poi dite che il nostro virgo-sindaco pensi solo alla movida e ai circenses. Questa volta, a dispetto dei malpensanti, unendo l’umido al dilettevole, se n’è uscito con un solenne comunicato stampa da fare invidia a Ponzio Pilato, dichiarando urbi et praecipue orbi, che per lui e per la sua giunta non v’è “nessuna pregiudiziale ideologica né a favore né contro” il mega-impianto di compostaggio progettato nella zona artigianal-industriale di Soleto, in pratica a Galatina.

Insomma, pare esista, se non altro sulla carta, una Srls – società a responsabilità limitatissima, per di più semplificata -, con un capitale sociale di 5000 euro, dall’esilarante denominazione “Forenergy”, la quale s’è messa in testa di colare in mezzo alla superstite campagna che ci circonda (così si spiega pure quel “Fore” - a meno che non si faccia subliminale riferimento al concetto di Fore-de-capu) una bella industria di produzione di gas dai rifiuti soliti urbani. Pardon volevo dire Biogas: ché oggigiorno se usi i prefissi bio, eco, green, fisio, natural, ovvero i suffissi 4.0, ora 5.0, oppure Euro 4, Euro 5, e via enumerando, suona tutto più “sostenibile” e nessuno può darti dell’oscurantista. Vuoi mettere ad esempio il biocemento, l’ecodiossina, i naturalveleni, le greenpolveri sottili, l’asfalto4.0, le fisiociminiere, le eurobombe tanto democratiche e inclusive, e infine il biometano, rispetto a tutto il resto? Queste sì che trasformano l’economia classica in Economia Circolare senza manco che te ne accorga. Il nostro primo cittadino ci ha aggiunto, a proposito della novella struttura fuoriporta, la locuzione “di nuova generazione”, così per far stare più tranquilli noi altri, ma soprattutto, eccole finalmente, “le generazioni future”. S’è scordato soltanto di aggiungere la ciliegina sulla torta, dico il celeberrimo “Ab-bat-ti-men-to del-la CO2”, ma non mancherà di ribadirlo nella susseguente epistola.

E non v’azzardate a fargli presente che l’anaerobico -  cioè il processo di ottenimento del gas (sì ok biometano) dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani - agisce per lo più a caldo, azionando delle pompe di calore; che il gas derivante dalla fermentazione anaerobica è un idrocarburo impuro (bisognoso di ulteriori trattamenti); che per un impianto, diciamo, da 1MW, si otterranno decine di milioni di metri cubi di fumi non proprio balsamici [vero è che da questo punto di vista Galatina ha già dato, ma può tranquillamente perseverare grazie anche ai “gemellaggi storici” siglati a ridosso della nota pista di atterraggio elicotteri a km0, ndr.]; che il rifiuto esausto dell’anaerobico, ancorché “stabilizzato” con l’aria (con necessario connesso processo aerobico), pur definito ancora una volta “compost”, il più delle volte è di infima qualità tanto da dover essere smaltito in discariche speciali onde evitare pericolose contaminazioni dei campi; che 40.000 tonnellate di scorie pur selezionate, significano circa 110 tonnellate di spazzatura

 
Di Antonio Mellone (del 14/10/2024 @ 08:30:39, in Fetta di Mellone, linkato 688 volte)

Nelle puntate uno e due di codesta mia epopea organistica occorsami per caso nella basilica di Santa Croce in Lecce un sabato di ormai tre settimane fa, ho provato a raccontare di come l’incarico del servente alla consolle a Frédéric Ledroit, noto concertista a livello europeo, conferitomi su due piedi da parte del direttore del festival organistico del Salento, Mr. Scarcella, m’avesse provocato un subitaneo stato chetonemico insensibile perfino al Biochetasi granulato: in sostanza dal Voltapagine al Voltastomaco.  

Sembra uno scherzo, ma il ruolo del Voltapagine (e non vi dico del Registrante) è fondamentale per l’esito di un’esecuzione musicale. Si parla di competenza, di tatto, di capacità di lettura del pentagramma [sia lodata e ringraziata ogni momento la buonanima di mio zio don Donato per le lezioni di solfeggiamento, ndr.], di simbiosi con l’esecutore, e soprattutto di prove ripetute più volte. Invece stavolta niente prove, solo un briefing di pochi minuti con monsieur Ledroit, che mi spiega in provenzale stretto che alcune pagine sono volanti, altre rilegate a libro, che il terzultimo brano è impresso su uno spartito a fisarmonica, ma il secondo ha un ritornello anzi due, per cui a metà foglio bisogna ritornare indietro e poi riprendere dalla penultima strofa e continuare con nonchalance (ha detto proprio con nonchalance) con la prima del brano successivo…

 
Di Antonio Mellone (del 11/10/2024 @ 11:41:32, in Fetta di Mellone, linkato 724 volte)

Nella precedente puntata ho raccontato di come quel fatidico sabato sera del 14 settembre scorso mi trovassi nella basilica di Santa Croce in Lecce, e di come il mio (ex?) amico Francesco Scarcella, direttore del Festival Organistico del Salento, quasi puntandomi addosso una canna d’organo di non so che calibro, appena dieci minuti prima dell’inizio del concerto, mi chiedesse “gentilmente” (sì, avevo le mani in alto) di ricoprire il ruolo del Voltapagine dell’organista, e per fortuna non anche del Registrante (ché lo strumento Ruffatti di cui si parla può riservarti mille sorprese, annoverando una trentina di Registri e una ventina di Unioni da “registrare” appunto a seconda dello spartito e dell’esecutore: roba da far dimettere in blocco le difese immunitarie di chiunque, figurarsi le mie).

L’investitura avvenne a bruciapelo, senza nemmeno il tempo di farmi firmare una liberatoria contro il rischio di flop operistico, con pubblica gogna incorporata e annessa richiesta di risarcimento danni milionario (quantificabile agevolmente perfino da un direttore di banca laureato alla Bocconi) da parte dei portatori di interessi, tipo: musicisti, pubblico presente, curia arcivescovile, ministero della cultura, conservatorio Tito Schipa, veneranda fabbrica della basilica, provincia di Lecce, università del Salento, senza scordare gli eredi di Bach, Giordani, Rossini, e ovviamente di Girolamo Frescobaldi, e di chissà quanti altri autori.

A far decollare la mia pressione arteriosa oltre i 180 di diastolica (non vi dico la sistolica), e dunque a farmi apparire lo sfigmomanometro più come un termometro della sfiga che come un apparecchio per misurare la pressione, non era tanto il fatto che la star della kermesse provenisse dalla Francia, e dunque parlasse soltanto il francese stretto (idioma che, grazie alla Rita Luceri, la mia prof. delle superiori, parlo e scrivo correntemente, insieme alla Lingua d’Oc e la Lingua d‘Oil), quanto che avessi a che fare nientepopodimeno che con il M° Frédéric Ledroit, grand’ufficiale nell’ordine delle Arti e delle Lettere, nonché titolare del monumentale organo a canne della Cattedrale Saint-Pierre d'Angoulême, e per di più compositore di una cinquantina di opere conosciute in mezzo mondo. Ma quello che mi lasciava come un immobile senza agibilità era la fama, che lo precedeva, di maniaco della perfezione: sicché per il sottoscritto il Fos (Festival Organistico del Salento) stava per trasformarsi in una vera e propria Fossa.

 
Di Antonio Mellone (del 30/09/2024 @ 13:35:37, in Fetta di Mellone, linkato 727 volte)

Pensavo di essere fuori tempo massimo, invece son capitato a fagiolo.

Insomma, sabato 14 settembre scorso, un’amica mi fa: “Questa sera avrei voglia di una buona pizza, hmm, ben lievitata”. Non cogliendo probabilmente piccanti allegorie, metafore e sineddoche, con topico tono da despota illuminato che non ammette repliche, le rispondo: “Invece questa volta nutriremo lo spirito: dunque si va dapprima al cinema, alla proiezione de ‘L’ultima settimana di settembre’, e a seguire al concerto d’organo nella basilica di Santa Croce”.

Vi dirò che nonostante il repentino passaggio dal rock progressivo ai rosari, non fui piantato in asso dalla novella Madre Teresa e, all’ora convenuta, ci dirigemmo verso il Cinema Massimo di Lecce per dar corso all’articolato cronoprogramma.

Bello il film con Diego Abatantuono e il giovane Biagio Venditti, non c’è che dire, ma a un certo punto, avendo preso la parola il regista Gianni De Blasi, presente in sala per la Prima, e tirandola lui un tantino per le lunghe, per una manciata interminabile di minuti ho avuto la sensazione che la seduta della mia poltrona fosse cosparsa di una penetrante miscela di pepe e peperoncino, dacché incombeva la seconda parte della serata e non volevo fare il bifolco arrivando in basilica a concerto iniziato.

 
Di Antonio Mellone (del 03/09/2024 @ 13:58:40, in Fetta di Mellone, linkato 843 volte)

Tutta la mia solidarietà a Paolo Pagliaro, il patron della tv della repubblica, o meglio della Regione Salento (per i camerati Regione Salò), costretto a una vitaccia che mancu li cani. Ebbene sì, il poveretto non fa in tempo a uscire di casa che ogni santo giorno si ritrova con una telecamera puntata addosso, un microfono sotto il becco e una raffica di domande su tutto lo scibile umano (ficcanti e scomode che non ti dico, ‘ste domande) da parte dell’inviato speciale della redazione La Voce del Patron, determinato come non mai a fargli le pulci. Davvero non ci sono più i servi di una volta.  

Cosa non bisogna sopportare per quegli appena 11.000 euro al mese di stipendio da consigliere regionale, quale Egli è: dalle prime luci dell’alba e fino a quelle della ribalta, senza tralasciare le luminarie dell’Istituto Luce, sempre a dover dar conto a loro, i novelli Julian Assange al suo soldo, pronti a metterlo in difficoltà, compulsarne le esternazioni, coglierlo in fallo, quando non addirittura CON-TRAD-DIR-LO. Qui siamo in presenza di ferocissimi watch-dogs, signora mia: Rottweiler, Mastini e financo Dobermann, insomma cani. Meno male che molti fra i telespettatori dell’emittente nostrana sono di bocca buona, comprensivi e indulgenti nei confronti del potere, predisposti per indole e formazione a sciogliere inni e canti al loro beniamino (e dunque a suffragarlo in massa quando è il momento), se no i suddetti “disturbatori” sarebbero costretti a cambiare professione, e magari darsi al Giornalismo.

Oddio, qualche eretico nel comitato ci sarà pure ora come allora (tempo fa, per dire, c’era chi faceva L’Indiano come il Danilo, o conduceva inchieste garbate ma toste su paesaggio e territorio come la Tiziana: altre ere geologiche, lo so), ma la linea editoriale quella è, e per quanto tu ti faccia il mazzo, non puoi mica pensare di fare il galletto, soprattutto se hai famiglia. E così, ma solo a mo’ d’esempio, arriva a Lecce un arcivescovo coadiutore? Eccoli là solleciti a immortalare la benedizione urbi et specialmente orbi da parte del loro editore puro e casto. C’è l’alza-bandiera in qualcuno dei club che fanno tanto casta e borghesia di provincia? All’occhio vigile del videoreporter non sfuggirà certamente il petto in fuori e la pancia in dentro del suo capo Vip (very important Pagliaro), deciso a farci capire cosa ci perdiamo a non affiliarci all’anzidetta confraternita. Si presenta un libro su qualche lingua vernacolare della zona? Thegiornalisti riprendono il Nostro tutto intento a emulare il simpatico ministro Sangiuliano al Premio Strega, impegnato anima e corpo nella promozione della sua lettura (sì vabbè) per filo e per segno. C’è un dibattito nella Masseria Li Reni condotto dal medesimo titolare, vale a dire il Bruno Vespa nazionale? Il padroncino è lì in prima fila, con il contorno di qualche suo bravo redattore - che senza meno approfitterà dell’occasione per partecipare in loco a un corso accelerato di perfezionamento post-diploma, diretto dal summenzionato gigante dell’“informazione” porta a porta.

 
Di Antonio Mellone (del 16/08/2024 @ 08:10:50, in Fetta di Mellone, linkato 967 volte)

Non vorrei urtare la suscettibilità del sindaco di Galatina e soprattutto dei suoi vassalli, assessori e valvassini, e senza tralasciare i selfie della gleba, se oso evidenziare due o tre cosette che m’appaiono di una certa rilevanza. Avverto però a mo’ di premessa che, salvo clamorosi accadimenti degni di minzione, ogni eventuale successiva fetta di Mellone 2024 proverà a discettare di ben altri temi magari più terra terra, provando a mantenersi pur sempre Vergine di servo encomio.

A proposito di terra, un cenno va all’erba voglio ai bordi delle strade e delle piazze comunali ribattezzata dai supporters ante-elezioni “erba non voglio”. Ebbene, mi permetto di far notare che in molti casi il prato inglese, tedesco e italiano (come nelle barzellette) adorna ancora imperterrito e rigoglioso cospicui lembi dello stradario urbano e inurbano nohano, probabilmente per concretizzare l’antico motto vernacolare che suona così: “Tienimi la samente [semenza] ”. Ora, in base al nuovo verbo incarnito scodellato nel classico comunicato stampa, l’erba incriminata verrebbe tagliata ogni mese e mezzo, e va bene. Ma a noi altri sarebbe bastato un pizzico di onestà in più se non politica perlomeno intellettuale espressa verosimilmente nei seguenti termini: << Cari Nohani, la lotta è impari, non riusciamo davvero a star dietro a tutto: l’erba non è un prodotto finito ma un processo continuo, e non si può vivere una vita intera con il decespugliatore spianato. Certamente noi faremo del nostro meglio, ma voi altri, e non vi sia per comando, dateci una mano, e cercate là dove possibile di fare la vostra parte per il decoro cittadino, tentando di mettere in pratica il celebre adagio secondo il quale se tutti pulissero davanti alla propria porta, il mondo intero sarebbe più pulito >>. Questo avrebbe oltretutto reso giustizia a chi, poveretto, durante la campagna elettorale ha battuto il marciapiede alla ricerca dei ciuffi di verdure ribelli un tempo definiti “erbacce” - oggi invece diventati oggetto di culto, sicché alla loro vista in tanti si scappellano ed esclamano in estasi: evviva la Maria!

 

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