Di Albino Campa (del 07/05/2007 @ 00:00:00, in L'Osservatore Nohano, linkato 3369 volte)
"L'OSSERVATORE NOHANO"

n°4 - Anno I

Eccoci puntuali con il nuovo numero della nostra rivista online (18 pagine, 2,4 MB).


Sono graditi i vostri pareri ed i vostri commenti. Foto, lettere, articoli. Buona lettura!

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Di Albino Campa (del 23/04/2007 @ 10:08:24, in PhotoGallery, linkato 5556 volte)
Inserita una nuova Photogallery:
 
 
  1. Fiera dei Cavalli - Pasquetta 2007
 
Sono benvenuti, come sempre, i commenti e le considerazioni degli amici internauti.
 
Di Albino Campa (del 21/04/2007 @ 11:26:08, in NohaBlog, linkato 4503 volte)

"Eccovi di seguito un brano di Antonio Mellone tratto da "il Galatino" n. 6, anno XL, del 30 marzo 2007, nel quale l'autore ricorda con un salto indietro nel tempo la figura del compianto don Gerardo Rizzo, sacerdote di Noha".

Don Gerardo Rizzo

Il 13 febbraio scorso si è spento serenamente don Gerardo Rizzo, sacerdote di Noha. Se n’è andato nel silenzio della notte, nella sua casa ubicata nella storica Piazzetta Trisciolo, quella stessa casa che fu di suo zio, il Monsignor Paolo Tundo, indimenticato arciprete di Noha.
Aveva ottantatre primavere, don Gerardo; e si può dire che abbia trascorso buona parte della sua vita nella sofferenza e negli acciacchi derivanti da un brutto incidente automobilistico accaduto nella seconda metà degli anni ’60; disgrazia che gli procurò una frattura multipla ad un femore. I postumi di quell’infortunio furono visibili, dolorosi, e permanenti; ma quanto più tormentosi, tanto più sopportati con pazienza e santa rassegnazione.
Io lo conoscevo praticamente da sempre, non solo perché egli era un mio “familiare”, (essendo cugino di mio padre), ma soprattutto perché da piccolo imberbe chierichetto, come tanti altri, “gli servivo la messa”: e questo decine, se non centinaia di volte.
Una volta mi capitò anche di servire una sua messa al cimitero di Noha. Era appena spuntata l’aurora… Ma dico subito che fu un’esperienza che non ripetei, in quanto l’atmosfera, la desolazione del cimitero, ed il suono a morto della campana della chiesa (che era un po’ distante dalla cappella nella quale si celebrava) - campana che io stesso, in solitudine in quella sagrestia, avevo azionato tirandone la fune - in quella mattina di nebbia, mi atterrirono così tanto che da allora rinunciai a ritornare in quel santo luogo in quegli orari nei quali quasi nessuno lo frequenta. Una volta in macchina sulla strada per il ritorno dissi subito a don Gerardo che al cimitero non ci avrei più messo piede proprio per quei motivi: mi rispose con una rassicurante risata…
Era così don Gerardo, di poche parole. E sovente taciturno, come assorto in preghiera.
Preparato, diligente, puntualissimo, mai prolisso era molto amato da grandi e piccoli, e molto gettonato soprattutto nelle confessioni sia per la sua notoria indulgenza e sia perché capiva subito chi aveva di fronte, onde la clemenza e l’assoluzione arrivavano nel breve volgere di qualche minuto (se non proprio nell’intorno di una manciata di secondi).
Ha celebrato per decenni la “terza messa” domenicale, quella delle undici “in punto”, messa cantata con tanto di coro ed organo, una messa seguitissima anche perché grazie alla sinteticità di don Gerardo, alle dodici meno venti preciso tutti i cittadini di Noha erano già da un pezzo fuori dalla chiesa, diretti alla volta delle loro case, là dove, da lì ad un quarto d’ora, sarebbero stati pronti ad assidersi per il desinare (a Noha si mangiava alle dodici in punto, anche la domenica: molti hanno mantenuto codesta “regola”).
Non amava, in effetti, le prediche interminabili o prolisse (come invece sovente accade), ma, direi, quelle concettose ma nello stesso tempo stringate ed essenziali. Diceva tutto quello che s’aveva da dire e lo faceva con proprietà di linguaggio e con citazioni dotte (molte proferite in latino perfetto), che denotavano lungo commercio con le lettere e con i libri, sui quali s’era pure consumato la vista. In effetti studiava sempre ed aveva una memoria straordinaria. Alla bisogna, ti spiegava tutto per filo e per segno: e non soltanto i testi dei Padri della Chiesa, ma anche quelli della letteratura italiana di ogni tempo.
Si dilettava anche a suonare l’organo a canne della Chiesa Madre di Noha nel corso della messa serotina e cantava anche con la sua voce cristallina ed intonatissima. Ricordo che una volta un “predicatore quaresimalista” introdusse la sua omelia proferendo queste parole: “Sarò breve…”. Non l’avesse mai fatto. Prontamente dalla postazione dell’organo (che nella chiesa di Noha si trova proprio di fronte all’ambone) don Gerardo gli fece quasi eco, rispondendo ad alta voce, quasi come si risponde ad un salmo responsoriale: “Speriamo!!!”.
Il predicatore dovette rispettare il suo intendimento, così esplicitamente proferito, ed approvato.
Avevo imparato a conoscere don Gerardo così bene (così come, da ragazzo, mi capitava di fare per molti personaggi di Noha - ma anche forestieri - studiandone movimenti, intonazione della voce e gesti) che la sua imitazione mi riusciva meglio di tutte le altre…

*

Alla fine del mese di maggio era tradizione che iniziasse a Noha nella cappella di S. Antonio di Padova la cerimonia della “tredicina” in onore del Santo. Gli incaricati per la celebrazione delle funzioni e della messa, da parte della signora Tetta, organizzatrice e sagrestana di quel grazioso tempietto, (un tempo in piena campagna, ora, ormai circondato da una meno romantica “villettopoli”) erano proprio don Gerardo Rizzo, mentre i chierichetti deputati al servizio sacro erano il mio amico e compagno di classe, Adriano, ed il sottoscritto. Siamo sul finire degli anni settanta e verso i primi degli anni ottanta.
Per don Gerardo potevamo servire la messa senza la tonaca rossa e la cotta: un’eccezione, uno strappo alla regola molto gradito da noi altri, anche perché nei pomeriggi di giugno la temperatura pur non essendo ancora torrida da noi è comunque calda.
Ci divertivamo un mondo e con don Gerardo si scherzava e si rideva sovente, prima o dopo la messa. Una volta però accadde “nel durante”.
Si era nel bel mezzo della celebrazione. Ad uno dei due ragazzi capitò uno svarione (che di fatto era un’inezia, che nemmeno ricordo). Ai due chierichetti, che si guardarono un attimo negli occhi, venne immediatamente un attacco di risate, che, sulle prime, si tentò di bloccare, soffocare, reprimere, o almeno frenare; poi fu trattenuto a stenti, e poi ancora sempre meno…
Insomma - e per farla breve - con il nostro continuo drammatico crescendo d’ilarità non dominata, ben presto contagiammo lo stesso don Gerardo il quale, per qualche interminabile decina di secondi dovette a sua volta interrompersi. Questo fece sì che i fedeli raccolti in preghiera in quella piccola chiesa s’accorgessero di tutto quanto avveniva sull’altare a pochissima distanza dai loro occhi ed orecchi, e, a loro volta, come accade per queste cose, pur non sapendo il motivo di tanto ridere, scoppiarono anch’essi in una fragorosa generale risata. Alla fine della messa, in macchina, diretti alla volta di piazza San Michele il centro di Noha, non fummo redarguiti, come pensavamo o temevamo: anzi continuammo ancora a ridere, e pare che, con questo, don Gerardo volesse dirci che la fede è gioia, letizia e che “[…] il diavolo non è il principe della materia, il diavolo è l’arroganza dello spirito, la fede senza sorriso …” [cfr. pag. 451, U. Eco, Il nome della rosa, La Biblioteca di Repubblica, Barcellona, 2002].
Le tredici splendide giornate di primavera inoltrata si concludevano, dunque, il tredici giugno con la festa del Santo Taumaturgo di Padova, con la benedizione e la distribuzione a tutti del pane benedetto…
Alla fine della tredicina, don Gerardo per ringraziarci della nostra assistenza ci portava a Galatina per offrirci un gelato (un tempo i gelati erano un lusso che si gustavano solo nelle domeniche pomeriggio d’estate, ed a volte nemmeno in quelle). Il bar di Galatina – bellissimo - era quello di Rafelino, ubicato in via Gallipoli, quello che produceva i gelati più buoni del Salento e quello (almeno così ci sembrava) che aveva inventato la panna montata, una delizia celestiale, una squisitezza morbida e vellutata che in quel gruppo di anni di oltre un quarto di secolo fa non tutti conoscevano. Prendevamo un cono a testa con tre gusti e con sopra tanta panna montata ed in macchina sorbivamo con lentezza quella leccornia sublime…
Ecco: a me piace ricordare proprio così il caro don Gerardo, mentre con la sua Fiat Cinquecento ci portava da Noha a Galatina per offrirci il gelato di Rafelino, sormontato da soffice candida panna montata.

ANTONIO MELLONE

 
Di Albino Campa (del 11/04/2007 @ 12:43:28, in PhotoGallery, linkato 3340 volte)
Inserite nuove Photogallery:
  1. Presentazione Osservatore Nohano - Circolo Tre Torri
  2. Gara ciclistica Noha-Galatina-Soleto Domenica 25 Marzo 2007
  3. Università Popolare
  4. Paesaggio Noha dopo la pioggia
  5. Fiera dei Cavalli del 17-04-2006 (prossimamente anche quelle del 09/04/2007)
Sono benvenuti, come sempre, i commenti e le considerazioni degli amici internauti.
 
Di Albino Campa (del 07/04/2007 @ 00:00:00, in L'Osservatore Nohano, linkato 3404 volte)
"L'OSSERVATORE NOHANO"

n° 3 - Anno I

Bella come il Sole! ecco il terzo numero della RIVISTA ON-LINE del nostro sito. Con ben 16 pagine di rubriche, servizi e zero pagine di pubblicità, è ormai un appuntamento mensile fisso per i lettori del network.
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Di Albino Campa (del 04/04/2007 @ 23:22:37, in NohaBlog, linkato 3763 volte)

"Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo nuovo contributo del nostro amico Marcello D'Acquarica sulla figura di Gino Tarantino, compianto artista figlio di Noha".

Rammarico e  tristezza, questo resta per aver perso un amicizia  insolita, disinteressata, di semplice confronto e dialogo.
Si dice: prima o poi i nodi vengono al pettine; ed anche: le cose assumono naturalmente la giusta collocazione. Cosi è.
Bisogna riconoscere che  non basta nascere nello stesso posto e crescere insieme per essere dei veri amici, certo è una componente di grande valenza, ma non sufficiente.  I ricordi delle prime esperienze, il tempo trascorso insieme, il dialetto, le tradizioni consumate, sono tutti collanti irripetibili. Ma se a causa delle vicissitudini della vita il distacco non scatena nessuna azione di ricerca, di riavvicinamento, vuol dire che il passato ha coronato il suo compito, e tutto può essere considerato finito. Per sempre.
Non così per noi, che abbiamo saputo dare il giusto valore al nostro passato. Che lo abbiamo adoperato come meritava: collante per il presente ed il futuro.  Cosa potrei volere di più? Ti sono grato  per avermi dato l'occasione di aprire gli occhi e discernere nella opacità del quotidiano, un grande valore: l'amicizia. Quando un rapporto fra due persone non è disturbato da estranei, quando è libero e distaccato dalle miserie che invadono i nostri pensieri, quando persiste nonostante le differenti scelte di vita, è il momento per capire che questa è cosa rara, che merita tutta la nostra attenzione. Altrettanta attenzione merita la riflessione sul percorso già di per se drammatico (e quindi sufficientemente ripagato con il dolore) che ha costretto i tuoi ultimi istanti di vita. Certo non ci si deve commiserare del proprio stato di peccatore crogiolandosi nell'essere uomini che camminano sulla terra e quindi “costretti” a sporcarsi  i piedi di fango, ma, tanto meno, dobbiamo sentirci chiamati a  giudicare l'operato del nostro prossimo. Pensiamo all'insegnamento di Gesù quando dice ai Giudei che si accingono a lapidare una donna colpevole di adulterio: “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra”. E chi ha orecchie per intendere intenda...
La cosa che purtroppo ha sorpreso tutti è stato “l'evento” inatteso e prematuro.
Ma chi mai poteva immaginare l'inimmaginabile... questi sono i nostri limiti!
Adesso che il “Mistero” più grande della vita ti ha già coinvolto e nessuna delle nostre strade è più  percorribile non mi resta che sperare e pregare che, insieme a tutti i nostri cari, possa godere la pace con la “P” maiuscola.

Marcello D’Acquarica

 
Di Albino Campa (del 27/03/2007 @ 18:28:07, in Creatività, linkato 4267 volte)
Lo sapevate che anche Noha annovera tra i suoi figli un novello Leonardo da Vinci? Eccovi di seguito le prove della creatività del nostro Marcello da Noha, dimorante però nell'Italia del Nord. Molto altro troveremo e leggeremo sul prossimo numero del nostro rotocalco on-line "L'Osservatore Nohano", per il quale fervono già freneticamente i preparativi.  
 


Il moto-parti
 
Sono  i corsi ed i ricorsi della vita. Quando il filone d’inventiva della moda esaurisce la fantasia ecco che si riprendono le idee passate. E quello che si usava quaranta anni prima ritorna di moda, quasi uguale, con qualche modifica innovativa. Ed ecco riproporsi il monopattino, di tutte le dimensioni. Piccoli e meno piccoli. Di plastica per i più piccini ed in alluminio per i più grandi.
“Correvano” gli anni '60, ed a Noha circolavano solo due Fiat 500 belvedere, un Maggiolino e tanti traini e ciarabà a cavallo.  In compenso correva indisturbata la “Formula 1”dei moto-parti . Ogni strada con una lieve discesa era adatta per la  pista. Rombanti e veloci sfrecciavano sull'asfalto appena rifatto rotolando con i cuscinetti recuperati da pezzi di vecchi motori e che fungevano da ruote. Venivano costruiti  con delle assi di legno e chiodi rubati ai muratori. La pista preferita aveva come  partenza  la Piazza, all’angolo de  lu barra de lu Mante e de lu Pietro ed il traguardo alla fine della discesa presso la grotta di Lourds. Furono i precursori dei motorini con marmitte sfondate e carburatori maggiorati, un altra storia. .
N.B.: progetto collaudato ma non garantito. Non rispondiamo di eventuali danni a persone o cose dovuti da un uso inadeguato delle sofisticate apparecchiature descritte in questo documento .
 
 
Le carrozze 

 
Tempi duri e scomodi. L'acquedotto non c'era ancora. Le donne usavano fare il bucato non con le lavatrici, che non sapevano ancora cosa fossero, ma con grandi “limbi” e la “lisciva” al posto della candeggina.  Nelle vecchie case del centro i pozzi neri (soprattutto quelli senza “ventalora”) si riempivano in fretta. Allora per risparmiare la chiamata del carro pompa per lo svuotamento, ogni carico e scarico doveva essere  fatto trasportando l'acqua a mano, con l'ausilio delle “carrozzine”, dalla fontana per il carico di acqua pulita (e giù code interminabili) e poi, in aperta campagna appena fuori dal paese,  per lo scarico dell’acqua sporca.
Intanto per noi bambini era anche un divertimento.  Cosi, mentre ci si rendeva utili in casa, per le vie del paese si faceva  a gara per arrivare primi alla meta, senza caschi ne protezioni per gli arti, ogni tanto qualche carrozza perdeva le ruote ed i piloti la pelle (delle mani o delle ginocchia).
N.B.: progetto collaudato ma non garantito. Non rispondiamo di eventuali danni a persone o cose dovuti da un uso inadeguato delle sofisticate apparecchiature descritte in questo documento .
 
Marcello D'Acquarica
 
Di Albino Campa (del 20/03/2007 @ 16:52:35, in Racconti, linkato 4795 volte)

"Eccovi un altro racconto di Marcello D'Acquarica: un racconto che ci fa gustare sapori e sentire profumi di orto e di campagna. Gli odori ed i colori del passato che per fortuna a Noha sopravvivono ancora (e speriamo ancora per molto), non contaminati dalla frenesia, dall'inquinamento, dal rumore, dall'omologazione ad uno stile di vita tutt'altro che genuino".

 

Oggi è domenica, e come di consuetudine, faccio “un salto” all'orto. Quasi sempre ci vado al Sabato, per ottemperare alla sacralità della domenica, giorno di festa e dedicato alla  famiglia. Capita  però che le vicissitudini della settimana qualche volta  me lo impediscano e quindi,  ho spostato l'appuntamento ad oggi che è  domenica.
L'orto è un fazzoletto di terra di circa 2000 mq. disteso sul versante a sud-est della collina morenica, immerso nel parco naturale di Rivoli. Rivolto  a mezzogiorno e  distante dai rumori e dal frastuono delle auto.  Da quando vivo qui, insieme a due amici, di cui uno è il padrone,  lo abbiamo adibito a giardino per gli ortaggi. Ortaggi a secco, senza acqua, bagnati solo quando il Signore fa piovere. Il posto in cui è sito si chiama “pozzetto”. Strana analogia!  Come la  zona periferica a nord ovest di Noha: lu puzzieddrhu”,  dove adesso vi hanno costruito la “167”. Era questo uno dei posti dove da bambino con i miei compagni si andava a giocare ed a trascorrere le Pasquette. Dove papà coltivava un “orto” di terra pari a circa venti are, senza acqua ma con tanti bei cozzi.
Angoli di mondo meravigliosi. Ambedue per ragioni diverse. Questo di Rivoli  è in alto, circa 500 mt. sul livello del mare.  Da qui si spazia con lo sguardo l'unico pezzo di infinito che si possa vedere da queste parti. Il resto del panorama è impegnato dalle creste di alti monti  bellissimi: le Alpi. Circondano il Piemonte a mo' di staffa di cavallo. Le montagne più alte d'Italia e d'Europa. Dalle Alpi Cozie con la maestà del Monviso alle Craie con il M.Rosa, fino a chiudere il semicerchio con le Alpi della Val D'Aosta. Una vera barriera, inerme alle invasioni delle orde barbariche e annibalesche, ed a maggior ragione, ai nuovi invasori del terzo millennio. Sulle loro cime, sempre imbiancate, svettano i ghiacciai, presenza consolatrice di una perenne riserva d'acqua. Nei giorni senza foschia sono uno spettacolo meraviglioso. Eppure dopo un po' che le guardi ti  tolgono l'immaginazione, impediscono ogni altra visuale per cui la fantasia resta prigioniera delle loro possenti  e immobili forme. E' assurdo, ma nonostante il loro fascino, possono sembrare una prigione.
Dall'orto, come dicevo prima, invece, si può “bucare” con lo sguardo l'infinito, solamente a Sud.Est. E a me piace pensare che oltre quella coltre grigia di cielo, dove si confondono fino a fondersi, nuvole e colline, si intravedano i due pini (adesso rimasto uno) della via de lu Mureddrha, i “boschi” di ulivi, le  masserie de lu Runceddrha e de lu ColaBaldi, il casale de lu Rumanu con la sua gigantesca palma che qualche anno fa brucio per tre giorni di fila, le terrazze delle nostre bianche case, la torre ed  il castello, la piazza, i compagni di un tempo, casa....!
In  questo silenzioso e magico angolo di mondo mi sono nutrito  dei  ricordi, ho voluto “saggiare” la durezza del lavoro della terra, quella terra che infine ci nutre e ci da la vita. Quella terra che sa ricompensare la fatica dell'uomo.  Che da' e poi si  “riprende” per poi ridare ancora.  Quella... terra! Non questa! Questa è arida, sassosa, secca, pigra. Qui il sole,  benchè  alto e cocente (in alta stagione) non matura i  frutti che per una stagione (non per niente gli indigeni del posto si votarono all'allevamento di bestiame). La pioggia, quando c'è, scorre via veloce e trascina con se, nonostante i miei tentativi di arginamento,  anche quel poco di buono rimasto. Pietre, solo pietre e rovi. E silenzio! Il silenzio che a volte nutre la disperazione dello  spirito ed altre volte lo ingolfa di gioia.
Comunque resta un angolo di paradiso. Qui, vengo a svuotare (non le tasche, a questo ci pensa l'Euro) le mie tensioni della settimana lavorativa. Qui ho compreso l'emozione di ritrovarmi “mbutulato”  quando, stravolto dalla stanchezza fisica (la vita sedentaria di scrivania e PC mi rende precario alla fatica), mi ritrovavo immerso nella terra a raccoglierne i “miseri” frutti. Qui ho confrontato  con rimpianto il sapore delle stagioni. Con rimpianto sì,  perché qui, in ogni anno che passa,  assapori “la resurrezione” a vita nuova meglio che in qualunque altro posto. 
Qui ho atteso vigile il primo lieve segnale del risveglio della natura dal rigido e freddo inverno di questo “insipido” nord. Seppure per brevi e ridotti momenti, qui ho vissuto la gioia di un fiore che nasce e da' colore, ho gustato il nettare delle primizie, ho ammirato la magica festa della primavera. Qui, nelle gelide mattine d'inverno, come quando da piccolo ed insieme al mio amico Roberto vagabondavo per la nostre campagne, ho incontrato il mio amico d'infanzia pettirosso. Anch'esso in lotta per la vita.
Nonostante tutto, in attesa di tornare a casa, era il mio rifugio dove saziare la  mia solitudine. Era! Adesso non è più! Oggi (dopo quasi trent'anni), una domenica mattina come le altre, invece del silenzio e la pace,  vi ho trovato il deserto. Come una fredda e improvvisa magia, ho trovato il nulla. Tutto raso al suolo. Per terra ancora vivamente incisi i solchi lasciati dai cingoli di una ruspa, testimone della “lecita” prepotenza dell'uomo “padrone” . La vecchia pianta di albicocche sopravvissuta ai miei lunghi tentativi di potatura  ha dovuto cedere a tale forza devastatrice, così come ha dovuto fare il canneto da cui ogni anno ricavavo i tutori per le mie piantine di pomodori, il “magazzino” dell'erba tagliata che usavo come fossa biologica, i rovi del mio amico pettirosso, che al  prossimo inverno non mi troverà pronto ad ascoltare il suo canto, il bosco di prugne selvatiche e di sambuco, le terrazze di contenimento, il pergolato che mai fece uva e che mi regalò mio fratello Michele ( lo teneva in un vaso sul  balcone del suo alloggio), il cespuglio di rosmarino e di salvia, la pianta di fico che con  tanto affetto  mi ero trasportato da Noha, il pesco che mi aveva regalato il mio amico Roberto, e quell'altro  di mio fratello Mario, che ogni anno mi regalava il sapore amaro dei suoi frutti,  l'albero di nespole dell'altro mio fratello,  tutto raso a terra! Tutto ridotto in poltiglia!
Anche ai  teneri germogli dei piselli appena nati è toccata la stessa fine,  i  miei leprotti dovranno cercarsi altro da mangiare al loro risveglio dal breve letargo di questa stagione stranamente mite.
In un angolo, a dispetto di tale violenza,  come delle lagrime di gioia, la' dove iniziava il muretto di sostegno,  sono spuntati i fiori gialli, la trhia e ciciari, che da anni oramai scandivano le mie primavere a ricordo del giardino di casa mia. Niente più rose, ne daglie, ne gladioli per il nostro nido d'amore, niente... la furia irruente ha soffocato anche il profumo dei miei narcisi che per primi, vincitori del gelo, ricomparivano instancabilmente ogni anno  in mezzo all'erba ancora secca.
Così, improvvisamente, il demone devastatore mi ha riportato ad una triste realtà, mi ha tolto gli affetti, ha disarmato i miei sogni.
Così è la vita! Fatta di gioie e di improvvisi cataclismi.
Un bel giorno ti svegli e ti accorgi che non sarà più come prima, che le cose cambiano e spesso ce ne accorgiamo quando cambiano in peggio. E allora il panico rischia di rovinare ogni attimo e  la disperazione ci rabbuia l'animo.
Qualunque ne sia la causa il nostro tempo può finire in un attimo e quello che avremmo potuto fare, dire o dare può non essere più  fattibile.
Adesso che anche questa storia è finita, mi rendo conto che in fondo sono stato fortunato. Ho avuto
l'occasione per capire quanta fatica  mio padre ha fatto per sostenere con dignità la sua famiglia. Ho capito anche:
 che nella semplicità delle cose c'è il segreto per la gioia e  la purezza dello spirito;
che apparteniamo alla terra, da cui è impossibile sfuggire,  non a questo finto progresso;
che forse mi resta ancora molto da fare e da donare.
Che in fondo la disperazione non costruisce, non edifica nulla. La pazienza e la perseveranza invece portano verso una meta, ed anche se mai sarà possibile raggiungerla, resta sempre il nostro faro, la luce che ci guida,  ma sempre nel rispetto della natura e del prossimo. Altrimenti diventiamo a nostra volta,  strumenti di distruzione, come i cingoli della ruspa che oggi ha devastato i miei affetti.


Marcello D'Acquarica

 
Di Albino Campa (del 12/03/2007 @ 12:49:45, in Libro di Noha, linkato 4728 volte)

Partenza da Milano: ore 10.30 6 Agosto 2006
Alessandro, Nevianese adottato da Milano ormai 10 anni fa (4 settembre 1996, quando l’Università Bocconi ha rubò le nostre braccia all’agricoltura);
Stefano e Ivano anche loro nevianesi, approdati a Milano solo la notte tra venerdì e sabato per un concerto che avrebbero dovuto vedere a Venezia (insieme ad Ale), ma saltato.
Ed infine il sottoscritto novese.

Avevamo pensato: “Partiamo tardi…eviteremo il traffico!!!”. Classico esempio di “partenza intelligente”. Non avevamo calcolato che per istrada v’erano dieci milioni di intelligenti.

Carichi come non mai - la valigia di Ale era talmente grossa che il comune di Milano gli aveva inviato la cartella esattoriale per il pagamento dell’ICI (non oso immaginare come sarà il ritorno) - partiamo!
Sud Soud System di sottofondo o, a tratti, a manetta. Tangenziale, autostrada, 100 km e poi tutto fermo. Da Parma ad Ancona un solo serpentone di auto. Subito abbiamo pensato fosse la coda per arrivare a Neviano, dove la sera ci sarebbero stati i fuochi d’artificio per la festa della Madonna della Neve. Non sbagliavamo.
Comincia lo show (il quale “must go on”). Ormai conoscevamo tutti per strada; ci muovevamo ad una media di 5 km/h alla ricerca di auto piene di ragazze, ma là dove apparivano belle ragazze, alla guida, ahinoi, c’era il padre geloso. Ma in fondo il problema non era il padre geloso, ma le stesse imperturbabili donzelle: i “due di picche” sono stati numerosi.
Allegri nonostante tutto, tra una “pennica” e due parole, con il consueto reggae salentino di sottofondo, il viaggio comunque si è mostrato piacevole e scorrevole. La compagnia nei viaggi è fondamentale; se salentina è il massimo.

Nella mia macchina, ormai dal 20 Maggio 2006 è presente una confezione da 10 poderosi libri “Noha – Storia arte e leggenda”: servono per le consegne fuori porta; per le urgenze di molti salentini al nord; per cuccare (ma non ha ancora funzionato); insomma per soddisfare quella che possiamo definire “domanda latente”. Lungo tutto il viaggio il libro è stato fonte di stimoli per le chiacchierate e, questa è una mia opinione, di notevole stupore dei miei compagni di viaggio nevianesi che mai avrebbero pensato ad un volume enciclopedico sulla nostra Nove.

Il viaggio lento, subisce una accelerata (ovviamente nel “pieno” rispetto dei limiti imposti dal codice della strada, prima della patente a punti) e ci vede percorrere il tratto Ancona - Foggia in breve tempo.
Dopo 13.5 ore, alle 00.00 approdiamo “scuncignati” all’autogrill “Esso” di Foggia.
Dal momento in cui siamo scesi chiunque, vista la nostra postura, avrebbe potuto identificare marca, modello, cilindrata e anno di immatricolazione dell’auto su cui viaggiavamo.
Alessandro si affianca all’erogatore. Io e gli altri ci avviciniamo al bar per il nostro meritato cafè, servito da una barista la cui gentilezza non cozzava punto con l’etimologia del verbo cozzare: COZZA.

Ivano usciva, avviandosi verso la macchina, che nel frattempo aveva subito il pieno di carburante, mentre Alessandro salutava un’amica incontrata per caso fra 11.5 milioni di viaggiatori diretta a Lecce ma di Milano (ccerte fiate!).
Al bancone del bar si avvicina una faccia nota con due ‘armadi’ di scorta, vestito grigio scuro antracite.
Dalla cassa del bar, Stefano:“a’ bbistu Niki Vendola?!”. Bevuto il caffè vado verso la macchina dove Ivano era piazzato stile cane da guardia, segnalando l’illustre presenza.
Nel frattempo Alessandro fermo davanti alla porta dell’Autogrill, gambe leggermente divaricate (a mo’ di guardia giurata all’ingresso di una banca) vedendo uscire il Presidente, si lanciava verso di lui con fare sicuro e …“Niki, ti posso stringere la mano” (con la tipica pronunciation nevianese). Vendola: “Certo” e con un gran sorriso saluta l’amico Alessandro (sembrava si conoscessero da anni).
Stupito della facilità di contatto con il Presidente (la scorta era sempre attenta ma mai ‘invasiva’) guardando verso la macchina vedo spiccare la copertina del libro di Antonio (mio cugino cognomonimo).
Gli avevo detto ormai 2 mesi fa “prima o poi lo riuscirò a consegnare al Presidente”.
Colto dalla tipica faccia da “tolla”, che in questi casi mi contraddistingue, mi avvicino verso Vendola, con il libro in mano e sicuro proferisco: “Presidente!?”  (ammetto che l’intonazione della voce è stata notevolmente Berlusconiana), “seppur in questo contesto non tipicamente ‘culturale’ vorrei farLe dono di questo Libro.”
Lo prende lo guarda e dice: “Grazie, ma cosa è Noha?”.
Le risposte possibili erano almeno due: la prima spiegare con calma apparente; la seconda strappargli il libro di mano e andarmene incollerito, oltre che corrucciato.
Fiducioso opto per la prima: “Noha, una cittadina del Salento, frazione della forse, per Lei, più nota Galatina, ma ben più antica: ha presente i Messapi?”

Foto di rito, “saluta Antonio”, una calorosa stretta di mano e sia noi che lui riprendiamo il viaggio.

Così è andato via l’n-esimo viaggio verso sud, consapevole che sarebbe stato solo l’n-nesimo inizio di un viaggio verso nord.

Matteo Mellone

 

This is Noha, the place we li...

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