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Articoli del 06/05/2018

Di Antonio Mellone (pubblicato @ 18:54:53 in NohaBlog, linkato 1722 volte)

Quando una ragazza vi chiede di mostrarle una cappella, voi stupitela facendole vedere una cattedrale.

E così tempo fa accompagnai una delle mie tesiste nella stupenda cattedrale di Nardò, una tra le più belle di Puglia - e alla quale sono particolarmente affezionato. Nossignore, non insegno all’università, ma periodicamente seguo alcuni studenti anche nella redazione della loro tesi di laurea dacché molti professori non hanno il tempo di leggere e correggere gli elaborati dei loro allievi. Sissignore, lo faccio per hobby e, s’intende, gratis et amore Dei. Nossignore, seguo gli universitari di tutti i sessi, non soltanto gli esponenti di genere femminile e di venustà intimidatoria. No, non esclusivamente in Economia, mio pane quotidiano, ma in svariate altre discipline (se no che gusto ci sarebbe). Nossignore, la ragazza dell’immagine non è la tesista di cui sopra, ma mia cugina Martina, una cantante molto brava, ritratta mentre la accompagno (indegnamente) al settecentesco organo a canne della Madonna del Canneto (sic) di Gallipoli. Per dire quanto adoro certi strumenti musicali.

Volete sapere altro? Bene. Dopo questa doverosa (e invero prolissa) premessa, ritorniamo nella Cattedrale neritina.

Ora, confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli, che ogni volta che entro in una chiesa qualsiasi la prima cosa che cerco con lo sguardo è la presenza di un organo a canne. E’ una mia deformazione abbaziale: trascuro tutto il resto, incluso, per dire, un Giotto o un Duccio di Buoninsegna e perfino un Caravaggio (me li tengo per il dulcis in fundo), per andare alla scoperta della fitta palizzata di canne, sovente a mitra di vescovo o a cuspide, svettante da qualche parte.

E così, conoscendo a menadito la basilica neritina, conduco la mia laureanda alla navata destra del duomo, all’altezza del presbiterio, proprio dirimpetto alla magnifica cattedra lignea del Ricciardi, presule tarantino dei primi del novecento, per indicarle, affacciato da una balconata in legno scuro, lo “Stradivari di Nardò”: sua eccellenza l’organo Inzoli del 1899.

Son però costretto a spiegarle - con impeto albertoangiolesco nonostante il degrado sia più eloquente di ogni parola - che quelle canne non emettono suoni ormai da troppi anni, quindici più o meno, vuoi per i gravi difetti di intonazione, uguaglianza ed equilibrio dovuti alla carenza di revisione periodica e all’assenza di accordatura dell’impianto sonoro, e vuoi per la sicurezza strutturale connessa al  decadimento delle parti in legno, assalite senza alcuna pietà da tarme e termiti.

Pare che non ci sia per ora alcun progetto di restauro né da parte di Chiesa né da parte di Stato locali, sicché la riconsegna di codesto “armonium” episcopale al suo uso liturgico come pure a quello concertistico è ancora di là da venire. Ci tocca attendere ancora un bel po’ prima di risentire armonie solenni, travolgenti trionfi o melodie grevi sprigionate da quell’orchestra (l’organo è una vera e propria orchestra, e l’organista ne è il direttore), la cui potenza è in grado di trasformare le pareti di quel sacro tempio in alberi, e il suo soffitto a capriate in cielo.

Si vocifera che in loco Curia e Comune siano in tutt’altre faccende affaccendati: la prima, salvo errori, sembra impegnata nel progetto di un sacrilegio (non trovo lemmi più pertinenti di questo), vale a dire una nuova grande chiesa in muratura e cemento da colare quanto prima nella pineta di Santa Caterina (come se Santa Caterina non avesse già i suoi guai edilizi); mentre il secondo, tutto preso dallo storyballing casapoundiano del suo sindaco [tal Pippi Mellone: tranquilli, nessun segmento di Dna in comune con il sottoscritto, ndr.], non sa più quale devastazione autorizzare per prima in nome di Sviluppo&Occupazione: se la costa (con decine di nuovi lidi a pagamento e musica a palla) o la Sarparea (la foresta di ulivi secolari cui affiancare un bel villaggio turistico pregno di una settantina di villette e albergo di lusso).  

Mentre a stenti trattenevo un bestemmione da scomunica apostolica, la mia accompagnatrice dottoranda in Lettere Classiche – ma certamente un genio in erba (e di quella buona) dell’Economia - mi fa: “Scusami Antonio, ma non sono natura,  civiltà, cultura, bellezza, e il nostro patrimonio storico-artistico gli investimenti che staccano i dividenti più alti?”  

Io, non avendo ipotesi, tesi e antitesi da contrapporle, non potevo non rispondere che  con un lungo appassionato bacio accademico.

Antonio Mellone

 

Le argomentazioni della maggioranza sono lunari. Nel caso specifico, la chiusura del centro storico, sono talmente scollati dalla città che i commercianti si sono  rivolti a me per rappresentare le loro ragioni. Nella loro arroganza, unico tratto che li caratterizza, hanno adottato il provvedimento di chiusura calandolo dall’alto e senza preoccuparsi di farlo precedere da un processo di condivisione e di partecipazione.

Il capogruppo di Galatina in Movimento, Vito Albano Tundo, cita l’ordinanza numero 53 del 2017 per giustificare l’inasprimento degli orari di chiusura del centro storico, ma gli sfuggono due ordinanze dirigenziali: la prima riguarda la proroga della zona a traffico limitato, sino al 14 gennaio 2018, dalle  22.30 alle 6 per i giorni feriali, la domenica per tutta la giornata, la seconda che proroga gli stessi orari dal 15 gennaio al 30 aprile. Basta leggere l’ordinanza dirigenziale numero 3 del 2018 per avere conferma.

Ho chiarito che non si può pensare di chiudere senza un piano traffico, che serve un’integrazione del centro storico con piazza Alighieri e corso Principe di Piemonte perché un amministratore lungimirante dovrebbe immaginare – sul lungo periodo – una  larga zona pedonale che invita al passeggio. Sono convinto che sia necessario studiare misure utili a incentivare la ristrutturazione delle abitazioni, a stimolare l’apertura e il rilancio delle attività produttive, a fare di piazza San Pietro un contenitore capace di attrarre spettacoli di qualità, a rendere fruibili i tesori architettonici della città concordando e sostenendo l’apertura della Basilica. E poi si decidessero a ridare la luce alla Pupa, anche questa era una promessa fatta.

Queste cose le ho rese pubbliche con un comunicato che per Tundo è privo di idee, bontà sua, non ho ancora capito quali siano le loro, ma ci sono tanti altri suggerimenti dati senza alcun clamore. Ne cito due rivolte direttamente al sindaco Marcello Amante: vendere il tribunale e salvare Palazzo Bardoscia, fare luce sulla gestione dei residui. Per il tribunale mi ha detto che ci avrebbe pensato, per i residui mi aveva detto che avrebbe aperto un tavolo tecnico, ma per il momento ha saputo solo inasprire gli orari di chiusura, senza alcuna valida ragione.

In secondo luogo credo che il sollevare continuamente la questione della mia sconfitta sia il tentativo maldestro di sminuire la portata delle mie critiche, fatte sempre andando nel merito delle questioni. Capisco che un’amministrazione che al primo turno ha racimolato solo il 20% per cento dei voti e al secondo turno si è dovuta arrabbattare a tutti gli inciuci possibili viva con difficoltà la sua condizione politica, ma non ne sono responsabile. È certo che sono rimasti fuori del Consiglio comunale candidati che hanno avuto molte più preferenze rispetto a chi oggi siede in Consiglio, compreso lo stesso Tundo che con la sua manciatina di voti rappresenta solo se stesso e pochi altri.

 

Il consigliere di opposizione della Lista De Pascalis

Giampiero De Pascalis

 

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